Intervista a Cosimo Alemà, regista del film At the end of the day

At the end of the day, un giorno senza fine è un film indipendente, prodotto in Italia, ma dallo stile decisamente internazionale. Qual è stata la politica promozionale del film e quali le tappe fondamentali della sua distribuzione?
Sin dall’inizio, sia da parte mia che dei produttori, c’è stata la volontà di realizzare un film che superasse i confini nazionali.
Infatti, ai vari festival cinematografici internazionali ai quali abbiamo partecipato quest’anno, ci siamo resi conto che i film italiani all’estero non solo non hanno lunga vita e non sono considerati positivamente, ma vengono giudicati “country specific”, vuoi per le tematiche, vuoi per la lingua, vuoi per attori e la qualità e il tipo dei film. La prima scelta, quindi, la più naturale e immediata, è stata quella di girare in inglese, nella lingua più consona ai grandi mercati mondiali, soprattutto quelli anglosassoni; la seconda è stata quella di creare un cast di attori madrelingua, che ha influito molto sul carattere internazionale del film.
Poi, nonostante fossimo partiti senza una distribuzione nazionale e internazionale, una volta che il film è stato realizzato e assemblato, già dall’inizio, ancor prima di finire il montaggio, lo abbiamo proposto e fatto vedere all’estero, notando che c’era grandissimo interesse per questo progetto.
Abbiamo successivamente trovato un sales agent, una grande company canadese, la “Cinema Vault”, che si è occupata di vendere il film in tutto il mondo.
In Italia invece ci siamo riservati di distribuire At the end of the day con “Bolero film”.

Il film, che è uscito nelle sale lo scorso 22 luglio, tratta del gioco del softair, un gioco duro, di gruppo, che presto però si trasforma in tragedia.
Dopo aver girato circa 300 videoclip degli artisti più importati della scena musicale italiana, come nasce l’idea di girare un horror movie?

Questo film non è propriamente definibile come horror movie: forse ha lo spunto narrativo della categoria degli slasher movies del tipo “guys in the wood”, ma in realtà è un thriller, un po’ action movie. Un film comunque fondamentalmente drammatico, angoscioso, violento, triste. Non sono un appassionato di film del genere, ma mi piaceva la sfida di realizzare un thriller che non avesse però nessuno degli standard e dei clichè dei blockbuster, girato in maniera completamente atipica.

Il film è un thriller tratto da una storia vera, ispirato a fatti realmente accaduti il 5 giugno del 1992. Il fatto che sia stato girato con una camera a mano sembra non essere casuale…
Chiunque conosca e abbia avuto modo di vedere in questi 10 anni i video che ho realizzato, può notare un mio stile ben definito: camera a mano e nervosismo dei giochi di messa a fuoco da sempre rappresentano la caratteristica principale del mio operato.
Proprio in base alla conoscenza di questo mio stile specifico, abbiamo deciso di girare e applicare tali elementi al film, realizzando quindi un prodotto che sembrasse più vero e realistico dei film che vengono girati sul genere. Le persone provano empatia nei confronti dei personaggi, soprattutto della protagonista, perché nonostante sia un film che non giochi assolutamente sul meccanismo del “fare paura”, è molto teso e angoscioso. Il linguaggio utilizzato e la macchina da presa avvicinano molto lo spettatore agli attori, facendo sembrare la vicenda narrativa più cruda e più vera.

Il film è anche iconograficamente complesso, è insieme un thriller permeato da atmosfere cupe e oscure, un action movie ad alta tensione, un film di guerra, una pellicola contenente anche elementi tratti dall’epopea western. Quali sono stati i riferimenti cinematografici cui ti sei ispirato?
At the end of the day è un film atipico dal punto di vista iconografico, ci sono tante contaminazioni, e sì, è vero, ci sono anche delle immagini dal sapore un po’ western…
Abbiamo deciso di trattare questo lungometraggio in una maniera diversa, non seguendo alcun canone, girando come se fosse d’autore. Questo lascia spiazzati gli spettatori che non sono abituati a vedere film di genere girati come fossero produzioni indipendenti, in maniera moderna e nervosa.
Ci sono dei riferimenti cinematografici cui ci siamo ispirati, che gli spettatori possono rintracciare all’interno del film come il capolavoro del cinema “Un tranquillo weekend di paura” di John Boorman e “Southern Comfort” (19881), diretto da Walter Hill, che in Italia è stato titolato I guerrieri della palude silenziosa.

Il cast è composto da giovani attori stranieri dalle caratteristiche fisiognomiche molto particolari. Secondo quali caratteristiche sono stati scelti gli attori?
Avendo le idee molto chiare sulla sceneggiatura e su quali dovessero essere i personaggi, le caratteristiche che cercavamo le abbiamo poi ritrovate direttamente sui volti degli attori.
Sicuramente in partenza non volevamo la classica protagonista dei film americani, per cui abbiamo scelto un’attrice che avesse un fascino diverso, particolare.
Stephanie Chapman Baker è un’attrice straordinaria che sa essere anche molto dura, lontana dai canoni “scream queen” che siamo abituati a vedere in tanti thriller.
Invece, per quanto riguarda i ruoli dei personaggi negativi, che non sono i soliti “cattivi” e che nel film hanno un peso molto importante, in quanto protagonisti di tante scene, sono stati ridisegnati una volta trovati gli attori. Emblematico il caso di Michael Lutz, nel ruolo dello “Zio”, che ho conosciuto a Londra, il quale ha plasmato il personaggio grazie al rapporto che poi si è venuto ad instaurare tra di noi.

Dopo la realizzazione di questo primo lungometraggio, sono previste nuove sperimentazioni di genere in ambito cinematografico? Sono già in cantiere ulteriori progetti?
Sono previsti altri progetti cinematografici e At the end of the day ci sta dando delle opportunità produttive sia in Italia che all’estero. Attualmente sto scrivendo un drama-thriller metropolitano, poliziesco, un film caustico e drammatico ambientato a Londra che gireremo l’anno prossimo. Sono un grande estimatore di Roman Pola?ski e Alfred Hitchcock e mi piace fare film di questo tipo; non sono molto portato per il genere della commedia e sono totalmente disinteressato nel fare progetti simili a quelli che si realizzano in questo paese.