mibactUn’annotazione giornalistica preliminare, che sottoponiamo all’attenzione della comunità dei lettori di “Tafter”. Questa mattina (martedì 5 novembre), si tenevano a Roma in contemporanea 4 eventi, tutti di un qualche interesse per gli appassionati di cultura e gli operatori del settore: il convegno intitolato “Pubblico-privato. Patto per la cultura”, promosso da Civita nella fantastica sede di Piazza Venezia; la “Conferenza Nazionale sul Cinema”, presso il Centro Sperimentale di Cinematografia (e su questo evento, abbiamo manifestato il nostro dissenso metodologico sulle colonne di “Tafter”); l’incontro “Dialogando intorno ai beni, alle attività culturali e il turismo”, promosso dalla Direzione Generale per gli Archivi (retta ad interim da Rossana Rummo), presso il Collegio Romano; e, infine, presso la stessa storica sede del dicastero, la presentazione dei risultati della commissione di studio istituita dal Ministro Bray per la riforma del Ministero.

Seguire tutti gli eventi avrebbe implicato la disponibilità di uno stuolo di inviati, il mitico dono dell’ubiquità o comunque una capacità di teletrasporto di cui il modesto cronista che redige queste noterelle non dispone. Abbiamo quindi deciso di concentrarci sull’incontro che, almeno sulla carta, si annunciava essere l’iniziativa “strategica” più rilevante: la presentazione dei risultati della commissione di studio per la riforma del Ministero. Anche se crediamo che l’agenda odierna debba stimolare una riflessione su ricchezza e dispersioni, tipiche del nostro Paese e sintomatiche di alcune dinamiche: beltà del pluralismo e del policentrismo, oppure spreco di risorse e di intelligenze?!

Anzitutto, un’annotazione su stili di comunicazione del Ministero: il collega Luca Del Frà, eccellente firma de “l’Unità”, ha pubblicato uno “scoop”, e nell’edizione odierna del quotidiano ha anticipato il documento, che è stato illustrato oggi al Collegio Romano, ma che non è stato distribuito ai partecipanti all’incontro né ai giornalisti. La portavoce del Ministro, Caterina Perniconi, ha sostenuto che lei stessa non disponeva del documento, e già questo la dice lunga (sulle capacità di Del Frà, raro caso italico di appassionato giornalista specializzato – come Paolo Conti del “Corriere della Sera” – in politica culturale; sulla vocazione alla trasparenza del Ministero, anche se vogliamo sperare che quanto prima il segreto documento venga pubblicato sul sito web del Mibac)…

Si tratterebbe di una novantina di pagine (ma con molte centinaia di pagine nei suoi 4 “allegati”), frutto di 8 riunioni e di ben 29 audizioni sviluppatesi nel corso dei due mesi. L’elenco dell’eletta schiera degli auditi non è ancora noto, nemmeno questo.

La Commissione, istituita poco prima di Ferragosto (per l’esattezza, il 12 agosto), formata da oltre trenta persone, è stata presieduta da Marco D’Alberti (ordinario di diritto amministrativo presso l’Università di Roma “Sapienza”), che ha illustrato con chiarezza e piacevolmente il complesso lavoro della Commissione. Commissione che conclude la propria missione oggi, sciogliendosi ed affidando le sue proposte al Ministro.

La Commissione – si leggeva nel comunicato relativo alla sua istituzione – ha avuto “il compito di definire le metodologie più appropriate per armonizzare la tutela, la promozione della cultura e lo sviluppo del turismo, identificando le linee di modernizzazione del Ministero e di tutti gli enti vigilati, con riguardo alle competenze, all’articolazione delle strutture centrali e periferiche e alla innovazione delle procedure”.

Alla destra del professor D’Alberti, il Ministro Massimo Bray, alla sua sinistra Tomaso Montanari, storico dell’arte (professore associato dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”) prestato alla politica culturale, e noto anche per le sue polemiche contro Renzi per la chiusura, per una serata, di Ponte Vecchio, affittato alla Ferrari. Alla loro destra, altri tre componenti in rappresentanza della Commissione: Roberto Baratta (Presidente della Fondazione “La Biennale” di Venezia), Lorenzo Casini (professore di diritto amministrativo alla “Sapienza”) e Francesco Scoppola (Direttore regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Umbria).

D’Alberti ha anzitutto rivendicato come la scadenza temporale imposta dal Ministro (fine ottobre) sia stata scrupolosamente mantenuta. Ha voluto enfatizzare che la Commissione ha registrato una diffusa buona qualità del personale interno del dicastero (anzi ha parlato di “altissime professionalità”), sia a livello centrale sia a livello periferico, ed ha tenuto a rimarcare che sono stati ascoltati anche i rappresentanti del coordinamento dei precari. Uno degli obiettivi della Commissione è stata l’elaborazione di proposte per rilanciare la “valorizzazione” del patrimonio culturale, intesa “non come mercificazione”, ma come stimolazione di un “patrimonio più conoscibile e fruibile”.

