TAFTER, in qualità di partner del bando Che Fare, vi fa conoscere da vicino i 6 finalisti del premio dedicato all’innovazione sociale. Fino a sabato 26 gennaio, uno per uno, i responsabili dei progetti finalisti ci mostrano i loro obiettivi, i loro sacrifici e le loro ambizioni nel caso risultassero tra i favoriti della Giuria. La votazione finale, si svolgerà il 27 gennaio.

Verrà data comunicazione ufficiale del vincitore martedì 29 gennaio. Siete pronti a scommettere sul vincitore?

 Parliamo del progetto Diaforà con Fabrizio Persico, presidente della cooperativa La Fenice di Albino

 

 

Siete tra i 6 finalisti del premio Che Fare. Come è nato il vostro progetto?
Diaforà è nato dall’incontro della cooperativa con un luogo, il convento quattrocentesco della Ripa, ad Albino. Questo spazio è stato, nei secoli XV, XVI e XVII, un importantissimo motore economico e sociale del territorio della Val Seriana nonché un significativo riferimento politico e culturale, mentre la successiva confisca napoleonica e privatizzazione gli hanno fatto perdere ogni ruolo. Il progetto, in accordo con le istituzioni pubbliche e private del territorio (Comune di Albino, Provincia di Bergamo, Regione Lombardia, Fondazione Cariplo, associazioni e imprese locali) intende anzitutto restituire il convento alla fruizione pubblica. Ancor prima, però, si tratta di ripristinarne l’originaria vocazione di Centro di studio, di ricerca e di formazione, facendone il cuore progettuale e metodologico di un programma di rinnovamento economico e culturale di un territorio messo in ginocchio dalla crisi di questi anni (il Progetto Valseriana: un sistema che fa differenza, presentato e finanziato dalla Fondazione Cariplo). Rimettere in moto il tessuto economico e sociale significa fare i conti con una rinnovata nozione di identità, ripensandola a partire dalla differenza, per trovare risorse e collaborazioni nel dialogo delle differenze e nella ricchezza che ne deriva.

 

Perché il vostro progetto è innovativo?

PRIMA INNOVAZIONE: credere che la cultura non sia soltanto un costo ma possa davvero diventare un investimento, capace di restituire le risorse profuse. Un programma di ripensamento e di ricostruzione della economia di un territorio che si affidi al turismo e all’ambiente (come è il Progetto Val Seriana) deve trovare nella cultura il motore: vanno individuate prospettive nuove di lettura del paesaggio, occorre imparare a valorizzare la cultura materiale, occorre affrontare le radici del passato per avere memoria del futuro. Le conferenze pubbliche di Diaforà per la prossima primavera (marzo/aprile 2013) portano, infatti, il titolo “Im-maginare il futuro. La differenza come condizione di vita” e “Affrontare la crisi. Se la cultura fa differenza”.

SECONDA INNOVAZIONE: la scelta di un tema nevralgico per il nostro tempo, la differenza. Di fronte al panorama di rapide trasformazioni e ai problemi che ne derivano diventa pressante la domanda sull’uomo, e sul pianeta che lo ospita, alla ricerca di quella genuina “natura umana” che il progresso sociale, materiale e morale dovrebbe difendere e perseguire. Domanda, questa, a cui hanno sempre risposto tutte le culture della terra, ciascuna a modo proprio. Da qui due significati della “differenza”: anzitutto, l’uomo fa differenza in quanto avverte la responsabilità della sua vita e il compito “morale” della sua esistenza personale e collettiva. Compito reso oggi urgente e problematico dalle nuove frontiere della biologia che modificano in profondità le nostre conoscenze sul fenomeno della vita e le nostre possibilità di intervento, lasciando presagire scenari futuri straordinari ma anche decisamente inquietanti. La differenza, poi, concerne la stessa dimensione umana, specificandosi in una pluralità di differenze interne, che la articolano in espressioni e interpretazioni spesso dai tratti comuni talvolta con caratteristiche anche molto lontane e magari inconciliabili o reciprocamente incomprensibili. La differenza è quindi inscritta nel cuore dell’umano.

