broadbandIl Decreto Valore Cultura ha un significato e una portata che vanno oltre le misure – pur importanti – in esso contenute. Per la prima volta dopo tanti anni infatti sembra emergere un approccio di sistema alle politiche di sostegno pubblico al comparto, una “vision” che considera ad esempio l’audiovisivo un segmento della produzione creativa ad alto potenziale occupazionale e generatore di ricadute sul piano economico e industriale.

Certo, si tratta solo di un piccolo passo ma fatto nella giusta direzione e che dimostra che nonostante le emergenze quotidiane è possibile derogare ai tagli orizzontali là dove gli investimenti pubblici vengono considerati realmente strategici.

Sembrerebbe maturo quel cambio di passo necessario per avviare una seria e radicale riforma della governance per estendere ad esempio i benefici fiscali anche al settore della fiction (ben venga intanto il provvedimento a favore della produzione indipendente musicale) e del sistema di raccolta della risorse da far affluire al comparto dei contenuti creativi e culturali creando dei tavoli negoziali con i tradizionali player (broadcaster e Telcos) e nuovi operatori globali della rete (OTT).

 

Bruno Zambardino è analista senior della Fondazione Rosselli e Direttore didattico As.For. Cinema

cinemaIl 7 agosto 2013 è stata diramata dall’Agis del Lazio la notizia dello stanziamento, da parte della Regione di altri 650mila euro per la digitalizzazione dei cinema. Un intervento che prevede un contributo a schermo pari al 60 % dell’investimento, fino a un massimale di 30mila euro.
Si tratta quindi di un secondo bando regionale a sostegno della digitalizzazione dei cinema non inseriti nel precedente intervento annunciato il 20 giugno (che prevede risorse per 3 milioni di euro), ossia sale parrocchiali e arene.

Secondo l’Anec (l’associazione degli esercenti cinematografici, l’anima più importante all’interno della potente lobby Agis), si tratta di un intervento “particolarmente importante, perché permette di aumentare il numero dei soggetti beneficiari, che, senza la digitalizzazione, avrebbero rischiato di chiudere, con gravi riflessi anche occupazionali”. Da segnalare che, per la prima volta, potranno usufruire dei contributi stanziati dalla Regione Lazio per l’acquisto di impianti (ovvero sistemi e apparecchiature per la proiezione cinematografica digitale) anche le associazioni senza scopo di lucro, le fondazioni (?!), nonché i soggetti non assimilabili al sistema delle piccole-medie imprese (pmi) che gestiscono le “sale della comunità”, le arene e i cinema ambulanti.

Nello specifico, si tratterebbe di 25 arene, 13 sale della comunità, 10 cinema gestiti da associazioni culturali e 5 cine-mobili. Chi scrive quest’articolo è un appassionato cinefilo, ma francamente non ha mai avuto chance di fruire dei… “cine-mobili”, che peraltro – evidentemente – esistono (si pensava fossero un ricordo del passato, ovvero del cinema delle origini, ed invece si scopre con nostalgica lietezza che così non è!). Il giovane Presidente dell’Anec Lazio, Giorgio Ferrero (titolare dell’omonimo Circuito Ferrero, 31 schermi), esulta, ed enfatizza che il bando rappresenta un “unicum” a livello nazionale, perché la Regione Lazio interviene così “organicamente” a sostegno della digitalizzazione su “tutto il sistema dell’offerta”.
Fin qui, l’entusiasmo dei beneficiari, e ben venga. È peraltro ben comprensibile, in questo periodo di vacche magre.

Non entriamo in merito di letture contrastanti delle dinamiche in atto, ma non possiamo non ricordare che il 23 giugno, le lavoratrici e i lavoratori delle 8 sale di Circuito Cinema di Roma (King, Eden, Fiamma, Maestoso, Quattro Fontane, Giulio Cesare, Eurcine, Nuovo Olimpia) hanno scioperato per tutta la giornata contro l’annunciato licenziamento di 23 lavoratori su un totale di 61 occupati nel Circuito. I lavoratori lamentavano che la Regione avesse concesso importanti finanziamenti pubblici, senza confrontarsi anche con le parti sociali, ovvero con i dipendenti, e senza richiedere agli imprenditori alcuna “contropartita occupazionale”. Nello specifico “theatrical”, la modernizzazione del digitale determina effetti paradossali, come la riduzione della forza-lavoro (“è il capitalismo, baby…”?!).

Soffermiamoci piuttosto, ancora una volta, su un discorso “alto”, ovvero sul “senso” strategico di questi interventi (e tralasciamo quell’… “organicamente” ottimista di Ferrero), in chiave critica di politica culturale: domandiamo, ancora una volta, se si tratta di iniziative che sono maturate a seguito di un’analisi attenta dei fabbisogni complessivi del sistema culturale.

Il cinema (inteso come “cinema cinema”, cioè la fruizione “theatrical”) è in crisi, profonda, radicale. A livello nazionale ed ancor più a livello regionale.
Nel 2012, a livello nazionale, sono state 91,3 milioni le presenze in sala, rispetto ai 101,3 milioni del 2011: in un anno soltanto, si sono persi ben 10 milioni di ingressi (si tratta di stime Cinetel, dato che la Siae non ha ancora rivelato i dati definitivi). Basti ricordare che l’Italia ha meno della metà degli spettatori cinematografici della Francia, che ha superato anche nel 2012 la soglia dei 200 milioni di biglietti venduti.
Ci limitiamo a segnalare che, secondo dati elaborati dall’Agis Lazio presentati in occasione di una conferenza stampa del 6 giugno a Roma, tra il 2010-2011 ed il 2011-2012 (“stagione”, concetto peraltro non meglio identificato), il cinema nel Lazio avrebbe registrato questi preoccupanti indicatori negativi: – 15 % di ingressi al botteghino, ovvero – 12 % in volume d’affari. In sostanza, avrebbe perso 1 spettatore su 6 da un anno all’altro. Inquietante.

Il 20 giugno, il Presidente della Regione Nicola Zingaretti e due suoi assessori Lidia Ravera (Cultura) e Guido Fabiani (Sviluppo Economico), avevano già annunciato – con convinto entusiasmo – uno stanziamento da 3,4 milioni di euro per la digitalizzazione. Questa la provenienza annunciata dei fondi pubblici: 3 milioni da fondi Por Fesr Lazio 2007-2013 (ah, benedetta Unione Europea!), e 400mila attraverso il (ora tanto vituperato) Fondo Regionale per il Cinema e l’Audiovisivo (esercizio 2011, quindi evidentemente residui dei famosi “15 milioni l’anno” tanto voluti da Polverini e Santini). Si annunciava che i 400mila erano destinati alle sale di comunità, arene, e cinema minori. Evidentemente – in itinere – sono state reperite risorse per 650mila, a fronte dei 400mila annunciati un mese e mezzo fa. Bene.

I 3 milioni annunciati erano destinati a contributi a fondo perduto, pari al 70 % e con un limite massimo di 200mila euro (non comulabile con il “tax credit” digitale). Fondi erogabili tramite “sportello telematico”, e “fino ad esaurimento risorse”, con la possibilità di anticipo fino al 50 % del contributo. La determinazione n. B02722 è in data 1° luglio, ed è stata pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione il 4 luglio. Il bando è aperto dal 5 luglio fino al 31 dicembre 2013. Sviluppo Lazio (“house provider” regionale) gestisce, nella veste di “organismo intermedio”, la procedura amministrativa.

In quell’occasione, fu segnalato che nel Lazio sono attivi 123 cinematografi, per un totale di 437 schermi.

Di questi, solo 245 sono digitalizzati, ovvero il 56 % del totale. Più esattamente, a Roma, sono 82 i cinematografi, con 333 schermi attivi (208 digitalizzati, ovvero il 62 % del totale), a Frosinone 8 cinema con 24 schermi (8 digitalizzati, 33 % del totale), a Latina 14 con 46 schermi (12 digitalizzati, 26 %) mentre a Viterbo 18 con 29 schermi (12 digitalizzati, 41 %).

Molti temono che dal 1° gennaio 2014 le sale sprovviste di impianto digitale vengano escluse dalla distribuzione, ma – come abbiamo già segnalato su queste colonne – si tratta di uno spauracchio agitato soprattutto dalle “major” americane, e questa dinamica dovrebbe provocare una riflessione seria, anche nel “policy maker”. Almeno per due anni ancora (2014 e 2015), i film nella sacrosanta tradizionale pellicola continueranno ad essere distribuiti, anche perché la digitalizzazione della distribuzione cinematografica è processo complesso e planetario, e procede a macchia di leopardo nelle varie aree del globo. Non risponde a verità, quindi, che, senza questa digitalizzazione, le sale “saranno costrette” a chiudere. Il processo è meno semplice e lineare di quel che alcuni intendo rappresentare.
A fronte di questi numeri preoccupanti, (ci) domandiamo: la Regione Lazio ha effettuato un censimento dell’offerta cinematografica, in funzione delle aree di gravitazione commerciale, cioè secondo le regole essenziali del marketing?
Ed al di là dell’approccio economicista, la Regione Lazio si è posta la questione essenziale dei luoghi di offerta culturale, della loro funzione di strumenti di stimolazione sociale e di aggregazione civile?
Non ci risulta esista una mappatura minimamente accurata ed aggiornata degli spazi culturali nel territorio laziale, con dati essenziali su offerta e domanda ed analisi critica dell’interazione.
Esiste un’anagrafe delle sale cinematografiche che, nel corso degli ultimi anni, sono state chiuse, a Roma ed in tutto il resto del territorio laziale? No.

Quanti sono i Comuni del Lazio che sono cinematograficamente (e teatralmente) desertificati? Non è dato sapere, nemmeno all’Assessore Ravera o al Presidente Zingaretti.
Se siamo di fronte ad una emergenza (e siamo di fronte ad una emergenza, qual è la fruizione dello spettacolo in sala), non sarebbe opportuno destinare risorse anzitutto per avviare la ricostruzione di un tessuto culturale di offerta che mostra deficit inquietanti?! Qual è la gerarchizzazione delle priorità, nella “spending review”?!

Si dirà: “prima la sopravvivenza, ovvero evitare che chiudano altri cinema”. In parte, è giusto. In parte, no. La distribuzione delle sale sul territorio (nel Lazio come ovunque) non risponde necessariamente ad ottimale allocazione dell’offerta in termini di marketing, e quindi, in chiave di lettura squisitamente economica (economicista), è forse abbastanza naturale che “il mercato” (con tutti i suoi deficit) possa determinare alcuni “fallimenti” e quindi – udite udite – anche la chiusura di cinematografi.

La “mano pubblica” deve agire con un approccio altro (ed alto): identificare laddove lo Stato deve intervenire per superare i “fallimenti del mercato”, ma anche per preservare luoghi che hanno caratterizzato e caratterizzano l’identità storico-simbolica di quartieri metropolitani, di paesi e paesini finanche. Preservare quel che potremmo definire il “paesaggio culturale” di metropoli e paesi e finanche borghi: librerie e biblioteche, cinema e teatri, luoghi di spettacolo e cultura di ogni tipo e natura (incluse le botteghe artigianali, che cultura viva ed arte materiale rappresentano).
Intervenire peraltro soltanto sui luoghi dell’offerta (la sala), senza vincolare in qualche modo l’intervento della mano pubblica ad una stimolazione della domanda, è un errore grave: esemplificativamente, basterebbe che, nei bandi, la Regione Lazio richiedesse, tra i pre-requisiti per accedere ai finanziamenti pubblici, l’impegno dei beneficiari a proiettare una qual certa quantità di film italiani ed europei indipendenti e “di qualità” (a proposito di “qualità”, basti pensare – per evitare querelle semantiche – ai titoli di film rientranti nel progetto nazionale, finanziato dal Ministero, “Schermi di qualità”). In questo modo, si andrebbe sostenere (intelligentemente) l’offerta e si stimolerebbe (culturalmente) la domanda, non limitandosi a soltanto consentire ai multiplex dominanti e finanche alle sopravvissute sale parrocchiali di proiettare “digitalmente” (uào!) i film commerciali soprattutto delle “major” americane…

Queste iniziative debbono stimolare una opportuna riflessione sul rischio di paradossi di azioni e finanziamenti che si millantano toccasana, ma poi, a ben vedere, tanto “miracolosi” finiscono per non essere.

