L’editoria a pagamento, esplicita o celata da definizioni quali “contributi”, “investimenti” o “acquisto di copie”, è un fenomeno in parte sempre esistito, ma negli ultimi anni venuto alla ribalta in modo prepotente, tanto da spingere anche Umberto Eco a ribattezzare gli autori che vi ricorrono APS – autori a proprie spese.  Stiamo parlando di un mercato molto particolare e in continua espansione, basato sul gran numero di aspiranti scrittori esistenti, come ce ne sono in Italia.
Quando si cerca di farsi pubblicare un libro si spedisce il proprio testo a molte case editrici: alle poche di grandi dimensioni esistenti in Italia, che occupano la grandissima maggioranza del mercato, e alle tante piccole case editrici, che lottano per sopravvivere.
Alcune di queste perseguono la strada di selezionare con cura estrema i pochi testi da pubblicare, cercando quindi di tenersi stretti gli autori eventualmente di successo.
Molte altre chiedono agli esordienti di “partecipare” alle spese necessarie per pubblicare il libro, talvolta in denaro, talvolta tramite la garanzia di acquisto di un certo numero, più o meno consistente, di copie del testo (ovviamente con lo sconto autori!).
Da tanto tempo, in realtà, accade che un editore chieda una “partecipazione alle spese di pubblicazione” agli autori esordienti, ma tale pratica, prima più estemporanea, velata e condotta quasi in sordina, oggi è venuta alla ribalta, con la rivendicazione forte anche di una propria dignità, giungendo ad avvicinarsi, per dimensioni del contributo e caratteristiche, ad un fenomeno che ne è l’estremizzazione commerciale: la stampa a pagamento (print on demand), cui invii un qualsiasi testo e chiedi esplicitamente la stampa (spesso priva anche di un qualsivoglia lavoro di editing) di un certo numero di copie del “tuo libro”. Va specificato come si tratti però di due fenomeni dalla tipologia distinta.
Su molti blog, alcuni siti e anche pagine face book, vengono presentate delle liste di editori, spesso distinte in “nere”, “grigie” e “bianche”.
Sotto la prima categoria vengono ricondotti gli editori che chiedono contributi senza effettuare realmente alcun lavoro utile rispetto alla forma dell’opera o alla sua pubblicizzazione.
Alla categoria intermedia appartengono quelle case editrici che, pur chiedendo una partecipazione alle spese, operano comunque sulla correzione bozze, l’editing, l’impaginazione corretta, sulla creazione di una buona copertina e infine nella distribuzione e promozione del testo. Nella (breve) lista bianca vi sono gli editori che effettuano tutte le operazioni elencate, investendo i propri fondi sul talento di nuovi promettenti scrittori.
Al di là delle scelte individuali di ogni aspirante autore, tale panorama editoriale genera diversi spunti di riflessione, teorici e pratici, quali:
– se un libro ha un proprio valore intrinseco (o si suppone lo abbia) è legittimo e giusto perseguire qualsiasi tipo di percorso per pubblicarlo?
– il lavoro dello scrittore non dovrebbe essere quello di scrivere e quello dell’editore pubblicare?
– farsi stampare un libro di tasca propria può essere un’arma in più per farsi notare in un campo così difficile e stretto da tantissimi colli di bottiglia?
– mettere in circolazione così tante opere che, per puro merito non avrebbero raggiunto lo scaffale, non intasa il mercato editoriale, abbassando anche drammaticamente il livello qualitativo del circolante?
La situazione presentata genera considerazioni che travalicano gli aspetti etici, inevitabilmente molto personali, e ineriscono le conseguenze economiche e di mercato.
La prima conseguenza è l’intasamento del mercato editoriale con una miriade di testi che, spesso, ingolfano semplicemente i listini delle librerie; un secondo effetto è il costante calo di potere contrattuale per gli scrittori causato da una concorrenza indiscriminata e non filtrata da principi meritocratici. Questo trend, infine, tende ad instaurare un principio di selezione degli autori emergenti in base al denaro che questi decidono e che possono investire su se stessi, e non in base al talento.
Un dato molto interessante da ricordare in chiusura di queste riflessioni sul panorama presentato è semplicemente il termine inglese usato per indicare l’editoria a pagamento: vanity press.