All’origine l’obiettivo era quello di salvare i templi di Abu Simbel in Egitto, edifici risalenti all’epoca faraonica che rischiavano di scomparire per sempre a causa di un’inondazione. Era il 1959 e da questa vicenda in cui i diversi paesi internazionali scesero in campo per la prima volta al fine di collaborare per difendere un pezzo di storia e di patrimonio culturale, ha avuto origine l’istituzione transnazionale che avrebbe preso il nome di Unesco.

Creata con lo scopo di tutelare il patrimonio culturale, artistico e ambientale seriamente minacciato dall’incuria, guerre e fattori naturali, ben presto divenne un punto di riferimento per il mondo intero grazie anche alla stesura e all’approvazione di una “Convenzione per la tutela del patrimonio culturale e naturale” nel 1972, ratificata dai diversi stati mondiali che hanno candidato un sito entro i propri confini (tale convenzione in Italia è divenuta operativa con la legge n 184 del 1977). All’interno di questo trattato sono stati infatti stabiliti anche i criteri che costituiscono i requisiti fondamentali per poter presentare la candidatura di un determinato sito culturale o naturalistico a patrimonio mondiale dell’umanità. All’inizio i requisiti erano solo sei in ambito culturale e quattro nel settore naturalistico, mentre dal 2005 esiste un elenco unico e generale che racchiude dieci punti comuni. Il primo principio cardine per avanzare una candidatura è che il sito deve presentare valori di unicità, universalità e insostituibilità. Questo è l’elenco dei dieci criteri comuni di selezione dei siti che presentano la candidatura:

• Rappresentare un capolavoro del genio creativo umano;

• Esercitare un’influenza notevole per un determinato periodo storico o in campo culturale, per quanto riguarda lo sviluppo architettonico, tecnologico, artistico e paesaggistico;

• Testimoniare una rara tradizione di una cultura o di una civiltà ancora esistenti o scomparse;

• Essere un esempio eminente di un tipo di costruzioni, di architettura o tecnologia significativa per un determinato momento della storia umana;

• Essere un esempio di stanziamento antropico, di terra o di mare, rappresentativo di una cultura o dell’interazione dell’uomo con l’ambiente soprattutto per tutte quelle realtà che divengono vulnerabili per effetto di mutazioni irreversibili;

• Essere direttamente riconducibili ad avvenimenti legati ad idee, opere letterarie o artistiche, credenze religiose oppure racchiudere in sé un significato universale collegabile ai punti precedenti;

• Contenere all’interno del proprio paesaggio e ambiente fenomeni naturali e panorami di eccezionale bellezza;

• Rappresentare il cambiamento del nostro pianeta, i mutamenti, le evoluzioni della crosta terrestre e lo scorrere delle ere geologiche;

• Costituire un esempio dell’evoluzione della vita biologica e dello sviluppo dell’ecosistema terrestre e marino, della nascita della specie animale e vegetale

• Contenere al proprio interno un habitat naturale preservato dove sopravvive una variegata biodiversità e di specie biologiche, comprese quelle contenenti specie minacciate di eccezionale valore dal punto di vista scientifico;

Un insieme di valori validi sia per il patrimonio artistico ed archeologico che per quello naturale e ambientale che è rimasto quindi immutato dalla ratifica della convenzione negli anni settanta. Rimanendo dunque fedele al suo obiettivo originario che era quello di preservare il patrimonio culturale, la lista dei requisiti è stata completata solo per comprendere il patrimonio ambientale.

Nella convezione viene, inoltre, sottolineata l’importanza di selezionare questi luoghi al fine di mantenere il legame dell’uomo con il proprio passato, la propria storia e l’ambiente che lo circonda.

Ad oggi tuttavia è necessario forse chiedersi se i valori e i criteri del secolo scorso siano ancora validi o esaustivi per delineare questa lista di beni preziosi. Se lo scopo è quello di non perdere il legame con il nostro passato come si potrà trasmettere alle generazioni di domani lo sviluppo di una società sempre più incentrata e basata sul mondo 2.0 e sulle nuove tecnologie? La questione è stata affrontata per la prima volta già nel 2003, quando è stata ratificata la convenzione del’Unesco per i beni immateriali, all’interno della quale viene riconosciuto il know-how e la conoscenza come patrimonio inestimabile da tramandare. Ad essa, tuttavia, non è seguita una lista universale a livello internazionale di requisiti oggettivi e, secondo quanto recita la convenzione, ogni Stato indipendentemente può inviare un proprio elenco di “conoscenze, consuetudini e tradizioni” che vuole iscrivere nella lista. Tra questi forse alcuni si ricorderanno che un paio d’anni fa fece discutere la promozione tra i beni immateriali della dieta mediterranea. Un esempio di come in questo caso stabilire dei criteri universali e oggettivi sia più complicato rispetto alla classificazione dei classici monumenti ed ecosistemi ambientali. Per quanto attiene il patrimonio immateriale entra in gioco infatti il fattore soggettivo che porta ogni stato a considerare il proprio sapere indispensabile e significativo da trasmettere alle generazioni future: ognuno considera il proprio patrimonio di conoscenze e tradizioni inestimabile.

È questo forse il punto di partenza da chiarire: cosa si intende per patrimonio immateriale e quali sono realmente le tradizioni necessarie che si devono trasmettere alle nuove generazioni? Con quale forma di passato si vorranno realmente confrontare i nostri figli e quale passato vorranno preservare? Una riflessione in tal senso oggi potrebbe portare ad una selezione e ad una valutazione a priori, affinché non tutto venga considerato in maniera indistinta qualcosa da salvaguardare e venga invece mantenuto quel concetto di unicità e valore di una determinata consuetudine e conoscenza, fondamentale per ascrivere un bene nella lista Unesco.