Intervista a Mario resca, Direttore Generale per la valorizzazione del patrimonio culturale

Dott. Resca, è passato un anno esatto dalla firma del protocollo interministeriale tra Mibac – Ministero della Difesa e Istruzione. I 30 milioni che lei ha reclamato per far partire il progetto della Grande Brera non sembrano però arrivare. Dove sorge l’empasse che va avanti ormai da 35 ani?
Io sono stato nominato il 30 dicembre del 2009 commissario delegato per la Grande Brera, termine coniato per designare un grande polo museale a Milano che comprendesse i locali di Brera, oggi parzialmente occupati dall’Accademia, l’Orto Botanico e il Palazzo Citterio, acquisito dallo Stato molti anni fa.
Il presupposto per quest’operazione è sempre stato quello di riuscire a trovare un grande spazio per l’Accademia che ospitasse oltre 3.500 ragazzi, di cui oltre un migliaio provenienti dall’estero. Da anni si parlava di questo progetto, sicuramente di difficile realizzazione, a cui nessuno era riuscito a dare inizio e per cui erano già stati spesi molti fondi. Aver ottenuto, il 29 luglio 2010, un accordo che riunisse negli intenti il MiBAC, il MiUR e il Ministero della Difesa è stato un grande risultato a livello amministrativo.
Anche perché, il Ministero della Difesa ha concesso al progetto oltre 20 mila metri quadri della Caserma Mascheroni, uno spazio in un luogo pregiato nel cuore di Milano, per il trasferimento di una parte di Accademia.
Il punto di partenza, da cui si genera l’empasse di cui parlava, era quello di finanziare un’operazione di questo calibro. Quando venni nominato commissario, furono garantiti dallo Stato 52 milioni di euro. Ovviamente nel corso degli anni, prendendo consapevolezza dei vari interventi da effettuare, il budget è molto aumentato: non erano stati preventivati, ad esempio,  i lavori sulla caserma Mascheroni per permettere ad una parte di accademia di trasferirsi lì e tutti i vari collegamenti che permetteranno agli studenti di spostarsi.
Il fatto è che questi soldi promessi non sono mai arrivati e io sono stato uno dei primi commissari straordinari a lavorare con 0 euro e pochissimi strumenti: avevo nominato un soggetto attuatore, suggeritomi dal ministero, che poi sfortunatamente è incappato nella vicenda giudiziaria relativa ai grandi eventi di Balducci&co (Ing. Della Giovampaola, ndr), ho quindi nominato un altro soggetto attuatore, un dirigente del MiBAC, Ruggero Martines, in grado di garantire la correttezza e la trasparenza delle gare.
Ribadisco: io non credo si possa affrontare un progetto di Stato di 160 milioni di euro chiedendo tutto ai privati, ma allo stesso modo non credo che lo Stato, da solo, possa garantire la corretta gestione e funzionalità di un complesso del genere. Brera è stata a suo tempo definita un’operazione di grande importanza strategica per Milano e non solo. Nonostante ciò, i fondi non si riescono a trovare.

Eppure il ministro Galan, sostenuto poi dal sottosegretario Giro, ha sostenuto che “il problema non sono le cifre e che se le idee ci sono, i fondi si trovano…”
Sono oltre 40 anni che lavoro nel settore delle imprese e sono abituato a ragionare con metodo e per obiettivi: per la Grande Brera si deve da un lato velocizzare quell’enorme apparato burocratico che stenta a mettersi in moto e che è indispensabile per fare e gestire appalti; dall’altro bisogna necessariamente avviare le operazioni con i fondi promessi ma mai arrivati. È per questi scopi, ci tengo a precisare, che il commissariamento è stato creato.
I fondi ci sono, giustamente, per finanziare e gestire, con 30 milioni, il Museo di Reggio Calabria, ci sono per Pompei, ci sono, a prescindere dall’apporto meritevole dei privati, per l’area archeologica di Roma che comunque parte da una base d’incasso di 35 milioni di euro l’anno. A Brera, invece, nulla rimane per la Brera stessa o al Cenacolo vinciano e tutto l’incasso della biglietteria va allo Stato.

Quale sarebbe, a suo avviso, la maniera giusta per incentivare i finanziamenti dei privati? Ipotizzando, anche per Brera, ciò che è accaduto a Roma con il Colosseo e della Valle e, forse, a Venezia con Rosso (Diesel) e il Ponte di Rialto?
Fin dai primi mesi dal mio arrivo al Ministero affermai che lo Stato non poteva più permettersi di pagare a pioggia per il nostro patrimonio.
La cosa paradossale è che, nonostante le difficoltà economiche in ci troviamo, l’Italia è l’unico Paese europeo a non prevedere incentivi semplici e chiari per i privati che vogliono contribuire alla manutenzione e alla tutela del nostro patrimonio.
La Fondazione Packard, ad esempio, non ha solo dato 10 milioni di dollari per Ercolano in questi anni, ma ha anche messo a disposizione know how e competenze preziose per la salvaguardia dell’area archeologica. La soluzione sarebbe quindi quella di trovare una strada congiunta in cui pubblico e privato possano collaborare, non sostituirsi l’uno all’altro.
Molto si è già fatto da questo punto vista: basti pensare che la maggior parte delle grandi mostre organizzate in Italia vengono realizzate anche grazie al supporto di sponsor privati importanti come Enel, Eni, Telecom.
Sia chiaro che siamo comunque lontani dal mecenatismo vero e proprio: anche per quanto riguarda Della Valle e il Colosseo, siamo di fronte ad un’operazione commerciale, non di mecenatismo che prevede, come è giusto per questo tipo di accordi, ampi ritorni di immagine. In fondo, basterebbe copiare ciò che già avviene nel mondo anglosassone o in Francia, senza inventare nulla di nuovo…eppure, ci riesce complicato.

