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“In un momento difficile come il presente, c’è chi dice che non possiamo permetterci di investire nella ricerca, che sostenere la scienza è un lusso in una fase in cui bisogna dare priorità a ciò che è assolutamente necessario. Sono di opinione opposta. Oggi la ricerca è più essenziale che mai alla nostra prosperità, sicurezza, salute, ambiente, qualità della vita. (…) Per reagire alla crisi, oggi è il momento giusto per investire molto più di quanto si sia mai fatto nella ricerca applicata e nella ricerca di base, anche se in qualche caso i risultati si potranno vedere solo fra dieci anni o più: (…) i finanziamenti pubblici sono essenziali proprio dove i privati non osano rischiare. All’alto rischio corrispondono infatti alti benefici per la nostra economia e la nostra società”.
Barack Obama, discorso alla National Academy of Sciences del 27 aprile 2009
Queste sono le parole esemplari pronunciate dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama e riprese in un recente articolo di Salvatore Settis in cui si sostiene la necessità di togliere i paraocchi ed indossare gli “occhiali” tridimensionali come al cinema. Ricerca, azione e sperimentazione sono in ogni ambito un sistema propulsivo di idee per salvaguardare in ogni campo il bene comune.
Il ruolo della ricerca nel tempo presente – afferma Settis – deve necessariamente essere valutato rispetto agli orizzonti di una crisi economica mondiale, da cui l’Italia si è troppo a lungo illusa di poter essere immune, accorgendosi troppo tardi di essere uno degli anelli più fragili del sistema.
In questo contesto, l’America di Obama ha accresciuto i finanziamenti in università e ricerca fino al tre per cento del Pil; ha raddoppiato il bilancio di agenzie di ricerca come la National Science Foundation; ha triplicato il numero delle borse post-dottorali; ha accresciuto i benefici fiscali alle imprese impegnate nella ricerca; ha introdotto stimoli per l’innovazione in materia energetica.
In due modi opposti, dunque, è possibile reagire alla crisi: in America, in Germania e in Francia incrementando gli investimenti in educazione, università e ricerca in quanto producono innovazione, generano occupazione, creano nuovi canali di sviluppo e dunque consentono di superare la crisi; in Italia, tagliando in nome della crisi le già scarse risorse.
“Bene comune” vuol dire coltivare una visione lungimirante della società, investire sui diritti delle generazioni future, costruire politiche incentrate sull’utilità sociale, riservare prioritaria attenzione ai giovani, alla loro formazione e alle loro necessità.
Riconoscere la centralità del bene comune vuol dire subordinare ad esso ogni interesse del singolo.
Ogni cittadino dovrà dunque perseguirlo fino in fondo, utilizzando le abilità acquisite nel far ricerca, con umiltà e con rigore, per meglio raccogliere i dati di un determinato, interconnetterli in una tessitura narrativa, disporli secondo un ordine argomentativo, proporli alla pubblica discussione con tutta l’onestà e l’eloquenza di cui è capace.
In una recente relazione Andrea Carandini ha invece affermato che il problema fondamentale del nostro Paese sta nell’inconsapevolezza da parte della classe dirigente del tempo in cui viviamo e, dunque, ritiene possibile la risoluzione della crisi attraverso l’entrata in scena di “un’elite più giovane, in sintonia con i tempi”.
Nella relazione si sostiene inoltre la necessità di “sviluppare le innovazioni tecnologiche, come i sistemi informativi territoriali, per migliorare e velocizzare il lavoro dei funzionari, sempre meno numerosi”.
“Invece di togliere mezzi alla cultura, li si dovrebbe togliere a chi non paga le tasse e alla politica spendacciona, alle province inutili, al tesoro che si accumula nel forziere del Parlamento, tutti privilegi risparmiati da una volonta’ trasversale”. Sono le parole pronunciate da Andrea Carandini, presidente del Consiglio Superiore per i Beni Culturali e Paesaggistici del ministero per i Beni e le Attività Culturali, durante il suo intervento al convegno in corso organizzato da Intesa Sanpaolo ‘Beni culturali, identita’, crescita’. Carandini punta il dito contro i tagli alla cultura, per i quali lo scorso marzo presento’ le proprie dimissioni, poi ritirate, affermando “Le risorse non possono scendere sotto la soglia della decenza per troppo tempo”.
Occorre quindi modificare geneticamente i meccanismi di scelta: capacità e merito, insieme all’etica, debbono essere i capisaldi di una nuova e necessaria rivoluzione culturale.
E’ necessario dunque un sussulto morale, un punto fermo nelle idee contro il degrado civile che segna i nostri giorni, con corpi e poteri dello Stato in perenne guerra tra di loro con insulti di ordine e grado. Assistiamo impotenti e stupefatti agli schiamazzi di una politica di basso livello e ricoperta di clientele e malaffare. Questo è il Brutto Paese, arroccato intorno a nubi di privilegi e vantaggi riservati a parenti di ogni grado. E allora occorre riportare l’Etica al centro del futuro. E ” non dobbiamo farci atterrire” Come ci rammenta, con la diligenza del Buon Padre di Famiglia, il Presidente Napolitano riscoprendo l’orgoglio di essere italiano. L’Italia è fatta, ha centocinquant’anni e negli ultimi tempi è malata e contemporaneamente falsa invalida.
Ora bisogna fare gli italiani, con la cultura e la ricerca al primo posto. Altrimenti si rimane indietro. Inesorabilmente.