unar13È stato presentato ieri mattina a Roma, al Teatro Orione sull’Appia, il volume “Immigrazione. Dossier Statistico 2013”, titolo che si accompagna in copertina, sempre a caratteri cubitali, a “Rapporto Unar. Dalle discriminazioni ai diritti”, realizzato dall’Idos (acronimo che sta per Immigrazione Dossier Statistico) su committenza giustappunto Unar. L’Unar opera nell’ambito del Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Si tratta del primo annuario pubblicato in Italia per la raccolta di dati socio-statistici sui temi dell’immigrazione.

Per chi non conosce l’opera, si tratta di un corposo tomo di poco meno di 500 pagine, che, ormai a cadenza annuale, da oltre un ventennio (fino al 2003 curato dalla Caritas di Roma e poi dal Centro Studi Idos), propone un’interessante analisi, soprattutto quantitativa, della situazione dell’immigrazione in Italia, con molte tabelle e capitoli che affrontano le tematiche migratorie da diverse prospettive: statistiche, economiche, politiche, giuridiche.

Quel che qui vogliamo segnalare (denunciare?!) è che nel tomo, certamente prezioso, non c’è una pagina una dedicata alla cultura, allo spettacolo, alle arti, ai media: eppure i 5,2 milioni di cittadini stranieri regolarmente presenti a fine 2012 sul territorio italiano non sono – si ha ragione di ritenere – soltanto lavoratori e consumatori di beni materiali, ma anche fruitori e finanche autori di cultura. L’incidenza degli stranieri sulla popolazione residente è del 7,4 % del totale nazionale. Gli stranieri iscritti nelle scuole italiani sono poco meno di 800mila, e corrispondono al 9% della popolazione studentesca. I neonati stranieri hanno rappresentato nel 2012 il 15% di tutte le nascita in Italia. Le due comunità più rilevanti in termini quantitativi sono i cittadini del Marocco e dell’Albania, le cui comunità sono formate entrambe da circa 500mila persone; seguono i cinesi, con 300mila, ed è sopra la soglia dei 200mila l’Ucraina.

Il rapporto Idos è uno strumento certamente prezioso, e, in qualche modo, evoca l’ormai mitico rapporto annuale del Censis sulla situazione del Paese (giunto nel 2012 alla 46ª edizione): è indiscutibilmente un testo di riferimento, per chi si interessa di politiche sociali e specificamente di migrazioni. Se si vuole trovare un qualche deficit, va cercato nell’impostazione complessiva (non particolarmente critica, anzi un po’ asettica) e forse nella eccessiva parcellizzazione delle tematiche (75 capitoli!): insomma, sembra mancare una lettura critica sintetica. Una pecca anche nell’impaginazione, troppo classica, con un’architettura grafica che non invita alla lettura: non viene proposto nemmeno un grafico o una visualizzazione. Conferma di questo approccio eccessivamente tradizionale – nella rappresentazione dei dati – s’è registrata anche durante la presentazione del rapporto: la relazione di Pittau non è stata accompagnata da alcuna slide. E, per quanto accurato l’eloquio del “rapporteur”, un rapporto scientifico ha anche necessità di “rappresentazioni” visive sintetiche, e forse anche un po’ d’effetto… Questa mancanza non è compensata da un breve video curato dalla Rai, che ha cercato di estrapolare un set di dati dal rapporto, sullo sfondo di immagini di repertorio (il video sarà online su YouTube da oggi).

Al di là di questi aspetti “coreografici”, perché la presentazione e l’impostazione del volume ci preoccupa?!

Perché in tutti gli interventi, durante le tre ore di presentazione del rapporto, non abbiamo ascoltato alcuna riflessione sulla funzione della cultura come strumento di integrazione sociale, anzi di “interazione sociale” (come si usa ormai nello slang specifico della sociologia delle migrazioni). Eppure, sono proprio i media e la cultura gli strumenti che possono stimolare (o non stimolare) la coesione sociale, e la promozione di visioni plurali della realtà, che combattano esclusione e discriminazione.

Indiscutibilmente i relatori erano tutti di gran qualità e della massima rappresentatività istituzionale: dal Presidente dell’Idos Franco Pittau alla giornalista di Radio Vaticana Maria Dulce Araújo èvora, dalla Capo Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio Ermenegilda Siniscalchi, dal Direttore Generale dell’Unar (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) Marco De Giorgi alla Vice Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali (con delega alle Pari Opportunità) senatrice Maria Cecilia Guerra, per arrivare alla onorevole Ministro per l’Integrazione Cécile Kashetu Kyenge.

Non una parola una dedicata alla cultura.
Va lamentato che non esiste una ricerca sulla fruizione culturale e mediale degli stranieri che vivono in Italia.

Va ricordato che pure esistono testate a stampa in lingua straniera edite in Italia, esistono emittenti radiofoniche e televisive locali che offrono trasmissioni per gli stranieri, esistono scrittori ed anche gruppi artistici – soprattutto in ambito musicale – che si impegnano a fare della cultura uno strumento di condivisione di valori, di integrazione, di coesione, di lotta al disagio, di difesa delle pluralità (ideologiche, religiose, etniche…).

Un esempio ormai divenuto famoso a livello nazionale è l’Orchestra di Piazza Vittorio, ma sono attive in Italia decine e decine di gruppi musicali multietnici, rispetto ai quali non esiste alcuna letteratura scientifica e l’attenzione dei riflettori mediali è quasi inesistente.

