A una settimana dall’ammissione della Palestina come membro a pieno titolo dell’dell’organizzazione intergovernativa per l’Educazione, la Scienza e la Cultura -UNESCO – la querelle palestinese sembra aver lasciato in ombra il valore simbolico di un simile riconoscimento.
La tempesta scatenata da Stati Uniti e Israele, la divisione delle diplomazie internazionali, e gli interessi ideologici ed economici che si muovono sullo scacchiere globale, sono stati i protagonisti dell’informazione pubblica mondiale, senza lasciare spazio alcuno a riflessioni di carattere intellettuale, motivate dalla considerazione dell’organismo autore della decisione, un’organizzazione per sua natura inclusiva, alimentata da un’ambizione di pace e di valori comuni, che rinviene nel dialogo tra i popoli la via privilegiata per uno sviluppo duraturo, e che pertanto si propone di contribuire all’affermarsi di una comunicazione capace di superare i confini della religione, dell’ideologia e della cultura propri di ogni Paese.
La Conferenza Generale si è aperta lo scorso 25 ottobre con la volontà di improntare l’esercizio biennale 2012-2013 all’insegna del dialogo interculturale e interreligioso, un messaggio rivolto ai giovani, soprattutto attraverso lo strumento educativo, la cui pianificazione vuole effettuarsi con lo scopo di ridurre i rischi dei conflitti e delle catastrofi. È questa la strada che l’Unesco intende percorrere per contribuire a costruire una cultura della pace per un sviluppo globale duraturo.
Così, il peso di una scelta che tutti hanno tentato dapprima di scongiurare e infine di differire, è stato con fermezza sopportato dall’Unesco, nonostante gli ammonimenti intimidatori di Stati Uniti e Israele, voci che  da sempre accusano l’organizzazione associata Onu di seguire una linea “terzomondista”.
Tuttavia, neppure le minacce di sicure ritorsioni USA in termini di budget hanno sortito l’effetto sperato: i 2/3 dei membri presenti e votanti alla Conferenza Generale necessari per l’ammissione della Palestina all’Unesco sono stati raggiunti, dimostrando con ciò come gran parte della comunità internazionale desideri che i palestinesi siano liberi in un loro Stato sovrano.
A votare a favore, soprattutto la porzione di mondo “che cresce”: a parte Russia e Paesi Arabi, la Cina, l’India e il Brasile hanno espresso il loro deciso; contrari, ovviamente, Israele e Stati Uniti, seguiti dal Canada. L’Europa continua a non essere compatta, così, mentre schierate ai due poli Francia e Germania hanno con convinzione sostenuto rispettivamente il loro appoggio e il loro sfavore, la Gran Bretagna e l’Italia hanno preferito astenersi, laddove il voto degli astenuti valeva come quello dei non presenti, e quindi non computato ai fini del raggiungimento del quorum. Un’incapacità di intercettare gli indirizzi globali? L’Italia, e l’Europa intera, hanno compreso il valore simbolico di una simile ammissione?
L’Unesco, prima agenzia ONU ad  aver messo in agenda e votato a favore del riconoscimento dell’esistenza di uno Stato di Palestina, ha in tal modo spianato la strada alla domanda di riconoscimento avanzata da Abu Mazen lo scorso 23 settembre all’Organizzazione delle Nazioni Unite. È ovviamente questo il traguardo che i palestinesi ambiscono a conseguire, e lo sanno bene Stati Uniti ed Israele, le cui politiche di ostracismo mirano appunto ad evitare un simile risultato.
Ma facciamo il punto. Quante possibilità ci sono che il Palazzo di Vetro di New York voti a favore della domanda palestinese? Nessuna, ovviamente, essendo interdetta l’ammissione di un qualsiasi nuovo membro con il veto di anche un solo Stato permanente, quali sono appunto gli Stati Uniti. E abbiamo la certezza che tale facoltà verrà prontamente sfruttata. E allora? La decisione verrà delegata all’Assemblea Generale Onu, la quale  verosimilmente non faticherà a raggiungere i 2/3 dei voti favorevoli, in tal modo modificando lo status della Palestina da entità osservatrice a Stato non membro – alla stessa stregua del Vaticano.
Se l’esito del voto sembra certo, non così le conseguenze dei dibatti che già  infiammano la comunità internazionale: gli Stati Uniti rischiano con le loro posizioni risolute di esiliarsi ad una condizione di isolamento rispetto agli altri grandi attori economici mondiali?
Senza contare che la stessa crociata di tagli ai finanziamenti intrapresa contro l’Unesco avrà ripercussioni negative su importanti progetti sostenuti dall’organizzazione, primi tra tutti quelli avviati in Afghanistan, dove gli USA hanno tutto l’interesse ad uno sviluppo economico e sociale duraturo, ma anche quelli relativi alla diffusione della conoscenza dell’Olocausto, essendo l’UNESCO l’unica agenzia ONU che dispone di un mandato per promuovere nel mondo l’educazione relativa a questo doloroso evento.
La Palestina non comparirà ancora sulle cartine geografiche, e probabilmente verranno inasprite le politiche di occupazione dei territori oggetto degli accordi del ’67, ma il valore diplomatico di un simile riconoscimento attiva un effetto domino di conseguenze positive, innanzitutto di tipo pratico, non essendo trascurabile la sottrazione di importanti siti oggetto di disputa tra palestinesi ed israeliani in termini di valore culturale, quali  il Parco Archeologico di Tell Balata a Naplouse, il monumentale palazzo Qasr Hisham e i suoi mosaici, la Chiesa della Natività e il Museo Riwaja a Betlemme, ma soprattutto di significato ideologico, che conseguono dal riconoscimento di questo primo pilastro della lotta per l’indipendenza e tendono a  dotare finalmente il popolo palestinese di un suolo in cui poter radicare la propria identità culturale, per la prima volta nella storia di questa terra disunita e sconvolta dalla guerra, in maniera non violenta.