Intervista a Alberto Garlandini, Presidente di ICOM Italia

Presidente Garlandini, ha lanciato alcuni giorni fa un appello per una gestione sostenibile degli istituti culturali in Italia, denunciando la crisi e i suoi drammatici effetti. Nel richiamo fa riferimento alla diminuzione della spesa pubblica destinata alla cultura e alla stretta subita dalle fondazioni bancarie per la crisi finanziaria in corso. Dall’ICOM sono giunte sei proposte pratiche per fronteggiare questa situazione così avversa. Chi ha partecipato alla formulazione di questi ‘rimedi’? In che modo pensa possano essere recepiti e messi in pratica? C’è stato un riscontro da parte delle istituzioni?
Queste proposte sono frutto di una riflessione e di un dibattito maturato nel tempo all’interno di ICOM e delle associazioni museali collegate a ICOM a livello nazionale ed internazionale. L’appello, frutto di un lungo dibattito, è stato redatto da me ed è stato approvato dal Consiglio direttivo di ICOM. Abbiamo cominciato a discutere della crisi e dei suoi effetti, che prevedevamo sarebbero stati molto gravi e drammatici, fin dal 2009 nella Quinta Conferenza dei musei d’Italia e poi siamo tornati sul tema durante la Sesta Conferenza nel 2010. Abbiamo preso atto che ci aspettavano gravi difficoltà e i nodi della crisi sono ora arrivati drammaticamente al pettine. Vorrei inoltre sottolineare che la Conferenza Nazionale dei Musei viene svolta insieme ad altre cinque associazioni museali italiane: il dibattito è, dunque, allargato. Queste discussioni avvengono anche a livello internazionale: comuni sono i problemi, come comune è la costruzione delle soluzioni. Già nell’ottobre 2009 avevamo organizzato una conferenza internazionale a Mantova che ha unito due comitati internazionali di ICOM, quello dei musei regionali e quello della formazione del personale: proprio in tale sede avevamo discusso dell’importanza di agire in rete e di creare sistemi per sperimentare modelli di gestione più sostenibili..
Per mettere in pratica queste proposte non ci sono soluzioni miracolistiche: occorre trovare soluzioni condivise attraverso tavoli tecnici e politici, paese per paese, territorio per territorio, regione per regione; noi, da professionisti del settore, possiamo proporre misure tecniche mirate, ma le risposte devono venire dai decisori pubblici e privati. Questi tavoli dovranno essere formati da ICOM, dalle altre associazioni museali, dalle associazioni di bibliotecari e archivisti, ma anche da quelle dei volontari, dai decision makers e dagli amministratori pubblici e privati, da fondazioni bancarie, sponsor e da tutti coloro che abbiano a cuore la cultura e il patrimonio culturale.

Nel comunicato si fa riferimento alla città di Milano con l’inaugurazione del nuovo Museo del ‘900, cui ha purtroppo fatto seguito la chiusura di quelli della Fondazione Mazzotta e della Fondazione Pomodoro. Pensa che questo sia l’esempio di una tendenza che si sta affermando, per cui i grandi musei sopravvivono ai più piccoli? La misura che propone una moratoria dei nuovi musei avrebbe valenza anche in questo caso?
Come sempre la realtà è fatta di luci e di ombre: anche in momenti di grande difficoltà si riescono a fare cose importanti. Due settimane fa a Siena abbiamo assegnato i premi ICOM a musei e museologi, trovando una quantità di best practice, di esperienze di rilievo internazionale. Non a caso hanno partecipato alla giuria internazionale a alla premiazione il Presidente dell’International Council of Museums e i Presidenti di tre comitati internazionali di ICOM.
E’ stato citato l’esempio di Milano, dove abbiamo assistito alla chiusura di due spazi importantissimi per la città, che hanno significato un grave impoverimento della nostra offerta culturale, ma al contempo si sono aperti due spazi come il Museo del ‘900, iniziativa comunale, e le Gallerie d’Italia, iniziativa di una banca e una fondazione bancaria, Banca Intesa e Fondazione Cariplo. Il Museo del ’900 e le Gallerie d’Italia non sono iniziative improvvisate, hanno alle spalle uno studio e una preparazione di lungo periodo allo scopo di riaprire al pubblico collezioni non fruibili e spazi non visitabili.  Sono iniziative che allargano l’offerta culturale milanese; abbiamo vinto la sfida di riaprire ai cittadini collezioni e spazi di valore internazionale, ora dobbiamo vincere la sfida di una loro gestione integrata e a rete.
Per quel che riguarda la proposta di moratoria, dico subito che anch’essa è frutto di una riflessione internazionale. Nei paesi occidentali abbiamo vissuto tre decenni di crescita esponenziale dei musei: tre quarti degli spazi che i cittadini vedono ora, non esistevano nei primi anni dopo la Seconda Guerra Mondiale, e quelli che c’erano sono oggi totalmente diversi. Abbiamo vissuto una fase di crescita entusiasmante: in Italia oggi si contano più di 5.000 musei.  Ora si chiude un periodo storico e bisogna rendersi conto che non può esserci un museo in ogni singolo quartiere o paese, ma dobbiamo avere la capacità di lavorare per priorità e razionalizzare l’offerta culturale, riorganizzandola per sistemi territoriali.
La fase in cui siamo ci porta a preoccuparci più dell’esistente che del nuovo, , ma naturalmente non è solo possibile ma anche auspicabile che nascano musei, quando siano frutto di un lavoro di programmazione serio e di lungo periodo, capace di valorizzare il sistema culturale esistente.
Non è questione di grandi o piccoli musei: riescono a sopravvivere alla crisi gli istituti che hanno saputo rinnovare la loro gestione, il che è possibile anche in piccole realtà: le eccellenze si trovano ovunque. La crisi maggiore è dei musei che vivono solo ed esclusivamente di finanziamento pubblico, specie se proveniente da una sola amministrazione pubblica: è necessaria una diversificazione delle fonti di entrata e la capacità di essere espressione di una comunità e non di un solo soggetto.
Confermo che si sta aprendo una divaricazione: ci sono musei che riescono a far fronte alla difficile situazione, e altri che sono in grandi difficoltà. Come ICOM ci battiamo affinché non sopravvivano solo alcuni, ma si salvi l’intero sistema, rafforzando l’offerta culturale nel suo insieme.

