Da una mappa interattiva pubblicata su Sightsmap sembra che l’Italia sia uno dei paesi più fotografati al mondo. Sicuramente anche grazie alle innumerevoli bellezze artistiche e archeologiche che abbiamo avuto la fortuna di ereditare. L’unica pecca è che l’apparato chiamato a gestire tutta questa immensa meraviglia manca di fondi e personale. Gli effetti di questa insufficienza si fanno sentire ogni giorno e alcuni, come i crolli a Pompei a al Colosseo, hanno spesso una risonanza a livello internazionale. Qualche altro episodio, sebbene ugualmente rilevante, non supera i confini della cronaca locale: si tratta ad esempio della situazione dei lavoratori che il nostro patrimonio archeologico non solo lo riportano alla luce, ma lo curano e lo amministrano. Gli archeologi, una professione indispensabile per l’industria dei beni culturali, rappresentano una delle categorie più disagiate d’Italia. Sembra quasi un paradosso: il paese con il più alto numero di beni archeologici da indagare e da tutelare, con le università invase da studenti appassionati e volenterosi, è lo stesso in cui chi sceglie questa carriera è condannato al precariato e incertezza a vita. Sono tanti i ragazzi che scelgono questa strada pur consapevoli del destino a cui vanno incontro.
“ La soluzione? Chiaramente non vivere di questo” ci racconta Rosanna, archeologa specializzata in antichità egizie, laureata, come tanti altri studenti come lei, con il massimo dei voti e adesso iscritta alla scuola di specializzazione “Fai tutti i lavori part-time possibili per tirare avanti, come la commessa, la hostess, impartire lezioni private e poi i soldi che guadagni li investi per la tua formazione: dottorati, master e scuole di specializzazioni. Se tutto va bene sono almeno otto anni di studi”. Anni di formazione e passione che poi si scontrano con l’assenza di futuro. “Scavi della soprintendenza ormai non esistono più. Mancano i fondi e quindi gli scavi vengono avviati dalle ditte che vincono gli appalti per i lavori pubblici: la chiamano “archeologia preventiva” e serve ad indagare il sito prima che vengano avviati eventuali lavori invasivi”. Archeologia come prevenzione, dunque, e non più come ricerca fine a sé stessa “Certo gli scavi finalizzati alla ricerca esistono ma sono solo quelli gestiti all’università, dove gli studenti ovviamente non vengono pagati perché si tratta di scavi didattici per acquisire esperienza e crediti formativi”. Quindi l’archeologo come lavoro sembra non esistere più perché poi negli scavi post laurea, quelli definiti preventivi, si rischia di non essere pagati. “Il cantiere archeologico viene affidato dalla ditta vincitrice dell’appalto ad una delle tante cooperative archeologiche private sparse per l’Italia. Sta poi alla cooperativa decidere quanto e quando pagarti. Nel mio caso non ho mai superato i 35 euro al giorno”. Sono queste le tariffe che possono arrivare ad un massimo di ottanta/ cento euro, per la presenza nello scavo che va dalle prime ore del mattino sino all’imbrunire. Non si riesce a lavorare tutti i giorni a causa delle condizioni atmosferiche e lo scavo lo si raggiunge con mezzi propri. I tipi di contratto previsti sono o a partita Iva o a collaborazione.
Si tratta delle condizioni lavorative di un esercito invisibile di tanti ragazzi mossi dalla sola passione per il proprio lavoro, perché consapevoli che difficilmente riusciranno a trovare una collocazione nel settore pubblico. La soprintendenza archeologica ha spesso solo una funzione di controllo degli scavi gestiti dalle cooperative, perché all’interno manca il personale. L’ultimo concorso bandito dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali risale al 2008 (dopo dieci anni di attesa) e le domande per partecipare sono state più di 5 mila. E spesso si fa fatica a trovare anche chi gli uffici amministrativi li dirige: è il caso scoppiato oggi a Roma, dove i 600 archeologi della Soprintendenza hanno scritto una lettera appello al ministro Lorenzo Ornaghi per sbloccare al più presto la paralisi dell’amministrazione dovuta alla “vacatio” della nomina del soprintendente dopo che Anna Maria Moretti, il cui incarico era ad interim, ha lasciato. Una protesta legittima, perché rischiano di rimanere scoperti siti con i più importanti monumenti, ma che tuttavia solleva un interrogativo: se la situazione è atrofizzata all’interno degli uffici, quando si aprirà uno spiraglio per l’esercito degli archeologi precari?