Quali sono i rapporti con il nuovo sindaco di Milano Pisapia?
Non ho incontrato personalmente Pisapia ma ho un eccellente rapporto con Boeri, il neo assessore alla cultura del Comune di Milano. Se le istituzioni sono d’accordo nel sviluppare appieno le potenzialità di una città si lavora serenamente: noi vogliamo fare di Milano non solo la città della finanza e della moda ma anche della cultura perché crediamo nella sua ricchezza culturale.

Da direttore generale della valorizzazione del patrimonio lei ha comunque ricevuto molte critiche, in parte dovute anche alla sua “imprenditorialità” che non sempre veniva ben vista nell’ambito dei beni culturali…
Le critiche sono arrivate da un elemento innovativo che ho predisposto in ambito museale: rinnovare le gare scadute da oltre tre anni per le concessioni dei servizi al pubblico all’interno dei musei (caffetterie, ristoranti, bookshop, servizi audio guide). Sono state approntate delle linee guida per queste nuove gare, che poi ciascun museo o stazione appaltante avrebbe dovuto adattare alla propria realtà locale: è bastato questo per scatenare un vespaio di polemiche.

Forse perché su quelle gare due solo potevano essere i competitor in grado di partecipare, Civita e Pierreci…
Non è vero. Ho tentato di aprire il mercato alla libera concorrenza e molte aziende, anche internazionali si sono presentate ma sono scappate per le lungaggini a cui sono state costrette: pensiamo solo che le gare sono state licenziate il 30 giugno 2010; siamo in agosto 2011 e molte delle stazioni appaltanti ancora non le hanno indette, oppure non sono ancora terminate e siamo ancora in prorogatio. Da qui mi sono reso conto che rinnovare all’interno del pubblico non è poi così facile come speravo…

Dai dati che lei ha più volte presentato alla stampa in questi anni emerge un incremento di pubblico, nel 2010, di circa il 16%. In molti però si chiedono se questo aumento di visitatori si deve principalmente alle aperture serali e gratuite dei complessi museali o se corrisponda poi effettivamente ad un incremento degli introiti sulla vendita dei biglietti…
Certo. Nel 2010 c’è stato il 7,5% di aumento nella vendita dei biglietti e nei primi 4 mesi del 2011 un +9% sugli introiti: quindi, nonostante i dubbi sollevati da molti, alla fine anche le casse dello Stato e dei Musei hanno beneficiato di queste attività di promozione.

Quale uno dei risultati raggiunti di cui va più fiero?
Sono molti: primo su tutti l’incremento dei visitatori e degli incassi nei musei; il fatto di aver cambiato anche il modo di concepire il museo, per cui se oggi andare al museo è ritenuto ‘IN’, lo considero un risultato delle nostre politiche di sviluppo, della nostra comunicazione, del nostro aprirci alla tecnologia, ai giovani.
Poi, da ultimo, essere riusciti ad essere ammessi in Cina, ad avere uno spazio museale in piazza Tiananmen dove poter esporre il patrimonio italiano ed ottenere il permesso dal Ministero della Cultura cinese di aprire a Piazza Venezia una base quinquennale per uno show-room della cultura cinese. Lo considero strategico per la nostra cultura.

Il suo contratto scade nel 2012 e, dopo l’addio di Bondi, in pochi scommettono sul suo rinnovo. Quali le strade che percorrerà nel futuro?
Il mio mandato come direttore generale per la valorizzazione scade ad agosto dell’anno prossimo. Quella fatta al Ministero è un’esperienza che io considero molto importante. Lavorare all’interno di un’amministrazione pubblica è esaltante ma, allo stesso tempo, anche frustrante: essere consapevoli delle potenzialità del proprio patrimonio inteso come fonte non solo di turismo ma anche economica, per la grande ricaduta che da esso ne può derivare.
L’Italia, per chi viene dai paesi emergenti, è meta di turismo culturale e noi, che siamo leader in questo settore, dobbiamo solo avere le idee chiare su dove andare.
Nella mia vita ho sempre fatto impresa e questo mio “prestito” allo Stato è stato per me una grande sfida: quando, a suo tempo, il Ministro Bondi e il Presidente del Consiglio Berlusconi mi chiesero di affrontarla non fu facile pensare di valorizzare un patrimonio, considerato il più importante al mondo in termini di quantità e qualità, in un contesto in cui, più che di valorizzazione si parla sempre di tutela.
Il mio arrivo, come tutti ricordano, è stato visto con molta diffidenza e ostilità preconcetta ma credo che in questi 2 anni, dal 2009 ad oggi, siamo riusciti a raggiungere dei risultati positivi.
Nel futuro continuerò ad occuparmi delle aziende di cui faccio parte, tra cui rientra anche la Convention Bureau Nazionale guidata da ENIT per la quale sono stato da poco nominato all’interno del Cda.

Quale è stata la persona che la ha maggiormente appoggiata in questo periodo al MiBAC?
Molti miei colleghi al Ministero mi hanno appoggiato capendo ed apprezzando la ventata di rinnovamento che arrivava in un ministero conservatore per tradizione. Devo ringraziare il ministro Bondi che mi ha dato fiducia e ha voluto che, con le mie competenze, dessi una mano nell’ambito della valorizzazione del patrimonio. Ovviamente il nuovo ministro Galan, com’è giusto che sia, ha delle proprie idee che vuole portare avanti e degli obiettivi che vuole raggiungere. Io, dal canto mio, credo di aver apportato delle novità importanti e farò del mio meglio per continuare in questa direzione fino al termine del mio mandato.