 “ICOM propone che ogni investimento e ogni risorsa disponibile siano valutati e messi in opera sulla base della loro capacità di lasciare sul territorio risultati concreti e permanenti”. Cosa si intende per “risultati concreti e permanenti”? Secondo quali criteri è possibile valutare gli effetti a priori?
Quando parliamo di “risultati concreti e permanenti” ci riferiamo a scelte che non si basino sull’effetto di una giornata, ma producano risultati duraturi.
Nel momento in cui c’è carenza di risorse bisogna lavorare per priorità: un museo deve garantire una costante produzione di attività che corrisponda  alle esigenze e alle richieste della comunità, che paga per il suo funzionamento. Per ogni iniziativa che proponiamo, è bene sempre chiedersi quanto coinvolgeranno i cittadini, se è utile e trova  interesse nella comunità, sapendo che ciò che è interessante per i cittadini residenti lo è anche per i visitatori che vengono da fuori. I turisti  sono interessati a conoscere ciò che è unico e che possono trovare solo in un determinato luogo, e per questo motivo vi si recano. Gli strumenti tecnici non mancano per gestire con efficienza ed efficacia i risicati budget. Certo, non possiamo promuovere iniziative che lasciano deficit incolmabili. E’ l’ora di una sana e sobria gestione.

E’giusto che la produzione culturale cerchi altri luoghi oltre ai musei dove espletarsi? E’ un limite dal suo punto di vista che il museo sia l’unico luogo reale dove c’è un’espressione culturale? Cosa ne pensa?
Perché un territorio sia competitivo ed attrattivo non basta una eccellenza, occorre una rete di eccellenze e un sistema culturale ampio e diversificato. Il museo è solo uno dei luoghi dell’offerta culturale del territorio. Deve essere un centro di produzione e deve esser ben integrato nel complesso dell’offerta culturale; deve collaborare con le altre strutture simili, come altri musei, biblioteche e archivi, ma poi è bene che si apra a qualsiasi iniziativa, usando nuovi linguaggi e nuovi media.  Ma deve anche saper uscire dalle proprie mura sviluppando iniziative di valorizzazione dei beni culturali diffusi nel loro territorio.

Dopo un doppio mandato dell’ex presidente Jalla è stato lei a ricoprire il ruolo di presidente dell’ICOM Italia. Nel discorso di insediamento ha parlato molto di ‘innovazione’: quali sfaccettature attribuisce a questo termine?
Devo dire che un’associazione come la nostra si basa sulla continuità di conoscenze, di saperi e di intelligenze: quel che a me premeva era di assicurare una coerenza nel tempo di pensiero e di azione.
Abbiamo comunque necessità di innovazione su diversi livelli. Innanzitutto stiamo cercando di confrontarci con i grandi cambiamenti in atto nelle nostre professioni. Oggi il lavoro nei musei è diventato plurale, professionalizzato, specializzato e, al contempo, multidisciplinaree. Si sono trasformate le professioni tradizionali e sono nate nuove professioni trasversali, esercitate in tutti i servizi culturali. Ma c’è altro. Le nuove generazioni, che comprendono anche molti quarantenni, vivono una realtà lavorativa totalmente diversa rispetto agli ultracinquantenni, in gran parte di dipendenti pubblici, che entravano in museo con un concorso e ci rimanevano spesso per tutta la vita. I giovani spesso non lavorano più direttamente nei musei, ma per soggetti privati, in gran parte no profit, che gestiscono i servizi museali. Si tratta di persone che si spostano da un lavoro all’altro, con rapporti lavorativi precari e sottopagati, e vivono una situazione lavorativa più simile a quella di neoproletariato culturale che a quella di imprenditori culturali.
La prima innovazione di ICOM è quella di fare proposte che riunifichino una comunità ora divisa, che deve potersi coalizzare in grandi battaglie per riportare la cultura al centro della vita delle nostre comunità e per dare massima dignità e valore alle nostre professionalità. Questo vuol dire adottare una logica sinergica e coalizionale con tutti gli altri professionisti della cultura: per questo il 21 novembre abbiamo organizzato a Milano al Palazzo delle Stelline la Settima conferenza nazionale dei musei in cui, oltre a discutere di 150 anni di museologia italiana, lanceremo, insieme agli amici dell’Associazione Italiana delle Biblioteche e dell’Associazione Nazionale degli Archivisti Italiani, la proposta di fare nel 2012 gli Stati Generali degli istituti della cultura.
Poiché mi chiede di come vogliamo innovare, segnalo che ICOM Italia si è ora riorganizzata su base regionale, e in un anno i coordinamenti regionali sono diventati strumenti importanti di coinvolgimento dei nostri  iscritti e strutture molto attive localmente.