Come se la dimensione culturale degli immigrati fosse una variabile minore, marginale, e non invece centrale…

Quel che sembra emergere (confermata anche dall’affollato convegno di presentazione del rapporto Idos) è una sorta di “deriva economicista” del senso dello Stato: tutti gli intervenienti hanno posto l’accento su quanto gli immigrati contribuiscano ormai all’economia nazionale, come produttori di reddito, come imprenditori, come consumatori. Come se questa variabile fosse essa a poter rafforzare (ri-legittimare eticamente?!) il senso dell’intervento pubblico nel settore. Gli immigrati contribuiscono alla ricchezza economica del Paese: “quindi” sono degni di adeguata attenzione.

Diversi intervenienti hanno richiamato la stima Idos secondo la quale il “bilancio costi/benefici per le casse statali” (inteso come delta tra la spesa pubblica per l’immigrazione, da una parte, ed i contributi e le tasse pagate dagli immigrati dall’altra) avrebbe registrato un risultato positivo di ben 1,4 miliardi di euro nel 2012: insomma, rimesse all’estero a parte, gli immigrati contribuiscono anche alla ricchezza degli italiani non stranieri…

Il fenomeno (cioè questa “interpretazione”) mostra inquietanti punti di contatto con il dibattito italiano sulle politiche pubbliche a favore della cultura: ogni tanto, emerge la ricerca alfa o lo studio beta che “contano”, “misurano”, “quantificano” l’economia della cultura: fatturato, addetti, imprese, indotto, moltiplicatori e compagnia cantando… Spesso si tratta di numeri in libertà, stime simpaticamente nasometriche, ma i giornali e gli altri media se le bevono (senza scrupolo), e talvolta anche quotidiani nazionali titolano a piena pagina dati e statistiche (che non sono validate, ma che fanno effetto)! Come dire?! L’economico conta più del semiotico: non ci si sofferma sul “senso” della cultura, ma sulla sua funzione economica.

Sembra venir meno il senso profondamente civile (costituzionale, ci sia consentito) dell’intervento pubblico (e le politiche a favore della cultura non sono differenti, in questo, rispetto alle politiche sociali): se il “settore” di riferimento “pesa” economicamente, allora sembra che cresca il senso del ruolo dello Stato!

Il rapporto viene distribuito gratuitamente a chi lo richiede (www.dossierimmigrazione.it). Essendo finanziato con danari dello Stato, ci sembra una bella decisione: non sempre accade in Italia (si ricorderà peraltro che un articolo del famoso decreto, poi divenuto legge, cosiddetto “Valore cultura” prevede proprio un obbligo a rendere gratuitamente disponibili le ricerche finanziate con danari pubblici).

Da segnalare, per la cronaca, che il rapporto Idos è giunto alla 23ª edizione, ma di fatto sembra trattarsi di una edizione… n° 1. Nato in effetti in ambito confessionale, essendo stato promosso dalla Caritas e dalla Fondazione Migrantes della Conferenza Episcopale Italiana, ma comunque caratterizzato per una bella autonomia ideologica, nel 2013 si è incrinato il rapporto fiduciario tra la Caritas-Migrantes e l’Idos. Nuovo inedito committente è giustappunto l’Unar. A fine maggio 2013, l’Idos (che pure ha sede presso il palazzo che ospita alcuni uffici della Cei), diramava un laconico comunicato stampa: “dobbiamo dirvi con rammarico che, a livello nazionale, non è stato raggiunto un accordo per poter continuare la collaborazione con Caritas e Migrantes”. Di criticità di finanziamento trattasi, sembra leggersi tra le righe.

Il Presidente di Idos Pittau ha liquidato – con grazia – questo passaggio di consegne tra committenti/finanziatori (non avvenuto forse in modo proprio sereno) ricordando un auspicio di don Luigi Di Liegro (fondatore della Caritas Diocesana di Roma), il quale pare teorizzasse che non importa lo status del proponente di una bella idea (privato o pubblico, confessionale o aconfessionale che sia), ma quel che conta è che le buone progettualità vengano sviluppate… Meglio ancora se dallo Stato, che la collettività tutta deve (dovrebbe) rappresentare e tutelare. Verrebbe da commentare, con ecumenica benedizione: “tutto è bene, quel che finisce bene”. E quindi la comunità scientifica è ben lieta che il rapporto sopravviva ai travagli tra finanziatori. Anche se Pittau, ieri mattina, ha fatto comprendere a chiare lettere, con bonomia, che il contratto per l’edizione 2014 l’Unar non l’ha ancora perfezionato.

Non riteniamo che, nel passaggio di committenza, dalla Fondazione Migrantes della Cei all’Unar dell’italico Stato, ci sia stato un salto di qualità: il rapporto era e resta uno strumento di conoscenza importante. Spiace osservare che nell’edizione 2013 non vi sia più quella pur minima attenzione che c’era nel rapporto 2012, che dedicava pagine interessanti alle testate radiotelevisive di immigrati, intitolando efficacemente “Comunicare il diverso”.

Come utilizzano internet gli stranieri che vivono in Italia?!
Che impressione hanno di come la Rai rappresenta la loro immagine?!

Si tratta di quesiti che restano senza risposta. E che pure meritano essere analizzati, perché potrebbero fornirci interpretazioni inedite di stereotipi e cliché, e forse anche strumentazione adeguata per superare le discriminazioni. Che sono frutto di degenerazioni dell’immaginario collettivo. E proprio la cultura e l’arte possono combattere in modo efficace le distorsioni

Una battuta finale sull’apprezzabile autoironia della Ministra Kyenge: ha enfatizzato come le tematiche della migrazione debbano essere affrontate meglio soprattutto dagli operatori scolastici, ed ha raccontato che, in un incontro con studenti di una scuola elementare, si è trovata qualche giorno fa spiazzata alla domanda di un bambino: “ma ministro… il vostro governo ha un programma???”. Una risata convinta s’è elevata dalla platea.

 

Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult