Varsavia è una città piena di spazi verdi, nel mese di settembre la temperatura è mite e piacevole. Ma nel settembre del 1940 questo ha poca importanza, perché la città è occupata dalle truppe del Reich. In strada sfilano i deportati, tra questi c’è anche un uomo che risponde al nome di Tomasz Serafi?ski. Da una verifica, risulta abitare vicino al luogo del rastrellamento.

Quello però non è il suo vero nome e quella non è nemmeno la sua abitazione. Quell’uomo in realtà si chiama Witold Pilecki. Ha affittato cinque appartamenti in cinque diverse zone della città, utilizzando altrettante identità fittizie. Pilecki ha uno scopo, che la Gestapo ignora. Fa parte dell’esercito clandestino polacco, anche questo è un aspetto che la Gestapo naturalmente ignora. Pilecki si è offerto volontario per una missione apparentemente folle e suicida: farsi deliberatamente arrestare durante un rastrellamento per essere internato ad Auschwitz. Oltre al polacco, parla correntemente e senza inflessione francese, russo e tedesco. Il giorno del suo arresto è sicuro solo del fatto che riuscirà a fuggire da Auschwitz. Nel settembre del ’40, non può sapere però che passeranno quasi mille giorni di prigionia prima della sua fuga, il martedì di Pasqua del ’43. 
Anche se queste sembrano le sequenze iniziali di un film, la sua storia non è una sceneggiatura o un’opera di finzione.

Quella di Witold Pilecki è la vera storia de “Il volontario, il più coraggioso tra i coraggiosi” come recita il titolo di un brillante saggio dello storico italiano Marco Patricelli (Premio Acqui Storia 2010 per la sezione storico-divulgativa).

Marco Patricelli è stato invitato dal Museo Ebraico Galicja di Cracovia per presentare l’edizione polacca del suo lavoro in occasione della Giornata della Memoria. L’abbiamo incontrato qualche giorno fa e non indugiamo sulle critiche lusinghiere che “Il volontario” (ed. Laterza, 2010) sta ricevendo in Polonia e nemmeno proviamo a pronunciare il titolo dell’edizione polacca (Ochotnik. O rotmistrzu Witoldzie Pileckim, Ed. Wydawnictwo Literackie, 2011). Il suo saggio ha il merito di restituire un ritratto storico, unico e straordinario, riuscendo nello scopo con una prosa che coinvolge ed accompagna il lettore, questa sì come una sceneggiatura o un’opera di fiction, ma senza venir meno al dovere di storico.

Marco, la prima domanda, lasciacelo dire, sorge spontanea: perché farsi internare volontariamente ad Auschwitz?
Le ragioni impellenti che spingono Witold Pilecki sono due. In primo luogo, bisogna sapere esattamente quello che accade dietro il filo spinato perché fino a quel momento circolano solo delle voci. I pochissimi rilasciati non ne parlano, la chiamano la consegna del silenzio. Ma i polacchi vedono le frequenti retate e le vittime inghiottite da quel campo. 
In secondo luogo, per la resistenza bisogna creare un movimento che aumenti le chance di sopravvivenza all’interno del campo. Per questo ci vuole qualcuno che vada li’ dentro per vedere, raccontare ed organizzare.

Due compiti che Pilecki svolge in maniera egregia…
Il suo è in assoluto il primo rapporto che arriva agli alleati sul campo di Auschwitz. Pilecki si fa arrestare a settembre del ’40 e a novembre riesce a far filtrare il primo rapporto che arriva a Londra via Stoccolma nel marzo del ’41. A quel punto, i servizi segreti inglesi sanno cos’é Auschwitz, nonostante la Shoah non sia ancora avviata, ma gli ebrei sono già drammaticamente indirizzati sulla strada dello sterminio totale.  Gli alleati sanno cosa accade dentro quel campo, ma bollano la sequela di orrori raccontati da Pilecki come esagerata, perché si tratta di esperienze talmente efferate da risultare inimmaginabili. Non reputano pertanto credibile l’esistenza di un tale abisso di orrori e brutalità.   Il secondo compito, che Pilecki svolge altrettanto egregiamente, è quello di creare una rete finalizzata ad aumentare le probabilità di sopravvivenza di quanti sono rinchiusi, infiltrando uomini in tutti i reparti di Auschwitz. All’assegnazione lavori, alla cucina, ai reparti della sanità, sapendo benissimo che l’ospedale di Auschwitz non è che l’anticamera dell’eliminazione. Pilecki riesce ad infiltrare con successo i suoi uomini. Quando evade, in maniera avventurosa, la rete di resistenza che ha creato arriva a contare duemila persone, organizzate militarmente e presenti in ogni baracca, in ogni reparto, in ogni blocco. Lascia le consegne, i piani per l’insurrezione ed alcune armi nascoste, auspicando quello che purtroppo non accadrà mai, una rivolta del campo appoggiata dall’esterno sia dagli alleati sia dai partigiani polacchi.

