Bye bye 2011. Il 2012 si è aperto facendosi largo tra contestazioni e proteste, profezie apocalittiche e speranze di un futuro migliore.
In questi primi giorni di assestamento, in attesa di vedere come le scelte politiche influiranno sul nuovo anno degli italiani, vale la pena dedicare qualche riflessione in positivo, che vada oltre la constatazione di una crisi economica che sta mettendo in ginocchio il paese, e si prefigga piuttosto un’analisi positiva sulle politiche da adottare per una progressiva ripresa economica e sociale.

Quanto la cultura sia non solo la ricchezza primaria dell’ Italia ma anche un’importante risorsa suscettibile di generare ingenti ritorni economici, soprattutto attraverso il turismo, è argomento ormai noto ai più.
Meno invece, quanto costituisca uno settore strategico in cui investire per affrontare la drammatica situazione dell’occupazione giovanile. La cultura può apportare innovazione, tecnologica e non, stimolare la ricerca, e ottimizzare l’applicazione di risorse umane nello sviluppo di nuovi beni e servizi.

Se, come si è detto, perno storico del settore terziario italiano è il turismo, un utilizzo efficace delle  risorse dovrebbe puntare sulla valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici nostrani. Particolarmente nel Mezzogiorno, territorio cardine del patrimonio ambientale italiano, con una forte capacità produttiva sottoutilizzata. In tal modo il turismo offrirebbe non solo opportunità di impiego addizionale, ma soprattutto di sviluppo dell’identità regionale e  locale e di emersione della cultura potenziale delle regioni in difficoltà. è però necessario distaccarsi da un’ottica tipicamente conservativa per porsi in maniera competitiva sul mercato internazionale.
Per crescere bisogna innovarsi, e il futuro dell’ Italia si gioca appunto lungo l’asse di due fattori interdipendenti: avanzamento tecnologico ed evoluzione della produttività delle imprese.
Infatti, come dimostrano i dati emersi dall’ultimo rapporto Svimez (2011), il tasso di disoccupazione giovanile al sud è del 25% e si accompagna ad un contrario aumento della scolarizzazione, con la conseguenza di una disoccupazione principalmente intellettuale.
Gli effetti negativi sono molteplici: innanzitutto il dato migratorio, che se prima vedeva il nord del paese come meta privilegiata, ora il sono soprattutto i paesi europei, come la Francia e la Germania, le nuove vie dell’emigrazione.
Ne consegue un Sud che espelle giovani e manodopera senza rimpiazzarla. Perché le imprese, non riuscendo a competere innovando, esprimono una domanda di lavoro poco qualificata,  passando così dalla “fuga dei cervelli”, e quindi dallo spostamento di capitale umano dalle aree deboli del paese verso quelle più sviluppate, allo “spreco di cervelli”, una sottoutilizzazione enorme del capitale umano formato.
Le ripercussioni, inutile dirlo, sono immediate sul corpo sociale e preoccupanti in termini di sviluppo economico del territorio.

Alla luce di tale non confortante quadro il ruolo che la cultura ricopre, tanto all’interno dell’economia della conoscenza, quanto nel settore economico in generale, e particolarmente in termini occupazionali, è determinante.

La cultura, tramite il rafforzamento delle competenze in un connubio di umanistico e manageriale, è la chiave per affrontare e superare la disoccupazione, la precarietà, come pure l’alienamento e la nostalgia per mestieri che conservavano l’umanità degli individui.
Non si tratta tanto di creazione di nuove figure professionali, quanto piuttosto dell’ accrescimento di una cittadinanza attiva nei giovani, tale da rivitalizzare il tessuto culturale e sociale del territorio unendo, rinnovando e innovando passato e presente.
Una strategia di sviluppo di qualità dell’area dovrebbe pertanto guardare alle industrie culturali, uno dei più dinamici settori di sviluppo dell’economia, soprattutto in una logica di progresso regionale e locale. Si tratta di un comparto esteso e in continua evoluzione, che abbraccia tutto quanto prodotto dall’economia della conoscenza, dell’informazione e della comunicazione. Un’economia dell’esperienza, che si forma sui bisogni e per il benessere dei cittadini, che si basa su un continuo confronto tra generi e generazioni, e che pertanto contribuisce, con il suo network di relazioni nazionali ed internazionali, all’ internazionalizzazione dell’area.

La formula per non lasciare sommerse le potenzialità del territorio si basa su politiche locali di identificazione di best-practices, su investimenti imprenditoriali agevolati, sulla creazione di una sufficiente rete di infrastrutture  e relazioni, soprattutto a livello regionale, saldamente  integrate tra loro e aperte verso l’esterno, nonché su politiche giovanili di sostegno e di incentivi, e su una valorizzazione territoriale basata su una filosofia di sostenibilità ambientale.

Un Paese che valorizza le proprie ricchezze e non le lascia inaridire, che riconosce le giovani generazioni come il vero motore della rinascita economica e culturale e che pertanto  incoraggia la loro intraprendenza nel trovare le soluzioni migliori ai lori problemi è il primo passo per un rilancio effettivo del Mezzogiorno e dell’Italia tutta.