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Intervista a Lorenzo Canova, storico e critico d’arte contemporanea
Sei professore associato di storia dell’arte contemporanea presso l’Università degli Studi del Molise. Quali sono le peculiarità dello storico dell’arte “accademico”?
Celant qualche tempo si compiaceva della crescita delle cattedre di storia dell’arte contemporanea nelle università italiane perché secondo lui permettono di leggere il contemporaneo con gli occhi dello storico. Si vuole impostare il lavoro di studio e approfondimento dell’arte contemporanea sotto il profilo scientifico, come d’altronde succede anche all’estero dove i docenti di questa disciplina lavorano nell’organizzazione di mostre e nel mondo della critica militante. A volte la pratica curatoriale tout court è effimera, ma se si ha una formazione storica ben radicata e un’impostazione metodologica valida si può osservare il presente in maniera più adeguata. Io sono orgogliosamente allievo di Maurizio Calvesi, con cui ho lavorato tanto e da cui ho imparato molto. Lo considero un padre intellettuale, mi ha insegnato a essere rigoroso nel metodo e al contempo aperto a tante tendenze senza alcun pregiudizio. Calvesi si è occupato di arte povera ma anche di futurismo, senza tralasciare le esperienze delle arti visive del contemporaneo. Il ruolo dello storico dell’arte contemporanea è proprio questo.
Presso l’Università del Molise hai fondato ARATRO, l’Archivio delle Arti Elettroniche. In cosa consiste l’attività del tuo laboratorio di arte contemporanea?
È un’esperienza a cui sono molto affezionato. Inizialmente voleva essere un archivio delle arti elettroniche, lentamente l’ho fatto diventare uno spazio espositivo come quello del Museo Laboratorio dell’Università La Sapienza di Roma, a cui in passato ho anche collaborato sotto la direzione di Calvesi. Questo è il modello di riferimento del mio laboratorio. ARATRO è nato nel 2006 e l’anno seguente abbiamo avuto uno spazio espositivo dal Rettore. Archiviamo materiale bibliografico e portiamo avanti progetti (spesso anche a costo zero) collaborando con artisti e studenti. Ho poi un corso universitario per curatori di eventi culturali e artistici, dove insegno agli studenti del Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione Pubblica, d’Impresa e Pubblicità tutto il percorso da seguire per la buona riuscita di un evento espositivo, che alla fine viene effettivamente realizzato. Ogni inaugurazione è un successo, molti ragazzi chiedono di fare il tirocinio formativo ad ARATRO e alcuni proseguono, tramite corsi e master, questo tipo di formazione.
Insieme a Calvesi hai curato una mostra itinerante dedicata alla collezione d’arte contemporanea italiana della Farnesina. Qual è il tuo giudizio sulla promozione dell’arte contemporanea italiana all’estero?
Sono stato curatore, insieme al senior curator Maurizio Calvesi, della collezione Farnesina dal 2002 al 2010. La collezione della Farnesina, che è nata con comodati da parte di collezionisti e artisti, con il tempo è cresciuta molto. Qualche anno fa ha avuto una significativa visibilità internazionale tramite un progetto espositivo itinerante, in particolare nell’est europeo e nell’America Latina. L’arte italiana all’estero è poco conosciuta, fatta eccezione per il Futurismo, la Metafisica, l’Arte Povera, la Transavanguardia e ovviamente per Burri, Fontana, Manzoni e pochi altri. Probabilmente è anche un po’ colpa della nostra esterofilia che io vedo come un sintomo di provincialismo, accettare acriticamente tutto quello che viene dall’estero e sminuire costantemente la nostra arte non vuol dire essere internazionali, anzi. Comunque lentamente la situazione sta migliorando, ma dobbiamo lavorare di più per valorizzare i nostri artisti, storici e contemporanei. Gli artisti italiani dovrebbero muoversi un po’ di più e tutto il sistema dovrebbe essere più compatto. Tuttavia, anche se all’estero abbiamo un’immagine debole penso che in Italia abbiamo buoni artisti che fanno un lavoro molto serio e costruttivo, questa è la base su cui lavorare.
Viviamo in un periodo storico in cui i tagli alla cultura e alla ricerca sono all’ordine del giorno. Pensiamo alle recenti dimissioni di Barbero conseguenti ai nuovi tagli che hanno colpito il museo MACRO. Qual è il tuo giudizio in merito?
Ho fatto molte battaglie a favore dell’arte contemporanea. Il problema generale è quello dei tagli alla cultura e alla ricerca. Ogni protesta la vedo favorevolmente. Si sta generando un danno enorme che coinvolge tutti, anche quelle professionalità coinvolte nella produzione di eventi culturali – da chi allestisce, a chi si occupa dei trasporti delle opere d’arte, ai grafici, alle tipografie e alle case editrici – che pagheranno in maniera molto forte le conseguenze di questo disastro. È un problema ampio che riguarda tutta la cultura. Il problema è che in Italia non si è ancora capito che la cultura crea profitti e dà molto lavoro, anche se è necessario che questo si leghi alla didattica e una diversa visione della conoscenza per non fare restare sterile l’investimento sulla cultura.
Un tuo giudizio sulla Biennale di Venezia firmata Bice Curiger e sullo sgarbiano padiglione italiano.
La partita tra l’iconofilia psichedelica della quadreria sgarbiana e l’iconoclastia zurighese di Bice Curiger per me si conclude a reti inviolate.
Un consiglio per chi si appresta a intraprendere l’attività di storico e critico d’arte contemporanea.
Avere molta pazienza e passione. È un lavoro spesso ingrato, soprattutto qui in Italia. Io non ho fatto corsi per diventare curatore, l’ho sempre fatto e basta. Nel bene e nel male. Grazie a Calvesi da giovane ho avuto tante esperienze. È un lavoro al quale serve lavorare sul campo: curare mostre, seguire la comunicazione, scrivere e curare un catalogo…
Oggi in Italia c’è uno sfruttamento incredibile delle giovani professionalità tramite stage e tirocini e molte strutture pubbliche e private vanno avanti solo grazie a questo lavoro volontario, è una gavetta necessaria ma dopo è fondamentale che queste professionalità una volta formate non vadano disperse. Il momento è difficilissimo, a volte non so cosa consigliare, ma è basilare che si creino nuove e serie occasioni di lavoro. In ogni caso è bene avere un serio percorso universitario, avere esperienze all’estero (penso all’Erasmus, ma non solo). Conoscere, vedere, viaggiare: studiare, studiare e studiare e attivarsi sin da giovani. Ci sono tanti percorsi post-universitari in Italia, ma le esperienze all’estero servono sempre per confrontarsi con un sistema più ampio e articolato.
La conoscenza, intesa in senso allargato, è uno dei pochi strumenti che servono a superare le difficoltà e le tempeste della fortuna avversa.