Chiudete gli occhi. Il buio vi avvolge. Immaginate di essere presi per mano e di lasciarvi condurre attraverso un tunnel in una sala buia. Aggrappandovi al vostro ignoto ma sicuro accompagnatore e cercando di affrontare la paura di inciampare mettendo attentamente un piede dietro l’altro, siete invitati ad accomodarvi su una poltrona che riuscite a percepire solo al tatto. Siete in un teatro. Il buio è impenetrabile e voltando la testa a destra e a sinistra cercate di cogliere, di intravedere un bagliore, un filo di luce. Il cuore accelera i battiti, i sensi sono alterati e vi pervade la netta sensazione che gli occhi rappresentino l’unica “finestra sul mondo”; a confortarvi solo le chiacchiere con il vicino. La rappresentazione ha inizio: in una strana solitudine con voi stessi, cominciate a drizzare le orecchie in un ascolto intenso in cui le parole sembrano acquisire fisicità. Totalmente concentrati sui suoni, sulle vibrazioni e sui respiri, il buio diventa ovattato e non spaventoso. Tutto questo succede a Milano, all’Istituto dei Ciechi di Via Vivaio 7, dove l’organizzazione Dialogo nel buio propone per vedenti e non, oltre a spettacoli teatrali, anche aperitivi, cene e mostre completamente al buio. Non si tratta di esperienze dove si simula la cecità ma sono un invito a scoprire una percezione diversa della realtà, sperimentando un modo di vedere che va oltre le immagini. Dialogo nel buio ha una lunga storia alle spalle: il progetto nasce negli anni Ottanta dalla mente di Andreas Heinecke, giornalista tedesco che, trovatosi a lavorare con una persona non vedente e resosi conto che la vita del collega non era così isolata dal mondo come aveva sempre creduto, si trova a riflettere sui propri pregiudizi e inizia a considerare la diversità come una qualità da valorizzare per inserire categorie sociali emarginate nel tessuto attivo della società. Cercando una formula per comunicare con il pubblico, arriva all’idea di una mostra/percorso al buio in cui persone vedenti, accompagnate da ciechi, vivono un’esperienza sensoriale nuova che permette loro di mettere in discussione le convinzioni sulla condizione dei non vedenti. Dalla prima edizione di Francoforte nel 1988, la mostra è stata ospitata in cento città di 17 paesi del mondo, raggiungendo i 4 milioni di visitatori. Approda a Milano alla fine del 2002 e in cinque mesi registra più di trentamila visitatori; dal 2005 mette radici all’Istituto dei Ciechi e qui si fortifica in una serie di progetti tra cui appunto il Teatro al buio, spazio teatrale senza confini in cui la voce, il ritmo e la percezione del movimento sono più vividi e intensi. Se si considera l’etimologia della parola teatro, dal greco theàomai che significa guardare e osservare, l’idea di uno spettacolo teatrale per non vedenti potrebbe sembrare paradossale. Effettivamente la vista è l’organo di senso maggiormente usato dall’uomo nella vita di tutti i giorni, anche a causa della forte stimolazione visiva a cui è sottoposto nella società attuale. Questo modo di percepire la realtà consente di riconoscere luoghi e oggetti distanti ma ha determinato la contrazione degli altri sensi, rendendo parziali le nostre esperienze. Già i futuristi l’avevano capito agli inizi degli anni Venti e avevano ideato le cosiddette tavole tattili, fatte di spugne, grattugge e tessuti da accarezzare per allenare e impratichire l’arte del tatto del pubblico delle famose serate futuriste. Nel caso del teatro è il buio a fornire l’occasione di avere un’esperienza piena, di risvegliare i sensi lasciandosi guidare da chi, trovatosi a dover fare a meno degli occhi, ha scoperto altri canali per vedere. Come giustamente sottolinea lo slogan di Dialogo nel buio, “non occorre guardare per vedere lontano”.