Se sapete a cosa ci si riferisce quando si parla di Frappuccino o di Venti Chai Latte, allora potete andare avanti nella lettura di questo articolo: vorrebbe dire che almeno una volta siete entrati da Starbucks. Colosso mondiale della caffetteria internazionale con circa 11 miliardi di dollari di ricavi nel solo 2010, Starbucks è infatti una delle poche catene internazionali non presenti in Italia, nonostante sia invece ben radicata in altri territori con oltre 17 mila negozi in 55 paesi del mondo. Come mai, verrebbe da chiedersi? La domanda se la sono posta in tanti e altrettante sono state le risposte, nessuna ufficiale, prese come possibile spiegazione per un’assenza che sempre più persone sembrano reclamare. Blog e gruppi su Facebook, infatti, si dicono pronti a raccogliere firme per agevolare l’ingresso della multinazionale americana anche nel belpaese ma la strada non sembra comunque essere in discesa: se volesse, infatti, il gruppo Starbucks non avrebbe difficoltà ad insinuarsi nel mercato nazionale, in quanto licenziato dall’italianissima Autogrill con la quale, proprio a marzo del 2011 ha stretto un nuovo accordo decennale per l’apertura di 120 nuovi locali Starbucks gestiti da Autogrill spa. Il tutto ruota quindi ad una strategia di marketing che, a quanto sembra, su suolo italiano, non appagarebbe gli obiettivi di performance aziendali a cui i proprietari sono abituati oltreoceano.
Le maggiori difficoltà nascono proprio in relazione alle apparentemente inattaccabili abitudini degli italiani: popolo che gusta il caffè in fretta e furia, che arriva a consumarne almeno 3 al giorno nelle varianti “al vetro”, “lungo”, “corto”, “macchiato freddo”, “macchiato caldo”, “schiumato”, “in tazza grande”, “decaffeinato” ed altre sconfinate fantasie delle papille gustative, gli esperti di marketing non ci considerano sufficientemente preparati alla rivoluzione americana: o, forse, non credono Starbucks abbastanza forte da riuscire nell’intento di scardinare l’egemonia del famoso “bar sotto casa”.
Considerata inoltre la frequenza con la quale ci rechiamo al bar c’è da aggiungere anche la problematica prezzo: un caffè doppio da Starbucks costa infatti circa 2 euro, a differenza degli 80/90 centesimi che invece paghiamo attualmente nei bar. Un problema non da poco vista la crisi imperante ma che in fondo potrebbe essere ripagato con l’atmosfera tutta americana che si respira nei tipici locali verdi e marroni: poltrone di pelle, divanetti, ampi tavoli di legno, wi-fi gratuito potrebbero sicuramente invogliare giovani e turisti a fermarsi per una consumazione. Paradossale se si considera che il primo punto vendita, aperto a Seattle nel lontano 1971, nasce proprio dopo un viaggio a Milano dei fondatori che, rientrati in patria, volevano esportare il gusto e la convivialità italiana in America.
Prezzo e abitudini: sarebbero dunque questi due fattori a bloccare l’ingresso di Starbucks in Italia. Eppure sembra che vi sia chi, in barba a queste difficoltà, abbia comunque voluto sondare il terreno, proponendo a Milano una caffetteria dallo stile Starbucks, ma che Starbucks non è. Stiamo parlando dell’azienda Arnold Coffee, i cui titolari, due giovani ragazzi italiani, investiti i loro risparmi per un locale vicino all’università (all’attivo ora ce ne sono cinque tra Milano e Genova) hanno affrontato la sfida con un occhio al budget e al loro target: una volta strutturato il logo e realizzato il sito web, tutta la comunicazione si è diramata tramite i social network attraverso i quali si svolge anche la ricerca del personale. Il locale, che sia nell’ambientazione che nel menu ricorda i bar Starbucks, risulta vincente anche dal punto di vista del fatturato.
Sir Howard Schultz, storico amministratore delegato della catena, è dunque avvisato: Starbucks in Italia può funzionare, o almeno funzionano i modelli che ad essa si ispirano…

 

Approfondimenti:

Starbucks Coffee

Arnold Coffee