Intervista a Ivan Cotroneo, regista del film “La kryptonite nella borsa”

Quanto c’è di autobiografico nel libro e nel film?
Il mondo del giovane protagonista Peppino è molto vicino a quello che ho vissuto io, stravagante, affascinante e pieno di misteri. Sono cresciuto con zii giovani e affrontavo avventure borderline… Ho imparato che nella vita non si è mai soli, nel bene o nel male. C’era sempre qualcuno dietro la porta pronto ad aiutarti.

Protagonisti del film sono anche la città e il periodo storico…
Volevo raccontare, senza nostalgia e derive pop, quel periodo in cui c’era più capacità di indignarsi, anche da parte del mondo femminile. Quando le donne si ribellavano all’essere considerate solo attraverso canoni estetici. E’ una commedia umana in cui si ride, ci si commuove e accadono fatti tristi, ma raccontati sempre con sguardo ironico. Ho trovato un equilibrio tra la Napoli raccontata dai giornali e la Napoli presente nei miei ricordi di bambino. Una Napoli dove si affronta la vita con ironia.

C’è un’attenzione particolare alla dimensione femminile.
Oltre ad un racconto di formazione volevo che fosse una riflessione su tre generazioni di donne, con percorsi sentimentali e affettivi diversi.
Ho scritto il film insieme a due sceneggiatrici, Monica Rametta e Ludovica Rampoldi, e uno dei nostri obiettivi era descrivere personaggi femminili credibili e affettuosi, figurandosi le trappole familiari in cui possono cadere.

Come è passato dalla scrittura alla regia?
Dopo che i produttori Francesca Cima e Nicola Giuliano hanno acquisito i diritti del libro, ci siamo messi a lavorare assieme sulla possibilità della trasposizione cinematografica. Io ripetevo continuamente cosa mi sarei aspettato da un ipotetico regista e loro mi hanno detto: ma perché non lo giri tu?

Il cugino Gennaro/Superman, che pure non trova spazio in quella società sorridente, fa un discorso simbolico a Peppino sull’importanza di accettarsi e vivere la propria diversità. Sembra un elemento importante del film…
A lui, che è l’accesso di Peppino al mondo fantastico, è affidato il senso del film. Era importante che il film finisse con quel discorso, ci piaceva e spaventava al tempo stesso perché era l’ultima cosa che rimane del film. Gennaro parla dell’importanza ma anche della fatica di essere speciali. Lo dice ad un bambino che non vuole essere speciale. La ricerca della felicita non è facile, si trova attraverso il dolore, sogni infranti, rimorsi. Quando il protagonista si dichiara pronto, è consapevole di questa difficoltà.

L’articolo è tratto da Cineuropa