Lotta all’evasione ed introduzione del redditometro: il leitmotiv di questi giorni che signoreggia nelle prime pagine di tutti i quotidiani è l’dea che la categoria dei “ricchi”, intesa come coloro che hanno accumulato beni personali sottraendone allo Stato tramite dichiarazioni dei redditi fittizie, inizino a saldare il proprio debito con la società civile. Il primo passo sarà certificare che il reddito dichiarato corrisponda all’effettivo tenore di vita, andando a passare in rassegna quali siano le abitudini e le spese. Tra i compiti del redditometro ci sarà soprattutto quello di scovare tutti quei “beni di lusso” su cui non sono state versate per intero le imposte dovute: all’interno di questi patrimoni avrà un peso anche un’eventuale collezione di oggetti d’arte, quadri, antiquariato, opere contemporanee. In tempi di crisi l’investimento nel settore dell’arte non ha subito battute di arresto, ma al contrario è stato incentivato dalla sua affidabilità a lungo termine: a differenza di un investimento in borsa, infatti, l’acquisto di opere d’arte – con un certificato valore estetico ed artistico- garantisce un rendimento a lungo termine che aumenta con il passare degli anni ( secondo il rapporto Nomisma il trend è stato positivo soprattutto nel comparto dell’ arte contemporanea). Arte considerata come “bene rifugio” soprattutto in questi anni di crisi in cui i mercati finanziari oscillano pericolosamente. Ma si tratta pur sempre di un rifugio per pochi e non accessibile alla maggior parte della popolazione: il possesso di opere d’arte è stato infatti considerato essenziale per determinare la coerenza del reddito dichiarato con l’effettivo stato patrimoniale.
Tuttavia non sempre è facile riuscire a determinare il valore di un’opera d’arte acquisita e l’effettivo rendimento, perché è difficoltoso determinarne il prezzo reale. Per stabilire un prezzo di un’opera intervengono molte e differenti variabili dovute alle aste, alla valutazione degli studiosi, al passare del tempo, alla volontà dell’artista, alla discrezione dei galleristi. Risalire al costo originario di una barca o di una villa può quindi essere più semplice, mentre le regole del mercato dell’arte rendono molto fumosa e difficile l’indicazione precisa di listino. È possibile determinare con esattezza il valore di un’opera d’arte, oppure è a discrezione del gallerista stabilirlo? Certo negli anni sono stati stilati degli indici di riferimento che tengono conto della qualità, dell’andamento delle aste, del numero delle vendite, del mercato in borsa. Tuttavia quello che emerge è che rimane a discrezione del gallerista stabilire il prezzo finale. Non essendoci un riferimento universale – la stima di un’opera, in fondo, può variare in poco tempo- quale può essere l’utilità di analizzare l’effettivo valore di un’opera d’arte per scovare un evasore? Se compratore e venditore si accordassero nel fatturare solo la metà del prezzo originario – facendolo passare come una svendita perché il proprietario se ne vuole semplicemente disfare- a quale indice si può fare riferimento per accertare che metà dei soldi dell’acquisizione sono stati versati in nero?
Non è quindi così facile riuscire a scovare un evasore, o almeno il totale dei soldi evasi,  a fronte di un prezzo iniziale che non è certamente stabilito. In tal modo ci guadagna non solo il compratore ma anche lo stesso gallerista. L’Iva che grava sulle transazioni in galleria è a quota 21%, piuttosto alta rispetto alle altre imposte sulle compravendite artistiche. In Svizzera, dove si rifugiano molti collezionisti italiani, l’Iva sull’arte è al 7% mentre negli Stati Uniti è a quasi al 10%. Ed evadere le tasse in questi paesi in cui il carico è minore- non solo nel comparto dell’arte ma anche in settori più vitali- è considerato un disonore che aggrava la semplice concezione di reato. Come in altri settori dell’economia italiana le imposte troppo alte comportano– quando non si riesce a rifugiarsi all’estero- un’elevata percentuale di scambi in nero. Molti galleristi sostengono che una via d’uscita per combattere il sommerso sarebbe quella di rendere il mercato dell’arte competitivo rispetto alle altre piazze internazionali. Pagare di meno per pagare tutti. Uno slogan già sentito anche in altri comparti, come nell’imprenditoria dove, spesso, il fisco troppo oneroso diviene una vero e proprio ostacolo per la sopravvivenza. Il mercato dell’arte sembra dunque l’esemplificazione del vizio dell’evasione italiana. Certo forse si tratta di un settore un po’ di nicchia dove non si evade però esattamente per necessità.