TERZA INNOVAZIONE: l’impianto metodologico del progetto invita a prestare attenzione più alle conseguenze che ai principi, sui quali di solito è molto difficile trovare un accordo. Allo stesso modo, accanto alla teoria, Diaforà intende svolgere una considerazione approfondita delle pratiche. Ragionare in base alle conseguenze e porre al centro la questione delle pratiche: in questo modo Diaforà non si limita a favorire il confronto tra i vari ambiti della diversità, non intende soltanto documentare le buone ragioni e gli intenti che ogni diversità pone a base della propria esistenza e della pretesa a conservarsi, non si limita nemmeno a favorire il dialogo e la conoscenza reciproca. Mira invece ad accompagnare tutto ciò con una precisa domanda: a partire da quali pratiche e sulla base di quali azioni si è giunti alle credenze e ai valori che si sono affermati nel corso della storia e ogni volta in maniera ben definita.

QUARTA INNOVAZIONE: l’attenzione alle pratiche si traduce in un costante feed-back tra attività di ricerca e laboratori e riguarda anche il concreto dialogo tra le discipline: le scienze umane, la biologia, l’etologia, le neuroscienze, ma anche la scienza dei materiali e l’architettura, così come le pratiche artistiche, letterarie e teatrali, che diventano altrettanti punti di vista da cui indagare il tema della diversità.

 

In che modo riuscirete a rendere economicamente sostenibile la vostra idea?
Il progetto starà in piedi perché c’è un territorio che lo sorregge e lo vuole. Il Progetto Val Seriana (che ha tra i suoi promotori l’associazione Promoserio e la Provincia di Bergamo) prevede la costruzione della Rete per la gestione integrata dei Beni culturali della Val Seriana in collaborazione con le agenzie locali del turismo e della valorizzazione dell’ambiente. Al centro si colloca Diaforà come motore di ricerca metodologica che avrà sede nel Convento, a sua volta spazio di produzione culturale ma anche riferimento organizzativo per la Rete. I finanziamenti finora ottenuti dalla Regione e dalla Fondazione Cariplo hanno già permesso di far partire il progetto realizzando, in un’ala del convento, l’ostello (da 50 posti) che costituirà, oltre che un punto di riferimento importante per il turismo della valle (attualmente carente di servizi per l’ospitalità turistica) e una soluzione logistica come foresteria per il Centro, anche una fonte di reddito per le iniziative di Diaforà (laboratori, percorsi di formazione, scuola di alta specializzazione), a loro volta in grado di autofinanziarsi, pur parzialmente, aprendosi a una utenza pagante. Nel progetto di ristrutturazione del Convento si prevede di ricavare una Sala convegni, unica nel territorio, che sarà concessa in affitto a soggetti terzi (imprese, banche, università) per iniziative proprie individuando così un’ulteriore risorsa per il sostegno economico dell’intero progetto.

 

Che obiettivi vi siete posti?

1) riaprire il convento al territorio e ripristinarne l’agibilità. Parallelamente attivare la ricerca storiografica sul complesso immobiliare.

2) far crescere nella comunità albinese anzitutto, e nel territorio circostante poi, la sensibilità e l’attenzione verso la dimensione ‘pubblica’ del convento riconoscendone così la funzione originaria. A partire dal 2010 sono state proposte una serie di iniziative (visite guidate ai ‘pezzi pregiati’ del convento, performances artistiche, mostre fotografiche e di pittura, conferenze dedicate alla filosofia, alla letteratura e al cinema, concerti di musica varia, serate in collegamento con Bergamo-Scienza, saggi di fine anno della scuola primaria, proiezioni cinematografiche, iniziative di ‘avvicinamento alla scienza’ per l’infanzia, pranzi dell’associazione pensionati, mostre itineranti) che hanno avuto l’obiettivo di ‘seminare’ il progetto Diaforà.

3) far crescere la sensibilità politica delle istituzioni, anzitutto quelle pubbliche ma anche quelle private. E’ nato su questa strada, sotto il patrocinio della Provincia, il Progetto Valseriana: un sistema che fa differenza che raccoglie enti pubblici e privati, partecipato dal Politecnico di Milano e dall’Università di Bergamo, e finanziato dalla Fondazione Cariplo di Milano.

4) dotare il progetto di una forma istituzionale che lo renda autonomo sia nell’interlocuzione con le varie istituzioni sia nella ricerca di nuovi finanziamenti e, infine, nella capacità di immettere sul mercato le proprie competenze e la produzione della ricerca. Su questa strada è nata Diaforà, l’associazione onlus cui viene affidata la gestione del progetto.

