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Sembra lontana anni luce l’intervista che il grande sociologo americano Richard Florida, padre della nozione di “classe creativa”, aveva rilasciato al quotidiano “Il Sole 24 Ore” nell’aprile del 2009, agli albori della crisi. Da buon pioniere, Florida sosteneva che la crisi avrebbe devastato il mondo intero per un periodo di tempo molto lungo (addirittura venti o trent’anni), ma avrebbe comportato anche una sorta di “reset” culturale, portando al comando una nuova classe sociale, quella dei creativi appunto, ovvero persone che danno valore alle idee e le utilizzano per cambiare, o addirittura rivoluzionare i modi di comunicare, lavorare e produrre, sfruttando connessioni tra mondi apparentemente distanti tra loro, come quello culturale e scientifico. Non è un caso che Florida abbia scelto il termine “reset”: ogni crisi va letta non solo per il suo evidente carattere negativo, ma anche per la sua capacità di fare tabula rasa, dando modo di ripartire grazie alla creatività e alla sua forza di ribellione.
Se guardiamo al periodo trascorso tra quella intervista e il presente, possiamo dire che Florida sia stato un ottimo profeta: lo dimostra il boom di start-up e di idee imprenditoriali maturate dalla mente di giovanissimi ragazzi (spesso sotto i 30 anni) nel corso degli ultimi due – tre anni. Chissà se ad alimentare questo processo sia stata la bella “favola” di Zuckenberg o semplicemente un riscatto socio – culturale da parte di una classe, quella dei giovani appunto, che si ritrova ad affrontare una situazione insostenibile per via dei capricci e dei pasticci della generazione più anziana. L’unica strada praticabile per sopravvivere è quella di crearsi da sé il lavoro. Ed è qui che interviene il “fenomeno start-up”.
È sotto gli occhi di tutti che la nostra epoca sta vivendo un cambiamento, forse ancora non rivoluzionario, ma comunque molto importante. Di fronte alla crisi si sta riscoprendo l’enorme valore e potenziale che può offrire ogni territorio, non solo a livello di prodotti e realtà presenti, ma anche di valorizzazione dei singoli. Dal globale al locale… Anzi, per usare un termine molto caro a Bauman, “glocale”, per indicare che l’ottica globalizzante dipende sempre di più dai contesti locali e territoriali. Anche Florida ragionava in questo senso e lo ha dimostrato con la sua famosa teoria delle “tre T”, secondo cui lo sviluppo e la crescita di una regione dipendono da tre fattori fondamentali, che non solo devono essere sempre presenti, ma devono, in un certo senso, interconnettersi per garantire risultati soddisfacenti: Talento, ossia la capacità delle comunità locali di attrarre e trattenere le menti migliori; Tecnologia, intesa non solo come insieme di innovazioni, ma anche come capacità di trasferire idee, competenze e conoscenze in prodotti vendibili sul mercato; Tolleranza, ovvero l’apertura della società verso le cosiddette diversità culturali (immigrati, omosessuali, minoranze etniche, etc.). Sembra che quest’ultimo fattore sia, in assoluto, il più importante dei tre, perché garantisce la formazione di un sistema sociale aperto in cui queste minoranze, con le loro idee e il loro bagaglio di conoscenze e competenze, riescono a trovare uno spazio di discussione molto ampio. Lo stesso Florida ha elaborato indici di misurazione del grado di tolleranza per valutare il livello di crescita delle principali metropoli americane. Risultato? Le zone più aperte mentalmente alle diversità culturali e sessuali hanno riscontrato, nel corso degli anni, un tasso di crescita molto più elevato rispetto alle località poco tolleranti. Questo perché le persone possono esprimere con maggiore facilità e senza pregiudizi le proprie idee, vedendole spesso realizzate in progetti concreti.
L’affascinante teoria di Florida è fondamentale e dovrebbe essere presa come modello per dare vita a un serio e radicale processo di cambiamento socio – culturale nel nostro Paese. Ma da sola non basta: è necessario integrarla con un’ulteriore teoria, quella delle “tre C”, elaborata dal Professore Maurizio Carta sulla scia di quella dello studioso americano. Secondo lui, i fattori che influiscono maggiormente nella formazione delle città creative sono: Cultura, intesa come identità del luogo e insieme di elementi storico – artistici; Comunicazione, ovvero la capacità di favorire la trasmissione di informazioni verso i cittadini e garantire una tutela dal degrado attraverso le tecnologie; Cooperazione, da intendere come collaborazione tra gruppi sociali differenti e, anche in questo caso, accettazione delle “diversità”.
Florida e Carta insegnano che la soluzione alla crisi è davanti ai nostri occhi: se il nostro territorio riesce a valorizzare e gestire l’insieme dei fattori che sono stati elaborati dai due studiosi, la crescita della società sarà non solo forte, ma addirittura automatica. Basta mettere al centro delle politiche locali e nazionali questi elementi… In molti paesi europei questa strada è seguita da tempo, soprattutto nelle zone più settentrionali del continente (paesi scandinavi in primis). In Italia, si comincia a muovere qualche primo passo verso la crescita e la valorizzazione dei territori. Ma bisogna sempre fare molta attenzione… Si possono investire tutti i fondi e i milioni che si vuole nello sviluppo delle realtà culturali del nostro Paese, ma se alla base manca la somma delle 3 T e delle 3 C, difficilmente si potranno ottenere dei risultati incoraggianti e pensare ad uno sviluppo sostenibile nell’immediato futuro. La strada da seguire può essere solo questa e non è mai troppo tardi per iniziare a percorrerla.