L’abusato stereotipo secondo cui il Nord di ogni paese sarebbe diverso dal Sud ha le sue radici in quasi ogni nazione: se la Lega di Bossi rivendica la sua Padania e vuole allontanarsi da Roma, anche il Belgio è da diversi anni conteso tra francesi e fiamminghi così come la Spagna tra castigliani, catalani e baschi.
A completare il puzzle degli stati secessionisti vi è ora la Scozia il cui premier, Alex Salmond, appartenente al Partito Nazionalista Scozzese (SNP), si è mostrato fin dai giorni della sua campagna elettorale, intenzionato a separare le sorti scozzesi da quelle della vicina Inghilterra.

I perché della scelta
Prima di interrogarsi sul perché la Scozia voglia ottenere l’indipendenza dal Regno Unito, bisognerebbe sapere per quale motivo i due Stati vennero unificati: per mancanza di eredi al trono inglese. Nel 1603, infatti, alla morte di Elisabetta I regina d’Inghilterra, Giacomo VI Stuart era sovrano del Regno di Scozia (Regno creato nell’ 843, dal re Cináed I di Scozia). La corona avrebbe dovuto essere assegnata, secondo il testamento di Enrico VIII, a Lady Anne Stanley, ma Giacomo era, di fatto, l’unico pretendente abbastanza potente da difendere la sua rivendicazione. Così un Consiglio di Successione incontrò e proclamò Giacomo re di Inghilterra ed Irlanda, ed egli fu incoronato il 25 giugno nell’Abbazia di Westmister. L’Atto d’Unione del 1707 sancì per sempre il loro legame fisico e politico.
Ad oggi, la Scozia detiene comunque la sua indipendenza in diversi campi: parlamentare, con un Parlamento scozzese completamente autoeletto; legislativo con un sistema giudiziario che deriva dal Diritto Romano e non dalla Common Law; religioso, con la Chiesa Presbiteriana anziché Anglicana.
Alex Salmond punta ora ad una indipendenza totale su cui la popolazione si esprimerà nell’autunno 2014 con un referendum.

Quali le conseguenze?
In caso di secessione sono molti gli aspetti da chiarire. Il primo, più importante, riguarda la moneta da adottare. Il premier inglese Cameron ha infatti chiarito che, in caso di vittoria dei secessionisti, la Scozia dovrà abbandonare la sterlina, cercando rifugio nell’eurozona.
Questa limitazione pone numerosi interrogativi anche tra gli indipendentisti più convinti che, una volta abbandonata la supremazia di Londra, non vorrebbero trovarsi costretti a sottostare al potere economico della Germania e dell’Europa in generale.
Le più grandi banche del Regno Unito, inoltre, possiedono varie sedi centrali anche in Scozia che, a quel punto, non si saprebbe come regolamentare.
Altra problematica è inoltre quella legata all’appartenenza alla Nato: la Scozia formalmente non avrebbe bisogno di forze militari avanzate ma non investire sull’esercito vorrebbe dire non sedersi al tavolo con l’asse strategico dell’alleanza atlantica e di fatto, sottostare comunque alla supremazia inglese che con la Nato ha un dialogo privilegiato.

Nel frattempo, per misurare gi umori della popolazione, il quotidiano “The Guardian” ha lanciato un sondaggio: i risultati vedono la popolazione, sia scozzese che britannica contraria alla separazione con solo il 24% convinto dell’operazione. Gli indecisi sono ancora moltissimi e su quelli farà leva il Primo ministro scozzese, highlander moderno di una battaglia giocata senza armi, certo, ma con strategie economiche e politiche all’avanguardia.