La sempre viva discussione legata al futuro dei musei, tra difesa del patrimonio e necessità di reinventarsi, sia sotto il profilo delle forme e che dei contenuti, non ha mancato in questi anni di trovare nuovi approdi intorno ai temi e alle potenzialità del web.
La relazione tra tecnologie e musei si fa addirittura necessaria quando si tratta di categorie museali che vanno dai “diffusi”, a quelli sui media fino ai contemporanei.
Tra questi ultimi s’iscrive il Castello di Rivoli, storica e prestigiosa istituzione museale, attiva dal 1984, ospitata all’interno di una tra le meglio restaurate dimore sabaude alle porte di Torino. Oggi il Museo è nell’occhio del ciclone per via degli scarsi visitatori, della proposta culturale che a molti appare modesta – soprattutto in relazione ad una storia fatta di grandi mostre e acquisizioni internazionali – e della doppia direzione affidata a Beatrice Merz, figlia del grande esponente dell’arte povera Mario Merz, e Andrea Bellini, già direttore di Artissima dal 2007 al 2009.
Le prime avvisaglie delle crisi risalgono a tre anni fa, ma negli ultimi mesi hanno assunto le proporzioni del caso, che i giornali non hanno mancato di registrare e talvolta alimentare, con un metodo che si potrebbe etichettare del “tutti contro tutti”: gli assessori contro i direttori, i curatori contro i tagli, i professionisti dell’arte – galleristi e giornalisti – contro gli altri e il presidente Giovanni Minoli ancora contro i due direttori che lui stesso ha voluto. Intanto il pubblico si limita a prendere atto e deprecare lo svilimento di quello che un tempo rappresentava la punta di diamante di un sistema metropolitano del “contemporaneo” che poteva contare anche sulla GAM e la Fondazione Sandretto.
In questo scenario sarebbe davvero troppo semplice unirsi al coro di critiche generaliste, quindi proviamo a partire da lontano, anzi, da vicinissimo. Se state leggendo questo articolo quasi sicuramente avete davanti un computer oppure un palmare o un tablet. Se digitate www.castellodirivoli.org, quanti sono ad un computer vedranno tutto, gli altri no: questi vedranno solo parte delle pagine e circa il cinquanta percento del sito. Problemi di ordine tecnico: il sito ha qualche anno e nessuno si è preso la briga di aggiornarlo in base ai browser dei device più recenti.
Niente di grave, ma il punto è che il posizionamento web di un’azienda, un’ente o una persona – basta pensare al grande successo di Linkedin – non è solo un biglietto da visita, ma l’astrazione di una serie di aspetti concreti che vanno dall’immagine ai contenuti, dalla rete di relazioni alla forza di influire sulle scelte o le preferenze dei propri followers.
Il Castello di Rivoli si è dotato anche di un secondo sito con estensione “.tv” che “documenta mostre, conferenze e altre iniziative che vedono al centro il museo e i suoi artisti, dando voce ai protagonisti della storia dell’arte”. Tutto bene se non fosse che il player video integrato non si vede con i device della Mela e che le dimensioni del carattere sono molto al di sotto degli standard di usabilità del web.
Certo le difficoltà dell’istituzione museale torinese, ma come di molte altre in Italia, non partono dal web, ma lì arrivano e si palesano alla comunità che ormai non è più solo locale o nazionale, ma internazionale e trasversale, parla decine di idiomi diversi, ha un grado culturale imponderabile e un accesso alla rete molto diversificato.
Che il nuovo corso del Castello di Rivoli possa iniziare proprio dalle rete?