I cosiddetti Land Grabs, cioè le acquisizioni di terre da parte di paesi stranieri, sono oggi uno dei principali problemi in Africa. Negli ultimi anni multinazionali e governi stranieri hanno infatti acquistato vaste porzioni di terra nelle zone più povere dell’Africa e molti cronisti hanno evidenziato situazioni in cui poveri abitanti sono stati costretti ad abbandonare le loro terre con il conseguente declino dell’agricoltura domestica.
Alcuni affermano invece come gli investimenti esteri possano aiutare i paesi africani creando posti di lavoro e incrementando i guadagni legati alle esportazioni sfruttando avanzate tecnologie. E’ da circa tre anni che i media hanno iniziato a parlare della questione e da allora il fenomeno è continuato a crescere in fretta per scala, geografia, protagonisti, caratteristiche e impatti sulle terre interessate. Lo scenario che ne emerge permette oggi di fornire una base per alcune riflessioni.

Lo scorso anno la Banca Mondiale ha documentato le inchieste legate alla mercificazione dei terreni africani nel periodo che va dal 2008 al 2009. Gli affari conclusi in quel periodo riguardano 60 milioni di ettari di terreno, che corrispondono ad un paese come l’Ucraina e a due terzi del totale delle terre africane. Mentre nuovi dettagli continuano ad emergere, il fenomeno assume dimensioni di vasta scala, senza precedenti.
Inoltre, molti affari privati riguardano vaste aree territoriali: per esempio, solo qualche tempo fa, la Liberia ha firmato una concessione per ben 220 mila ettari di terreno.

L’attenzione dei media si è focalizzata in questo periodo sugli investimenti fatti dal Medio Oriente e dai governi asiatici, anche se numerosi paesi occidentali sono coinvolti in egual misura.
Le aziende acquisiscono le terre poiché prevedono un innalzamento dei prezzi del cibo e delle materie prime e contano quindi di guadagnare attraverso l’attività agricola.
Molti Governi hanno infatti promosso l’acquisto di terre straniere proprio come investimento duraturo, volto ad assicurare materie prime a prezzi accessibili per i propri connazionali.
Non tutti gli investimenti, però, sono positivi e la crescita così repentina di questo fenomeno potrebbe essere un evidente segnale del fatto che grandi affari vengono conclusi non sempre per buone cause.

Una sintesi di oltre 30 inchieste effettuate in tutto il mondo riporta come gran parte degli investimenti effettuati sui terreni africani ha fallito a causa dell’insufficiente fertilità del suolo, dei problemi finanziari o ancora dei piani di business troppo ambiziosi. In Mozambico ed in Tanzania, ad esempio, molti progetti di estrazione e lavorazione di carburante bio sono stati abbandonati: anche quando gli investimenti generano profitti, infatti, risulta difficile capire come questi possano contribuire a ridurre la povertà di queste zone in quanto i posti di lavoro creati sono pochi, di breve durata e sotto pagati.

Un’inchiesta pubblicata lo scorso anno ha sollevato seri interrogativi riguardo i termini contrattuali che alcuni Governi stavano per firmare. La gente più povera del mondo sta infatti perdendo terra, acqua e risorse naturali che fino ad ora hanno sostenuto le loro vite per generazioni. In Uganda, per esempio, 20.000 persone lamentano di essere state letteralmente sfrattate dalle loro terre e un procedimento legale è in attesa di essere presentaoa davanti al giudice.
Non ogni acquisto di terreno è ovviamente da considerarsi un “land grab” o una sottrazione forzata: molto dipende dal contesto locale, dai precedenti dell’investitore coinvolto, dai termini dell’acquisto e se questi riflettano il libero, prioritario e necessario consenso del proprietario locale.

Ci sono poteri enormi e non equilibrati in ballo tra aziende internazionali, governi e proprietari terrieri locali: molti acquisti sono infatti stati negoziati senza alcuna trasparenza o previa consultazione locale.
In molte zone dell’Africa gli agricoltori locali, gli allevatori e i raccoglitori hanno diritti legali precari sulla terra che vedono come propria ma su cui molti non hanno neppure documenti scritti che ne attestino la proprietà. Molte terre sono di proprietà dello Stato che può allocarle ad investitori stranieri anche senza il consenso delle popolazioni locali.

E mentre la legislazione internazionale fornisce una considerevole protezione verso gli investimenti stranieri, i diritti umani internazionali rimangono inaccessibili ed inefficaci per le persone che di fatto stanno perdendo i propri averi. Quindi, anche quando gli investitori arrivano con le migliori intenzioni, ci sarà sempre per la popolazione locale il rischio di una espropriazione e, per gli investitori, di dispute legali. I piccoli agricoltori hanno sempre rappresentato la colonna portante dell’agricoltura africana e, quando ve ne era la possibilità, hanno saputo fronteggiare la concorrenza dei mercati globali.

In Ghana, per esempio, una cooperativa di 60 mila agricoltori di cacao hanno avviato da oltre 20 anni un proficuo business che li ha portati a possedere il 45% di una azienda britannica che produce e distribuisce cioccolato.
La domanda globale di cibo e beni agricoli crea quindi nuove opportunità per gli agricoltori africani: i regolamenti pubblici e le infrastrutture necessarie a supportare le loro attività, sono necessari oggi più che mai.
I fatti dimostrano inoltre come gli investimenti privati volti a migliorare la produttività o l’accesso al mercato possano essere strutturati in maniera da aiutare gli agricoltori locali.
Molte aziende si procurano i prodotti agricoli dagli agricoltori domestici, investendo inoltre su altre attività della stessa filiera produttiva in modo da assicurarsi le forniture necessarie e contemporaneamente migliorare il sostentamento locale.
In Mali e in Zambia alcune associazioni di agricoltori possiedono quote di aziende con le quali collaborano, le quali danno loro benefici monetari e uno stipendio maggiore.
Le cooperative o gli intermediari possono ridurre infatti i costi associati ad un grande numero di agricoltori ed i regolamenti pubblici svolgono un ruolo chiave nel promuovere modelli di investimento sostenibili.
La percezione che grandi insediamenti siano necessari affinché venga modernizzata l’agricoltura dei paesi più poveri, è dominante in molti circoli governativi: eppure i fatti dimostrano come queste percezioni siano errate.
Promuovere lo sviluppo agricolo africano ed indirizzare la sfida sulla sicurezza alimentare mondiale richiede quindi investimenti sugli agricoltori, più che sulle terre agricole.

Lorenzo Cotula è a capo del gruppo di ricerca “Land Rights Team” britannico, parte dell’International Institute for Environment and Development

L’articolo è stato pubblicato in inglese il 22 febbraio dalla BBC. L’autore ha autorizzato Tafter a pubblicarne la traduzione