Riteniamo che la mano pubblica debba sostenere l’offerta… altra, non quella… dominante: le piccole botteghe artigianali (e non i mega centri commerciali) e le opere “off” (e non quelle “mainstream”). “Indie” ed “off” dovrebbero essere parole-chiavi del linguaggio del “policy maker” illuminato in materia di politica culturale. Vorremmo anche in Italia, e non soltanto in Francia.

Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult

audiovisivoIl 5 giugno si è tenuto a Roma, presso la sede della Regione Lazio, un incontro tra Lidia Ravera, Assessore alla Cultura e Sport e Politiche Giovanili della Giunta Zingaretti (insediatasi a metà marzo), ed una folta rappresentanza delle tante associazioni, professionali ed imprenditoriali, che caratterizzano il “piccolo mondo” degli italici cinematografari. È stata una occasione ghiotta, per chi cerca di comprendere gli orientamenti della eterodossa neo-Assessore (che si è autodefinita una “aliena”, rispetto ai “palazzi della politica”, in un bell’articolo pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 1° giugno scorso). Ravera è stata chiamata alla guida delle politiche culturali della Regione Lazio da Nicola Zingaretti, che ha voluto mettere in atto un’operazione spiazzante, anche perché Ravera, pur ben collocata a sinistra, non è iscritta al Pd, ed è quindi sganciata da dinamiche partitocratiche.

Da osservatori critici – quali siamo, da decenni – della politica culturale, a livello nazionale e locale, abbiamo, fin dai primi giorni, apprezzato la estrema cura comunicazionale (linguistica e semantica) con cui Ravera si è manifestata, in alcune pubbliche occasioni: che fosse un intellettuale ed un’artista, era evidente, ma che riuscisse ad arricchire il “linguaggio della politica” con una forma elegante ed al tempo stesso significativa (significante) è una bella sorpresa. Anche perché si tratta di un bel parlare che sembra riuscire a non cadere in quella qual certa ridondanza retorica che caratterizza invece talvolta un altro eccellente “affabulatore” – politico di professione – qual è Vendola, ad esempio.

Ciò premesso, la Ravera, che ha ereditato un assessorato retto per alcuni anni da Fabiana Santini (il cui curriculum evidenziava al massimo il ruolo di capo della segreteria dell’ex Ministro Scajola) nella Giunta Polverini, ha subito precisato, non appena insediatasi, che avrebbe “studiato”, e che avrebbe anzitutto “ascoltato”… “prendendo appunti” (formula che ribadisce spesso, e che effettivamente corrisponde alla realtà). Ha anche premesso con chiarezza: “la Regione Lazio, e questo Assessorato, non saranno più un bancomat, anche perché il bancomat s’è rotto”.

In estrema sintesi, va ricordato – ai lettori che non vivono a Roma e nel Lazio – che la Giunta Polverini (aprile 2010-marzo 2013) aveva, a sua volta, ereditato dalla Giunta Marrazzo (aprile 2005-ottobre 2009) un notevole livello di interventismo nelle politiche culturali, con particolare attenzione all’audiovisivo: finanziamenti consistenti, sostegno ad iniziative incerte come il Fiction Fest, iniziative promozionali varie.

Il deficit della Giunta Marrazzo va cercato nell’assenza di programmazione, ovvero di un piano strategico organico e di medio periodo: ha prevalso una pluralità di interventi, che è presto degenerata in policentrismo dispersivo, a partire da una assenza di sintonia tra “anime” della stessa giunta: le politiche culturali erano curate da Giulia Rodano (poi divenuta responsabile cultura nazionale dell’Italia dei Valori, ed ormai allontanatasi dalla politica); le politiche comunicazionali erano gestite da Francesco Gesualdi (segretario generale della Regione, già direttore generale di Cinecittà, fiduciario di Marrazzo).

Con una gestazione complessa, la Giunta Polverini ha comunque approvato una legge regionale sul cinema e sull’audiovisivo, che un qualche segno di innovazione ha provocato, a partire dalla denominazione della norma stessa, che, per la prima volta in Italia, ha “accomunato” il cinema e l’audiovisivo (non cinematografico). Sono stati allocati fondi per 15 milioni di euro l’anno, assegnati sulla base di meccanismi “automatici” (in primis, la sensibilità verso il Lazio, in termini di riprese o utilizzazione di risorse professionali in Regione), senza che vi fossero commissioni di esperti che giudicassero la sceneggiatura o il progetto filmico.

Questa legge è controversa: per alcuni, ha consentito una preziosa boccata di ossigeno, a fronte della riduzione della “quota cinema” del nazionale Fondo Unico per lo Spettacolo (che non arriva ormai a nemmeno 100 milioni di euro l’anno); per altri, ha finito per finanziare anche qualche produzione indipendente e qualche giovane autore (e produttore), ma per lo più ha sostenuto i “soliti noti”, ovvero i più ricchi produttori italiani (esemplificativamente, la Cattleya di Riccardo Tozzi e la Palomar di Carlo Degli Esposti). Va rimarcato che non è stata realizzata alcuna analisi valutativa degli effettivi impatti di questa legge, nella “migliore” tradizione dell’assenza di verifiche sull’intervento della mano pubblica nel settore culturale, che riteniamo essere la più grave patologia del sistema italiano. In verità, né l’assessorato affidato a Rodano né l’assessorato affidato a Santini hanno prodotto un rendiconto analitico accurato: il concetto stesso di “bilancio sociale” è ancora fantapolitica, per il nostro Paese.

Come vengono allocate le risorse… perché a favore di “x” piuttosto che di “y” (e questo problema riguarda enormi macchine “mangiasoldi” come gli enti lirici a livello nazionale, ma anche l’ultima delle piccole associazioni culturali del comune più sperduto)… sono domande che restano senza risposte, come il quesito sull’efficacia, in termini di stimolazione del tessuto culturale (estensione del pluralismo, pluralità dei linguaggi, eccetera), degli interventi pubblici. Il concetto di valutazione di impatto così come quello di verifica dell’efficacia sono sconosciuti alla quasi totalità della italica politica culturale.

Sono intervenuti alla riunione (ad inviti), i rappresentati di Slc Cgil, Anica, Agis Lazio, Anem, Anac, Apt, Agpc, 100autori, Cinema e Territorio, Cinecittà Luce, Doc/it, Fidac, Consequenze Network, Sact… Tutti hanno manifestato le proprie lamentazioni, per una crisi grave e diffusa: è emerso uno scenario critico veramente sconfortante. Che la crisi del cinema italiano sia profonda è confermata dalla notizia (diffusa nella stessa giornata dell’iniziativa della Regione Lazio) della sostanziale sospensione delle attività di distribuzione ed acquisizione della mitica Sacher di Nanni Moretti, che ha diramato questo comunicato stampa: “Ormai la situazione del Paese è tale che una distribuzione come la nostra, da sempre orientata alla diffusione di film art house che la gente va sempre meno a vedere e che le tv non acquistano più, si ritrova a lavorare più per filantropia che altro”.

Dopo oltre due ore di interventi, ha tirato le conclusioni l’Assessore, visibilmente affaticata (ha diligentemente preso appunti, come annunciato), ma ben vivace e stimolante, tracciando alcune linee-guida: ha premesso che non ha mai creduto nella dicotomia tra “cultura” ed “industria”, ed ha definito le industrie dell’immaginario come “industrie particolari che producono oggetti delicati” (aggiungendo: “dobbiamo sempre ricordarci il motto: handle with care”); ha lamentato come il nostro Paese, da molti anni, sia sottoposto ad un bombardamento mediatico (televisivo) che ha impoverito le coscienze (“abbiamo consumato roba balorda per decenni”) ed ha determinato una diffusa “desertificazione culturale”; ha sostenuto la necessità di far affluire “aria fresca” in un sistema polveroso e stantio, attraverso la promozione della sperimentazione, della ricerca, dell’innovazione, dei giovani talenti, stimolando le diversità espressive e linguistiche; ha sostenuto a chiare lettere che gli “automatismi” possono anche essere funzionali, ma che debbono essere integrati (corretti) con l’intervento “umano” (per quanto esso possa essere a rischio di soggettività); ha dichiarato che le procedure di finanziamento dovranno prevedere anticipazioni, perché la produzione audiovisiva è processo complesso e costoso, ed è la fase iniziale a dover essere sostenuta con maggiore attenzione; ha enfatizzato la necessità di guardare al territorio regionale, ben oltre Roma, perché è soprattutto “in provincia” che si soffre dell’assenza di strutture di offerta (cinema, teatri, centri culturali…), ovvero si assiste alla morte degli “avanposti dell’alfabetizzazione”; ha annunciato la costituzione di un comitato di qualificati esperti indipendenti (liberi da conflitti di interessi), che procederà ad apportare correzioni “light” alla legge cinema ed audiovisivo, ed a effettuare valutazioni (soggettive!) su cosa debba essere sostenuto, e cosa no, dalla Regione Lazio (“no ai finanziamenti a pioggia… anche perché si corre il rischio di… far piovere sul bagnato”, ha ironizzato); per quanto riguarda la film commission, ha dichiarato a chiare lettere che considera l’esperienza pugliese (e la stima per Vendola si conferma) un caso di eccellenza, anche per quanto riguarda la Apulia Film Commission, diretta dal giovane Silvio Maselli.

Per noi, che pure siamo studiosi critici di politiche culturali da un quarto di secolo, assidui e pazienti frequentatori di ogni iniziativa convegnistica e di dibattito sulla cultura, si è trattato di un’iniziativa assolutamente lodevole: densa, succosa, stimolante.

Le intenzioni dell’Assessora, intellettuale umanista, sono evidenti, commendevoli, condivisibili: innovare, scardinare il modello pre-esistente, rischiare. Abbiamo anche registrato qualche interessante assonanza tra quanto sostenuto dall’Assessore Ravera e quanto annunciato il 23 maggio dal Ministro Bray nella sua relazione di fronte alle Commissioni Cultura di Camera e Senato per la prima volta riunite assieme. L’intervento del neo-Ministro, per lo specifico audiovisivo, è rivoluzionario (almeno sulla carta), sebbene nessun quotidiano abbia colto la novità: ha fatto riferimento al modello francese come “benchmark”, e ciò basti.

Non resta da augurarci che si passi presto dal libro delle belle intenzioni (comunque apprezzabile, anche soltanto dal punto di vista intellettuale e della elaborazione di “policy” auspicata) alla concreta progettualità ed alle conseguenti azioni: normazioni, regolazioni, allocazioni di budget adeguati, deliberazioni amministrative. La Giunta Zingaretti ha certamente una previsione di vita maggiore del Governo Letta, e ciò conforta.

Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’IsICult – Istituto italiano per l’Industria Culturale

eumediaIl Transatlantic Trade and Investment Parternship Agreement (TTIP) è un accordo che regola lo scambio commerciale tra Unione Europea e Stati Uniti e mira a creare una “free trade zone” tra i due mercati che insieme assorbono la metà della produzione economica mondiale.

