Culture21 srl – Gruppo Monti&Taft Ltd
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Il panorama della app è in continua espansione e aggiornamento, come dimostrano i dati relativi al mercato del settore: si calcola che solo in Europa abbiano creato fino ad ora ben 800 mila nuovi posti di lavoro e le stime ritengono che i numeri vadano in crescendo per gli anni a venire.
Molte di queste ingegnose applicazioni nascono dal lavoro di giovani start up che hanno scommesso sulle proprie idee, volte principalmente a facilitare e rendere più agevoli i piccoli gesti quotidiani di ognuno di noi.
Ecco alcune delle ultime novità emerse in particolare nelle file italiane, perché il nostro Paese non è rimasto a guardare, ma è sceso in campo con app interessanti e innovative che nulla hanno da invidiare ai prodotti delle Silicon Valley.
Loro e molte altre saranno presenti alla prossima edizione di SMAU Milano, dal 23 al 25 ottobre.
Poter contare su consigli utili, interessanti e soprattutto sintetici è diventato al giorno d’oggi un aiuto fondamentale per chi viaggia e necessita informazioni relative ad hotel, ristoranti, shop e punti di interesse. Proprio per questo nasce WeAGoo, un portale d’informazioni turistiche localizzate e descritte in modalità “short information”, volte a fornire indicazioni essenziali ma capaci di cambiare le sorti di un viaggio. Il format utilizzato è standardizzato e i testi sono rielaborati e concentrati in 480 caratteri di lunghezza massima.
Dove? Quando? Cosa? A questi interrogativi risponde Where’s Up?, l’app per chi è alla ricerca di concerti, aperitivi, serate in discoteca ma anche sagre, eventi culturali, enogastronomici, sportivi, spettacoli e molto altro. Questa applicazione georefenziata consente perciò di conoscere nell’immediato quali appuntamenti gravitano attorno a noi, garantendo anche sconti e particolari promozioni.
Assistere ad un’opera lirica è un’esperienza immancabile, ma spesso per il pubblico esordiente o straniero può apparire ostica la comprensione dei testi. Opera Voice arriva a risolvere questo inconveniente: è infatti una piattaforma web a cui si collegano i dispositivi mobili del pubblico, che ricevono così, in perfetta sincronia, i sottotitoli. Opera Voice arricchisce la tradizionale titolazione con due, tre o più lingue che lo spettatore sceglie in autonomia, con un considerevole abbattimento dei costi.
Se poi voleste usufruire delle app precedenti, concedendovi un viaggio o la partecipazione ad un evento, ma non sapete a chi affidare i vostri bambini, ecco che giunge in vostro soccorso Oltre TATA. Si tratta di un motore di ricerca geolocalizzato nato per supportare famiglie in cerca di tate per i propri figli e per dare valore al ruolo dell’educatore. Qui troverete tate, baby sitter, aiuto compiti, animatrici e tagesmutter, suddivise per località e con profili dettagliati, corredati di foto, descrizione, eventuali referenze, costo. Un modo facile, veloce e sicuro per affidare in buone mani i vostri piccoli.
Inbookiconsente invece un’esperienza di lettura innovativa, attraverso gli e-book che diventano così in-book, una nuova forma d’arte, per vivere racconti, libri e guide turistiche in maniera immersiva e coinvolgente. Il lettore è partecipe del racconto, può condizionare le sorti della storia o leggerla da diversi punti di vista. Un’apposita libreria virtuale consentirà inoltre di scegliere tra una variegata lista di titoli che si moltiplicano grazie anche alla creatività dei lettori.
Per chi avesse bisogno di una mano per svolgere qualche lavoro domestico c’è Join Job, un innovativo service networking. Questa piattaforma facilita l’incontro tra domanda e offerta: cuochi, pulizie, consegne, traslochi, dog sitter, personal shopper, elettricisti, idraulici, pittori e altro saranno così a portata di mano. E’ possibile scegliere tra le diverse offerte e pagare in sicurezza, il tutto corredato da feedback finali utili per gli altri utilizzatori.
TechCrunch è l’evento che per due giorni (26 e 27 settembre) al Maxxi di Roma ha reso protagonisti progetti e scommesse per il futuro. Start-up vincitrice della II edizione di questo appuntamento internazionale è GiPStech.
GiPStech, selezionata tra 200 candidature, è una tecnologia per la geolocalizzazione indoor, utilizzabile in assenza di copertura del segnale GPS, non usa Wi-fi, ma il campo magnetico terrestre. Utilizzabile negli spazi interni, come per esempio i musei, è stata scelta come l’idea imprenditoriale digitale più interessante tra 8 finaliste. I suoi fondatori: Matteo Faggin, Gaetano D’Aquila e Giuseppe Fedele, si aggiudicano 2 biglietti per il prossimo Disrupt SF e il premio, offerto da Populis, consistente in un finanziamento da 10.000 euro più un pacchetto di visibilità da 40.000 euro sulle media properties di Populis, fondata da Luca Ascani e Salvatore Esposito.
Tra i progetti interessanti Fluentify, una delle finaliste, piattaforma attraverso cui entrare in contatto con docenti di madrelingua, a scelta, con cui conversare online. Il progetto non è una novità in assoluto, ma sicuramente utile nel campo dell’apprendimento linguistico. Molte start-up presenti non erano orientate ai consumatori, ma all’offerta di servizi alle aziende, come per es. BeMyEye (servizio che consente di vedere cosa accade nei negozi di un’azienda) o Vivocha (offerta di assistenza da parte delle aziende ai propri clienti, che spesso abbandonano un acquisto online proprio per la mancanza di supporto).
Techcrunch, in collaborazione con Populis, ha dimostrato anche quest’anno di essere il palcoscenico dell’imprenditoria digitale, attenta alle innovazioni in campo informatico e impegnata a dare visibilità alle start-up digitali italiane. Il bilancio dell’edizione 2013: un migliaio di partecipanti, oltre cento giornalisti, decine di relatori affermati nel campo, presentati e intervistati da Marco Montemagno, come l’investitore israeliano Yossi Vardi, Francesco Caio (Responsabile di Agenda digitale), Renato Soru (Co Founder di Tiscali), Lucas Carné (co founder e CEO di Privalia), John Underkoffler (founder di Oblong e ideatore dell’interfaccia del film Minority Report), Steffi Czerny (founder delle conferenze tech DLD e DLD Women) e molti altri.
Tra gli interventi più significativi quello della giovane Amelia Showalter (Former Director of Digital Analytics della campagna per la rielezione a presidente di Obama) che ha dimostrato come una squadra di 18 giovanissimi scrittori di email si sia occupata, con successo, della raccolta fondi per la campagna volta alla rielezione di Obama. Questi diversi stili di email venivano testati continuamente per capire quale funzionava, dovevano essere il più possibile diversi e a volte quello esteticamente migliore non otteneva i risultati sperati. Era necessario inventare, osare, perché il pubblico è diverso, per appartenenza sociale, cultura etc. Questa squadra di giovanissimi, su cui Obama ha puntato, è stata vincente e la fiducia nei giovani è stato forse il messaggio più utile che Amelia poteva darci.
John Underkoffler ha illustrato come la tecnologia ‘touch’ sia superata: quella del film Minority Report non era un effetto speciale, ma è ciò che già esiste; ad oggi è infatti possibile con dei gesti davanti ad uno schermo, senza toccarlo come nel film, far eseguire funzioni ad un pc o spostare contenuti da un dispositivo all’altro.
L’investitore francese Fabrice Grinda, oltre ad organizzare numerosi incontri, ha rappresentato l’utilità sociale dei nuovi prodotti informatici che ci consentiranno in breve tempo di abbattere i costi dell’energia solare, della purificazione dell’acqua, di eliminare gli incidenti stradali grazie al self-driving, di computerizzare il controllo sulla nostra salute. Forse non tutti sanno che in Estonia il 24% della popolazione ha votato online nel 2011, il 93% paga online tasse, spese scolastiche e sanità, ma che soprattutto l’Africa è economicamente in crescita. Se gli scenari di guerra o depressivi fanno più notizia queste prospettive rincuorano non poco.
Ed è forse proprio una prospettiva sociale ed ecologica, investimenti nel welfare, che ci sarebbe piaciuto vedere di più in questo convegno. A parte l’esempio di Charity Stars che convoglia donazioni di personaggi famosi, a favore di associazioni quali Emergency o Medici senza Frontiere. Speriamo che in Italia venga superata la difficoltà per le giovani start-up di trovare capitali per finanziare progetti innovativi e che sempre più giovani abbiano il coraggio e la creatività di presentare progetti tesi a migliorare la società, la qualità della vita o l’ambiente, e non soltanto i profitti.
È un canale Youtube, una app su Spotify e anche un blog. Official Comedy è il nome giusto da digitare se si vuole ridere, sorridere, ritrovare il buonumore gustandosi gli sketch dei migliori attori comici del panorama americano e internazionale. Dietro Official Comedy si “nasconde” Bedrocket, l’azienda americana di media e comunicazione che si occupa di intrattenimento e video story telling.
Iscrivendosi al canale Youtube o scaricando l’app su Spotify – gratuitamente – si ha accesso al database della Bedrocket che offre a disposizione un ricco programma di interpretazioni comiche, da quelle storiche risalenti a Bill Cosby e ai Monty Python, alle più recenti tratte da sit-com di ultima tendenza, o a debuttanti nel panorama comico internazionale. Le sezioni messe a disposizione degli utenti sono, infatti, Funny Now, Comedians, One-Liners e Playlists.
Avere un canale a tema comicità, i cui contenuti sono stati selezionati da un referente autorevole in materia, come Bedrocket, è sicuramente un bel punto di forza.
Gli utenti italiani potrebbero essere indispettiti dalla esclusività della lingua inglese all’interno del canale. Ma si potrebbe anche trattare di un buon pretesto per fare un po’ di listening di lingua inglese divertendosi, nell’attesa che sia disponibile un canale simile in versione italiana.
Lo slogan di Official Comedy volendo si può riadattare alla vita di tutti i giorni: “Watch. Laugh. Repeat”.
Chi è appassionato di cinema, serie televisive, comicità; a chi ama ridere e concedersi qualche minuto al giorno di buonumore.
http://open.spotify.com/app/officialcomedy
http://www.youtube.com/user/OfficialComedy
http://officialcomedy.tumblr.com/
(im)possible living – rethink the abandoned world
Si tratta della prima community virtuale e globale nata per individuare e portare a nuova vita edifici abbandonati. In questo modo si evita il perpetuarsi della cementificazione e si opta per un recupero intelligente, economico ed ecologico del preesistente, evitando che si trasformi nell’ennesimo esempio di degrado.
Per far ciò (im)possible living procede seguendo precisi step: creare un database mondiale degli edifici in stato di abbandono; mettere a disposizione conoscenze e strumenti per avviarne il recupero; favorire il contatto tra diversi professionisti coinvolti nell’attività di ristrutturazione; trovare il denaro necessario per realizzare il progetto.
Per entrare a far parte della community di (im)possible living basta registrarsi gratuitamente, fornendo un’e-mail e scegliendo un’immagine per il profilo. Sarà così consentito segnalare l’indirizzo dell’edificio abbandonato che si intende inserire nel database, corredandolo anche con foto e video e indicando la tipologia del fabbricato (religioso, agricolo, abitazione, ecc). Queste segnalazioni potranno poi essere condivise anche sui propri profili Facebook, oltre che andare ad arricchire la mappa del cosiddetto (im)possible world.
Ciascun sito ha poi una propria scheda in cui, insieme alla localizzazione in mappa, viene fornita una descrizione dell’area in cui si trova, foto e video, le idee proposte per il recupero e le informazioni relative alla realizzazione.
Il tutto è sempre condivisibile tramite i principali social network come Facebook, Twitter, Youtube e Flick.
L’idea è davvero interessante e utile, perché si propone come strumento per il recupero urbano che ormai ogni città si trova a dover affrontare.
Segnalazioni e iniziative vengono inoltre dal basso, da quegli stessi cittadini che vivono i luoghi e i disagi provocati dal degrado. Sfruttando il lato social del web, l’immediatezza e la catalizzazione di idee provenienti da più voci, peculiarità dell’on line, (im)possible living media tra coinvolgimento creativo ed emotivo e ordine progettuale.
Come ogni bel progetto, il dubbio si insinua sempre sulla concreta fattibilità: una volta che gli edifici sono stati mappati, schedati e hanno raccolto buone idee per il loro recupero, si giunge poi all’effettiva ristrutturazione? Chi si occupa del disbrigo burocratico di tutte le pratiche edilizie? Ma, soprattutto, chi finanzia il tutto?
(im)possible living è un progetto tutto Made in Italy: il suo team è composto principalmente da giovani professionisti italiani, come architetti, urbanisti e progettisti web.
(im)possible living è consigliato a chi vuole città in cui ogni centimetro di cemento abbia una sua utilità e dove nessun edificio vada perso nel degrado. E’ raccomandabile a chi ha una buona idea ma non dispone di alcuno spazio per realizzarla, ma anche a coloro i quali non sanno come impiegare un edificio altrimenti destinato a divenire macerie.
Trovate (im)possible living al seguente link. C’è anche un blog dedicato e un app scaricabile gratuitamente.
Qualche secolo fa, Dante Alighieri scriveva i 33 canti della sua Commedia in terzine incatenate di versi endecasillabi. Oggi scriviamo in tweet, ci esprimiamo in post, comunichiamo per sms, usiamo Whatsapp. L’interazione con il mondo esterno, con l’Altro, è costante e il tempo, per un verso o per un altro, è poco. È necessaria la sintesi, la rapidità, la concretezza, giungere al cuore del concetto che si vuole esprimere nel minor tempo possibile. Eppure quel concetto strizzato di parole è possibile condirlo, amplificarlo, potenziarlo con immagini, suoni, video. È come se, lentamente, stessimo tornando ad un linguaggio “primitivo” in cui il centro dell’atto comunicatorio non è più la parola, ma l’immagine, l’impressione visiva, il simbolo che concentra il nostro messaggio.
Non è, infatti, solo il linguaggio quotidiano a subire questo processo di contrazione e sintesi. I social network, le app, il mondo di internet e del web sono talmente pervasivi, oggi, da colonizzare, a poco a poco, anche il mondo delle “lettere”, della letteratura alta. Per ora si tratta solo di esempi di riscrittura, che coinvolgono principalmente i classici della letteratura.
#Twitteratura è un esperimento cominciato da tre italiani esperti in comunicazione, Paolo Costa, Edoardo Montenegro, Pier Luigi Vaccaneo, che hanno proposto agli utenti di Twitter di riscrivere opere emblematiche della letteratura europea con un tweet e la possibilità di allegare foto, immagini, video e tutto ciò che ritenevano connesso a quella lettura. Sono stati twitterati gli Scritti Corsari di Pasolini, gli Esercizi di stile di Raymond Queneau, La luna e i falò e I dialoghi con Leucò di Cesare Pavese. Il risultato di #Leucò, in particolare, pensato in collaborazione con la Fondazione Cesare Pavese, è stato presentato durante l’ultima edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino 2013: in 3 mesi l’iniziativa ha coinvolto 400 utenti e prodotto più di 20.000 tweet, portando più volte l’hastag #Leucò ai primi posti tra i trending topics.
Il progetto ha fatto storcere il naso ai critici più scettici, che lo hanno definito “sterile”, più un esercizio di stile, un rompicapo alla Ruzzle, che un esempio costruttivo di scrittura creativa. In realtà, l’esperimento italiano non costituisce un caso isolato. Le prime prove di scrittura coi social provengono, ovviamente, dall’America: Twitterature è un’iniziativa di due studenti di Chicago, Alex Aciman and Emmett Rensin, che nel 2009 hanno pubblicato con Penguin Books il risultato della loro riscrittura cinguettata di alcuni capolavori della letteratura di tutti i tempi: dalla Austen a Kafka, da Omero alla Rowling.
La twitteratura piace, è vista come un gioco serio, che porta a conoscere o a riscoprire il gusto per la lettura. Tanto che, tornando in Italia, è di ieri la notizia che la Società Dante Alighieri per festeggiare i 700 anni dell’altro padre della lingua italiana, Giovanni Boccaccio, ha avviato il progetto di riscrivere il Decameron con 2 tweet “perfetti” (twoosh) al giorno per 100 giorni.
D’altra parte nell’era smart, digital, social sono sempre più diffuse la nanofiction, la micro-narrativa, la crowd-source narrative: la letteratura che puoi leggere, scrivere, apprezzare nel lasso di tempo che intercorre tra una fermata della metro e un’altra. Tutto è iniziato nel 2007 con Love Sky, una storia d’amore tra adolescenti raccontata da una ragazza giapponese, Mika, inviando ai suoi lettori una frase al giorno, via sms. In pochissimo tempo, Love Sky è diventato il bestseller più letto in giappone.
Da quel momento, gli esperimenti di “scrittura digitale” si sono susseguiti coinvolgendo sia autori famosi (come Jennifer Egan e Steven Soderbergh), che artisti emergenti. È degli ultimi giorni la notizia del progetto di uno giovanissimo studente dell’Accademia di Belle Arti di Roma, Gerardo Lisanti, che ha pensato di scrivere alcune fiabe, usando soltanto le icone e gli smile di Whatsapp. Così Cappuccetto Rosso, Hansel e Gretel, Cenerentola sono diventate un messaggio per smartphone di una decina di righe.
Apocalitticamente si potrebbe pensare che un giorno arriveremo, davvero, all’abolizione della scrittura, delle lettere, delle parole, a favore assoluto dell’immagine. Con maggiore realismo (e ottimismo), invece, si può considerare lo stimolo creativo, l’impulso alla curiosità che questi esperimenti racchiudono – non dimenticando che, ad ogni modo, per riassumere un racconto di Pavese devi prima conoscerlo – e puntando sulla fame di storie e racconti che l’uomo continuerà a coltivare, si spera, per sempre.
Strade invase da ciucci e biberon, negozi pieni di fiocchetti rosa e blu, vetrine tappezzate dai volti di una coppia che si abbraccia felice, in dolce attesa, dolciumi decorati con bon bon e scarpine da neonato. No, non si tratta di un incubo per chi odia il rosa e lo zucchero, o di un sogno per chi ama Hello Kitty e i cuccioli. È il volto reale che ha assunto Londra negli ultimi tempi.
Se pensavate, infatti, di essere scampati alle Royal Wedding del 2011, siete stati ingannati. Da nove mesi a questa parte impazza la Royal Baby mania. Il/la bambino/a più famoso (e atteso) del mondo sta per nascere, e Londra sembra essere invasa da una frenesia incontrollabile di maternità, voglia di festeggiare e di… comprare!
Sì perché il Royal Baby, già prima di nascere, è più potente dell’intera famiglia reale. Solo la sua attesa ha fatto svuotare portafogli e tasche degli inglesi amanti della corona e dei turisti in cerca di souvenir a tema “premaman”, per la gioia di commercianti e rivenditori. Passeggiando per le strade di Londra è possibile acquistare: un bavaglino a righine fucsia con lo stemma della corona “Born to rule”; un libro di ninna nanne che sulla copertina riporta la scritta “Shhh, Don’t Wake the Royal Baby” e una simpatica regina Elisabetta che si paracaduta chi sa dove con un marmocchio tra le braccia; innumerevoli piattini con decori a tema “royal baby”, inclusa una versione con Winnie The Pooh; una confezione speciale di biscotti a forma di biberon, orsacchiottino, calzettina, carrozzina, scatolina delle sorpresine; monete commemorative del lieto evento; e poi ancora tazze, portachiavi, ciondoli, magliette, etc, etc, etc. D’altra parte persino i genitori di Kate, i Middelton, hanno percepito l’andazzo da “gallina dalle uova d’oro” e hanno pensato per il loro sito di prodotti per feste, Party Pieces, una linea completa di piatti, posate, forchette e chi più ne ha più ne metta, intitolata “Little Prince”, “Little Princess”.
Se poi, fino a qualche tempo fa la follia collettiva scaturita da fame di gossip e sperticato affetto per la famiglia reale, si esplicava solo nel mondo della gente in carne ed ossa, oggi la febbre da bebè targato Kate e William si respira, anzi si inghiotte proprio, anche sul web. Impazzano le pagine facebook, gli ashtag, i like, i tweet, i siti – seri o faceti – ma la trovata più divertente, scellerata e inquietante assieme è la app pensata da Apple. Sì, avete capito bene, esiste una Royal Baby App che si presenta così: “Benvenuti nella Royal Baby App, una celebrazione del felice giorno di Kate e William. Potrai scaricare gratuitamente le prime foto del nuovo nascituro e dei suoi genitori felici. Riceverai anche le ultime news, i Twitter sull’evento e molto altro”. Un’occasione imperdibile…
Come se non bastasse, l’attesa del Royal Baby alimenta anche la fame di scommesse che caratterizza gli inglesi. Pare siano state già puntate 1 milione di sterline, per indovinare la data precisa della nascita, il sesso del bambino, il suo peso. Ma soprattutto quello che diverte di più è scommettere sul nome. Sono sulla cresta dell’onda i nomi Alexandra, Diana, Elizabeth, se nascerà femmina, se sarà maschietto i nomi più gettonati sono George, James e… Beckham!
Di certo per gli inglesi il Royal baby scenderà dal cielo con una cicogna e un bel po’ di manna. A quanto pare, l’introito che il/la piccolino/a porterà al paese ammonta a 300 milioni di euro. E notevoli sono anche gli influssi benefici che il lieto evento sta avendo sul turismo verso Londra. Un albergo si è attrezzato con una sala a tema “bimbi regali” che riporta foto e ritratti di William ed Harry da bambini; altri alberghi pensano a sconti e agevolazioni per le coppie o le donne in dolce attesa. Anche il Museum of London si è fatto trascinare dall’ondata di entusiasmo e ha organizzato la mostra “Royal Arrival” che raccoglie cimeli dei passati nascituri regali.
Il bebè era atteso per il 13 luglio e c’è chi dice che si stia facendo aspettare troppo. Noi siamo sicuri, invece, che, come per tante altre cose, il prolungarsi dell’attesa renderà il momento della sua nascita ancora più dolce e sospirato, sperando che la maggior parte delle aspettative su di lui vengano scaricate in questi frenetici giorni di attesa, permettendogli quanto meno di vivere dei rilassati primi giorni di vita.
“Un party in casa online”, è questo lo slogan di Potluck, un social network con lo scopo di “chiacchierare” con altri utenti sugli argomenti che si ritengono più cool. L’azione principale è, infatti, quella di condividere link con gli amici. I link postati possono riguardare orientamento politico, convinzioni sociali e morali, o semplicemente gusti musicali, hobby, pagine divertenti sulle quali si vuole avviare una conversazione. Potluck può essere definito, quindi, una via di mezzo tra un forum e un social network.
Il prodotto, disponibile su pc e presto anche su iphone, ha una sezione “Notifiche” e una “Profilo” che funzionano come su Facebook, e permette tre azioni principali:
• Post: per postare i link che si ritengono interessanti, col semplice strumento del “copia e incolla”.
• Friend Activity: per vedere i link postati, commentati o segnalati (hearted, corrispettivo del like di Facebook) dagli utenti amici.
• Rooms: per vedere tutto quello che è stato detto su un link, le persone che lo hanno apprezzato, ed eventualmente unirsi alla conversazione.
È possibile anche vedere i profili degli amici in comune e aggiungerli.
È un’idea interessante per sviluppare conversazioni e dibattiti su quello che si ritiene piacevole e appassionante, anche sui social, mezzi che spesso non danno spazio ad approfondimenti. Potrebbe essere uno strumento utile per capire in maniera più completa gli orientamenti di pensiero di amici, vecchi e nuovi.
È una piattaforma ancora poco conosciuta, disponibile solo in inglese e che, se non si doterà di un’identità forte e definita, rischierà di non riuscire ad allinearsi a Twitter e Facebook, con i quali ha molte cose in comune (forse troppe).
Gli ideatori di Potluck ci tengono a sottolineare che il loro social esce dall’ottica del cosiddetto “Success Theatre”, l’ansia da prestazione che nasce dalla ricerca di approvazione quando si posta sui social network. Su Potluck l’enfasi non è posta sull’individuo, ma sugli interessi comuni che condividono un gruppo di persone.
Giornalisti, politici, opinionisti, di professione o per vocazione. A tutti coloro che amano chiacchierare e “fare salotto” anche online. Ma anche a chi è un po’ timido e preferisce non essere giudicato.
Dopo anni di attesa, finalmente è arrivato in Italia Spotify, l’innovativo servizio musicale “on demand” nato qualche anno fa e capace di offrire lo streaming, anche offline, di milioni di brani delle case discografiche più famose (tra cui Sony, Warner Music, Emi e Universal) e di alcune delle più importanti e interessanti labels indipendenti.
Nato nel 2008 dalla mente di due svedesi, Daniel Ek e Martin Lorentzon, fondatori della startup omonima Spotify AB con sede a Stoccolma, questo straordinario servizio ha saputo conquistare fin da subito il cuore e la fiducia di milioni di fans e appassionati di musica in tutto il mondo. Basti solo pensare che, a due anni dall’apertura del sito e della relativa app, Spotify aveva raggiunto l’incredibile cifra di 10 milioni di utenti iscritti, dei quali 2.5 milioni paganti. Un business non indifferente.
Oggi quelle cifre sono cresciute a dismisura, considerando anche l’azione di “conquista” intrapresa da Spotify in tutto il mondo, dall’Australia al Lussemburgo, dagli Stati Uniti all’Austria, passando per l’Irlanda, il Regno Unito e tantissimi altri Paesi. Il meccanismo di funzionamento è molto semplice e immediato: basta avere un account su Facebook o crearne uno direttamente dal sito (indicando una carta di credito o un account Paypal) e, dopo essersi collegati, si può iniziare a usare da subito il servizio.
Tre sono i livelli di abbonamento previsti: uno Free, che permette di ascoltare musica sul computer gratuitamente, con un limite di ore mensili (una soluzione resa possibile dagli advertising visivi e audio); uno Unlimited (4.99€ al mese), che permette di ascoltare musica sul computer senza alcun tipo di pubblicità; uno Premium (9.99€ al mese), che consente l’ascolto su tutti i dispositivi (non solo computer come gli altri due quindi, ma anche quelli mobile), senza pubblicità, con una qualità elevata e la possibilità di ascoltare offline i brani.
Una manna dal cielo per qualsiasi amante di musica, ma anche un aiuto prezioso offerto alle case discografiche, grandi o piccole che siano, per combattere la pirateria on-line. Eppure, al di là della grande innovazione che porta con sé, è necessario fare un ragionamento sul suo arrivo in Italia. Siamo davvero convinti che il nostro Paese sia pronto ad accogliere un servizio musicale di questa portata?
La risposta si pone a metà tra il “si” e il “no”: sicuramente era necessario portare Spotify in Italia, almeno per non rimanere indietro più di quanto non lo siamo su molti fronti e per cercare di soddisfare la sete di curiosità e di “consumo culturale” delle milioni di persone che ascoltano musica nel nostro Paese. Va anche considerato che alcuni artisti stanno iniziando a offrire servizi in esclusiva su Spotify, come ad esempio playlist personalizzate, e questo avrebbe comportato un forte gap rispetto agli altri Paesi.
C’è un “però”. Senza considerare l’account Premium, per utilizzare Spotify e sfruttarne le potenzialità, è necessario essere connessi in Rete. Va da sé che a usufruire di questo servizio sono soprattutto i giovani, quelli che hanno più dimestichezza col Web e che, soprattutto, sono affamati di musica. Gli stessi giovani che, in larghissima parte, utilizzano le classiche chiavette Internet delle compagnie di telefonia mobile per collegarsi in Rete, o perché sono spesso lontani da casa, o perché desiderano avere piena autonomia sulla gestione della propria linea.
Sfortunatamente, tutte le compagnie telefoniche impongono un tetto massimo di traffico mensile da usare, superato il quale la qualità del collegamento a Internet si riduce drasticamente ai livelli dei vecchi modem che si usavano all’inizio del nuovo millennio. Non è un mistero che l’Italia sia particolarmente arretrata sul fronte della diffusione della banda larga e delle reti wi-fi pubbliche, malgrado gli sforzi compiuti da grandi città metropolitane come Milano, Roma e Napoli.
Il “drammatico” risultato di questa constatazione è che utilizzare Spotify con una chiavetta internet può diventare un bel problema, per l’eccessivo consumo di banda che ne potrebbe derivare. Chi ha una chiavetta sa bene che, avendo quei 3 o 5 GB di traffico mensile, bisogna fare “risparmio” su tutto, a partire dai video che si vedono su Youtube. E quindi, per chi è davvero appassionato di musica, l’uso di Spotify potrebbe portare a qualche limitazione.
In realtà, Spotify è solo il pretesto per molti altri servizi audio basati sullo streaming audio: Soundcloud, Deezer, Grooveshark e l’elenco potrebbe continuare a lungo. Se poi consideriamo anche altri servizi di intrattenimento digitale, come i video appunto, l’elenco non può che crescere ulteriormente.
La speranza è che questo problema possa trasformarsi in un “non-problema”, quando si affronterà di petto la questione della banda larga e della diffusione del wi-fi anche nel nostro Paese e quando, finalmente, finirà l’era del “Medioevo” digitale in cui ancora viviamo. In fondo, se Spotify va così forte in paesi come Olanda e Gran Bretagna, è anche perché c’è un buon sistema di infrastrutture in grado di saperlo valorizzare ai massimi livelli.
Ora più che mai, il nostro Paese ha bisogno di portare avanti un piano di sviluppo delle reti Web, che deve essere sentito come una priorità, e non come un elemento accessorio per la crescita dell’intero territorio. Che si chiami “Agenda digitale” o in un altro modo poco importa: l’Italia deve svegliarsi e iniziare a diffondere la cultura della “Rete libera per tutti”. Non ce lo chiede l’Europa, ma il buon senso e la ragione.
Tra le decine di appuntamenti proposti dalla social media week milanese si è parlato anche di cultura e nuove tecnologie. Per i musei di tutto il mondo, Facebook e Twitter rappresentano un interessantissimo banco di prova per riuscire a comunicare in una maniera nuova il proprio patrimonio, oltre che per ingaggiare utili discussioni con il proprio pubblico sul ruolo del museo, sul concetto stesso di patrimonio e sulla ricerca.
Se i musei iscritti su twitter sono circa 1500 (come registrato da una recente ricerca condotta dall’agenzia creativa @sumo), bisogna cercare di capire sul versante delle applicazioni quale strada si stiano percorrendo. Lo spazio museale sembra darsi all’app mania e le istituzioni che possono permettersi di destinare anche una piccola parte del budget di comunicazione investono in percorsi, visite guidate, approfondimenti, mostre virtuali e servizi di ticketing real time con l’idea di fornire un servizio migliore al visitatore. Ma tutto questo, verrà poi percepito?
All’Urban center di Milano un incontro moderato da Nicoletta de Blas del Politecnico di Milano ha visto l’ incontro tre best practice del panorama italiano.
Elena Olivero e Marta Barcaro hanno raccontato l’esperienza del progetto SCRIGNO della Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli di Torino, una collezione molto ridotta di opere di arte moderna e contemporanea che sorge all’ultimo piano del complesso del Lingotto di Torino. La loro strategia è stata quella di creare un percorso che si potesse integrare a quello dell’audio guida, creando un percorso di QR code per approfondimenti biografici e critici sull’opera ed autore, costruendo la possibilità di una sorta di quaderno virtuale in cui il visitatore può lasciare commenti e feed back anche durante la visita stessa. Nonostante la fondazione metta a disposizione dei tablet per fruire del servizio aggiuntivo, la maggior parte dei visitatori sembra però preferire il proprio device, un po’ per timore di non saper usare nuovi strumenti, un po’ per timore di fare danni.
Molto interessante il punto di vista Paolo Paolini (coordinatore di HOC-LAB e Centro per la Valorizzazione dei Beni Culturali del Politecnico di Milano e del progetto COMFIT), che segue decine di progetti legati allo sviluppo di applicazioni nel mondo culturale in Italia e in Svizzera. Paolini, da sviluppatore, ricorda l’opinione della direttrice del museo Herman Hesse di Lugano (una psicologa) che si è rifiutata di introdurre l’uso dei tablet in museo perché a suo parere andavano a diminuire il grado di socialità che offre l’esperienza in museo. Un luogo come il museo, per eccellenza esperienza sociale sembra andare in conflitto con la fruizione mediata da un device, che porterebbe meno scambi tra le persone, almeno per come sono state pensate le applicazioni fino ad ora.
Irene Rubino illustra invece l’esperienza di Palazzo Madama a Torino sottolineando l’importanza della gamification nella creazione delle applicazioni e di come sia una strada importante da intraprendere soprattutto per le nuove generazioni di nativi digitali e per l’ampio spazio applicativo offerto dai servizi educativi del museo.
Sicuramente tra le problematiche emerse con il pubblico, tre sembrano i temi caldi legati all’utilizzo delle nuove tecnologie all’interno dei musei.
Da un lato ci troviamo in un sistema legislativo che spesso, in maniera quasi paradossale impedisce la condivisione dell’esperienze museali. In moltissimi musei infatti non è possibile fare fotografie per motivi di diritti scorporati delle opere esposte (come nel caso della Pinacoteca Agnelli), creando un’assurdità e una frustrazione nel visitatore. Altre due problematiche introdotte da Paolini riguardano la poca attenzione che si presta nel sviluppare applicazioni che possano accompagnare il pubblico all’interno delle istituzioni culturali. Terzo e ultimo tema è la durata della visita, che spesso l’applicazione dilata in maniera tale godersi tutta l’esposizione.
Riusciremo a trovare un compromesso tra visita tradizionale e multimediale? Può la tecnologia essere a supporto e non ad ostacolo della visita di un’istituzione museale?
Alla sociologia della complessità l’analisi del fenomeno Ruzzle tocca per definizione e per colpa.
Sette milioni di italiani giocano a Ruzzle, gli uni contro gli altri, in scontri feroci in cui l’analfabetismo di ritorno si scontra con il senso unico dell’identità digitale. È apparso all’improvviso, come fu del mapo, di Internet o dei Jalisse.
Si vince e si perde compulsivamente, senza chiedersi il perché. Giocano le manager di Voghera contro le casalinghe di Shangai, i personal trainer di Cologno Monzese contro i casari della Barbagia. Si fa sui bus, metro, in classe, in ufficio. Viene quasi da chiedersi se il Papa si sia dimesso perché gli hanno imposto Twitter, quando invece lui voleva giocare a Ruzzle in latino contro il patriarca ortodosso.
La complessità del fenomeno si radica in una sana riscoperta dei lemmi più arcaici e desueti dello Zingarelli, talmente consapevole che i migliori giocatori combinano le lettere a caso alternando vocali e consonanti, certi che anche a scrivere male prima o poi ci si azzecca.
L’analisi di Ruzzle non si concentra però sul gioco in sé, ma su quella del gioco in te.
In esso vi è un apparente barlume di cultura e, si sa, tira più un po’ di cultura che una vasca di nutella. Un po’ rimanda con la memoria predigitale, a quando si andava in libreria a sfogliare i classici russi solo perché qualcuno/a ci notasse.
In molte università americane, Ruzzle è oggetto di studio la metamorfosi esistenziale di molti giocatori che grazie a questo gioco fanno pieni di autostima che poche droghe artificiali sono in grado di restituire. Questo vale sia per i secchioni, che a scuola erano abituati a essere i primi della classe, ma nella vita hanno visto i raccomandati sulla corsia del sorpasso, e che qui ci danno dentro e rivivono le stesse estasi adolescenziali; sia per i furbetti che copiavano fin dalla materna e, di Ruzzle, imparano prima i trucchetti e tutte le parole di 3 e 4 lettere e poi sfidano i secchioni nei momenti di maggior stanchezza e negli orari più disagevoli, certi che comunque abboccheranno.
Sfidandosi a chi ce l’ha più lungo, il lemma, si ripercorre in fondo la storia dell’umanità sino alle origini. Hai in fondo la certezza che in un paese democratico dovresti poter sfidare a Ruzzle i candidati alle elezioni per verificare che siano degni, che siano meglio di te, che non selezionino IVA e IMU preferendo IRTO o EVO.
Come detto, l’analisi sociologica è solo agli inizi e ma in questa enorme bolla di inutilità ci sarà da inzuppare fior fiore di commenti.
Samuel Saltafossi è sociologo della complessità
Capita spesso di ammirare un’opera d’arte, di ascoltare un brano o di vedere la scena di un film senza ricordare il nome o l’autore. Per ovviare a questi fastidiosi inconvenienti, che rischiano di assillarci durante la giornata, non potevano mancare le apposite app in grado di fornirci le risposte cercate.
Per chi si torva davanti ad un monumento o ad un dipinto senza però sapere esattamente cosa ha di fonte, c’è l’app gratuita Nabhi: basta scattare una foto e questa applicazione, creata dall’italiana Nitro Lab, svelerà nome e descrizione dell’opera d’arte. La versione 1.2.1 è in lingua italiana ed è compatibile con il sistema operativo iOS 3 e successivi.
Quel ritornello vi è rimasto in testa e non riuscite proprio a ricordare la canzone? Per Shazam ogni combinazione delle 7 note ha un suo nome: l’app è stata potenziata nella sua versione più recente e le basterà un solo secondo di ascolto per il riconoscimento. Nella versione aggiornata sarà possibile acquistare direttamente on line la musica, scoprire contenuti extra, come video e informazioni sugli interpreti, e condividere attraverso i social il brano prescelto.
E per i film? Non temete, anche per i fotogrammi c’è l’app che svela il “dietro le quinte”: si chiama VideoSurfe funziona in modo non dissimile da Shazam. Puntando la fotocamera e riprendendo alcuni secondi delle scene, VideoSurf svela titolo del film o della fiction, cast e altre informazioni utili, oltre ad altri video correlati. Se poi volete invitare gli amici a vedere il film con voi, potrete condividere i vostri contenuti!
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Per ogni altro dubbio c’è invece Google Goggles. Questa applicazione consente infatti di “googlare” tutto quel che ci circonda: dai codici QR a quelli a barre, dall’individuazione di luoghi al riconoscimento di monumenti famosi, fino alla scansione di testi attraverso la tecnologia OCR.
Fotografando l’oggetto o registrando l’audio, sarà possibile sfruttare tutti i servizi di Google, come Translate o Images.
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Esistono poi una serie di app altamente specializzate come PeakFinder Alps, che riconosce le vette alpine inquadrate con la fotocamera, o Sky Map, l’app di Google che, con lo stesso meccanismo, rivela invece le costellazioni nel cielo. C’è anche What The Font, che rivela il font di testi scritti, ma non mancano applicazioni per riconoscere piante, aerei e molto altro ancora.
Insomma, c’è un’app per ogni curiosità.
Come ogni anno il 2 novembre è il giorno dedicato alla commemorazione dei defunti ma, con il passare degli anni, cambia il modo con cui ci si approccia alla morte e al ricordo dei propri cari scomparsi.
Sembra ad esempio che l’aldilà non venga risparmiato dalle tendenze social che spopolano ormai di questi tempi: se da un lato ci si continua a chiedere come gestire i profili virtuali di persone decedute, dall’altro c’è chi ha ideato un vero e proprio social network dedicato a coloro che non sono più in vita.
Si chiama Sepolcrie si propone di mantenere vivo il ricordo di persone care che non ci sono più: è possibile attivare un profilo del defunto in cui inserire una biografia e delle foto; chi vuole può poi lasciare un messaggio di cordoglio o un semplice saluto.
Facebook ha invece ideato l’applicazione “If I die”, che consente di lasciare un video o un messaggio agli amici che sarà pubblicato solo al momento della propria dipartita.
Ideata dalla start up israeliana Wilook lo scorso anno, “If I die” ha già visto l’adesione di oltre 200 mila utenti. Il suo funzionamento è semplice: una volta scaricata l’app è necessario indicare tre persone fidate che lanceranno il nostro ultimo messaggio nel caso di decesso.
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Anche la sensibilità alle problematiche ambientali tocca questo ambito, soprattutto per quel che concerne le pratiche di sepoltura. E’ stata perciò ideata la Bios Urn, un’urna biodegradabile al cui interno, insieme alle ceneri del defunto, è riposto un seme: deponendola nel terreno, consentirà la nascita di un arbusto. L’idea è del designer spagnolo Martìn Azùa.
Seguendo sempre la tematica “green”, esistono poi diverse agenzie funebri specializzate nella realizzazione di bare ecologiche, prodotte in materiali biodegradabili. C’è poi chi, come l’olandese Ibis, propone invece di equipaggiarsi per tempo: l’azienda produce infatti librerie e fioriere che, in caso di necessità, si convertono facilmente in bare. Un modo forse non troppo ortodosso, ma certamente pratico per non trovarsi impreparati.
Insomma, sembra proprio che anche la morte, questa eterna presenza, sia sempre al passo con i tempi.
Intervistiamo Orazio Spoto e Gionata Pistoni, rispettivamente Business Unit Director e Account Manager di Mobiquity, unità di Industree Group dedicata a servizi consulenziali in ambito mobile, sviluppo di applicazioni e mobile site. Abbiamo fatto loro alcune domande sul mondo delle apps, software scaricabili su smartphone che permettono di fruire di vari servizi professionali e ludici.
Quali sono i dati del mercato mobile in Italia?
O.S. In Italia, così come in altri paesi, il mobile è il secondo mezzo di comunicazione più diffuso, dietro solo alla televisione. Cito Stefano Portu dell’Espresso, che allo IAB Seminar 2011 ha sostenuto che lo smartphone diventerà il telecomando delle nostre vite. Un dato che fa riflettere: nel 2014 si stima che gli accessi in rete da dispositivi mobile supereranno quelli da computer.
Statistiche molto interessanti mostrano che se solo il 14% degli utenti ha un iPhone, questi creano circa la metà del traffico totale generato: tale prospettiva cambia notevolmente la valutazione della posizione degli altri brand e dei sistemi alternativi. C’è uno scostamento tra dati quantitativi e qualitativi che influisce sulle scelte strategiche e di sviluppo che consigliamo ai nostri clienti: per esempio, su quale store posizionarsi?
Quali sono le competenze indispensabili per lavorare nel settore?
O.S. E’ possibile rispondere a questa domanda analizzandola da un’altra prospettiva: quali ‘ingredienti’ sono necessari per sviluppare un’app di successo? Secondo l’esperienza che abbiamo maturato in Mobiquity e in Industree Group occorre prima di tutto avere un’ottima conoscenza del mercato. L’esempio fatto prima degli iPhone conferma: un’analisi superficiale spingerebbe a disinteressarsi dell’iPhone a causa della quota di mercato più esigua. Legato a questo discorso ci sono anche altri temi: per esempio, quanto l’applicazione è fruibile e facile da utilizzare? Se la grafica è ottima ma l’ergonomia e l’usabilità del dispositivo sono basse, l’app non avrà successo: gli utilizzatori si aspettano strumenti friendly e che non diano problemi. Infine ci sono vincoli tecnici, causati dall’obsolescenza tecnologica e dal ciclo di vita dell’applicazione (1-1.5 anni).
Ancora, la conoscenza del codice è fondamentale: senza buoni sviluppatori e grafici non è possibile progettare prodotti di qualità e successo. Ma d’altra parte, vediamo negli store molte apps sviluppate da bravissimi professionisti, che però mancano totalmente della parte creativa.
E’ questa la terza caratteristica fondamentale, la creatività. Senza idee e un buon concept è impossibile differenziarsi, soprattutto in questo momento di forte crescita del settore. A queste tre conoscenze sono legate altrettante capacità trasversali: di interfaccia, di esperienza d’uso e di relazione.
Come riuscire a riunire tutte queste competenze?
G.P. E’ molto difficile trovare tutte queste sei competenze in un’unica persona: il nostro è un ambiente lavorativo fortemente interdisciplinare e dove si lavora prevalentemente a progetto, in cui il team e la sua gestione contano tanto. Prendiamo per esempio il creativo: se non si confrontasse tutti i giorni con ergonomi e sviluppatori, non rispetterebbe sistematicamente una serie di vincoli fondamentali per sviluppare l’app e venderla sul mercato con successo, il suo sforzo sarebbe inefficace. Tutto il processo organizzativo che porta dalla concezione dell’app al suo rilascio nello store richiede lavoro in team e confronto continuo.
Le aziende riconoscono il valore delle apps?
G.P. C’è una sensibilizzazione sempre maggiore da parte dei clienti verso prodotti e servizi mobile. La loro è inizialmente una necessità percepita: soprattutto dirigenti e responsabili di marketing-comunicazione stanno capendo sempre più che devono esserci, anche se il più delle volte non comprendono ancora il perché. Notano semplicemente che i consumatori vanno sullo store e usano le app per fare tante cose diverse, dallo svago al lavoro vero e proprio: fare ‘finta di nulla’ potrebbe essere rischioso, meglio investire parte del budget nel digitale.
Durante gli incontri con i clienti spieghiamo poi loro che la presenza negli store non è strategica in termini assoluti, ma a seconda della loro specificità e degli obiettivi di breve/lungo termine: immagine, awareness, offerta di servizi aggiuntivi etc.; e (lo ripetiamo sempre) non è detto che sia necessario per tutti esserci!
Nota: questo è articolo è pubblicato su www.ticonzero.info
Ci sono tecnologie che aumentano la realtà conferendo a quel che ci circonda maggiori elementi: esperienze quotidiane vengono così rese interattive e perdono la banalità tipica della routine.
Tali espedienti, oltre ad avere risvolti utili su di un piano pratico, possono anche rivelarsi forti spunti creativi ed ottimi strumenti per strategie di marketing.
Per chi ha poco tempo a disposizione, e non intende perderlo per fare la spesa, la catena di supermarket Tesco ha ideato una soluzione ad hoc che ha sperimentato con successo in Sud Corea. Negli spazi pubblicitari della metropolitana cittadina ha infatti ricreato, attraverso delle immagini, gli scaffali con i prodotti in vendita nei suoi negozi; i passeggeri in attesa del treno, utilizzando uno smart phone e fotografando il qr code corrispondente ad ogni singolo articolo, hanno così la possibilità di ordinare la spesa da farsi recapitare direttamente alla propria abitazione. L’idea di questi Subway Virtual Store concilia le esigenze di comodità dei consumatori con una strategia di marketing davvero vincente: a dimostrarlo l’impennata delle vendite e-commerce dell’azienda, pari al 130% in pochi mesi.
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Anche il noto brand di abbigliamento Adidas ha inserito nelle sue vetrine applicativi che sfruttano i vantaggi della realtà aumentata: non semplici manichini vestiti con felpe, pantaloni e scarpe della collezione, ma pannelli touch screen che mettono a disposizione dei consumatori modelli virtuali cui far indossare il capo di proprio interesse. Il dispositivo consente di fare l’acquisto con lo smart phone e di condividere inoltre lo shopping con gli amici attraverso i canali social. Per ora questa vetrina interattiva è stata installata nello store di Nürnberg, in Germania, ma di sicuro debutterà presto anche in altri punti vendita dell’azienda.
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Dal Giappone arriva invece ARART. Questa applicazione supera il qr code perché riconosce immagini note come possono essere quelle di opere d’arte famose. Installando l’app sul proprio dispositivo è così possibile fotografare i dipinti esposti in una mostra e vedere i soggetti delle opere animarsi, o persino scoprirne retroscena interessanti.
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La realtà aumentata può avere poi utilità anche a scopi didattici. Da segnalare in tal senso l’app Google Sky Map che mostra i segreti delle costellazioni. L’utilizzo è semplice: basta puntare lo smart phone verso il cielo e, inquadrando le stelle della volta celeste, appariranno sullo schermo le informazioni ad esse corrispondenti.
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Non mancano poi gli utilizzi più ludici di questi ritrovati. Tra questi c’è da segnalare l’Augmented Reality Cinema: questa app ancora in via di perfezionamento, consentirà di vedere sul proprio schermo le scene di film famosi ambientate nei luoghi fotografati con il device.
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Allora, siete pronti per aumentare la vostra realtà?
Amate le sfide? Dovete sempre dimostrare qualcosa agli altri? Siete affetti dal morbo della scommessa in stile anglofono? Allora Klash è l’applicazione che fa per voi!
Tutto ebbe letteralmente inizio da una scommesse di tre ragazzi di diverse nazionalità: l’italiano Alessandro Petrucciani, l’austriaco Alex Napetschnig ed il turco-tedesco Baris Tamer. Il trio si trovava sulle spiagge di Fuerteventura e, come accade spesso tra amici, si sono sfidati sulla tavola da surf. Il colpo di genio è arrivato nel pieno del divertimento: perché non condividere la sfida con gli altri, sfruttando i potenti mezzi social?
Tornati dalle vacanze si sono ritrovati a Berlino dove insieme ad altri amici hanno fondato la loro start up, trasformando l’idea in realtà.
E’ nata così Klash, un’app per condividere sfide e scommesse goliardiche: il denaro non c’entra, si tratta solo di coraggio e voglia di mettersi in gioco.
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Ora vi starete chiedendo come funziona. Ebbene Klash si può utilizzare in due modi: o la sfida si lancia ad un amico, che deve superarla dandone prova all’intera community con foto, audio e video, per vincere il premio concordato con lo sfidante, oppure si rivolge la scommessa a tutti, e in tal caso si innesta un voto popolare per decretare il vincitore.
Per lanciare l’applicazione, lo stesso ideatore Alessandro Petrucciani ci ha messo la faccia, irrompendo sullo sfondo della trasmissione statunitense Twist in una mise alquanto succinta.
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Klash è scaricabile gratuitamente sull’Apple store ed è per ora disponibile solo in lingua inglese. Il dispositivo è infatti ancora in via di sperimentazione, ma i giovani creatori sono pronti a scommettere sul suo successo. E voi? Siete pronti a “klashare”?
Styloola
Se siete patite/i dello shopping, creativi nel curare il vostro stile sempre impeccabile e amate distinguervi con un look diverso in ogni occasione, allora rientrate nel profilo perfetto per registrarvi a Styloola. Si tratta del primo social network, con un app annessa, interamente dedicato al mondo della moda personale.
Per interagire con gli altri utenti è necessario aprire un profilo personale. Il primo passo è richiedere un invito via mail per registrarsi. Poi non dovrete fare altro che dare spazio alla vostra fantasia e lasciarvi trasportare dai consigli creati appositamente secondo i vostri gusti da Styloola. Grazie alla app, infatti, annotando i vostri negozi preferiti, riceverete i consigli adatti a voi e al vostro stile e quali negozi visitare attraverso un autentico itinerario personalizzato. Inoltre, le foto delle idee e dei diversi look potranno essere caricate all’interno della vostra pagina personale e tutti gli altri utenti votandole, decreteranno le più famose e cliccate della community. Potrete, inoltre, condividere le foto del vostro guardaroba e ricevere così premi dai brand che preferite. E se proprio vorrete fare di questa passione un mestiere, grazie a questo sito, potrete diventare delle autentiche consulenti di moda e fornire i vostri consigli e servizi personalizzati agli altri utenti.
una vera e propria community dei fashion addicted, utile non solo per i patiti e gli incurabili della moda in tutto il mondo, ma anche per tutti coloro che dell’universo glamour ed elegante sono poco pratici. Potrebbe essere una fonte valida per carpire qualche idea, al fine di migliorare il vostro look e rinnovare il vostro guardaroba nell’armadio.
la community per adesso è chiusa e per accedervi è necessario attendere l’invito per la registrazione. Forse questa prassi è piuttosto complessa e per favorire la diffusione del sito, sarebbe indicato snellire le procedure per renderlo accessibile anche a chi non è propriamente un sostenitore del glamour
l’idea di creare una classifica tra gli utenti più votati di Styloola potrebbe nel tempo dare vita ad un nuovo elenco di icone cool da seguire che dettino le regole sugli stili da seguire e sui negozi da non perdere in ogni stagione.
Diciamolo: il bello dell’estate sono i viaggi, il relax e, finalmente, il tempo libero per dedicarci a quel che ci piace!
Unica noia è il fatidico momento in cui la valigia è aperta davanti a noi, mentre intorno si accumulano montagne di abiti, oggetti sparpagliati e la lista di “cose da non dimenticare” sembra solo dirci che abbiamo probabilmente trascurato qualcosa che tanto non troverà mai spazio nel bagaglio.
Niente panico: a meno che infatti la vostra destinazione non sia un luogo sperduto e privo dei minimi servizi, potete sempre rimediare facendo shopping.
Per il resto ricordatevi che siete in vacanza e con voi dovete portare tutto quel che può allietare le vostre meritate ferie!
LIBRI
In valigia non potranno perciò mancare letture estive le cui trame ben si conciliano con l’esigenza di evasione anche mentale. Per scegliere i titoli che meglio si confacciano alle vostre aspirazioni date un’occhiata ai tweet di #viaggialibro e lasciatevi consigliare dal popolo cinguettante.
Per saggi culturali interessanti e curiosi potete invece sbirciare tra i titoli segnalati nelle novità editoriali e nelle recensioni di Tafter.
MUSICA
Per ogni estate che si rispetti immancabile è la colonna sonora: quelle note che poi ci ricorderanno dei momenti trascorsi durante la calda stagione. E allora trovate spazio in valigia per qualche nota musicale! Vi consigliamo come sempre la fantastica web radio StereoMood che propone playlist in tono con il proprio umore: perfette per il periodo “happy”, “beach party”, “road trip” e, ovviamente, “summer”.
Per condividere i brani in ascolto vi segnaliamo poi l’app Seedio, adatta a dispositivi Apple e Android, che consente di far ascoltare la propria musica anche su tablet e smartphone dei vostri amici.
STYLE
E per non passare inosservati in spiaggia vi consigliamo un telo da mare che farà invidia ai collezionisti più accaniti: porta la firma di Yoko Ono e lo trovate in vendita su Art Production Fund, che coinvolge artisti e designer per creare oggetti dalla cui vendita ricavare fondi utili a sostenere attività sociali e creative.
Se poi l’arte la volete indossare, basterà scegliere una delle t-shirt di Dress Art: selezionate l’opera o l’artista che preferite e fatene sfoggio sulla vostra di certo non banale maglietta!
GADGET
La vera rivoluzione delle vacanze sa poi nei social: oltre a Facebook, Twitter e Instagram potete mostrare ad amici e parenti i luoghi dove ve la state spassando. Se invece siete legati alle care vecchie cartoline, allora l’app Postagram fa per voi: scegliete la foto che volete inviare, aggiungete un testo e il tutto arriverà su vero supporto cartaceo all’indirizzo indicato.
E la mappa per orientarvi l’avete presa? Perché bisogna ammettere che, sebbene le risorse tecnologiche ci aiutano molto a non perderci tra vie nuove e indirizzi sconosciuti, le care vecchie cartine ci danno sempre una grande mano. Peccato solo che sia sempre un problema ripiegarle! Abbiamo la soluzione anche a questo inconveniente: esistono infatti le Crumpled City Maps, accartocciabili e impermeabili, in vendita su uncommongoods.
Alla fine del viaggio si torna poi sempre al concreto e giunge il momento di fare letteralmente i conti: per facilitarvi in questa incombenza c’è Pay&Share, l’app che registra le spese sostenute durante la vacanza e le ripartisce equamente tra i diversi componenti del gruppo.
I nostri consigli per una valigia impeccabile ve li abbiamo dati, ora godetevi le vacanze e buon divertimento!
Lo spazio in cui si vive quotidianamente è fondamentale per ognuno di noi e spesso l’arredamento delle nostre case rispecchia appieno il carattere degli inquilini. Per dare un tocco di originalità alla propria casa le idee spesso non mancano, ma qualche consiglio in più soprattutto per gli appassionati non guasta mai. Per quanti di voi siano in procinto di acquistare o anche semplicemente ristrutturare le cosiddette quattro mura, vi segnaliamo alcune App con cui poter realizzare progetti, fantasticare sull’interior design che preferite o trovare lo staff per le riparazioni più vicino a voi. Nell’era 2.0 ormai matite e fogli da lavoro sono superati ed è possibile costruire le stanze ed arredamento in 3D.
Home design 3D
Una app che vi permette di combinare in diverse modalità l’arredamento della vostra casa e di cambiarlo in qualsiasi momento. Con le dita è possibile disegnare i progetti dell’abitazione in 2D e successivamente si possono scegliere e selezionare gli oggetti da arredamento dal catalogo che ne contiene 150, scegliendo inoltre la dimensione, il colore e il materiale. L’applicazione è disponibile in lingua italiana e costa 5,99 euro.
Penultimate
Se ancora preferite gli schizzi e i bozzetti su carta allora l’applicazione più adatta a voi è Penultimate, grazie alla quale è possibile prendere appunti di qualsiasi genere, compreso segnarsi alcuni progetti che vi vengono in mente all’improvviso. Per non perdere quindi il lampo di genio che fa proprio al caso vostro per completare le stanze della vostra abitazione, o per buttare giù l’intero progetto senza servirsi degli strumenti tradizionali. Il costo dell’applicazione è di 0,79 centesimi e vi consente di realizzare non solo progetti ma di prendere ogni sorta di annotazioni.