La Commissione ha osservato sovrapposizione di competenze e quindi l’esigenza di una razionalizzazione della struttura del dicastero: in sostanza, si assegnerebbe alle direzioni regionali (da ridurre da 17 a 14, e quindi cambiando la denominazione da “regionali” a “territoriali”) un ruolo prevalente di gestione economico-amministrativa, rilanciando invece le funzioni scientifiche delle soprintendenze, ed assegnando autonomia gestionale ad istituti e musei (“almeno ai più grandi” è stato subito precisato; i musei verrebbero peraltro sganciati dalla direzione del patrimonio del Ministero).

Per quanto riguarda la riduzione delle direzioni generali, si ipotizza anzitutto la creazione di una nuova direzione del Patrimonio e del Paesaggio che assorbirebbe le funzioni svolte dall’attuale direzione per la Valorizzazione, voluta dal governo Berlusconi nel 2009.

Si ipotizza quindi una riorganizzazione strutturale basata su due o forse tre “direzioni centrali” ovvero generali: una direzione per l’innovazione ed i sistemi informativi (con particolare attenzione alla digitalizzazione del patrimonio), una per il personale (con particolare attenzione alla formazione), una per il bilancio (con particolare cura a processi contrattuali centralizzati). Ci sarebbero poi una direzione per il patrimonio culturale (una dg soltanto, rispetto alle due attuali), una per gli istituti culturali (biblioteche, archivi, musei), una per lo spettacolo (accorpando quindi cinema e spettacolo dal vivo), una per il turismo (“forse due”, è stato precisato), ed infine una direzione generale di staff del Ministro (che curerebbe anche la pianificazione). In particolare, per la direzione generale bilancio e contratti, si guarderebbe al modello della Banca d’Italia, che ha esperienza nella gestione centralizzata degli appalti.

Secondo le previsioni della “spending review”, le direzioni generali del Mibac debbono comunque scendere da 29 a 24: quindi si avrebbero 10 direzioni generali e 14 direzioni territoriali.

In dubbio il futuro del Segretariato Generale: la Dg del Segretariato resterebbe o potrebbe, in alternativa, essere sostituita da un comitato composto da tutti i direttori generali (in questo caso le direzioni generali sarebbero 9 e quelle regionali 15). Si ricorda che la legge 135/2012, cosiddetta “spending review”, all’art. 2, prevede nei ministeri nuovi organici di posti dirigenziali ridotti del 20 per cento.

La delicata questione del rapporto tra “pubblico” e “privato” è stata liquidata con alcune pillole di saggezza: al pubblico, la direzione scientifica e tecnica, ed al privato l’organizzazione e la gestione, ma comunque sempre subordinata alla supervisione del pubblico. Così sintetizzato, sembra quasi uno slogan ad effetto, un po’ semplicistico in verità, ma dalla presentazione odierna è emersa una rinnovata vocazione alla primazia (culturale e politica) della mano pubblica, con buona pace dei neo-liberisti. Il concetto è stato ribadito da Montanari (in sintonia con le tesi che espone su “il Fatto Quotidiano” e che ha ben rappresentato nel suo pamphlet “Le pietre e il popolo”, pubblicato da Minimum Fax): il Ministero ed in generale le politiche per la cultura debbono essere interpretate come “destinate alle persone e non alle cose”, come “diritti delle persone e non diritti delle cose”. Esiste un diritto dei cittadini-persone alla miglior fruizione delle cose culturali: lo Stato deve pensare prima alle persone, e poi alle cose (anche se, anche qui, il rischio di ricetta semplicistica c’è: le se le cose vanno in vacca, cioè il patrimonio deperisce per incuria, resta poi poco da dedicare alle persone…).