Le ricadute in ambito industriale e occupazionale sono evidenti. L’accordo è in fase di negoziazione e il mandato per la parte europea è stato conferito al Commissario al commercio Karel de Gucht. La bozza di mandato in discussione, a differenza di quanto stabilito nei precedenti accordi (GATS) per la priva volta, non esclude esplicitamente l’audiovisivo e i servizi culturali (di qui il concetto di “eccezione culturale”) dai settori da inserire nel processo di liberalizzazione.

Si è aperta dunque una pericolosa breccia che rischia di mettere in discussione, minandone la legittimità, l’articolato sistema di sostegno pubblico (comunitario e nazionale) al settore della produzione audiovisiva allargando ulteriormente il divario competitivo in questo ambito con gli Stati Uniti. Nel dibattito infuocato che si acceso in quasi tutti i Paesi europei (Londra ovviamente sta dalla parte degli Usa) in pochi hanno sottolineato uno dei risvolti più preoccupanti legati all’eventuale inclusione dell’audiovisivo negli accordi di libero scambio. Cedere alla posizione americana (che non a caso ha già minacciato ritorsioni su altri settori economici) significherebbe aprire le porte all’ingresso massiccio nei paesi europei dei servizi audiovisivi distribuiti online (per loro stessa natura transfrontalieri).

Si assisterebbe così ad una invasione incontrollata di offerte di video on demand fruite in modalità non lineare proposte dagli OTT players (Google, Apple, Amazon, Netflix, Hulu, ecc.) senza la possibilità di “sistemi di compensazione” a tutela della produzione indipendente europea.

Il settore audiovisivo europeo in definitiva non beneficerebbe di alcun effetto positivo dalla liberalizzazione commerciale poiché l’accesso al mercato nordamericano per i film europei resterebbe una chimera a causa di fattori strutturali propri del mercato nordamericano da sempre “allergico” ai prodotti in lingua straniera fatta eccezione per le produzioni europee di lingua inglese con cast di richiamo internazionale. La produzione audiovisiva USA, al contrario, è presente in modo significativo nel mercato europeo con quote di mercato largamente maggioritarie in quasi tutti i Paesi nonostante la presenza di schemi di aiuto diretti e indiretti che rischiano di essere spazzati via (mettendo a repentaglio 1 milione di persone occupate) in assenza di un fronte compatto.

 

Bruno Zambardino è analista senior della Fondazione Rosselli e Direttore didattico As.For. Cinema

Qualche settimana fa, La Stampa titolava uno stimolante articolo di Mattia Feltri (che intervistava tra l’altro Giuseppe Roma, direttore generale del Censis): “Snobbati gli intellettuali. “Appelli ingenui e antiquati”. Roma (Censis): “Mittenti e destinatari parlano lingue diverse” (vedi “La Stampa” del 12 marzo 2013): parafrasando un famoso Moretti, Roma esordiva con un… “no, l’appello no!”.

L’articolo si riferiva ad un appello pubblicato sul quotidiano “la Repubblica”, a firma di Remo Bodei, Roberta De Monticelli, Tomaso Montanari, Antonio Padoa-Schioppa, Salvatore Settis, Barbara Spinelli, rivolto a Beppe Grillo ed al suo Movimento 5 Stelle (“dire no a un governo che facesse propri alcuni punti fondamentali della vostra battaglia sarebbe a nostro avviso una forma di suicidio: gli orizzonti che avete aperto si chiuderebbero, non sappiamo per quanto tempo”), ma, più in generale proponeva una lettura critica dello strumento, della “forma-appello”.

Qui ci soffermiamo su una sub-specie della forma-appello: gli appelli degli operatori del sistema culturale alle italiche “istituzioni”, per sensibilizzarle (…) rispetto ad un auspicabile “buon governo” (gli infiniti deficit di strategia, organicità, programmazione, efficienza, trasparenza, ecc.), ma soprattutto rispetto alla riduzione del budget dedicato alla cultura. È quest’ultima dinamica (i “tagli”) quella che comprensibilmente preoccupa di più, in tempi di crisi nera e di fame diffusa. Nelle more e subito dopo l’entrata in carica del Governo Letta, una pluralità di soggetti associativi del sistema culturale hanno ritenuto opportuno manifestare le proprie esigenze anzitutto al Ministro Massimo Bray.

Abbiamo cercato di ricostruire la sequenza temporale (in ordine cronologico decrescente):
– 3 maggio 2013: la “lettera aperta” ai ministri Bray (Mibac) e Zanonato (Mise) e a tutte le istituzioni da parte delle associazioni dell’audiovisivo: Anica, Apt, Anec, 100Autori, Ifc, Afic, Agpci, Ape, Fice, Acec, Doc.it, Sncci, Sngci, Apil, Anac, Art, Asifa; titolo “Più audiovisivo, più innovazione, più cultura: noi faremo la nostra parte”;
– 29 aprile 2013: gli auguri al neo Ministro da parte dell’Agis; titolo “Buon lavoro al Ministro Bray. Cultura torni ad essere strategica”;
– 29 aprile 2013: la “petizione online” rivolta al Ministro dei Beni e Attività Culturali da Indicinema:
–  24 aprile 2013: l’“appello urgente” promosso da Afic, Anac, 100Autori, Anec, Anica, Slc Cgil, Fistel Cisl, Uilcom Uil; Sncci, Sngci; titolo “Cinema: appello urgente al nuovo Ministro”
– 23 aprile 2013: l’“Appello per il patrimonio culturale rivolto alle Istituzioni e in particolare al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio e al Ministro dei Beni Culturali di prossima nomina”, da Ana, Anac, Anart, Apti, Arci, Art. 9, Articolo 21, Asc, AssTeatro, Assotecnici, Rete Cinema & Territorio, Cia, Consequenze Network, Federazione Cemat, Fed.It.Arts, Fidac, Iacs, Indicinema, La ragione del restauro, MoveM09, Nuova Consonanza, Pmi, Ritmo, Sai, Sncci, Tam Tam, Ufficio Sindacale Troupes Slc-Cgil…

Non siamo nemmeno sicuri che questa ricostruzione di “appelli” sia completa ed esaustiva. Abbiamo raccolto il testo dei vari appelli in questo documento: pubbliche perorazioni che, sommate a quelle degli ultimi anni, potrebbero andare a comporre un triste pamphlet, meritevole di una collazione tombale, nel cimitero della politica culturale nazionale.
Qui ci soffermiamo su uno degli appelli che ha provocato una qualche eco, quello del 3 maggio, intitolato “Più audiovisivo, più innovazione, più cultura: noi faremo la nostra parte”, firmato, tra gli altri, dalla maggiore associazione imprenditoriale del cinema italiano (l’Anica) e dalla maggiore associazione autoriale (100autori).

L’appello è articolato in 8 punti:
(1.) rinnovare il tax credit ed estenderlo a tutte le opere audiovisive;
(2.) ripristinare il Fus ai livelli pre-crisi;
(3.) introdurre un prelievo di scopo integrale sulla filiera degli utilizzatori successivi alla sala che coinvolga anche gli operatori della rete (siti e provider, over-the-top e telecom);
(4.) varare una severa disciplina antitrust, verticale e orizzontale, per impedire ogni posizione dominante, anche sui territori;
(5.) varare una legge di riordino complessivo del sistema audiovisivo italiano che superi gli steccati tra cinema e tv, riconosca e disciplini le film commission, preveda una Dg audiovisivo;
(6.) favorire l’attrazione di produzioni internazionali e l’ingresso d’investitori privati; così come l’export e l’internazionalizzazione delle nostre imprese;
(7.) sostenere l’esercizio, combattendo con decisione la pirateria, salvaguardando e ampliando l’offerta delle sale di città;
(8.) inserire e articolare lo studio del cinema e del linguaggio audiovisivo nei programmi didattici delle scuole italiane a partire dalle prime classi della scuola dell’obbligo”.

L’appello si conclude con alcune teorizzazioni di sistema: “Le imprese dell’audiovisivo, gli autori, le film commission, i festival, le sale cinematografiche sono produttori di reddito e di ricchezza culturale; contribuiscono a diffondere la nostra diversità culturale nel mondo e attraggono investimenti esteri in Italia. Un Paese competitivo non può rinunciare alla sua industria più avanzata in termini d’innovazione e creatività”.
Crediamo che una simile dichiarazione di intenti sia condivisibile da qualsiasi cervello dotato di buon senso. In Francia, un simile appello susciterebbe reazioni ridicole, perché la totalità delle azioni richieste dagli italiani sono già in atto, in quel bel Paese, e da decenni.
Sulla carta, la sensibilità culturale del Ministro Bray è indiscutibile: ma l’intellettuale ed organizzatore culturale, nella novella veste di Ministro della Repubblica, saprà confermarla con comportamenti conseguenti?! Tutti ce lo auguriamo. Si spera che non si ammali di sordità istituzionale, patologia diffusa da molti anni nelle stanze del Collegio Romano.
Apprezzabile, in particolare, negli 8 “punti” dell’appello del 3 maggio, l’auspicio di superare gli “steccati” tra cinema e televisione, che, storicamente, in Italia, per troppi decenni, sono stati mondi “a parte”, con il cinema che guardava alla tv con snobismo estetico. E si osservino, in particolare, i firmatari: da un lato, Anica ed Apt; dall’altro, Anac e 100autori. Quasi una svolta epocale, verrebbe da commentare!

Quel che stupisce è che i promotori abbiano ignorato completamente un elemento fondamentale di criticità: la promozione. Se il cinema televisivo arranca (così quasi tutti gli altri segmenti del sistema culturale, dalla danza ai videogame) è anche a causa dell’assenza di un “sistema informativo” adeguato. È sintomatico che il monopolio pluridecennale del vetusto Gigi Marzullo su Rai 1, che si vanta ancora di curare “l’unica trasmissione della tv italiana dedicata al cinema” (sic), sia stato infranto soltanto ad inizio 2012 da Antonello Sarno, che ha lanciato il rotocalco “Supercinema” su Canale 5 (ben curato nonostante il low budget): in entrambi i casi (ignobile il primo, dignitoso il secondo) si tratta di iniziative insufficienti ed inadeguate.

Se, in generale, l’offerta culturale italiana non incontra la domanda (che pure latente c’è), è anzitutto a causa della inadeguatezza della promozione, della comunicazione, del marketing, e soprattutto sul medium che resta, nel bene e nel male, dominante: la televisione.
Sul banco degli imputati, in primis il Ministero (le campagne per la promozione della lettura sono indegne di un Paese evoluto, per linguaggio, budget e piano-media) e la Rai (che sembra aver abdicato ad un ruolo di traino – almeno promozionale – della cultura nazionale).

Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it)

Nell’ambito del Convegno dal titolo “Le risorse pubbliche per la fiction in Europa” promosso dall’APT (all’interno dell’edizione 2012 del Roma Fiction Fest) che ha avuto luogo il 1° ottobre scorso, l’Istituto di Economia dei Media della Fondazione Rosselli ha presentato alcune anticipazioni del IV Rapporto sulla fiction.
Tra i focus di quest’anno una inedita ricognizione (tuttora in corso) volta a determinare l’entità e i beneficiari di fondi di provenienza europea (Fondo Sociale Europeo, Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, Eurimages e Media) che hanno contribuito a sostenere i vari ambiti della filiera italiana dell’audiovisivo e in special modo la produzione.
L’esito della prima fase dell’indagine restituisce un quadro non entusiasmante soprattutto se posto a confronto con i nostri principali competitor europei.