Oltre il tema dell’innovazione è importante affrontare quello della gestione. Da parte dell’ICOM c’è un tentativo d studiare come rendere auto sostenibile un museo?
Non vi è dubbio che nei musei siano necessarie nuove professionalità manageriali, che non sono i vecchi amministrativi che tenevano la contabilità, ma che devono avere quelle nuove competenze e responsabilità che abbiamo analizzato nella nostra recente Carta nazionale delle Professioni museali.
Uno degli errori principali fatti nel passato era quello di recuperare un edificio storico senza poi programmarne l’utilizzo. Prima di sviluppare qualsiasi iniziativa di recupero bisogna avere bene in mente un obiettivo, un business plan e un progetto di sostenibilità nel tempo.
Più in generale, la gestione dell’immenso e diffuso patrimonio culturale italiano è sostenibile se viene coinvolto con forza, continuità e professionalità il mondo del volontariato organizzato. Due milioni di italiani sono attivi continuativamente nel volontariato culturale e offrono uno straordinario contributo al PIL del nostro paese che l’istat che ha quantificato in circa otto miliardi di euro. Un numero crescente di italiani, di tutte le età, manifesta la volontà di riprendere in mano la gestione dei servizi e della “cosa” pubblica, senza rilasciare deleghe in bianco allo Stato. Sono persone che vogliono dare un contributo, e devono aver di fronte un management aperto e capace di dare ad ognuno il proprio ruolo, realizzando una gestione equilibrata. E’ difficile, ma fattibile.
Ora i soldi pubblici, delle fondazioni bancarie e dei soggetti privati diminuiscono, ma cominciano ad apparire soggetti nuovi che effettivamente integrano il pubblico e il privato nella gestione; sono questi soggetti quelli che a mio avviso affronteranno meglio la crisi.

Chi dovrebbe allora finanziare la cultura?
La cultura, l’educazione e il patrimonio culturale del nostro paese sono una grande risorsa di competitività: proprio ieri leggevo una ricerca internazionale che dimostrava come il valore del Brand Italia cresce nel mondo anche in tempo di crisi grazie proprio alle nostre risorse culturali.
Gli istituti e il patrimonio culturale hanno un grande valore pubblico. Le amministrazioni devono dunque continuare a sostenere anche finanziariamente la cultura e gli istituti culturali, ma gestendo sempre meno in prima persona, bensì creando le regole e le condizioni migliori affinché siano le comunità e i cittadini organizzati a farsene carico, attraverso modelli gestionali che integrino soggetti pubblici e privati.  Sostegno pubblico sì, dunque, ma con modalità diversificate, senza pensare di essere gli unici attori; questa è la sussidiarietà e la partecipazione che, ripeto, rappresentano il futuro sostenibile della gestione del patrimonio cultural italiano.

In che modo ICOM Italia intende affrontare la crisi che il Paese sta attraversando?
Quale associazione professionale, ICOM Italia deve valorizzare le competenze, il rigore della condotta professionale, essere cosciente delle responsabilità che tutti abbiamo di fronte al paese e alle comunità. Dobbiamo fare proposte, come abbiamo fatto nell’appello di cui abbiamo appena parlato, dobbiamo farci capire e saper dialogare con la classe dirigente, di cui peraltro siamo parte. E’ bene perciò che ci rimbocchiamo le maniche e, con consapevolezza, cerchiamo di proporre soluzioni praticabili. Sul piano nazionale si può creare un quadro di riferimento generale, ma è sul piano locale e nei singoli territori che si salva e si valorizza non solo il patrimonio culturale, ma anche la nostra storia e la nostra memoria. In questo senso abbiamo molto da fare, sempre in una logica di cooperazione e di condivisione: c’è una profonda crisi delle rappresentanze in genere, da quelle politiche e sindacali a quelle professionali e territoriali; noi nel nostro piccolo, dobbiamo agire sempre meglio come una libera e volontaria associazione di musei,  di professionisti e di volontari museali.