Fuggito da Auschwitz, si offre nuovamente volontario?
Pilecki combatte valorosamente nella Rivolta di Varsavia del ’44 col grado di capitano di cavalleria. Viene fatto prigioniero dai tedeschi. Visto che ad Auschwitz era entrato sotto falso nome, i tedeschi non correlano il Tomasz Serafi?ski evaso di Auschwitz al Witold Pilecki finito prigioniero nel ’44 a seguito del fallimento della Rivolta di Varsavia.

Finisce la guerra, ritroviamo Pilecki in Italia?
Dove è stanziato il secondo corpo d’armata del generale Anders. In Polonia, i sovietici stanno smantellando in maniera sistematica ogni residuo dello stato polacco ed ovviamente anche dello stato clandestino. Pilecki si offre ancora una volta volontario, per ricreare un sistema di resistenza che possa consentire alla Polonia di riconquistare la libertà e l’indipendenza dall’occupazione sovietica, che in quel momento si calcola durerà intorno ai dieci anni. La storia ci insegna che saranno purtroppo molti di più.
 Pilecki viene però individuato dai servizi segreti polacchi, dall’Italia lo esortano a fuggire perché prima o poi l’arresteranno. Ma Pilecki, che ha lì la moglie e i due figli, decide al contrario di restare. Viene così catturato, torturato e condannato. Il processo è una farsa, completamente pilotato, dove vengono esibite prove false, accuse false, la composizione stessa della corte è illegittima. Viene condannato tre volte a morte su richiesta di un procuratore militare che non è neppure laureato in legge.

Witold Pilecki è giustiziato in carcere il 25 maggio 1948 con un colpo di pistola alla nuca e sepolto nel cimitero di Varsavia, sotto la nuda terra. Senza che nessuno abbia mai voluto informare la famiglia sul luogo esatto dell’inumazione.

C’è chi si arrogherà i meriti che sono di Pilecki?
Il Regime fa un vero capolavoro di disinformazione perché nega tutto quello che Pilecki ha fatto ad Auschwitz e ne attribuisce i meriti, soprattutto dal punto di vista resistenziale, a Józef Cyrankiewicz, allora primo ministro della Polonia, nel 1970 diverrà addirittura Capo di Stato. Si crea così un “eroe”, usurpando gli onori a chi è stato il vero artefice della resistenza. Diversi anni fa, all’interno del campo, in uno dei saloni destinati al ricordo e alla conoscenza, si parlava della resistenza ad Auschwitz e si parlava di Cyrankiewicz, non di Witold Pilecki, che era stato completamente cancellato dalla storia e dalla memoria. Il figlio racconta che gli era vietato parlare in pubblico del padre, gli era vietato persino pubblicare dei necrologi per ricordarne la morte, questo fino all’agonia del regime comunista e alla Caduta del Muro di Berlino.

Oggi Pilecki è considerato un eroe nazionale?
Insignito dalla più alta decorazione polacca, un simbolo dell’eroismo, della resistenza e dell’abnegazione. Un eroe che si è offerto volontario per tre volte nella sua vita e per tre volte è stato condannato a morte. Una vita spesa interamente per la libertà, combattendo ogni forma di totalitarismo. Recentemente c’è stata una proposta al Parlamento Europeo per trasformare la data della sua morte nella giornata per ricordare tutti i martiri dei totalitarismi, ma incredibilmente questa proposta è stata respinta dal Parlamento Europeo. Purtroppo con voto contrario di alcuni deputati polacchi, legati evidentemente ancora ad un passato che ritenevamo definitivamente superato.

Per concludere, un giudizio sul lavoro dello storico?
Credo che lo storico debba raccontare la storia, non esprimere giudizi. Debba trovare o ritrovare le storie che si sono perdute e semplicemente raccontarle. Il giudizio è alla cultura, alla sensibilità, all’intelligenza di chi legge.
Marco Patricelli insegna Storia dell’Europa contemporanea all’Università degli Studi ‘G. D’Annunzio’ di Chieti e Pescara. E’ il primo italiano ad essere insignito dell’onorificenza ‘Bene Merito’ assegnata dal Ministero degli Esteri della Polonia ed è stato l’unico italiano invitato a Varsavia alla conferenza internazionale sul 70° Anniversario dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Come recentemente dichiarato al quotidiano polacco Rzeczpospolita, la passione per la storia della Polonia è nata durante la sua esperienza di studente al Conservatorio di Varsavia, rivelandosi una chiave imprescindibile per avvicinarsi alla musica di Fryderyk Chopin. 
Dal nostro corrispondente a Varsavia