Di certo le fashion-addict non se lo saranno lasciato sfuggire e probabilmente sapranno già di cosa sto parlando: il 28 febbraio si è concluso a Milano il consueto appuntamento annuale con la moda italiana e internazionale che ha portato sulle passerelle i trend femminili per la prossima stagione autunno-inverno. 7 giorni di full immersion in un programma ricchissimo caratterizzato da ben 73 sfilate di collezioni italiane e straniere e 53 presentazioni di brand di cui 17 accessibili solo su appuntamento. Ormai già da un paio di anni la manifestazione ha ab-bandonato i grandi locali della fiera per trasferirsi nel cuore del centro storico della città, riempiendo le sale di Palazzo Giureconsulti, di Palazzo Clerici e del circolo Filologico, ai quali si è aggiunta in questa edizione una tensostruttura allestita nella splendida Piazza D’Armi del Castello Sforzesco.

Questi luoghi diventano i poli di un network, il Fashion Hub, ideato e realizzato dalla Camera Nazionale della Moda Italiana (CNMI) che aveva come obiettivo quello di incentivare la partecipazione di cittadini, appassionati o di semplici curiosi, rendendo l’evento alla portata di tutti, anche grazie  a maxischermi posti in punti nevralgici della città e rendendo gli eventi disponibili on-line in steaming. Questa scelta ha anche favorito le piccole imprese del centro che durante la manifestazione vedono schizzare alle stelle i loro profitti, per non parlare poi della forza lavoro richiesta per l’insieme degli eventi che ammonterebbe a circa 70 mila persone e al fatturato in aumento (nel 2011 era stato di 63 miliardi di euro). Non sono certo numeri di poco conto.
Nell’ultimo anno sulle passerelle è emersa una linea d’ispirazione comune per molti stilisti, in alcuni casi palese, in altri più nascosta: l’arte. La relazione tra le arti visive e la moda caratte-rizza da sempre la storia della cultura e della società; i grandi dipinti del passato ci testimo-niano i trend, i vezzi e le abitudini fashion della popolazione dell’epoca. Per fare un esempio, penso al capolavoro del pittore fiammingo Jan van Eyck, “I coniugi Arnolfini”, in cui l’alto rango e la ricchezza dei due sposini è manifestata dagli abiti ornati di pelliccia e dagli accessori di pregiata fattura o alle dame quattrocentesche del Pollaiolo, con gli abiti fastosi di preziosi broccati e le ricche acconciature.

Oggi, per una maggior sensibilità della società occidentale per l’apparire o più probabilmente per questioni di giro d’affari, è la moda che si fa protagonista e che in modi diversi prende il ruolo una volta ricoperto da principi e pontefici, quello del mecenate. È il caso delle fondazioni create dalle case di grandi stilisti, come quelle di Prada e Trussardi che realizzano esposizioni d’interesse internazionale in collaborazione con musei e istituti di arte del XXI sec. o la fondazione Furla, che con il premio omonimo promuove e sostiene artisti e curatori italiani.
Non a caso le opere d’arte vengono considerate da molti beni di lusso, come certi capi d’alta moda, con la differenza che non sono sottoposti al mutare dei trend e che hanno un contenuto simbolico, un messaggio che le trascende. Ma è poi così vero? Il limite tra arte e moda si fa sempre più labile e già a partire dagli inizi del Novecento gli sconfinamenti sono notevoli: Coco Chanel collaborava negli anni venti con Picasso, Cocteau e Laurens o Elsa Schiapparelli con l’aiuto di Dalì crea cappelli a forma di scarpa e tessuti con l’immagine ripetuta di un’aragosta. Nel 1965 Yves Saint Laurent fu il primo stilista a dedicare esplicitamente una passerella ad un artista, Mondrian, al quale si è ispirato anche Angelo Ma-rani per la sua collezione primavera-estate 2012. Come non citare poi quello che è stato defi-nito uno stile Hard Deco, pensato da Frida Giannini per Gucci? O le creazioni ispirate al baroc-co napoletano e alle grafiche di capolavori di Donatello e del Mantegna del duo Aquilano e Raimondi, appena presentate a Milano?
Le donne che animano i quadri di Tamara de Lempicka sono catapultate sulle passerelle da Aigner, che opta per una femminilità forte e sobria, dalle linee rigide e tessuti fluidi. Come sostiene Germano Celant, l’arte e la moda sono “stimolatori di un modo di essere, corporale ed emotivo, quanto intellettuale e visuale”. Da questo versan-te di confronto, attrito e collaborazione possiamo solo aspettarci fuochi d’artificio.