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Al di là dell’inchiostro speso a scrivere sull’asset strategico della cultura per l’economia italiana, il germe della mancata occasione delle politiche culturali nostrane è insito sul timbro dato alla cultura di qualcosa di alt(r)o, di non quotidiano, di nicchia.
Recenti studi, volti ad analizzare la dimensione e la dinamica della domanda e dell’offerta di cultura in Italia, dimostrano come la “domanda inespressa”, ovvero quella di quanti non frequentano i luoghi della cultura, sia numericamente rilevante.
Si tratta quindi di un potenziale di domanda ancora fortemente sottoutilizzato che potrebbe sostenere in modo non marginale lo sviluppo del settore, nelle regioni meridionali, dove è poco presente tanto l’industria culturale (diffusa principalmente al centro-nord) che quella creativa (concentrata essenzialmente nelle regioni del nord).
Eppure il Sud è un vero e proprio museo diffuso, e si è già detto circa il fermento creativo delle nuove generazioni. Emerge quindi la componente strategica della domanda sociale di cultura nel Mezzogiorno del Paese. Ma come intercettare tale bisogni inespressi?
Ci si dimentica talvolta il dato più banale: la cultura non è qualcosa che esiste in sé per sé, è mutevole, è sempre presente, ma negli individui.
Instaurare legami forti tra i centri di produzione della cultura e la società è perciò la via per interpretare questa domanda, per far si che la cultura sia davvero un patrimonio comune, trasversale, appartenente allo stesso modo, alla working e all’ upper class, esemplificando sulla base delle scienze sociali, e ai giovani e meno giovani, anagraficamente parlando, a uomini e donne, single e famiglie (e quindi, bambini, anche).
Il confronto con l’estero è necessario per capire dove potremmo fare di più e meglio: se solo si guarda all’Islanda, il paese europeo con i più alti consumi culturali in Europa, si comprende come questo sia possibile perché la cultura è di fatto il motore della vitalità della società islandese. Si tratta di una società che affonda le sue basi in un’economia rurale, e che ha costruito il suo presene intorno all’importanza della tradizione, della storia, della tradizione linguistica.
Tra le realtà del Mezzogiorno meritano di essere incoraggiati gli orientamenti in tal senso della regione Sicilia, la quale, attraverso l’Assessorato regionale dei beni culturali e dell’identità siciliana, dedica un apposito dipartimento alla preservazione e valorizzazione del patrimonio immateriale siciliano.
In particolare, l’Ufficio Promozione e valorizzazione delle Tradizioni e dell’Identità siciliana, nel 2005 ha dato vita ad un apposito registro (REI- registro delle eredità immateriali di Sicilia) per l’identificazione, salvaguardia e promozione dei saperi, delle espressioni, celebrazioni, luoghi del quotidiano che si trasmettono oralmente nel territorio, di generazione in generazione, con ciò dimostrando una particolare sensibilità verso tale tematica.
Un paese che guarda avanti non può non valorizzare l’enorme patrimonio immateriale che possiede. Città e territori racchiudono al loro interno un patrimonio originario che è la base per la costruzione del presente in metamorfosi, per un futuro di sviluppo sociale, culturale ed economico.