Distribuzione dei progetti/società beneficiari per tipologia di Fondo monitorato (2007-2011)


Fonte: elaborazioni IEM-Rosselli su dati Open Coesione, Eurimages e Antenna Media Torino

Nel periodo esaminato 2007-2011, le risorse europee stanziate a sostegno dell’audiovisivo italiano ammontano complessivamente a 60,7 M€ (dato provvisorio), di cui 33,5 milioni da Media (55%), 18 milioni dal FESR (29%), 8,3 milioni da Eurimages (14%) e circa un milione dal FSE (2%). I progetti ad oggi monitorati sono stati 741. Se si considerano anche le risorse aggiuntive (in virtù del cosiddetto principio di addizionalità) che provengono anche dallo Stato, dalle Regioni e in minima parte dai privati le risorse complessive destinate al comparto salgono a 105,5 M€
Il programma Media, che rappresenta oltre la metà degli stanziamenti europei complessivi, ha finanziato tra il 2007 e il 2011 400 progetti audiovisivi italiani.
Rispetto al totale degli stanziamenti del programma per singolo anno, l’Italia ottiene in media il 7,2% delle risorse assegnate. L’anno più proficuo è il 2008, a partire dal quale si registra una progressiva  contrazione.

Sostegno Piano Media: Italia vs. totale UE  (2007-2011) dati in M€


Fonte: elaborazioni IEM-Rosselli su dati Open Coesione, Eurimages e Antenna Media Torino

Il segmento della filiera maggiormente finanziato dal programma MEDIA è quello della distribuzione (18,5M€) seguito dai progetti di sostegno ai produttori (7,7 M€).
Tra questi ultimi si segnalano 25 progetti di “fiction” (cinema e televisione) per 1,2 M € .
Basti osservare come per il medesimo ambito di intervento la Francia ha ottenuto 43 M€, il Regno Unito 17 milioni, laddove il totale europeo per gli stanziamenti in questo ambito è stato di 156 M€

Questi dati poco confortanti inducono ad una riflessione più ampia circa la necessità di agire sulle leve dell’informazione e della sensibilizzazione degli operatori del settore per aumentare il grado di partecipazione ai progetti europei. Ciò anche alla luce del prossimo varo di Europa Creativa e più in generale delle nuove strategie adottate dalla Commissione Europea che proprio qualche settimana fa ha presentato un piano strategico di valorizzazione delle industrie culturali e creative (CCI) che prevede un set di misure da intraprendere da parte degli organi comunitari e degli Stati Membri. L’iniziativa è di grande rilievo e promuove, definitivamente, creatività e cultura come asset fondamentale di crescita ma anche di identità dell’Unione Europea.

L’ibridazione tra tv e  rete è un processo affascinante e irreversibile. Mentre le più grandi community sui social network sono collegate proprio a programmi televisivi “tradizionali”, sulla rete nascono e si moltiplicano webseries, caratterizzate da un linguaggio specifico capace di stimolare interazione con il pubblico.
Contenuti “non lineari” scovati da fasce sempre più nutrite di utenti che grazie al web hanno ampia libertà di scegliere dove, cosa e quando fruire di determinati contenuti. Fenomeno ancora poco esplorato nel nostro Paese, le webseries stanno prendendo rapidamente piede come dimostrano numerosi casi da quelli più noti come Freaks e Travel Companions, (migliore web commedy straniera al Los Angeles Webseries Festival dell’anno scorso) ad altri interessanti iniziative come la sitcom Samantha & Samantha o ancora Lost in Google, divertente esperimento di regia interattiva in cui gli attori si lasciano guidare dai commenti degli spettatori. Fino ad arrivare alle serie Mind e alla recente Alt ,entrambe girate nella capitale.
Questi format nascono, si sviluppano e si consumano nella rete, vedono come protagonisti giovani webmakers  puntano ad una visibilità internazionale come dimostra il numero crescente di prodotti con sottotitoli in altre lingue rivolgendosi a platee extradomestiche.
In una fase di contrazione degli investimenti in produzione originale da parte dei broadcaster, cosa aspettano i produttori televisivi più illuminati ad intercettare queste energie creative che pur muovendosi in un mercato che vive una fase embrionale, iniziano a destare una certa attenzione anche da parte del mondo pubblicitario?

Bruno Zambardino è analista senior della Fondazione Rosselli e Direttore didattico As.For. Cinema

Ottenere un riconoscimento definitivo dei sostegni locali alla produzione audiovisiva da parte del sistema nazionale. L’Associazione guidata da Silvio Maselli che raggruppa le principali Film Commission aspira legittimamente ad avere maggiore voce in capitolo all’interno del sistema di sostegno al comparto audiovisivo. L’idea chiave che guida le amministrazioni locali (di cui le FC sono espressione diretta) è quella di trasformare le opportunità legate ad attività tipicamente di natura immateriale in un volano di sviluppo industriale, intervenendo in tutte le fasi della filiera, nella consapevolezza che l’audiovisivo eserciti una straordinaria capacità di “illuminazione” dei territori generando significative ricadute socio-economiche.
Nell’arco di pochi anni si è assistito ad una crescita progressiva dell’apporto finanziario delle Regioni: secondo recenti stime Anica i fondi regionali (in parte gestiti direttamente dalle FC) ammontano a circa 20 M€, una cifra non distante da quanto il Ministero destina ogni anno al sostegno dei film di interesse culturale e delle opere prime e seconde.
Le Film Commission, pertanto, hanno pieno diritto a partecipare alla “governance del cinema” riservandosi uno spazio adeguato di rappresentanza all’interno dei tavoli associativi e istituzionali che contano. Il pacchetto di protocolli appena siglato pone le basi per una collaborazione permanente con ANICA, APT, Direzione Generale Cinema del Mibac e Cinecittà Luce che si tradurrà in iniziative congiunte di studio e di analisi del mercato, di scambio di informazioni, di azioni seminariali e di formazione. Si pensi ad esempio a quanto sia rilevante la diffusione capillare sui territorio degli strumenti di incentivazione fiscale  a beneficio degli addetti ai lavori interni ed esterni alla filiera.
Perché siamo convinti che non si tratta dei soliti “protocolli formali” e che a questi seguiranno azioni concrete? Molto semplice. L’Associazione delle Film Commission è oggi guidata da un manager giovane e preparato e con le idee molto chiare sulle strategie di sviluppo del settore.
Sono sotto gli occhi di tutti gli ottimi risultati ottenuti dalla Fondazione Apulia Film Commission da lui diretta, in termini di visibilità internazionale e di efficacia e tempestività degli interventi di sostegno.

Bruno Zambardino è analista senior della Fondazione Rosselli e Direttore didattico As.For. Cinema

La notizia del varo dopo tanti annunci (finalmente) di una legge regionale che riordinasse l’intero comparto audiovisivo del Lazio non può che far piacere. Per anni, troppi, gli operatori del settore aspettavano un gesto che mettesse fine ad una moltiplicazione delle competenze e parcellazione degli strumenti economici che non faceva che generare confusione.
Oltre a questo, da tutte le parti veniva lamentata l’assenza di una struttura di controllo e di direzione che permettesse anche all’esterno di capire quali fossero le linee programmatiche generali e di porre fine alla profonda confusione che spesso contribuiva solo alla dispersione delle forze.
Certo, le perplessità restano, e sono legate non solo al modo in cui verranno redatti il Documento programmatico triennale e annuale, che segneranno le linee di investimento e sviluppo, e quindi all’effettivo ruolo che avrà la Consulta Regionale per il cineme e l’audiovisivo (formata da rappresentanti di associazioni di categoria, docenti universitari, professionisti); ma anche alle modalità dell’effettiva erogazione dei fondi stanziati e la loro ripartizione che dovrebbe essere attuata attraverso una rinnovata Film Commission regionale.

Il tutto sotto la spada di Damocle della questione Fondazione Rossellini per l’audiovisivo che non appare ancora risolta (anche se l’assessore Santini ha espresso la volontà di ricollocare i lavoratori nelle strutture regionali per salvaguardarne il posto di lavoro) ed il sospetto, più che fondato, che i 45 milioni da investire previsti dalla legge non siano in verità concretamente “spendibili per i contributi”.
Oltre a ciò pesa la considerazione che il sistema verso cui si sta andando, centralizzazione e verticalizzazione, se è vero che permette in ipotesi un ordine maggiore e la definizione di una linea programmatica precisa, presuppone anche una lungimiranza ed una lucidità che le amministrazioni pubbliche non sempre sonon state in grado di garantire e la possibile esclusione ripetuta di alcuni in favore di altri. Se poi le modalità di collaborazione e di dialogo sono quelle poco eleganti con cui le amministrazioni regionale e comunale hanno risolto la questione Festival del cinema di Roma, allora la proccupazione cresce. Per il momento l’unica cosa certa è che l’ANICA plaude all’iniziativa e insieme a lei molte altre associazioni di categoria.

Massimo Galimberti è critico, saggista, dottore di ricerca e docente di cinema presso l’Università degli Studi dell’Aquila. Lavora come selezionatore e organizzatore di festival internazionali.

Intervista a Simone Sindaco, architetto e consulente critico della rassegna ParteCinemAzione e a Marco Coppola, filmmaker della troupe MarTEN e direttore artistico di PartecinemAzione

Il 5 maggio si è tenuto il primo della serie di incontri programmati all’interno della rassegna ParteCinemAzione, iniziativa nata da un’idea della troupe MarTEN e realizzata grazie alla collaborazione con l’associazione culturale MOMAbo e Altotasso, per dare maggiore visibilità alle nuove espressioni indipendenti del settore audiovisivo italiano. Ci puoi raccontare come si svolgeranno i vari eventi e quali saranno i tratti distintivi del progetto?
Il Progetto PARTECINEMAZIONE/rassegna degli inizi si svolge in 4 appuntamenti, ogni giovedì di Maggio. Il primo appuntamentosi è aperto il 5 maggio con un Workshop gratuito a tutto il pubblico che ha approfondito i temi di Editing-Video ed è stato “snocciolato” da esperti del settore film making; in seguito, verrà affrontato il tema della proiezione dei video-film di ben 7 autori selezionati in base ai temi: Gli inizi e le gare a tempo; L’autoproduzione ; Pubblico in rete ; Corti e diritti in musica.
Si conclude il 26 maggio con l’ultimo appuntamento, dove si potrà vincere un premio in palio messo a disposizione dall’organizzazione MOMA e dai suoi partner. Il carattere distintivo dell’iniziativa è di creare un aperto confronto tra FilmMaker di diverse provenienze territoriali, anagrafiche e culturali senza un netto distinguo tra professionisti, semiprofessionisti o appassionati, insomma un vero laboratorio per tutti gli interessati: partecipare è semplice, basta seguire la rassegna e compilare l’apposita cartolina presso Alto Tasso, che si trova in Piazza San Francesco (Bologna).

