Immagina che una bella mattina, esci di casa per andare al lavoro e per la solita strada, quella di cui conosci ogni angolo e semaforo, vedi un nuovo negozio, che ieri non c’era. Ti incuriosisci e appena ne hai la possibilità ed il tempo vai a dare un’occhiata.
Si vede subito un pannello in cui scorrono dei numeri; è un conto alla rovescia che indica la prossima chiusura dell’attività. Vedi un qualcosa che ti interessa, non sai se acquistarlo o no, sei indeciso. Intanto il tempo passa. Alla fine lo compri. Pensi che magari è l’ultima occasione che hai di farlo, che poi il negozio chiuderà, che sei stato fortunato a trovarlo ancora aperto. Si tratta di una vendita speciale! Questa è esattamente la logica di acquisto che sta alla base di un temporary shop.

L’idea del negozio a tempo è comparsa per la prima volta a New York, dove nel 2000 l’americano Russel Miller, esperto in pubbliche relazioni, dopo un viaggio di affari a Tokyo, crea il Vacant shop, uno store itinerante che propone merce di vario tipo (dai giocattoli alle scarpe) in quantità limitata e di brand affermati, utilizzando come unico strumento di comunicazione il passaparola. Si è ispirato alla cultura del consumo giapponese, caratterizzata dalla devozione per i prodotti rari e limitati, portata alla creazione di punti vendita che rimanevano aperti giusto il tempo di esaurire la merce, per riaprire a rifornimento avvenuto.
Il concept lentamente si diffonde prima in Gran Bretagna e da qui in tutta Europa: Germania, Francia, Svezia e con leggero ritardo anche in Italia, quando per la prima volta nel 2005 a Milano viene aperto per la durata di 12 giorni uno spazio dedicato a Lancôme per lanciare un nuovo prodotto estetico per la pelle. Previo appuntamento, si può provare la nuova crema miracolosa e avere la consulenza gratuita da una squadra di esperti di bellezza. Oggi il temporary shop, sia nella forma standard che in quella pop-up, cioè itinerante, è entrato a far parte delle strategie di comunicazione di grandi aziende, utilizzato per lanciare e testare nuovi prodotti, effettuare sondaggi di mercato, consolidare un brand, sperimentare un nuovo servizio o format, senza sobbarcarsi le spese ed il rischio dell’avviamento di un negozio e con costi inferiori rispetto ad una campagna pubblicitaria classica. Il tempo è l’elemento chiave dell’operazione: la durata può variare da un giorno ad un paio di mesi, con una media di circa 30-40 giorni. Secondo i sociologi, questa formula funziona per il fatto che gioca su tre elementi: l’atmosfera del punto vendita, il brand con i valori di cui si fa portatore e soprattutto l’idea di evento, che in quanto unico ed esclusivo punta sull’irripetibilità, sulla creatività e sulla spettacolarizzazione. Da un lato è vantaggioso per le imprese, aiutate ad affrontare l’attuale momento di crisi del mercato e dall’altro è la risposta a  profonde tendenze culturali che caratterizzano la nostra società, in cui il comprare diventa un’azione di accettazione sociale all’interno di un contesto “liquido”, come direbbe Z. Bauman, transitorio, mutevole e fluido.

Accanto a brand internazionali come Barilla, Max Mara, Fiat ecc.. che ormai non rinunciano ad utilizzare questa nuova e fruttuosa modalità di marketing, si trovano anche realtà più piccole e non meno creative. È il caso della stilista milanese Valeria Ferlini e delle sue sei Ape Piaggio itineranti per l’Italia, appositamente modificate per ospitare addirittura un camerino, e dalle quali vende le sue creazioni. C’è chi ne ha aperto uno in un museo: si tratta di Louis Vuitton che nel Brooklyn Museum (NY) in occasione della retrospettiva dedicata a Takashi Murakami, ha messo in vendita 100 tele in edizione limitata con il Monogramouflage, pattern creato dall’artista in collaborazione con la casa di moda. Anche i ristoranti hanno adottato una forma temporary! Uno dei più spettacolari si trova a Parigi, sul tetto del Palais de Tokyo all’interno di un parallelepipedo di vetro e metallo, nel quale ogni sera è preparata una cena per 12 persone da tutto il mondo, prenotatisi con mesi di anticipo su internet. Nel primo pop-up restaurant milanese la buona cucina italiana si affianca alla possibilità di mettersi comodi e di fare qualche livello al proprio videogioco Nintendo preferito. E non è finita qui! Si parla inoltre di utilizzare questa formula per la charity e la diffusione della cultura, e sono già comparsi i primi esperimenti concreti come il The Oxfam Curiosity shop, negozio a tempo londinese che vende abiti ed oggetti regalati da personaggi famosi, il cui ricavato va all’associazione Oxfam International. Insomma il temporary shop è una soluzione che soddisfa e convince, è flessibile, creativo e multiforme e la sua evoluzione è appena cominciata.