Qualcuno di voi ha letto “Carta Straccia” di Giampaolo Pansa? Ripercorrendo la sua vita e i suoi primi anni di carriera, il celebre giornalista piemontese ci racconta come ha imparato il “mestiere più bello del mondo” con la determinazione e con l’impegno quotidiano, sul campo e sulla strada costruendo faticosamente quell’esperienza, la sensibilità nel saper riconoscere la notizia, la fredda capacità nel valutare le persone che hai davanti. Nel leggere i suoi racconti di gioventù, un qualsiasi ragazzo odierno, dotato della stessa grinta e della stessa passione, proverà un po’ d’invidia. Perché i giovani d’oggi che hanno il sogno di documentare la storia scendendo nelle strade cittadine dove si manifesta, nelle piazze dove imperversano bombe e combattimenti, nelle zone dove si sono abbattute calamità naturali, nelle altrettanto infuocate sedute dei mercati finanziari, un giovane che oggi sente che il suo destino è quello di diventare giornalista, probabilmente non avrà mai la stessa fortuna avuta da Pansa di potersi confrontare con la sua passione.
Quello del giornalista è un mestiere duro, che non si improvvisa: banalmente si può definire una vocazione a cui bisogna unire una forte etica personale e una profonda dedizione quotidiana e soprattutto studio di quello che ogni volta si sta trattando. Quello del giornalista oggi è un mestiere chimera il cui iter professionale è ben lontano da quello che ha vissuto Pansa nel dopoguerra.
Negli ultimi vent’anni l’accesso alla professione è stato talmente regolamentato e burocratizzato che si è giunti ad una situazione in cui ben pochi vivono di questo mestiere: la divisione tra albo dei pubblicisti e professionisti ha portato ad una precarizzazione estesa della professione con numeri che parlano ad oggi di 19.000 contrattualizzati a fronte di 24.000 di lavoratori autonomi molti dei quali sottopagati. L’ultima denuncia della situazione di sfruttamento in cui vivono la maggior parte di giovani e meno giovani giornalisti italiani è stata portata ultimamente alle cronache dal collettivo “Errori di Stampa” che ha pubblicato il primo censimento informale (non avendo ricevuto risposte ufficiali da tutte le redazioni che hanno contattato, hanno deciso di basarsi su informazioni reperite tramite  i contatti personali all’interno dell’ambiente) dei precari sottopagati autonomi di Roma. Una situazione ben conosciuta da tempo, ma di cui ben poco si è parlato in precedenza, che va avanti da vent’anni e le cui conseguenze stanno degenerando negli ultimi tempi, portando all’esasperazione quell’esercito di autonomi del settore che, nonostante gli sforzi quotidiani, non riescono ad ottenere né soldi né un contratto regolare che gli consenta una vita dignitosa.
Arrivati ad un punto di non ritorno, in cui la divisione tra chi in questo campo ha un contratto ed è tutelato e le leve di nuova generazione che invece fa parte di un esercito invisibile, ma che è fondamentale per mandare avanti il mondo dell’editoria, il nuovo esecutivo ha deciso di inserire anche l’Ordine dei giornalisti all’interno della riforma delle professioni e di modificare così anche l’accesso all’albo. Se ne parla dall’inizio dell’anno ma ad oggi ancora non ci sono indicazioni chiare né da parte dell’Ordine stesso né dalla Federazione Nazionale Stampa Italiana, il sindacato dei giornalisti.

Sino ad oggi sono state due le strade che disciplinavano la professione:
1) frequentare master biennale in una scuola riconosciuta dall’Ordine i cui costi da sostenere non sono tollerabili per tutti ( si parte da un minimo di 10 ad un massimo di 20 mila euro a seconda della scuola scelta a biennio). Si tratta di due anni in cui si riceve una buona formazione professionale, a cui spesso però non segue una collocazione adeguata nel mondo reale. In un sistema saturo come questo infatti, la scuola viene considerata dalla maggior parte dei ragazzi come la possibilità di usufruire, pagando, di una via privilegiata per accedere alle grandi testate più facilmente. Solo dopo i due anni si rendono conto che invece non è propriamente così. Superato o meno l’esame di stato si apre anche per loro, quando riescono a trovare qualcosa, il capitolo dei contratti a progetto, delle partite Iva oppure, come i loro colleghi pubblicisti, si trovano davanti alla disoccupazione e alla decisione di cambiare completamente strada dopo l’impegno e i soldi spesi. Perché come i ragazzi ben sanno, la scuola dà la possibilità di fare degli stage ( gratuiti ma convenzionati e in regola) a cui la maggior parte delle volte non segue un assorbimento nella redazione.
