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L’entrata in guerra di un paese, più o meno sviluppato che sia, ha delle conseguenze, sociali ed economiche, non trascurabili: l’aspetto prioritario che viene giustamente considerato riguarda in prima istanza la perdita di vite umane a cui segue il degrado territoriale cui vengono ridotte intere zone del paese, l’improduttività generale e l’ingente sforzo, sia economico che sociale, richiesto alla popolazione per debellare il nemico.
A questi fattori si aggiungono, in molti casi, ulteriori elementi che, data la loro insostituibile ricchezza, vengono spesso utilizzati per lanciare ricatti o indirizzare precise pressioni all’avversario politico e militare: i beni culturali.
Intesi come patrimonio storico e culturale in grado di identificare le tappe della civiltà e la memoria collettiva della popolazione che li ospita, i beni culturali sono infatti spesso presi di mira da azioni di brigantaggio e distruzione: basti pensare ai recenti bombardamenti in Libia sulla città archeologica di Ghadames (patrimonio mondiale dell’UNESCO dal 1986), il saccheggio del museo di Baghdad e quello de Il Cairo, fino all’abbattimento delle tre statue di Saddam Hussein a Kirkuk nell’ormai lontano 2003.
Dallo scoppio del conflitto in Libia sono state diverse le richieste da parte di archeologi e personalità diplomatiche di frenare gli attacchi contro le aree archeologiche, l’unico vero motore culturale dello Stato: si teme infatti che le bombe di Gheddafi, che hanno già danneggiato i castelli medievali della città di Nalut, possano colpire anche luoghi cardine come il santuario di Apollo, il tempio di Zeus o i resti romani di Leptis Magna.
Denominata anche “il gigante che dorme” per via del suo potenziale culturale non sfruttato, la Libia è infatti una delle nazioni con la più alta concentrazione di beni culturali sia nella parte nordorientale (la cosiddetta Cirenaica) che nella parte nordoccidentale (Tripolitania) dove parte dei tesori antichi sono ancora sepolti dalla sabbia del deserto.
Proprio per far fronte a situazioni catastrofiche irreparabili che possano metterne a repentaglio la loro sopravvivenza, l’UNESCO da anni coadiuva azioni strategiche mirate alla salvaguardia di aree e beni archeologici da parte dei principali paesi membri.
Tra queste rientrano, solo per citarne alcune, la “Convenzione UNESCO per la Protezione del Patrimonio Mondiale Culturale e naturale” del 1972, ma anche i più recenti programmi regionali “Euromed Heritage” e i progetti DELTA, MEDA, DAEDALUS, MEDINA, STRABON, molti dei quali attivi soprattutto nel bacino del Mediterraneo.
A Bagdad è inoltre presente l’Istituto centrale del restauro che, con l’aiuto di professionalità italiane si occupa della formazione di giovani iracheni sulle nuove tecniche di restauro e conservazione dei siti archeologici locali.
È dal 2003 inoltre che la Farnesina investe ingenti somme di denaro per finanziare missioni in varie parti del mondo: il restauro della città vecchia e la ricostruzione del ponte di Mostar (in Bosnia Herzegovina), la ricostruzione e la tutela dei quartieri antichi del Nord Africa (Marocco e Tunisia), del Sud Est Asiatico (Laos e Cambogia) e la salvaguardia del patrimonio culturale dell’Angola sono solo alcune delle operazioni condotte dall’Italia e dai paesi membri per il rilancio culturale di questi paesi.
Un rilancio che può avvenire solo con il turismo e con il potenziamento di offerte culturali indirizzate alla scoperta di questi luoghi ancora per molti inesplorati: la Giordania, ad esempio, avendo preso coscienza della sua ricchezza archeologica e della possibilità di trasformarla in risorsa economica, ha sviluppato imponenti progetti turistici e di ICT volti alla costruzione di siti internet e di reti condivise in grado di realizzare un sistema integrato di offerta. Siti come quello del Jordan Tourism Board e del MOTA (Ministero del Turismo e delle Antichità) hanno contribuito, con i loro archeopackage da 5 giorni, ad incrementare il turismo archeologico del 200% tra il 2004 e il 2006 permettendo alla Giordania di classificarsi a pieno titolo tra quei paesi in via di sviluppo proprio grazie all’attività turistica.
Riscattare il proprio bagaglio di guerra tramite i beni culturali e, a partire da questi, fare leva sull’economia nazionale è quanto si auspica anche per la Libia una volta che il paese sarà uscito dal conflitto. Proteggere queste aree preziose da attacchi, ritorsioni e minacce è l’arduo compito a cui la popolazione libica è chiamata affinché ci possa essere nel futuro una maggiore apertura non solo sociale ma anche culturale.