L’evento si svolgerà a Bologna, città che dell’audiovisivo ha fatto uno dei capisaldi della propria cultura, basti pensare alla Cineteca e alla creazione di una cittadella dell’audiovisivo, culminata il 28 giugno 2003, con la concentrazione di buona parte delle sue attività negli spazi dell’area ex-Macello. Come vi rapportate nei confronti di questa realtà ormai consolidata e quale valore aggiunto sentite di poter dare con la vostra rassegna di cinema indipendente?
Questa iniziativa, come tutte quelle già organizzate da Alto Tasso-MOMA, si rapporta con le altre realtà preesistenti semplicemente proponendosi come libero luogo fisico e culturale capace di accogliere differenze e similitudini, perché la sua vera ambizione è colmare proprio quelle lacune che hanno anestetizzato per anni la Città di Bologna. Una sorta di “luogo sociale” dove la “calefazione delle arti e della ricerca culturale” possano rianimare un tessuto urbano e civico importantissimo ma dimenticato…

Parliamo ora dei promotori dell’iniziativa, che vedono in prima linea il mondo associativo, anche questa altra componente importante della città. Qual è la storia delle vostre associazioni culturali (MOMabo e Altotasso) e come sono strutturate dal punto di vista organizzativo?
L’Enoteca “Alto Tasso” nasce circa sei anni fa dall’iniziativa di Nicoletta De Jiulis, Roberto Farina e Maurizio Rossi che, tra i loro amici-clienti, avevano da subito identificato uno scopo comune e fondamentale: l’importanza della cultura come fattore  associativo e di esperienze di vita. Ciò ha permesso all’enoteca di evolvere in associazione di promozione sociale e culturale, ridefinendola prima come Minima Moralia e poi MOMA. Alcuni di noi, oramai un vero staff, organizzano e progettano eventi (nostri o altrui), dividendosi i compiti per qualifica e competenze, confrontandosi sui contenuti a cui dare poi una forma definita. La risposta del pubblico di Alto Tasso, per nostra gratifica, è stata sempre molto positiva.

Che tipo di collaborazione avete instaurato, invece, con le università? Qual è stata la reazione nei confronti della vostra iniziativa, soprattutto da parte degli specialisti della materia?
La collaborazione c’è sempre stata e in massima autonomia: gli specialisti di tutte le discipline affrontate(architettura, pittura, grafica, fotografia, cinema-spettacolo, poesia etc.) si sono sempre dimostrati attenti e sinceramente interessati. Riguardo invece le istituzioni, di volta in volta si sono potuti ringraziare per sostegno e collaborazione ricevuta: L’Università, con la quale trasversalmente tra studenti, ricercatori e docenti si è anche creato un interessante rapporto di ricerca e di crediti accademici, La Cineteca di Bologna con il progetto “FareCinema a Bologna”, con l’Istituto di Cultura Germanica & Francese insieme all’associazione Musei Italiani D’Arte Moderna e Contemporanea, con il SAIE-Fiere di Bologna per convegni, con l’ufficio affari cultura dell’Ordine Architetti etc. Questo dimostra non solo la validità dei nostri progetti ma, prima di tutto, l’esistenza di una parte di cittadinanza assetata di novità, pronti a riceverla con entusiasmo e a promuoverne ancora. 

Un’ultima domanda che guarda al futuro: siamo in procinto di elezioni amministrative, e fra qualche settimana Bologna accoglierà un Sindaco e una giunta nuovi. Quali sono gli auspici per questa nuova fase, soprattutto in riferimento alla politica culturale della città?
In merito a questa domanda esprimo un parere assolutamente personale (ma credo da molti condiviso). Il mio auspicio per il nuovo Sindaco e la nuova giunta di Bologna è che possano finalmente rendersi conto che la Cultura non è soltanto un passatempo borghese, è piuttosto una urgenza della Civilitas Bolognese e Italiana, è energia vitale per tutta la comunità e soprattutto la Cultura è Economia! Un pensatore Tedesco ha scritto: “Nessun uomo può con la Politica fare Cultura ma, semmai, con la Cultura fare Politica”.

Si sta completando il passaggio di tutta Italia al digitale terrestre (le ultime regioni interessate saranno, nel 2012, Calabria e Sicilia) ed è già cambiato lo scenario dei palinsesti e l’offerta mediatica della cara, vecchia tv. E’ infatti aumentato di cinque volte il numero dei canali gratuiti visibili agli spettatori, con un conseguente spezzettamento dell’audience che frena i picchi di share delle principali emittenti nazionali. Gli ascolti del gruppo Discovery con Real Time, quelli del gruppo Disney con i bouquet di canali dedicati ai più piccoli e Fox con le serie televisive e i programmi di intrattenimento, stanno infatti raggiungendo quote superiori all’1%, cifre che fanno ipotizzare la nascita di un nuovo polo audiovisivo dopo la sempiterna dominazione Rai-Mediaset.
Un duro colpo che andrebbe ad infliggere un quadro già di per sé critico dopo l’annuncio da parte del Ministro per lo Sviluppo Economico con delega alle Comunicazioni, Paolo Romani, del bando di gara per l’assegnazione delle frequenze del digitale terrestre ancora libere che sarà finalmente spedito a Bruxelles dopo mesi di rimandi.
Ritardi dovuti soprattutto alla cosiddetta questione “Sky”, che ha ottenuto dall’Unione Europea il “nulla osta” per la partecipazione alla gara, con la sola condizione di non poter offrire canali a pagamento per i primi cinque anni dall’assegnazione delle frequenze.
In gara ci sono cinque nuovi multiplex (dispositivi in grado cioè di ospitare sulla stessa frequenza fino a sei, sette canali diversi) divisi in due lotti: uno riservato a chi già possiede multiplex (Rai, Mediaset e Telecom), l’altro riservato alle nuove entranti (Sky, PrimaTV, Gruppo Espresso con ReteA e Rete Capri).
E se Mediaset, Telecom Italia e PrimaTV si scagliano contro il colosso Murdoch, l’Associazione delle tv locali si avventa contro Mediaset per intraprendere una vera e propria battaglia legale affinché si assicuri la sopravvivenza delle realtà audiovisive più piccole.
Le piccole emittenti regionali, avendo difficoltà a riempire tutta la banda, hanno infatti deciso di affittare a prezzi competitivi parte di queste frequenze a emittenti con copertura nazionale ( è questo il caso del canale per ragazzi K2, ad esempio), riaprendo il mercato e assicurando il totale sfruttamento del multiplex. Questa nuova strategia di business non è però stata accolta con plauso dalle grandi emittenti nazionali: con la legge di Stabilità 2011 (legge 13 dicembre 2010 n 220), infatti, si conferisce al Ministero dello Sviluppo Economico (quindi al Governo, che vede come presidente il  proprietario di Mediaset) “il potere assoluto di definire obblighi e regole” in materia. E una regola è già arrivata con l’ordine per le tv locali di dedicarsi “esclusivamente alla promozione delle culture regionali e locali”, azione impossibile da compiere considerate le possibilità economiche delle piccole emittenti che già faticano a riempire i palinsesti con repliche e televendite visti gli elevati costi di produzione.
Ma se le frequenze non vengono sfruttate, lo Stato ha il dovere di chiederle indietro, rimettendole di nuovo in gara.
Maurizio Giunco, presidente dell’Associazione tv locali, annuncia che la protesta contro questa decisione sarà imponente e prevede la messa in onda di numerosi spot televisivi contro coloro che cercano di uccidere il mercato, eliminando tutti i possibili competitori.
Gina Nieri, consigliere d’amministrazione Mediaset sostiene che “il regolamento non esiste ancora e che, sui suoi contenuti, Mediaset non c’entra”.
Fatto sta che, come qualcuno ha già notato, le tv locali stanno ora facendo quello che Fininvest fece nei primi anni ’80 quando, con cassette e registrazioni, riuscì a scalfire il monopolio Rai. Perché, come affermava Machiavelli, “tutti li tempi tornano, li uomini sono sempre li medesimi”…

L’idea di realizzare Next-tv è partita da Francesco Soro, Presidente del Coordinamento Italiano di Corecom e Corecom Lazio, che si è interrogato sul compito che la Pubblica Amministrazione deve assumersi nei confronti degli operatori del settore. Soro è infatti arrivato alla conclusione che è necessario fornire gli strumenti per interpretare le complesse evoluzioni del mercato e delle società, descrivendo numeri e modalità della tv del futuro così da indirizzare gli “addetti ai lavori” verso i nuovi modelli di business.
Negli Stati Uniti, infatti, 8 utenti su 10 guardano regolarmente video in streaming, dedicando ore e ore a settimana a contenuti di alta qualità tra i quali serial con durata media di 30 minuti.  Come dimostrano i grandi investimenti pubblicitari ed il successo di iniziative come HULU.COM, un sito di streaming video, che sta stravolgendo i piani dei grandi broadcaster USA, è in atto una rivoluzione che viaggia alla velocità di internet e che travolgerà anche l’Italia.
E’ in questo scenario che è nato il sito next-tv.it: l’offerta di un news-site ad aggiornamento quotidiano che fornisce uno strumento di lettura analitica di un mercato in rapida evoluzione ma ancora scarsamente codificato ed aggrega, intorno a un punto di riferimento web stabile, il flusso di dati utili per destreggiarsi all’interno di questo stesso mercato.
Next-tv.it propone una serie di parole chiave che, in ordine alfabetico, propongono approfondimenti, spesso affiancati da video, per ogni termine relativo al mondo della tv e dell’audiovisivo.
Nella sezione dedicata al “Mercato” l’utente ha modo di conoscere le ultime novità ed evoluzioni del settore: chi investe nel mondo della New Tv, chi e quanti sono i consumatori, chi sono i big player; “Next-tv chiama Italia” è invece un focus sulla situazione del nostro paese; qui è possibile trovare interviste, recensioni ed approfondimenti legati alla realtà italiana informando sullo stato della New Tv: i finanziamenti, i consumi, le produzioni, etc…
Nella parte relativa alle “Webseries dal mondo” è possibile sapere quali sono quelle più guardate, sponsorizzate e chiacchierate, scoprendo come sono state prodotte e finanziate; inoltre si possono leggere ed approfondire diversi casi di studio nella parte del sito “Sotto la lente”.
Infine, in “Politica”, l’utente è informato su ciò che in tale ambito è stato fatto ed è in corso d’opera.
L’obiettivo è insomma di informare, ampliare il raggio d’azione ed interagire con l’utente coinvolgendolo in questa nuova sfida che vede i video in streaming protagonisti assoluti.

Con l’acume che tutti gli riconoscono, Grasso tocca nel suo articolo apparso il 31 dicembre sul Corriere della Sera, un tema molto delicato: quello del rapporto tra audiovisivo e cultura, o per meglio dire della legittimità di includere nell’ampio perimetro delle attività di promozione culturale anche la realizzazione di prodotti audiovisivi, in particolare di carattere documentaristico. Spesso si dimentica che il sostegno pubblico ai vari generi dell’audiovisivo (documentari ma anche film, fiction e cartoni animati) si giustifica proprio per le finalità di natura culturale che tali opere contengono, o perlomeno dovrebbero contenere.
Il documentario è senz’altro il genere più bistrattato dalle istituzioni pubbliche. Basti pensare che ci è voluta un lunga e faticosa battaglia per ottenere dalla Rai precisi obblighi di investimento e di programmazione, obblighi spesso non pienamente rispettati. Eppure, a differenza del cinema e della fiction, si tratta di opere che hanno maggiori possibilità di circolazione all’estero e che presentano un forte di grado di innovazione anche grazie ad una più intensa interazione tra ruoli gestionali e ruoli autoriali.
Il critico più temuto dagli artisti non perde l’occasione per porre a confronto la qualità e il livello di accuratezza dei prodotti esteri rispetto a quelli realizzati a livello nazionale. Tra le ragioni di questo gap vi sono anche un minor tasso di industrializzazione del settore e lo scarso impegno degli enti pubblici preposti, fattori che si riflettono in budget mediamente più contenuti proprio a danno delle fasi più preziose del ciclo di vita di queste opere, ovvero lo sviluppo e la ricerca dei materiali. In un momento storico di drastica riduzione dei finanziamenti pubblici alla cultura e allo spettacolo, forse sarebbe opportuno avviare un serio piano di redistribuzione delle risorse.
Ben venga allora il disegno di legge del Ministro Bondi che intende assegnare le magre risorse disponibili ai generi più deboli e al tempo stesso più bisognosi di sostegno come le opere prime e seconde, documentari inclusi.
Bruno Zambardino è Docente di Organizzazione ed Economia Aziendale dello Spettacolo, Università “La Sapienza”