Lo spettro della “spending review” è stato evocato più volte, ma si è anche teorizzato di belle riforme “a costo zero”, ovvero a bilancio invariato, così come di interventi che non richiedono modificazioni dell’assetto normativo: per esempio, prevedendo delle corsie preferenziali (nello slang del diritto amministrativo, si chiamano “laboratori protetti”) nell’assegnazione di appalti, a favore di cooperative di giovani, storici dell’arte ed archeologi ed altri ricercatori (Montanari ha posto enfasi sulle cosiddette “cooperative della conoscenza”). La complessificazione e lentezza degli appalti dovrebbe essere risolta attraverso una centralizzazione in una soltanto “stazione appaltante” e centrale d’acquisti, a livello nazionale. Montanari, che è apparso come una neo-star di queste dinamiche (con la benedizione del Ministro evidentemente), una sorta di polemista anti-Sgarbi, ha addirittura scomodato Leon Battista Alberti, sostenendo che la relazione conclusiva della Commissione è, come per “la rappresentazione pittorica”, “una finestra sulla realtà”, ma il risultato finale è assimilabile, per profondità descrittiva, ad un’opera di Caravaggio (crepi la modestia!). Belle citazioni a parte, e retorica d’autocompiacimento a parte (sul web, molti hanno criticato che un cervello indipendente ed eterodosso come il suo si sia lasciato sedurre dall’invito ministeriale ed abbia accettato la cooptazione nella Commissione), Montanari ha anche sostenuto che il sistema italiano delle mostre deve essere affidato all’intelligenza ed alla scienza, e non alle scelte marketing-oriented dei privati: i sovrintendenti debbono essere “ricercatori e non amministratori”, così come i musei debbono essere “laboratori vivi per la ricerca”.

Tra le altre proposte, è stata evidenziata anche la possibile istituzione di una Scuola del Patrimonio, sul modello dell’Ecole du Patrimoine francese. Un’idea, questa, che sembra entusiasmare il ministro, ma che richiederebbe, a differenza delle altre proposte, una legge specifica.

Il Ministro Bray ha manifestato “sentitissimi ringraziamenti” alla Commissione, sostenendo che farà tesoro delle sue proposte. Ha anche lui voluto enfatizzare la qualità del personale del dicastero (questa enfasi può apparire come “captatio benevolentiae”: che si nasconda dietro un qualche perverso disegno, e si tratti di blandizie per imminenti tagli all’organico?! à la Andreotti, a pensar male si commette peccato, ma spesso si finisce per aver ragione…), ed ha sostenuto che lo “straordinario lavoro” delle sovrintendenze “ha salvato il Paese e le sue bellezze”. Sia consentito osservare che molte bellezze non sono state esattamente salvate, nel corso dei decenni. Ha ricordato che il Ministero “non ha nemmeno le risorse per conservare, altro che valorizzare!”. Ha sorriso amaramente – con la grazia che lo caratterizza, nel suo “understatement” molto “british” – nel ricordare che “la cifra che destiniamo alla formazione professionale è di 1 euro l’anno per dipendente”. Penoso e tragico ed intollerabile, ne conveniamo, egregio Ministro, ma non ha aggiunto… “e quindi, per coerenza, mi dimetto”, come avverrebbe in un Paese normale (quale il nostro continua a non essere).

L’intervento di Paolo Baratta è stato lungo e così generico da aver prodotto in noi un quesito che spesso emerge negli italici convegni (ma cosa diavolo avrà voluto dire?!): comunque interessante la sua riflessione sul ritardo con cui l’Italia (non) “ammoderna” il proprio apparato, se è vero che l’ultima riforma della pubblica amministrazione italiana risale a vent’anni fa. Minori anche gli interventi degli altri due rappresentanti della Commissione (Scoppola e Casini), così come quello della Segretaria Generale Antonia Pasqua Recchia, che brilla sempre per la sua pacata vocazione alla più estrema moderazione.

A fine conferenza, l’alacre Del Frà ha posto un quesito assolutamente normale (vedi supra) se vivessimo in Francia o nel Regno Unito: sarà possibile accedere alla documentazione di lavoro della Commissione e leggere la trascrizione delle audizioni?! Un qual certo imbarazzo della Segretaria Generale, e risposta elegante di D’Alberti: “io ho richiesto che tutte le audizioni venissero registrate, ed ho chiesto a tutti gli auditi se v’erano impedimenti in tal senso, e quindi non dovrebbero esservi problemi, ma la decisione spetta al Ministro…”.

Per ora, il Mibac ha diramato uno scarno comunicato stampa, la gentile portavoce ha annunciato la disponibilità di una sintesi ancora non pubblicata, e le ottantotto “misteriose” pagine del rapporto di ricerca restano chiuse ben a chiave nei cassetti ministeriali. Una ragione – evidentemente – ci sarà: il Ministro ed i suoi consulenti temono forse che si scatenino i sindacati, leggendo il rapporto di ricerca?! Appena possibile, torneremo a scriverne su queste colonne, non appena il risultato della Commissione diverrà di pubblico dominio (stima e simpatia a parte, non ci va di chiedere “una cortesia” a Del Frà).

Impressione conclusiva sintetica: molte belle intenzioni, alcune un po’ generiche, altre quasi rivoluzionarie. Vediamo come il Ministro le tradurrà in atti concreti. La riforma del Ministero, di cui la conferenza stampa di oggi appare come un antipasto, dovrebbe essere portata a termine entro fine dicembre 2013, come previsto dalla succitata legge 135 (di “spending review” appunto).

 

 

 

Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult