2011. Italia. Questo è un anno particolare per il Bel Paese, 150esimo anniversario dall’Unità d’Italia, “a parte”, sul fronte dell’arte contemporanea, quella storicizzata, si gioca l’ennesima partita non solo intellettuale, tra due critici d’arte e, soprattutto, tra due movimenti fondamentali per gli sviluppi delle vicende artistiche nazionali.
Dopo il Futurismo – la prima vera Avanguardia italiana –, il nostro paese è tornato al centro di un dibattito internazionale coeso e organizzato solo dagli anni Sessanta con ciò che ha ruotato sotto l’egida dell’Arte Povera, teorizzata e sostenuta da Germano Celant e, sul finire del decennio successivo, con la Transavanguardia, supportata da Achille Bonito Oliva. Due modi di agire, due metodologie per molti versi antitetiche, operatività artistiche e presupposti teorici e pratici completamente diversi: il primo meticoloso e per certi versi schivo, il secondo incarnazione del nuovo ruolo del critico d’arte: conosciuto, popolare, in confidenza con i media, tanto che si è fatto ritrarre nudo, per ben due volte, per la copertina di “Frigidaire”.
Il rapporto con i materiali più disparati (ferro, ghiaccio, legno, terra e neon) per l’Arte Povera, il ritorno ai “tradizionali” mezzi della pittura (colore, tela, carta) per la Transavanguardia. In più, vi sono approcci diversi anche sotto il profilo della ricezione da parte del collezionista: da una parte il quadro dipinto (anche se, in molti casi, ricco di contaminazioni con altre pratiche come la scultura e l’installazione, si pensi alle opere di Mimmo Paladino) e quindi comodo da installare, anche negli appartamenti, dall’altra l’installazione di grandi dimensioni, a volte monumentale, che ha bisogno di grandi spazi e di continui monitoraggi, poiché in molti casi la materia – il ferro, la pietra – vive in stretta relazione con alcuni marchingegni elettronici. È quindi chiaro che i due movimenti hanno vissuto fortune diverse, anche collezionistiche, almeno in alcuni periodi; ma oggi tornano a confrontarsi sul ring che li ha visti nascere e crescere: l’Italia.
Le opere di Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Jannis Kounellis, Mario Merz, Marisa Merz, Giulio Paolini, Pino Pascali, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini e Gilberto Zorio quest’anno, grazie a una grande organizzazione che ha visto lavorare a fianco a fianco istituzioni, curatori, critici e studiosi (con il coordinamento di Electa), per realizzare la serie di mostre sull’Arte Povera, saranno proposte in numerosi spazi: Torino (Venaria Reale), Bologna (Museo MAMbo), Napoli (Museo MADRE, dall’11 novembre), Bari (Teatro Margherita, dove è esposta in permanenza una grande installazione di Kounellis), e Milano (Triennale). 
Celant si conferma autore di grandi progetti curatoriali: è stato lui, d’altronde, a firmare il manifesto programmatico del movimento (edito su “Flash Art”, Giancarlo Politi Editore, nel 1967) e a dettarne le linee operative, anche se tutti gli artisti, dopo quella gloriosa stagione, fatta di mostre realizzate in stretta connessione tra loro (come dimenticare Arte Povera Azioni Povere, ordinata ad Amalfi grazie al contributo di Marcello Rumma?), hanno proseguito autonomamente ricerche e attività espositive, sempre però coerentemente con i dettami iniziali.
E Celant rimane anche uno studioso capace di azioni concrete, che non sono soltanto finalizzate a una nuova promozione del collettivo (d’altronde l’Arte Povera è sui manuali di storia dell’arte da un bel po’ e sta avendo fortuna anche nelle aste internazionali, mentre alla Tate un’ala del settore contemporaneo è tutto dedicato ad alcuni fondatori del gruppo), ma a un nuovo riordino storiografico, giacché – e lo ha dimostrato, anche in tempi recenti, con la pubblicazione di numerosi cataloghi generali di alcuni maestri del Novecento, tra cui Rotella – è estremamente legato alla filologia, intesa non solo come riordino documentario (è sempre stato attento ai regesti bibliografici e a quelli espositivi), ma anche a nuove contestualizzazioni e nuovi approfondimenti sulla sua stessa “creatura”. A testimoniare, difatti, il carattere unitario del grande progetto espositivo sull’Arte Povera, è stato pubblicato un unico catalogo (Electa), ricco di testimonianze critiche e studi a firma di Robert Lumley, Nicholas Cullinan, Eduardo Cicelyn, Claire Gilman, Gianfranco Maraniello, Gabriele Gurcio, Gloria Moure, Denys Zacharopoulos, Massimiliano Gioni, Angela Vettese e altri, incentrati su singoli aspetti o su singoli artisti.

Tornando ai caratteri peculiari delle singole mostre, ci piace approfondire quella milanese ospitata alla Triennale. Per Celant la cronologia continua a essere un punto di partenza essenziale, ma non un condizionamento accademico; pertanto nella mostra milanese ha proposto sì opere dei protagonisti citati ma, nell’orbita della continuità delle esperienze che caratterizza ogni movimento della storia dell’arte, ha inteso proporre anche le opere più recenti degli stessi nomi. Niente sale personali, nessuno statico incasellamento in uno o più “generi”, ma libere associazioni tra opere, materiali e concezioni operative e metodologiche. 
Ad aprire il percorso è, ancora una volta, un lungo corridoio “cronologico”, con indicazioni, e fotografie provenienti da numerosi archivi, relativi alle mostre più rilevanti e ai momenti più importanti del movimento. L’ausilio didattico, purtroppo, si chiude qui. Qualcuno dirà che le opere sono spesso provviste di brevi didascalie con passaggi di testi o interviste agli artisti su singoli cicli del proprio lavoro, e quindi coerenti con l’opera proposta, ma queste talvolta sono criptiche, e difficilmente interpretabili da un pubblico non esperto.
Questo è il solo “difetto” della mostra, per il resto il percorso prevede grandi opere – 32 metri quadri di mare, circa di Pino Pascali, un grande igloo degli anni Novanta di Mario Merz, e altri capolavori – proposte in un allestimento quasi corale e, cosa rara negli allestimenti, facilmente “avvicinabili” dallo spettatore, considerando che sono sprovviste di fastidiose sbarre o di frastornanti sistemi di allarme. Il pubblico attento potrà quindi dialogare a stretto contatto con la materia dell’opera, osservandone le peculiarità tecniche così inusuali, almeno fino a quel momento storico, nelle arti visive.
Buon tour tra le mostre della Transavanguardia a tutti, in attesa dell’arrivo sul campo della mostra sulla Transavanguardia – la prima di una lunga serie – che sarà inaugurata nei prossimi giorni a Palazzo Reale di Milano.