“Quello che ci proponiamo di fare è molto semplice. Raccontare l’Italia. Come? Offrendo online in streaming tutto ciò che riteniamo meriti di esser visto ma che spesso non è possibile vedere altrove.” Suona così il manifesto inaugurale del blog di On the DOCKS, una piattaforma innovativa realizzata con il supporto della Regione Lazio e di Sviluppo Lazio, che permette di dare  spazio alle produzioni audiovisive indipendenti italiane, consentendone la distribuzione e lo sviluppo anche a livello internazionale. Numerose le aziende partners aderenti (Deriva Film, Eskimo, Wizmedia&Consulting, Essegi, La Casa Gramatica, Zivago Media), unite dall’obiettivo di valorizzare la qualità delle rispettive produzioni e lavoro, creando una sorta di rete commerciale all’estero fatta di documentari, film, format, new contents, script, soggetti audiovisivi e prodotti editoriali multimediali, tramite cui facilitare la coproduzione di nuovi progetti, soprattutto nei confronti di nazioni come il Canada, la Russia e la Francia.
Il prodotto offerto è fortemente ancorato alla realtà del nostro Paese, mediato attraverso un punto di vista non convenzionale, lontano da facili stereotipi che troppo spesso alimentano le attuali produzioni audiovisive italiane. On the DOCKS si rivolge a due tipologie di utenti: da un lato, permette al consumatore “spettatore” di fruire online in streaming di un film o di un documentario, acquistabili al prezzo di € 2,99 ciascuno e disponibili per 3 giorni dal momento dell’acquisto. In alternativa è possibile acquistare dei Cinepass che forniscono il credito per avere accesso ad un pacchetto di film da scegliere liberamente e da guardare quando si preferisce.
Dall’altro lato, troviamo, invece, gli utilizzatori della cosiddetta “area business” (broadcasters, buyer, selezionatori di festival), che accedono al servizio gratuitamente, incentivati ad utilizzare la piattaforma per mettersi in contatto con altre case di distribuzione e prodotti presenti sul portale. Gli obiettivi, quindi, sono orientati a sviluppare una serie di servizi che vanno ad incontrare questi due diversi target, permettendo la creazione di asset condivisi che consentono alle aziende di aumentare il valore delle loro produzioni attraverso la distribuzione all’estero, prevendita di sceneggiature e formats, coproduzioni di prodotti audiovisivi. Inoltre, On the DOCKS.it cerca di sviluppare una piattaforma on demand che consenta a chiunque di accedere immediatamente ad un ampio catalogo continuamente aggiornato che raggruppa il meglio della produzione audiovisiva Italiana trasmessa in streaming di alta qualità, nel pieno rispetto del loro formato originale.
Il progetto, infine, ambisce ad offrire una distribuzione in tutto il mondo, per cui garantisce ampia apertura alle nuove partnership, nell’ottica della promozione di film che raggiungano visibilità internazionale.

Le dichiarazioni, in quel di Venezia, dell’Assessore alla Cultura della Regione Lazio, Fabiana Santini in merito ai temuti/auspicati (a seconda dei casi) propositi di riorganizzazione del sistema di sostegno al cinema e all’audiovisivo hanno suscitato, tra gli addetti ai lavori, qualche fibrillazione. Ecco gli elementi su cui riflettere:
1) Atipicità del Lazio: in questa Regione il sistema di sostegno al comparto si rivela più articolato e complesso rispetto ad altre per la rilevanza strategica del settore e il peso economico rispetto ad altri territori: ciò si riflette nella presenza di numerosi soggetti che, a vario titolo, operano nel settore (Filas, Roma Lazio Film Commission, Carl, Fondazione Rossellini, Sviluppo Lazio, Unionfidi ecc..);
2) La governance:  il livello di “competizione tra territori”, sempre più forte ed agguerrito, impone una forte azione di razionalizzazione e semplificazione delle strutture di sostegno: ciò porterebbe ad una più efficace allocazione delle risorse in una fase di tagli dolorosi, riducendo la confusione tra gli operatori del settore;
3) Cabina di regia: data la trasversalità del comparto, che tocca ambiti differenti (formazione, sviluppo produttivo, cultura, giovani ecc..), occorre un piano di intervento disciplinato da una agile e trasparente normativa che coinvolga tutti gli Assessorati competenti (un ufficio alle dirette dipendenze della Presidenza?) e che risponda alle reali esigenze degli operatori (positivo, sotto questo profilo, il recente accordo siglato con l’ANICA);
4) Priorità strategiche: occorre mettere al primo posto un “recupero di competitività”, fornendo certezze e strumenti operativi affidabili puntando a rafforzare il distretto industriale romano, e dunque l’indotto e l’occupazione, valorizzando anche le vocazioni delle altre Province ed aumentando la capacità di attrazione degli investimenti dall’estero;
5) “Filiera allargata”: non ci si può limitare al sostegno alla produzione ma occorre intervenire, con una azione di sistema, anche sugli altri segmenti della filiera (distribuzione, sale, coproduzioni, infrastrutture), ricorrendo alle cospicue risorse comunitarie, come in parte si è già iniziato fare (vedi bando Filas Sviluppo);
In conclusione, qualunque tentativo serio di riforma dell’attuale assetto non può prescindere da una attenta analisi delle peculiarità dell’attuale sistema e delle competenze professionali in campo, correggendo oggettive distorsioni ma riconoscendo al tempo stesso gli sforzi non trascurabili sinora profusi.
Bruno Zambardino è Docente di Organizzazione ed Economia Aziendale dello Spettacolo, Università “La Sapienza”

Intervista a Laurence Meyer, analista alla Forrester Research

Quali sono i maggiori cambiamenti tecnologici nell’industria televisiva?
Anthony Rose, direttore tecnico di BBC iPlayer, la famosissima TV «catch-up» britannica, ha riassunto i punti chiave del nuovo mercato televisivo: «Fino al 2007, la BBC sceglieva cosa dovevi guardare. Con BBC iPlayer, il 2008 è stato l’anno in cui i telespettatori sceglievano da sé. Nel 2009 saranno gli amici a scegliere cosa farti guardare».
La televisione diventa onnipresente, è accessibile con ogni tipo di apparecchio e si muove progressivamente da un modello lineare a un modello non-lineare on demand. La TV si arricchisce di nuove funzioni come condividere, consigliare o personalizzare.
Questo commento mostra chiaramente come televisione e Internet siano destinate a convergere.

Qual è il ruolo dei video on line e della TV nel consumo europeo dei media?
Per comprendere bene il ruolo dell’industria televisiva oggi, bisogna capire i nuovi modi di consumare e il posto occupato dal video. Già da due o tre anni, dopo lo straordinario successo di YouTube, c’è un acceso dibattito intorno ai video online.
La passione degli analisti per i video online è giustificata?
Sì, perché in tre anni il consumo di video online da parte dei più giovani è raddoppiato.

Una normale conseguenza di questa evoluzione è che ora gli europei considerano il computer una piattaforma di intrattenimento. Ci stiamo muovendo verso un’audience sempre più multischermo.
Nel 2008, il 27% degli europei usava due schermi del computer per guardare video. Al computer si tende a consumare contenuti video in formato breve o creati dagli stessi internauti. Si guardano anche DVD. Nel 2007 solo il 18% degli europei guardava regolarmente video al computer. Nel 2008 sono diventati il 27%.
Questa evoluzione riguarda in particolare le giovani generazioni. I ragazzi tra i 15 e 24 anni costituiscono la grossa fetta di consumatori di video online da computer (36%) e sono ancora di più quelli che guardano video dal cellulare (52%). Il consumo degli under-30 tende a concentrarsi sui nuovi media. Internet è diventato il mezzo di comunicazione principale per i consumatori sotto i 24 anni.

Le giovani generazioni usufruiscono dei media molto di più di quelle più vecchie. Se paragoniamo il consumo dei media nel gruppo under-34 con quello tra gli over-55, si vede come in media nel gruppo più giovane il consumo settimanale tende a essere il 20% maggiore che nel gruppo più vecchio. In rapporto meno televisione, ma nel complesso più media.

Come si colloca in questo contesto il fenomeno dei social network?
Tra i giovani i social network sono diventati inevitabili, più di un terzo degli under 15 è membro di almeno un social network e solo un terzo afferma di non esserne interessato. È da notare che anche i video online sono ben affermati, con un 70% di under 15 che guarda video su internet. In rete sono disponibili più di mille piattaforme.
Guardare video online è ora un’attività piuttosto diffusa, che riguarda non solo i giovani, ma sempre più anche gli adulti. Alla Forrester stimiamo per il 2008 un pubblico europeo di video online di 90 milioni di adulti. Il pubblico è così aumentato in quattro anni da diventare quattro volte più vasto del 2004.
YouTube resta la piattaforma più emblematica di condivisione di video, con più di 88 milioni di utenti nel febbraio 2009. Si può affermare che il ruolo dei social network in rapporto alla TV forse è cambiato negli ultimi due anni. Alcuni servizi come MySpace o Bebo si concentrano sull’entertainment. E accolgono reti televisive come la BBC o National Geographic.
Dall’altra parte servizi come Facebook tendono a posizionarsi nell’ambito della comunicazione. La relazione degli operatori televisivi con Facebook serve per rafforzare il pubblico e fornire nuovi mezzi promozionali.

Eppure, gli europei continuano ad amare la televisione e, in questo universo sempre più competitivo, la TV resiste bene…
Sì, il consumo di TV da parte degli europei si attesta a 12 ore a settimana, il doppio dell’uso personale di Internet. Davanti all’innegabile crescita dei video online, la TV resta, nonostante tutto, il mezzo preferito dagli europei.
Il consumo settimanale di televisione è più di dieci volte più grande del consumo di video online.

Qual è il giro d’affari dei video?
Secondo le nostre stime, nel 2007 i video online hanno generato un giro d’affari di 200 milioni di euro, mentre i servizi televisivi hanno registrato entrate per 70 miliardi di euro. Se pensiamo al futuro, nonostante la rapida crescita degli investimenti pubblicitari su Internet, il rapporto non è invertibile sul medio periodo, dato che stimiamo un giro d’affari dei video online per il 2012 vicino a 1.5 miliardi e mezzo a livello europeo, mentre per i servizi televisivi di 85 miliardi di euro.
Anche se si discute molto di video online, le opportunità di crescita e di guadagno da questo nuovo mezzo restano piuttosto limitate sul medio periodo.

Cosa sta succedendo nell’ambito dell’offerta di servizi?
La TV è lontana dall’essere ferma davanti al progresso tecnologico. Dalla metà degli anni ’90, gli operatori hanno messo in prima linea l’innovazione in campo televisivo. Questa ha avuto inizio con la tv ad alta definizione, la tv digitale, poi sono seguite altre novità: il lancio del digitale terrestre, l’IPTV, i video on demand, la TV su telefonia mobile…
Allo stesso modo, ci sono state numerose innovazioni tecnologiche nel campo di Internet, con motori di ricerca sempre più potenti, Internet a banda larga, scambio istantaneo di messaggi, i social network, in poche parole il Web 2.0.
I video on demand e la TV «catch-up » hanno iniziato a far avvicinare il mondo di Internet e quello della televisione. Con il lancio dei servizi «over the top», i box televisivi ibridi, o ancora televisori con connessione a Internet, l’avvicinamento si spinge ancora più in là.

