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Il mondo sensoriale al quale facciamo riferimento non allude all’immaginario “sesto senso”, né tanto meno trova consolazione nel più comune “senso creativo”. Piuttosto, lo spettacolo dei sensi appena citato si fa promotore di una non comune arte intenta a legare consapevolmente metodi e criteri sensibili nel misurare e valutare le caratteristiche di qualsiasi bene o servizio. È però, un discorso che va ben oltre il semplice riscontro resoci quotidianamente dai sensi di cui il genere umano dispone, tanto è vero che, quel “mi piace tanto o poco” pronunciato in modo del tutto naturale si può associare all’utilizzo di un rigore scientifico che interessi tutti i sensi. Non a caso, il settore enogastronomico “in primis” non si ciba affatto di una banale predisposizione olfattiva, visiva e gustativa ma di un giudizio, o più esattamente di una griglia di giudizi più tecnici.
Chi applica l’analisi sensoriale è portato a non far prevalere nessuno dei sensi e semmai a scindere le sensazioni complesse in sensazioni semplici prestando una non indifferente attenzione anche al profilo tattile (diverso da quello gustativo) e uditivo.
Un target di lavoro che può trovare la partecipazione e collaborazione di una consistente varietà di intenditori passando per esempio dai più spietati dipendenti dell’ultima goccia di caffé, agli stimatori del più ricercato olio locale, del biologico doc, del prodotto alimentare più innovativo ottenuto dal necessario utilizzo di varianti tecnologiche legate alla conservatoria. A grandi linee, i singolari gruppi di assaggio così formati, individuano e successivamente quantificano alcuni parametri attraverso i quali poter valutare il colore, l’odore, la struttura, il sapore e l’aroma.
A questo punto, il non voler accantonare qualsiasi minimo o basilare elemento, ci proietta facilmente a pensare che non sempre si può fare riferimento alle proprietà salutari di un alimento come si è soliti pensare, bensì a quella alchimia astutamente ben studiata sul piano manageriale al fine di battere la concorrenza e di diversificare dalla massa un prodotto. Certo è, che dietro questi nuovi interessi resterebbe sempre e comunque l’impegno del non trasgredire le normative imposte dal grande sistema agro-alimentare; tutt’al più la ricerca di un “consulente” non eccessivamente esposto all’ottica di un business fatto di sola comunicazione, potrebbe rivelarsi estremamente efficace per sposare con intelligenza la qualità di un prodotto locale col dovuto riconoscimento in termini di mercato.
Detto ciò, per rendere l’argomento più comprensibile e maggiormente esposto all’utilizzo di un linguaggio tecnico, abbiamo chiesto a chi paradossalmente non “assapora” i vini, ma dei vini si disseta con piena consapevolezza ed eleganza: Agostino Parisi, dottore in viticoltura ed enologia, panel leader di analisi sensoriale e titolare del Centro Ricerche in Analisi Sensoriale e Formazione Assaggiatori – “Mondo Sensoriale”.
Dott. Agostino Parisi, diversamente da chi si applica a valutare le caratteristiche chimico fisiche di un prodotto e delle rispettive virtù benefiche, lei assieme ai suoi colleghi preferisce interpellare principalmente i sensi. Ebbene, secondo lei, in base a quali parametri questo genere di ricerca può essere considerato non secondario al primo? E perché?
L’analisi sensoriale al pari di quella strumentale adotta una serie di tecniche e metodi vincolati al rigore scientifico. Accorgimenti quali: l’assaggio alla cieca, la roteazione dei campioni all’interno del piano d’assaggio, la formazione e la validazione dei giudici e l’elaborazione statistica, risultano essenziali per ottenere un dato che sia attendibile e riproducibile
Detto questo, che differenza c’è tra un sommelier che è specializzato nella degustazione dei vini, e chi ancora, come lei, pratica l’analisi sensoriale?
Mentre la degustazione si limita a porsi la domanda su quanto possa piacere un prodotto, l’analisi sensoriale oltrepassa la seguente approfondendo ulteriori aspetti chiedendosi a «chi piace?», «perché piace?», nonché a verificare differenze tra i prodotti e a delineare il loro profilo attenendosi al rigore scientifico. Pertanto si affida all’utilizzo di un Panel, un gruppo di persone addestrate a rilevare e quantificare percezioni sensoriali che si riuniscono per emettere un giudizio.
Secondo il suo parere, queste tre arti più o meno scientifiche potrebbero lavorare assieme sottoforma di equipe? Il lavoro arrecherebbe possibili fraintendimenti?
L’analisi strumentale e l’analisi sensoriale da sempre hanno camminato parallelamente sul piano scientifico, essendo complementari l’una all’altra; la prima rileva il valore di un parametro chimico-fisico (come la concentrazione di una sostanza esistente all’interno di un prodotto), ma solo grazie all’analisi sensoriale può essere verificata e quantificata la sua interazione con i sensi umani. Diversamente, il ruolo del sommelier può essere inquadrato come risposta e mezzo di divulgazione dei medesimi. I fraintendimenti potrebbero sorgere nel momento in cui ciascuna delle attività dovesse oltrepassare il proprio confine.
Tra nozioni condivisibili, integrabili e convenzionali per lo più nell’ottica manageriale, spicca la funzione meritocratica del suo mestiere. Dunque, quali sono e potrebbero essere gli ambiti ove questa figura andrebbe collocata nel modo più corretto senza deludere le aspettative del datore di lavoro aziendale?
L’analisi sensoriale grazie alla sua versatilità e alle sue notevoli applicazioni può collocarsi facilmente all’interno di diversi ambiti aziendali (produzione e marketing):
valutare l’effetto di alcune caratteristiche esterne al prodotto (packaging, brand, prezzo, marketing, punto vendita, etc.) sulle aspettative e sul giudizio di preferenza espresso dal consumatore. Sviluppare strategie di marketing relative alle esigenze del consumatore ed individuare nuovi target. Sviluppare nuovi prodotti, scegliere nuovi processi o modificare variabili tecnologiche di produzione, formulazioni e materie prime. Verificare la costanza qualitativa di un prodotto nel tempo, “shelf-life”. Ricercare differenze tra prodotti, tra il prodotto in esame, quello della concorrenza ed il prodotto leader.
Un volta compresa l’efficacia dell’analisi sensoriale, quali sono e quali potrebbero essere gli sbocchi lavorativi per i giovani amanti del settore? Quali suggerimenti darebbe al fine di non smorzare e stravolgere alcuna qualifica professionale?
Come le ho appena spiegato, l’analisi sensoriale può essere inserita all’interno di tutte le aziende che producono dei beni o servizi che hanno interazione con la persona, nello specifico il settore cosmetico, tessile, ed in particolare quello agroalimentare. Basta comprenderne le molteplici virtù e godere di una spiccata attitudine che i giovani dovrebbero continuare a coltivare osservando con interesse e curiosità.
Quali studi andrebbero incoraggiati per praticare al meglio la professione o semplicemente per arricchire le proprie conoscenze e competenze? I corsi di formazione da lei tenuti a chi si rivolgono?
Ovviamente gli studi in ambito agroalimentare quali le lauree nel settore agrario, in particolare i corsi di laurea in viticoltura ed enologia, quelle in scienze e tecnologie alimentari e della gastronomia sono le più indicate, insieme ad un corso di alta formazione in analisi sensoriale (Panel leader). Chi invece preferisce orientarsi esclusivamente sul panorama dell’assaggio può seguire un corso di formazione ad hoc. Fermo restando che anche sommelier ed enologi non si limiterebbero a valutare i loro abituali prodotti bensì qualsiasi cosa interagisca con i sensi.