2) Se invece si decide di “farsi sul campo”, come hanno fatto tutti i grandi giornalisti del passato, la situazione è ancora più frustante. Le spese sostenute per le attrezzature e per gli spostamenti non vengono rimborsate e dopo ore passate in strada armati di taccuino e macchina fotografica, i pezzi inviati in  redazione vengono pagati pochi euro e spesso in ritardo. Quindi risulta quasi impossibile raggiungere i 5.000 euro da fatturare in due anni per accedere all’esame. La maggioranza dei pubblicisti raggiunge il numero degli ottanta articoli previsti, nel giro di un paio di mesi, ma sono in ogni caso costretti ad aspettare i ventiquattro mesi obbligatori e sperare di riuscire ad incassare i 5.000 euro richiesti. Questo quando si procede per vie corrette, perché spesso per ovviare al problema delle retribuzioni, che arrivano in ritardo e sono insufficienti, la maggior parte dei ragazzi versa di tasca propria i pagamenti richiesti.

Per adesso sull’argomento riforma dell’Ordine regna la confusione più totale e nessuno è in grado di dare risposte precise su come bisognerà regolarsi per l’iter professionale in futuro. Dopo un’iniziale ipotesi di eliminare del tutto l’albo dei pubblicisti che ha infiammato i blog del settore nel corso delle vacanze di Natale, tuttora non si hanno notizie su come saranno riviste le regole dell’accesso. Quanti di voi hanno provato a chiamare l’Ordine o la FNSI per avere delucidazioni in merito ed è stato rimandato a mille contatti diversi senza ottenere alcuna risposta chiara? Quanti di voi hanno chiamato il corrispettivo ordine regionale per sostenere l’esame da pubblicista e si è sentito rispondere che per adesso è tutto bloccato in attesa di nuove disposizioni?
E se le istituzioni tacciono – e chissà se riusciremo a sapere qualcosa di ufficiale prima del prossimo agosto 2012- le uniche poche notizie informali che si riescono ad ottenere sono quelle dei blog attivi sul web.
Come la proposta di vincolare i finanziamenti pubblici alle sole testate che hanno al loro interno giornalisti con un contratto regolare (si tratta di una proposta di legge in discussione in parlamento già stata approvata dalla Commissione Cultura della Camera e che attende solo il via libera del governo Monti per divenire legge effettiva), che a giudicare dal censimento di “Errori di Stampa” sarebbero davvero poche. Oppure quella di regolamentare l’accesso alla professione equiparando la laurea in giornalismo in qualsiasi università agli attuali master biennali, con il rischio per l’Ordine di veder diminuire le iscrizioni presso le scuole riconosciute.
Forse la via più idonea e adatta a superare l’empasse in cui ci siamo imbattuti, sarebbe quella di adeguare la professione giornalistica alle normative europee. Nei paesi dell’Unione infatti non esiste alcun Ordine e l’accesso alla professione è regolamentato dalla capacità, iniziativa, l’esperienza sul campo, serietà nel fare il proprio lavoro e correttezze nel trasmettere le notizie ai lettori. La questione della riforma professionale sfocia quindi anche sulla ragion d’essere stessa dell’Ordine. Il fulcro è la funzionalità o meno di questa istituzione, che dovrebbe avere una vera e propria funzione di controllo, che già avrebbe dovuto esercitare nel passato al fine di non degenerare nella situazione attuale, e rivestire un ruolo importante per far sì di avere una nuova generazione di giornalisti che sappiano realmente “informare” e non solo superare esami.