Come si sta evolvendo il video on demand negli apparecchi televisivi?
Negli ultimi quattro anni, il mercato europeo di video on demand è stato particolarmente dinamico. Riferendoci alle cifre pubblicate dall’Osservatorio europeo dell’audiovisivo, alla fine del 2007 in Europa occidentale erano disponibili 200 servizi di video on demand. La maggior parte di questi servizi era accessibile via computer. I servizi di televisione VoD erano piuttosto recenti, essendo stati lanciati nel 2004, soprattutto sui canali IPTV e via cavo.
Nonostante un’offerta dinamica, gli europei non accedono facilmente a questo servizio. Si stima che solo il 14% degli europei vi abbia accesso. Le ragioni sono molto semplici: da una parte c’è l’incapacità del digitale terrestre e dei sistemi satellitari di offrire questo tipo di servizio; dall’altra parte, osservando i canali che lo offrono, l’IPTV, vediamo che la loro diffusione rimane relativamente limitata.
Detto questo, anche se la loro audience rimane bassa, i servizi VoD sugli apparecchi televisivi hanno mostrato un qualche successo. È vero che la cifra del 7% (la percentuale di europei che usano servizi Vod) può apparire sconfortante, ma questo dato va messo in relazione al numero di persone che hanno accesso a questo servizio VoD sul loro televisore. La maggioranza della popolazione non ne conosce neanche l’esistenza, dunque il 7% è un dato incoraggiante.
L’interesse mostrato verso il VoD dai telespettatori è evidente quando si studiano le statistiche pubblicate dagli operatori che forniscono VoD per gli apparecchi televisivi: vediamo che c’è un reale interesse verso questi servizi, che rispondono a una richiesta concreta. Un esempio è la VirginMedia che offre un servizio VoD per apparecchi televisivi. Con 3.5 milioni di abbonati, la VirginMedia ha registrato 203 milioni di richieste di VoD. Nel caso della VirginMedia bisogna sottolineare che il servizio «catch-up» della BBC è stato di grande aiuto nello sviluppo dell’attività della VirginMedia e che gran parte del servizio offerto è gratuito.
A livello europeo, dove sia disponibile un televisore con l’opzione VoD, almeno un terzo degli abbonati usa regolarmente questo servizio, più del 50% nel caso di VirginMedia.
Gli spettatori apprezzano i programmi on demand, purché gratuiti. Apprezzano anche il «day-and-date», ovvero l’uscita del video on demand contemporaneamente al DVD. Questo tipo di offerta viene proposto da compagnie come la Warner.
Il 2007 e il 2008 si possono senza dubbio nominare gli anni della TV «catch-up» in Europa. Secondo l’Osservatorio Europeo dell’Audiovisivo, alla fine del 2007 in Europa c’erano circa 50 servizi televisivi «catch-up». Di norma i servizi sono forniti dalle emittenti, che li considerano un modo per soddisfare e fidelizzare l’audience, attirando anche una parte degli spettatori più giovani, che tendono a preferire Internet.
Oggi non c’è nessuna grande rete televisiva che si sia avvicinata alla TV «catch-up». Di solito i servizi sono gratuiti, tuttavia alcuni operatori richiedono un abbonamento. Anche in questo caso, sia gratuito che a pagamento come in Belgio, via cavo o IPTV, il servizio sembra incontrare i desideri dei telespettatori.

Con la crescita delle offerte VoD, questi servizi diventeranno nel medio periodo più accessibili?
La nostra risposta è ‘sì’ per due motivi: primo, gli operatori televisivi considerano il VoD necessario per affrontare la concorrenza; secondo, l’industria del video è in difficoltà, dato il calo delle vendite di DVD e la costante crescita della pirateria. Per questo è bene trovare una soluzione al problema, e i servizi di video on demand possono essere una risposta.
La principali parti in causa devono far funzionare il VoD e spingeranno questi servizi a ogni costo, anche in un periodo di recessione.

Come definire le offerte televisive ibride e “over-the-top”?
La volontà degli operatori del mercato di unire televisione e Internet negli apparecchi televisivi segna un grande cambiamento negli ultimi mesi. Il concetto di televisione ibrida o la soluzione TV «over-the-top» emergono dalla convergenza di tre tipi di network: il tradizionale network televisivo, il network IP e Internet.
Questi concetti coprono diversi tipi di offerte e interessano tanto gli operatori delle piattaforme televisive a pagamento, quanto quelli di Internet.
Nel 2007 e 2008 si osserva la nascita di offerte innovative e interessanti, come i video «over-the-top» e VoD. Queste si basano su apparecchiature che connettono il televisore a Internet, permettendo l’accesso a un’offerta di contenuti video, di solito on demand, distribuiti via Internet. Rientrano in questa categoria Apple TV, X-box 360 e PS3, così come offerte independenti quali Roku, ora disponibile negli Stati Uniti, o il lancio di Fnac TV in Francia.
In Europa, offerte di questo tipo di apparecchi e servizi restano comunque limitati.
Da gennaio 2009 queste offerte non richiedono necessariamente un apparecchio esterno, ma sono direttamente disponibili su televisori con connessione a Internet. Questa prospettiva porterà profondi cambiamenti al modo di consumare i contenuti televisivi: ci si sposta verso un mondo di widget sull’apparecchio televisivo. Sarà un’esperienza simile all’iPhone, i telespettatori potranno comprare applicazioni per scaricare i widget di loro interesse e averli a disposizione sulla TV di casa.
Questa evoluzione favorirà anche un’integrazione delle guide dei programmi e dei servizi VoD, che saranno del tutto integrati con i servizi di base. Oggi questi due mondi sono completamente separati e anche per questo i servizi VoD sono meno usati.
Allo stesso modo, gli spettatori potranno accedere ai loro social network dal televisore e potranno ricevere suggerimenti dagli amici. La televisione sarà più personale. Questo significa la nascita di nuovi modelli di business, in cui la pubblicità mirata avrà un ruolo centrale.
Se questi cambiamenti sembrano già irreversibili, il loro impatto sarà però sentito nel medio periodo, in particolare per i seguenti motivi:
– Le case che hanno a disposizione queste innovazioni tecnologiche sono ancora in numero limitato. Nel 2012 un terzo degli apparecchi televisivi in Europa potrà averle.
– Oggi è quasi inesistente una base attiva di apparecchi in grado di connettersi a Internet e portare contenuti della rete sul televisore. Stiamo iniziando da zero. Televisori con questa funzionalità saranno lanciati nel 2009 e questo è un mercato di sostituzione.
– La cooperazione tra i vari protagonisti è indispensabile. Un regolamento va stabilito a questo livello, cosa che richiede tempo…

Quali sono le implicazioni per l’industria audiovisiva?
I punti interessanti per definire la posizione dei produttori nel medio termine sono tre:
– Adattare il contenuto alla nuova esperienza televisiva.
– Prepararsi a una frammentazione ancora più ampia dell’audience.
– Preparare anche una transizione verso supporti di distribuzione immateriali.
I protagonisti del settore audiovisivo dovranno integrare i nuovi metodi e le piattaforme di distribuzione digitale con la loro strategia, e garantire un ruolo importante alla promozione di contenuti su Internet, attraverso una politica piuttosto elaborata.
Dal punto di vista del format, è fondamentale considerare l’interattività, la molteplicità di schermi e i prodotti digitali.
Infine, per quanto riguarda i diritti, bisogna che cambi il modo di negoziarli. Si devono aiutare gli operatori di servizi VoD a definire offerte che attraggano il consumatore.

Traduzione italiana: Annalisa Zanotto

Da un progetto Rai, Radiotelevisione Italiana, con la direzione scientifica dell’Istituto italiano per gli studi Filosofici, nasce “L’Universo della Conoscenza”, una enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche ideata e diretta da Renato Parascandolo che attinge i propri documenti dalle migliaia di filmati, interviste e riflessioni autorevoli contenuti nell’archivio Teche RAI. Opera avviata dal lontano 1987, la web tv poggia su una piattaforma ShareMedia di Unicity la quale rende disponibili on-line una notevole quantità di filmati e video che potranno essere utilizzati per la formazione degli studenti di ogni ordine e grado e rappresentano uno strumento a supporto della didattica per i docenti. Il progetto è stato presentato il 26 maggio scorso in Campania, regione che ha sottoscritto con la Rai l’accordo biennale che consentirà a scuole ed atenei campani la fruizione gratuita dei contenuti. Scaduto l’accordo esclusivo, ogni regione italiana potrà quindi pregiarsi di un abbonamento all’enciclopedia virtuale al costo di poche migliaia di euro all’anno.
Economisti, storici, biologi, giuristi, filosofi, artisti, letterati, matematici, premi Nobel, architetti e molti altri personaggi autorevoli della nostra storia culturale testimoniano, tramite reperti audiovisivi di alta qualità, le loro vite, opere, successi e insuccessi raccolti e ordinati sia per disciplina che per autore. Per ogni studioso è inoltre prevista una scheda biografica dettagliata, il video di riferimento, eventuali interviste ed altri testi ad esso collegati che possono essere scaricati, salvati e consultati in qualsiasi momento.
Gli argomenti trattati sono visibili nei lemmi in alto: filosofia, storia, letteratura, arte, psicologia, economia, politica e diritto, medicina, scienze sociali, comunicazione, matematica, biologia e fisica.
A corredo, le sezioni “Questioni”, in cui video mostrano le eterne diatribe e le riflessioni che da sempre muovono gli animi umani, “Maestri del Novecento”, per uno sguardo più attuale sui personaggi del secolo scorso e “Protagonisti della Cultura” con interviste esclusive a personalità di spicco nel comparto culturale.
Il sito, dinamico e facilmente fruibile è stato realizzato sotto il patrocinio dell’UNESCO, del Consiglio d’Europa e del Presidente della Repubblica Italiana ed è consultabile sia in italiano che in inglese.

Evoluzioni nel settore dell’audio-visivo. Ora per affrontare la crisi del settore l’indirizzo è verso strategie di fusione di operatori attivi in ambiti diversi seppur contigui, come cinema e televisione. Questo il senso della costituzione della Wildside voluta da Steve Della Casa, presidente della Torino Piemonte Film Commission. Una decisione i cui effetti saranno evidenti solo in futuro, ma collocata in un quadro di politiche, quali quelle piemontesi, che hanno finora mostrato una grande lungimiranza e successo nel campo della produzione di film e fiction ospitati su territorio regionale.  Questi hanno infatti ben cavalcato la tendenza del pubblico a preferire una produzione nazionale di qualità a produzioni estere, per via delle caratteristiche di radicamento nella società e cultura locale per la quale lo spettatore prova un forte senso di appartenenza. Tra l’altro, il vero successo non si è registrato solo in termini di incremento dell’immagine positiva del territorio presso l’opinione pubblica, ma ha prodotto un effettivo aumento di addetti nel settore e del fatturato.
In un settore costituito prevalentemente da piccole e medie imprese, questo tipo di strategia fa ben sperare per un consolidamento sia verticale che orizzontale. Tanto più che si muove in contro-tendenza rispetto alla progressiva diminuzione di società fornitrici di fiction, passate da 46 nel 2006 a sole 36 nel 2008.
Più che altro si tratta di capire quanto essa, oltre a voler esprimere e pubblicizzare il valore del territorio di riferimento, sia una buona occasione per identificare nuove strategie di posizionamento e soprattutto quanto possa proporre strategie di ingresso in mercati in piena evoluzione quali sono i settori della televisione digitale e degli ambienti multicanale.