Home Interior Ideas HD
Se invece siete completamente a corto di idee su come rimodernare o dare un taglio netto con lo stile della vostra dimora, l’applicazione Home Interior Ideas HD vi fornirà diversi spunti ed esempi da cui partire. Riportando in foto gli interni di alcuni appartamenti e ville suddivisi per categorie a seconda dalla stanza, l’app è strutturata come un vero e proprio catalogo inesauribile, da cui attingere per risvegliare la creatività di ognuno di noi. Il costo dell’applicazione è 1,59 euro.
Arriva prima.it
Se avete bisogno di un idraulico o un elettricista nei paraggi, il sito Arriva prima.it mette a disposizione una app da scaricare gratuitamente grazie a cui poter trovare un tecnico più vicino e disponibile in breve tempo. Basta digitare nella cartina di googlemaps la propria posizione o in alternativa il servizio richiesto e l’applicazione rintraccerà l’operatore nelle vicinanze.
Make your room
Grazie al sito Make your room.it, anche coloro che non possiedono un Ipad o un Iphone possono divertirsi a creare la propria casa ideale. Il sito infatti consente di realizzare e affiancare i diversi tagli di stanze e camerette e di riempirle successivamente con il mobilio e gli oggetti preferiti. Per ricostruire così in modo divertente gli ambienti, servendosi di un semplice pc.
Verrà fischiato tra poche ore il calcio d’inizio degli Europei di Calcio 2012 che si svolgeranno in Polonia e Ucraina da stasera e fino al 1° luglio, serata in cui si sfideranno le ultime due squadre giunte in finale.
Molte le alternative per chi non vuole perdersi nemmeno una partita, ovunque voi siate.
Ecco dunque proliferare siti e app pensate per l’occasione.
Gli Europei 2012 in streaming su:
1. Rai Sport
2. Live Tv
3. Adthe
Applicazioni per smartphone e tablet:
2. Sky Go
Internet:
1. Il sito ufficiale dove seguire gli aggiornamenti sulle partite è questo
2. Gli amici del Post hanno inaugurato una Guida completa agli europei
3. Il Guardian segue, ovviamente in inglese, gli Europei con approfondimenti diccilmente imitabili
4. Sempre in inglese, orientato agli schemi, formazioni e commenti sui giocatori, segnaliamo anche Zonal Marking
Per assistere i connazionali che andranno in Ucraina per le partite di Euro 2012, l’ambasciata d’Italia a Kiev ha attivato una cellula per la gestione delle emergenze e per l’assistenza consolare operativa 24 ore su 24.
Il servizio e’ stato reso operativo con il supporto dell’Unita’ di crisi del ministero degli Affari esteri. In caso di necessità, è possibile chiamare lo 0038 0442303110.
L’evento, costato all’Ucraina 8 milioni di euro ha innescato onde di indignazione e rischi reali di boicottaggio con il caso Tymoshenko che ha sicuramente influito più del previsto ad intorpidire gli animi della festa così come lo spirito celebrativo che da anni accompagna la manifestazione internazionale.
Organizzazione lacunosa e tifosi intimoriti per l’improvvisa impennata dei prezzi degli hotel (che hanno quintuplicato le loro tariffe standard), l’Ucraina, almeno per quanto riguarda la visibilità e l’immagine a livello internazionale, ha decisamente perso la sua partita con la Polonia, vicina di casa molto più accogliente per gli ospiti degli Europei.
Eppure, i rappresentanti dell’ufficio stampa non si perdono d’animo. Nel reportage di Repubblica del 5 giugno una ragazza dichiara:
Vedrete, gli stadi saranno pieni. La gente si troverà bene. In fondo, la Cina rispetta più di noi i diritti umani? Eppure Pechino 2008 fu una grande Olimpiade.
Che abbia ragione lei?
“E’ severamente vietato NON toccare le opere esposte”… In barba ai più comuni regolamenti museali, potrebbe essere questo lo slogan di “Vermeer – La mostra impossibile”, un’app per dispositivi iOS (in particolare iPad) destinata ad aprire una nuova era della fruizione culturale. Da diversi anni, l’universo della Rete Internet si è arricchito di musei e mostre virtuali di estremo interesse e spesso definite, appunto, “impossibili”, in quanto capaci di riunire in un unico ambiente opere che altrimenti sarebbe impossibile visionare in un solo colpo d’occhio, o perché sono sparse in diversi continenti o perché, nella peggiore delle ipotesi, sono andate perdute o sono state rovinate dall’incuria del tempo (e dell’uomo).
Spesso, però, queste realtà virtuali sono state progettate in modo caotico, senza un preciso disegno didattico e con il solo sfizio di portare nelle case di tutto il mondo opere di indubbio spessore, magari in alta qualità. La grande diffusione dei dispositivi mobile, unita alla loro flessibilità (in grado, praticamente, di fare qualsiasi cosa con un tablet o uno smartphone) e qualità, hanno fatto si che le mostre virtuali subissero un’evoluzione in positivo. A questo proposito, il Corriere della Sera ha deciso di seguire un filone innovativo, seguendo una strada che potrebbe, nell’immediato futuro, costituire un importante “standard” nella progettazione culturale.
Basta, infatti, scrivere nella barra di ricerca dell’App Store “Vermeer Corriere” per essere indirizzati verso l’applicazione citata a inizio articolo, pensata come una sorta di museo virtuale dedicato al Maestro di Delfi, uno dei principali protagonisti dell’arte del ‘600. L’app ha un’architettura essenziale e intuitiva: la mostra virtuale si articola lungo secondo un percorso che si sviluppa attraverso quattro sale interattive (visitabili a 360°) e allestite, scenograficamente, secondo i più classici ambienti museali, con i quadri, riprodotti in alta risoluzione, appesi alle pareti.
Si tratta di un’esperienza completa, in quanto il fruitore, oltre alle riproduzioni di buona qualità delle opere, può guardare anche video di analisi e approfondimento, testi relativi alla sua vita, il suo percorso artistico e il suo stile, nonchè curiosità e dettagli di alcuni lavori e percorsi tematici relativi ai soggetti e agli elementi preferiti dal pittore. Non manca il motore di ricerca, sia testuale che grafico, e, in un’ottica di avvicinamento all’arte dei più giovani, anche diversi giochi (puzzle a tempo), per mettere alla prova occhi e memoria di ognuno.
L’applicazione ha avuto un ottimo riscontro da parte del pubblico, tanto da raccogliere valutazioni positive e un rating di cinque stelle su un massimo di cinque. Certamente l’app è migliorabile in più punti, ma bisogna dare merito agli ideatori di questo nuovo format di museo di aver aperto inevitabilmente una strada, che potrà essere battuta da molti altri artisti e che si potrà arricchire di tante altre esperienze. Il bello delle app è proprio questo: più i modelli mobile evolvono, più il potenziale da esprimere cresce, per cercare di restituire al consumatore un’esperienza didattica e culturale interattiva, completa e divertente.
In un clima così innovativo, inevitabilmente c’è chi, tra i più tradizionalisti, storce il naso di fronte a simili novità. Certamente l’obiettivo di queste app virtuali non è l’eliminazione del museo come luogo di conservazione della memoria storico – artistica della comunità. Semmai, le strutture museali hanno di fronte, oggi più che mai, delle sfide dinamiche da affrontare. E rivoluzioni come questa delle mostre virtuali da “toccare” (sacrilegio assoluto per un qualsiasi museo reale) non possono fare altro che aiutare e venire in soccorso alle esigenze delle diverse strutture museali della nostra penisola. L’innovazione della cultura è, ormai, un dato di fatto ed è del tutto inutile provare a remare contro (come è stato fatto con gli ebook), perché il nostro futuro è legato anche a questo. Ben venga un’app come questa che, col minimo sforzo e con indubbi vantaggi, è capace di riavvicinare gente di ogni età e classe sociale al mondo dell’arte.
A questo proposito, vale la pena sottolineare un ultimo particolare, il prezzo… Perché ovviamente, come ogni buon museo che si rispetti, c’è un biglietto d’ingresso da pagare… Poco male se si realizza che costa 2.99 €, perché, in fin dei conti, è un ticket che vi dura tutta una vita.