Il Consorzio del Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna ha rischiato di chiudere i battenti per la seconda volta. 
Il 3 settembre 2011 la Commissione Bilancio del Senato ha approvato l’emendamento del Partito Democratico, che esclude la soppressione del Parco Geominerario, togliendolo dal novero degli “enti inutili” e garantendogli in questo modo il finanziamento sottoscritto dal Ministero dell’Ambiente al momento della sua istituzione.
Nelle intenzioni dei suoi promotori, il Parco doveva farsi carico della salvaguardia del patrimonio geologico circoscritto al suo interno e accogliere al tempo stesso l’eredità dell’intensa attività mineraria del Sulcis Iglesiente, ovvero gestire la riconversione culturale nata dalla più importante esperienza minerario/industriale sarda.
In effetti la cronistoria della sua nascita è il manifesto di un’esigenza territoriale forte, di un volere popolare ostinato che ha lottato per il suo riconoscimento.
È il 1996, dietro l’ambizioso disegno di dare vita al Parco si muove la struttura operativa dell’Ente Minerario Sardo (Emsa) guidato al tempo dal Presidente Giampiero Pinna.
L’occasione si presenta nel 1997 a Parigi, dove si svolge la Conferenza Generale dell`UNESCO.
Convinti dell’unicità geologica e ambientale dei territori designati, i promotori del Parco lavorano a un dossier esplicativo con la proposta di inserire il Parco Geominerario, Storico e Ambientale della Sardegna nella rete mondiale dei Geositi/Geoparchi quale primo esempio emblematico di rilevanza internazionale. La proposta è presentata dalla Regione Autonoma della Sardegna, tramite la Commissione Nazionale Italiana UNESCO ed il Governo Italiano. Viene accolta favorevolmente e nel 1998 è sottoscritta a Parigi la dichiarazione ufficiale di riconoscimento. Il 30 settembre, alla presenza delle massime autorità dell’UNESCO e del Governo italiano, si sottoscrive la “Carta di Cagliari”. Il Parco ottiene quindi il patrocinio morale dell’UNESCO ma non è ancora ufficialmente istituito poichè non ha finanziamenti per divenire operativo, questo ruolo spetta al Governo.
Il 5 novembre 2000 è protesta. Giampiero Pinna occupa la galleria Villamarina. Intorno a quest’avvenimento nasce spontaneamente una mobilitazione popolare di sostegno: le comunità locali vogliono il Parco. 
Il 16 ottobre del 2001 il Ministro per l’Ambiente Altero Matteoli firma così il Decreto Istitutivo del Parco Geominerario Storico Ambientale della Sardegna. In breve tempo il Parco entra a far parte della rete globale ed europea dei Geoparks, (GGN e EGN) due prestigiose istituzioni internazionale nate rispettivamente nel 2000 e nel 2004.  Si tratta di network che operano sotto l’egida dell’UNESCO (Division of earth sciences), con l’obiettivo di interpretare le politiche di conservazione e valorizzazione del patrimonio geologico in un sistema di azioni integrate e finalizzate alla tutela delle risorse ambientali e allo sviluppo economico dei territori, principalmente attraverso lo sviluppo del turismo geologico.
In buona sostanza un Geopark dovrebbe garantire la retta gestione dei territori e delle infrastrutture  che contiene, promuovere attività educative e sostenere le imprese locali. È dunque un organismo glocal, di forte ispirazione internazionale e di radicato impianto locale.
Quale migliore soluzione per un ente contraddistinto da un patrimonio geologico e ambientale di raro interesse e da monumentali reperti di archeologia industriale?
Niente di tutto ciò è stato però realizzato. 
Il Parco è oggi un ente commissariato, non ha una pianta organica ed è retto dall’immobilismo più imbarazzante per un istituzione di quel calibro.
Prima il Ministero ha messo a rischio la sua esistenza, poi l’UNESCO – che si riserva di monitorare periodicamente l’attività dei Geoparks – l’ha ammonito col ”cartellino giallo”: l’ente ha ora due anni di tempo per rispettare i parametri previsti dalla Rete dei Geoparks, pena la revoca del riconoscimento.
L’ente è salvo per ora, ma a che futuro va incontro?
Ancora una volta è il territorio a ribellarsi. La protesta nasce in seno alla Consulta delle Associazioni del Consorzio del Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna, ovvero l’organismo attraverso cui i cittadini, organizzati nelle diverse associazioni, possono partecipare attivamente alle scelte e alle attività del Parco.
Da quasi 3 settimane i rappresentanti delle 52 associazioni che formano la Consulta sono in stato di presidio permanente a Cagliari, in Villa Devoto (sede della presidenza della Giunta Regionale Sarda), per chiedere l’immediata attuazione della riforma del Consorzio. Un riforma che permetta di nominare un Presidente, bandire i concorsi per assumere personale qualificato e adeguare le attività dell’ente allo standard dei Geoparks europei.
Ma perché si protesta contro la Regione sarda?
Ecco cosa ne pensa il coordinatore della Consulta Giampiero Pinna.

Non è la prima volta che dà inizio o partecipa ad azioni così evidenti per il Parco, in che contesto politico e culturale ci troviamo oggi?
Ci troviamo in un contesto di degrado e indifferenza rispetto al patrimonio che possediamo, patrimonio che potrebbe diventare vettore di sviluppo fondamentale per il territorio e i giovani. E invece non si creano opportunità perché i fattori che veramente contano vengono trascurati.

In cosa consiste la Riforma e cosa rappresenterebbe per l’Ente Parco?
La Riforma rappresenta la rimozione di tutti quei condizionamenti che hanno ostacolato il funzionamento del Parco: dalla pletoricità del consiglio direttivo, ai meccanismi di vigilanza, dai freni all’attività amministrativa a quelli relativi al bilancio consuntivo e preventivo. Con la riforma si potrebbe finalmente contare su una pianta organica e predisporre una programmazione utilizzando i fondi messi a disposizione dal Ministero, cosa che attualmente avviene in maniera solo parziale, con residui altissimi.

Cosa c’entra tutto questo con la Regione autonoma della Sardegna, perché siete qui a protestare?
La riforma passa attraverso la revisione dello Statuto del Parco e l’adeguamento delle relative modifiche apportate. Deve essere approvata dal Commissario straordinario e dalla Comunità del Parco [organo di indirizzo, di programmazione e di controllo del consorzio del Parco, formata dai comuni e le province interessate nel perimetro del Parco e le Università di Cagliari e Sassari] e deve essere resa attuativa dal Ministero dell’Ambiente e dalla Regione. Questo è mancato. L’indifferenza del Presidente della Regione Ugo Cappellacci è sorprendente: in 3 anni non ha trovato il tempo di siglare l’intesa col Ministero, attraverso cui, come detto, si attua la riforma.

Lei è stato anche Commissario straordinario del Parco [2006-2009]. Il nostro sembra essere in realtà il paese dei commissariamenti. Che idea si è fatto di questa modus operandi all’italiana?
Il Commissario agisce con un provvedimento straordinario, attraverso cui si fanno atti di gestione straordinaria, che vanno realizzati in tempi brevi, poi si riprende il corso normale e istituzionale delle cose. Quando ero Commissario la riforma era stata approvata dalla Comunità del Parco, nel 2007, ma l’intesa non è stata siglata [al tempo il Presidente della Regione era Renato Soru] perché si vive di personalismi e non si riesce a completare gli iter amministrativi in corso.

Gli accordi con l’Unesco presuppongono che il Parco promuova il territorio entro un’ottica sostenibile, in termini di sfruttamento delle risorse e crescita. Qual è la vostra progettualità a proposito?
La stessa progettualità che, in grande misura, è stata già espressa negli scorsi anni. Sono state indicate delle direttive quali: recuper, tutela e valorizzazione dei siti, in funzione di una nuova proposta geo-turistica e di una conseguente rinascita economica dei territori. Queste proposte erano/sono rivolte alle piccole imprese, all’artigianato e all’agricoltura biologica.

In che modo il Parco potrebbe quindi funzionare come volano di sviluppo economico culturale  partecipato dalle Comunità locali?
Il recupero e la gestione dei siti, su cui era impostata la progettualità operativa del parco, è stata supportata da uno studio socio-economico del territorio [svolto in collaborazione con Cirem Sezione Crenos- Centro ricerche economiche nord-sud] che si articola in 3 azioni:
– piano di comunicazione;
– piano di marketing internazionale;
– animazione economica.
Tutto ciò è funzionale a promuovere e stimolare le iniziative locali, nei confronti delle quali si era pensato inizialmente, quando eravamo convinti che la riforma potesse diventare operativa, ad un finanziamento di 300.000 Euro. Uno degli esempi più emblematici è il capraio di Canal Grande, inserito nel programma di finanziamento affinché riconvertisse il suo ovile, fatto di lamiera, in una struttura realizzata con materiali ecosostenibili. Il supporto economico era naturalmente rivolto anche alle strutture ricettive diffuse lungo i sentieri escursionistici e allo sviluppo di tutte le attività culturali che rispondessero a critieri di sostenibilità e sviluppo. Senza tralasciare la creazione di una pannellistica a carettere didattico disposta sempre lungo i sentieri e adeguata agli standard dei Geoparks. 

Che ruolo potrebbe giocare il Parco per una Sardegna in crisi?

Potrebbe contribuire a far rinascere queste aree, oramai depresse dopo la chiusura delle miniere, e valorizzare il patrimonio con le iniziative di cui si parlava. Non servono voli pindarici per ottenere risultati, basta vedere quello che fanno gli altri grossi bacini minerari europei, che sono approdati nel network dei Geoparks dopo di noi e che, con le loro attività, hanno riqualificato quelle zone e rilanciato l’economia, sfruttando positivamente cultura industriale e ambiente.
Il mio sguardo è rivolto soprattutto ai giovani: ci sono infatti giovani professionisti che potrebbero realizzare gli stessi risultati, ma sono tagliati fuori perché l’ente non è operativo come dovrebbe. Questo dequalifica il Parco.

Quanto rimarrete qui?
Speriamo il meno possibile, ma il tanto necessario perché la riforma venga attuata. Anche la Comunità del Parco vuole la Riforma: il 17 ottobre si sono riuniti e hanno indicato un parere positivo a riguardo. Questo è un buon segno, perché i sindaci e le istituzioni locali sono cellule vive della nostra società.

La lotta prosegue e le domande sono tante: è possibile che lo sviluppo culturale in Italia sia sempre impastoiato da dinamiche politiche? Perché il concetto che la cultura genera economia non viene capito? “Noi continuiamo il presidio ma siamo convinti che il Parco sia dei giovani, noi abbiamo già la pensione”… aggiunge Enrico Pintus, segretario tesoriere della Consulta. A noi giovani spetta trarne le conclusioni.