Giulia Agusto è co-direttore di Tafter Journal

Oggi il mercato del vino è in continua espansione tanto da far diventare questa bevanda un vero e proprio status symbol. Anche Hollywood non è rimasta insensibile a questo processo: basti pensare a Sideways o al documentario Mondovino, due grandi successi che ruotano attorno al mondo enogastronomico. Ma anche in un mercato florido come questo non mancano difficoltà: grande concorrenza, prezzi ridotti, nuovi paesi produttori, spaesamento del consumatore.
Per fronteggiare questi ostacoli e la nuova concorrenza, la tendenza è quella di riscoprire la storia, l’uvaggio, quel terroir particolare che rendono unico quel determinato vino. E’ proprio questa la sfida della Fondazione ProVinea ed il maestro del cinema Ermanno Olmi: attraverso l’audiovisivo promuovere l’operazione di “qualificazione”, come ama definirla il dr. Claudio Introini, Coordinatore della Fondazione, dei terrazzamenti in Valtellina; esempio di quella viticoltura “eroica”, di montagna, sempre più a rischio di scomparsa per vari motivi. Il dr. Introini ci spiega le difficoltà di questo territorio, che vanta terrazzamenti sostenuti da 2.500 chilometri di muretti a secco, in una intervista gentilmente rilasciatami. Oltre l’impossibile concorrenza con la grande distribuzione troviamo: un eccessivo frazionamento di questi appezzamenti, un’elevata età degli addetti alla viticoltura, e l’impossibilità di lavorazioni meccanizzabili quindi la necessità di una cospicua manodopera. Oltre a candidarlo, attraverso questo documentario, come patrimonio dell’umanità da parte dell’Unesco, Introini spiega le funzionalità di questo progetto:
“Confortare i nostri viticoltori della partecipazione e della vicinanza di tutta la comunità locale e regionale affinché rimanga immutato, e anzi cresca, il loro attaccamento alla vigna: in quanto percepita come elemento culturale, paesaggistico, storico e ambientale fortemente espressivo di tutto il territorio valtellinese. Concretizzare e potenziare un profondo ed indissolubile legame fra coloro che attendono alla coltivazione del vigneto ed il circuito commerciale produttivo e turistico che ne propone il vino in modo da creare una filiera virtuosa che guidi il consumatore ad individuare nella “vigna terrazzata di Valtellina” l’elemento emozionale aggiuntivo e specifico di valorizzazione delle qualità sensoriali e gustative dei nostri vini. Agire nei confronti dell’intera popolazione locale ed, in particolare, delle attività imprenditoriali presenti in provincia affinché il “territorio vitato terrazzato” venga interpretato e percepito come bene pubblico di enorme e qualificante immagine identificativa territoriale.” Ma soprattutto, sottolinea Introini, è importante “fare emergere il convincimento che il patrimonio viticolo terrazzato della Valtellina non è solo un bene da preservare per ciò che rappresenta del passato, ma è anche un “capitale in divenire” in grado di attivare un profondo e virtuoso processo di attenzione all’intero territorio comprensoriale”.
Sul perché la scelta di un film-documentario per aiutare questa causa enologica Introini dichiara:
“ I terrazzamenti sono una viva testimonianza di sapienza, di capacità produttiva e di valorizzazione del territorio per quanto di eroico è stato fatto nei secoli dall’uomo che in passato, per necessità, con diligenza e scienza, si è rapportato positivamente all’ambiente creando un’agricoltura che, ancora oggi, è esempio concreto di interazione fra l’uomo e la natura. Tale testimonianza può essere comunicata o con un percorso diretto sul territorio o con immagini e spunti narrativi che sappiano raccontare come si è creata e come continuerà la esemplarità distintiva dei terrazzamenti di Valtellina”.
La Fondazione ProVinea ha affidato il compito di raccontare questa realtà ad un grande regista quale Ermanno Olmi al fine di: “Esprimere  nelle immagini il concetto precedentemente esposto, per cui abbiamo bisogno di una sensibilità e una capacità artistica che prescinde dalla pura visione del territorio e del processo produttivo. In questo, è fuori da ogni dubbio che il Maestro Ermanno Olmi rappresenta uno fra i professionisti di più grande valore. Inoltre l’opportunità di una precedente personale conoscenza con un componente del nostro cda ha facilitato la scelta ed il successivo accordo.”
Dopo l’anteprima al Festival Internazionale del film di Roma del 2009, la distribuzione di “Rupi del Vino”, questo il titolo del documentario, prevede due specifici indirizzi di comunicazione, come precisato dal dr. Introini: “Uno di carattere provinciale, curato e organizzato dalla Fondazione Fojanini, nell’ambito del progetto di un ciclo di conferenze che si propongono di documentare la popolazione locale, in primis gli allievi delle scuole medie primarie e superiori, sulla particolarità territoriale, paesaggistica e viticola della zona terrazzata. L’altro di comunicazione fuori dalla Provincia attraverso la proiezione di “Rupi del Vino” in qualità di “evento speciale” nei festival e nelle rassegne cinematografiche sia nazionali che straniere”. Della lista delle rassegne internazionali in cui il film sarà presente prossimamente ne segnalo solo alcune: Stoccarda, Parigi, Montevideo etc.
Sugli aspetti peculiari del mercato del vino Introini così risponde: “Il consumo si è via via orientato verso prodotti di qualità, con specifica origine complessità organolettica. Si va evidenziando quindi la ricerca di vini che sappiano offrire le garanzie di una corretta etica sia aziendale che territoriale e che sappiano sollecitare nel consumatore ricordi emozionali singolari,sia nel territorio e sia nelle tradizioni che ne fanno la tipicità. Ed è per questo aspetto che i terrazzamenti in Valtellina sono motivi di interesse verso parecchie nicchie di mercato”.
Rubiamo una citazione del maestro Olmi alla fine del suo “Rupi del Vino”, per concludere: “Ci sono cinque buoni motivi per bere: l’arrivo di un amico, la bontà del vino, la sete presente e quella che verrà, e qualunque altro.” E proprio quel “qualunque altro” sono la tipicità del territorio che rendono unico e inimitabile la bottiglia di vino.

GDVB-switch-offLo scorso 16 novembre è stata avviata nel Lazio la pratica dello switch off, ovvero lo spegnimento dei sistemi trasmissivi televisivi analogici, e Roma è diventata la prima grande capitale europea a fruire di un segnale tv esclusivamente digitale.
La transizione verso il digitale terrestre verrà completata, applicando progressivamente lo switch off nelle varie regioni italiane, entro la fine del 2012, nel rispetto delle direttive dettate dall’UE e seguendo il calendario stilato in un decreto ministeriale firmato nel settembre 2008 dal ministro Scajola. L’Italia è quindi in prima linea nell’applicazione e nello sviluppo di questa tecnologia, per cui è interessante mettere a fuoco alcuni aspetti.

Innanzitutto cosa si intende per digitale terrestre? Negli ultimi decenni varie tipologie tecnologiche, dal campo della telefonia a quello della riproduzione audio e video, sono passate dall’analogico ad al digitale, il che equivale sostanzialmente a dire che è cambiato il modo in cui i segnali relativi a chiamate vocali, o trasmissioni video, sono rappresentate.
Tale cambiamento è stato fondamentale, e legato ai vantaggi che la rappresentazione digitale comporta. Per quel che riguarda la televisione, in particolare, il segnale digitale rispetto al suo predecessore promette diverse migliorie: una maggiore resistenza ai disturbi, un maggior numero di canali (a pagamento e non) fruibili dall’utenza (per intendersi, grazie a tecniche di codifica di sorgente del segnale quali Mpeg-2, nella banda che nel segnale analogico veniva occupata per la trasmissione di un canale ora possono essere inseriti fino a 10 canali), una maggiore qualità del segnale audio/video, la possibilità di programmi interattivi ed un minore inquinamento elettromagnetico.

Come si intuisce, tali aspetti hanno reso appetibile la tecnologia agli operatori del settore, ed indotto l’Unione Europea ad una azione legislativa che uniformasse nel continente la trasmissione digitale ai parametri stabiliti nello standard DVB-T (digital video broadcasting – terrestrial). L’impatto del passaggio al DVB-T sugli utenti sarà minimo in termini di difficoltà applicative, se si eccettua il dover acquistare, per non restare “al buio”, o un decoder digitale terrestre, da collegare al televisore tramite presa a scart e cavo d’antenna, o una televisione di nuova generazione, in cui il decoder è interno. Questo poiché il segnale digitale terrestre viene captato dalle antenne già presenti sui nostri tetti, che quindi non necessitano di interventi, ma a causa del tipo di modulazione (OFDM) per esso adottato, deve essere decifrato da un decoder prima d’essere visibile correttamente sui teleschermi.
I decoder, di cui tanto parlare si è fatto negli ultimi tempi, sono essenzialmente di due tipi: gli zapper, i più semplici, la cui funzionalità principale (se non unica) è quella di permettere la visualizzazione dei canali non a pagamento, e i decoder interattivi, che prevedono uno slot in cui alloggiare un modulo cam (le tessere acquistabili dai vari operatori del settore che consentono la visualizzazione dei canali pay-per-view in maniera similare a quanto accade già da anni con la televisione satellitare) e supportano l’interattività. Con supporto dell’interattività si vuole indicare, ad esempio, la possibilità di esprimere le proprie preferenze su una trasmissione in visione, in stile televoto, tramite il solo uso del telecomando.

Per quel che riguarda l’aspetto economico dell’affaire DVB-T, i dati presentati dal ministero a settembre 2009 parlavano di 20 milioni circa di decoder venduti, la maggior parte dei quali di tipo zapper, di cui solo il 18 % acquistati usufruendo dei contributi statali (che valgono solo per i decoder interattivi).
E’ palese allora che la tecnologia televisiva digitale terrestre sia vista con interesse dai competitor del settore, i quali, in primo luogo Mediaset e Rai, ma non stupisce a tal proposito anche l’interesse di Sky (che lancerà a breve il suo canale Cielo), stanno investendo molto sulla copertura del territorio e sull’ampliamento dell’offerta dei canali.
Per quel che riguarda ulteriori problematiche che inevitabilmente stanno accompagnando e accompagneranno lo switch off, gli aspetti negativi sembrano davvero pochi. Degni di nota sono infatti solo l’aumento inevitabile di consumo energetico, legato sia al nuovo apparato trasmissivo che al dover utilizzare in ogni casa (e per ogni tv) un decoder, e il tempo fisiologico che ci vorrà
(soprattutto per gli anziani) per comprendere come effettuare la sintonizzazione e l’editing delle liste dei canali.
Sono in particolare questa idea di rivoluzione “morbida” (legata a pochi contraccolpi e contrattempi) e le già citate qualità del DVB-T che hanno permesso al digitale terrestre di vincere
la competizione con tecnologie similari.

Fra queste la favorita sembrava essere l‘IPtv che seppur promettesse bene, garantendo una maggior flessibilità nella scelta della programmazione tv e dei film da vedere, ha incontrato parecchi ostacoli (ha fatto scalpore la dismissione del servizio a fine 2008 da parte di Tiscali, che ha di fatto lasciato a competere sull’offerta dell’IPtv i soli Alice, Fastweb e Infostrada).
Gli impedimenti maggiori alla diffusione dell’IPtv sono dovuti alla sua caratteristica di impiegare due canali trasmissivi (antenna tv più collegamento Adsl, laddove il DVB-T ne impiega solo
l’antenna tv), a tecniche di codifica del segnale che non raggiungono attualmente la stessa qualità del digitale terrestre, ma soprattutto legati alla ancora penetrazione della banda larga nel nostro paese.
Il DVB-T, invece, non solo sta procedendo con regolarità nella sua diffusione, ma è al contempo in evoluzione (dal marzo 2006) verso lo standard DVB-2, che si avvarrà di soluzioni tecniche in grado di consentire la miglior ricezione possibile, con una qualità audio/video ancor più elevata, non solo ai ricevitori stazionari, ma anche a quelli mobili (integrando il DVB-T col DVB-H che è lo standard de facto relativo ai terminali mobili).