La parola glocal, coniata in Giappone negli anni ’80 del secolo scorso e poi ripresa da filosofi e sociologi come Roland Robertson, Zygmunt Bauman ed Edgar Morin, rappresenta una traduzione dell’agire locale nel pensiero globale del web. Nell’era della “glocalizzazione” il mondo si configura come un sistema policentrico e i luoghi visti tradizionalmente in un’ottica periferica, come le isole, diventano punti privilegiati di incontro, di confronto e di scambio culturale.
L’arte, linguaggio universale per antonomasia, è lo strumento principale di un cosmopolitismo illuminato che valorizza le identità locali in maniera creativa e dinamica.
Al centro del Mediterraneo, la Sardegna torna così ad essere crocevia di genti, saperi, lingue e culture. E Cagliari, la sua “capitale”, ha proposto un autunno ricco di eventi che hanno fatto dialogare la scena artistica locale con quella nazionale e
internazionale.
Dal 28 novembre al 3 dicembre si è svolta la seconda edizione del Babel Film Festival, un concorso cinematografico internazionale destinato esclusivamente alle produzioni che raccontano le minoranze linguistiche. Organizzato dalla Società
Umanitaria – Cineteca Sarda
, dall’Associazione Babel e dalla società di produzione audiovisiva Areavisuale, il festival si presenta come un’occasione costruttiva di confronto delle diverse realtà locali in una prospettiva globale. I film in concorso
sono stati 28, realizzati in 23 lingue minoritarie, dal sardo al catalano, dal ladino al provenzale. La giuria del Babel, presieduta da Edoardo Winspeare, ha assegnato il premio per il miglior lungometraggio a “Il loro Natale” di Gaetano di Vaio (lingua napoletana), il premio per il miglior documentario a “My Marlboro City” di Valentina Pedicini (dialetto brindisino) e il premio per il miglior cortometraggio a “Karai Norte” di Marcelo Martinessi (lingua guaranì). Oltre alle proiezioni dei film, la manifestazione ha offerto momenti di emozionante e coinvolgente sinestesia artistica, in particolare durante la sonorizzazione dal vivo di “Le stagioni dell’Armenia” di Artavazd Pele?jan, un affresco tragico e intenso della vita rurale armena, da parte di una straordinaria band composta da Gavino Murgia, Marcello Peghin, Salvatore Maltana e Alessandro Garau.
Il centro culturale Il Ghetto, situato nello storico quartiere di Castello che dall’alto domina sul porto e sul Golfo degli Angeli, è stato invece il teatro sensoriale di Signal, festival internazionale di musica d’avanguardia svoltosi tra il 6 e il 10 dicembre e giunto alla sua sesta edizione. Il festival è organizzato da TiConZero, centro di ricerca musicale e teatrale con uno sguardo trasversale sulle arti performative e sulle sperimentazioni sonore, in particolare legate all’elettronica. L’evento ha visto la partecipazione di artisti di spicco della scena locale e internazionale, come il compositore e artista multimediale inglese Philip Jeck ed il chitarrista austriaco Christian Fennesz, riconosciuto come una delle voci più originali della musica elettronica contemporanea. Sempre seguendo una visione estetica multidisciplinare, nelle suggestive sale del Ghetto sono state esposte le affascinanti installazioni di Daniele Serra, Mei Ziqian ed Ermenegildo Atzori. Osservando tali opere immersi nel magmatico flusso sonoro emerge prepotentemente la consapevolezza di non trovarsi in una periferia artistica. Perchè la creatività contemporanea non conosce periferie. Essa si nutre di stimoli condivisi da artisti viaggiatori che, partendo dalla propria identità, dalla propria diversità, dalla propria unicità, tramite il viaggio reale nel mondo e quello virtuale nel web si confrontano, comunicano, crescono insieme, collaborano, cooperano. E col potere semantico dei segni, dei suoni e delle parole abbattono i pregiudizi e gli stereotipi, ponendo le basi per una visione della cultura come collante di civiltà.