5) dotare l’Associazione degli strumenti per realizzare il centro di eccellenza per la ricerca e gli studi sulla differenza che Diaforà vuole essere: una biblioteca specialistica digitalizzata, la mediateca, una legatoria-casa editrice per la pubblicazione dei risultati della ricerca (e non solo), sale funzionali di studio e di insegnamento, spazi laboratoriali, sala convegni. L’ostello continuerà a far capo alla Cooperativa che devolverà i proventi della gestione all’Associazione garantendo la copertura parziale dei costi di gestione.

6) realizzare una cittadella del sapere strettamente correlata al territorio ma capace di guardare ambiziosamente all’Europa attraverso una serie di scambi e di interlocuzioni con esperienze analoghe già esistenti e già in relazione con i membri del Comitato Scientifico di Diaforà. Soltanto in questo modo sapremo di aver restituito al Convento il suo antico ruolo di fulcro di una fitta rete di relazioni culturali, sociali, economiche e politiche. E a questo territorio e ai suoi giovani qualche prospettiva di futuro.

 

Dateci 3 motivi per i quali la giuria dovrebbe votare per voi.

Il primo motivo è l’unicità del progetto nel panorama della cultura italiana: Diaforà riunisce in sé i tre principi della legislazione sui beni culturali: la tutela (con il previsto restauro del convento), la valorizzazione (attraverso la creazione del Centro di studio e ricerca) e la fruizione (l’apertura al pubblico, attualmente difficoltosa, sarà in futuro assicurata dalla realizzazione del progetto).

Il secondo è che Diaforà può essere una risposta nuova alla crisi di questi anni, anzitutto economica ma non solo: c’è qui l’idea forte che investire nella cultura sia investire nel futuro. E ‘futuro’ vuol dire ‘giovani’ cui Diaforà guarda con particolare attenzione.

Il terzo motivo risiede nella nozione stessa di “differenza”, da intendersi non solo e non soltanto come disagio, ma anche e soprattutto come opportunità, come apertura, come possibilità di riflessione e trasformazione, perché ognuno è portatore di una specifica differenza che dispiega nelle interazioni quotidiane. Il modo di guardare al futuro di Diaforà è quello dell’inclusione, dove le differenze riconoscono l’utilità del dialogo, ognuna come specifica articolazione della natura umana.

 

La scheda di Diaforà su Che Fare
Leggi le interviste agli altri progetti finalisti su TAFTER

TAFTER, in qualità di partner del bando Che Fare, vi fa conoscere da vicino i 6 finalisti del premio dedicato all’innovazione sociale. Fino a sabato 26 gennaio, uno per uno, i responsabili dei progetti finalisti ci mostrano i loro obiettivi, i loro sacrifici e le loro ambizioni nel caso risultassero tra i favoriti della Giuria. La votazione finale, si svolgerà il 27 gennaio.

Verrà data comunicazione ufficiale del vincitore martedì 29 gennaio. Siete pronti a scommettere sul vincitore?

Parliamo della Fondazione di Comunità Locale Rione Sanità con L’Altra Napoli Onlus, promotrice del progetto


Siete tra i 6 finalisti del premio Che Fare. Come è nato il vostro progetto?
Il progetto di costituzione della Fondazione di Comunità Locale Rione Sanità, nasce dall’importante esperienza vissuta dal 2006 da un gruppo di soggetti no-profit al Rione Sanità di Napoli. Il Rione Sanità è senz’altro conosciuto per le notizie di cronaca nera e per i dati che lo rendono una periferia nel centro storico di Napoli: un quartiere con enormi tradizioni culturali, dove convivono oltre 32mila persone in poco più di 2 kmq, con un elevato tasso di microcriminalità e di disoccupazione giovanile (oltre il 60%). Una comunità locale fragile, un ghetto, che nonostante ciò conserva uno straordinario capitale umano e un inestimabile patrimonio storico-artistico.
Dal 2006 una rete composta da cittadini, associazioni no-profit – tra cui L’Altra Napoli Onlus – cooperative sociali, coop. di produzione lavoro, parrocchie e piccole fondazioni, portano avanti nel quartiere un intenso lavoro di recupero del territorio, attraverso progetti di riqualificazione ambientale, riapertura e valorizzazione dei beni storico-artistici affidati ai giovani del quartiere, promozione di imprese sociali, assistenza ai minori a rischio attraverso iniziative dal forte impatto culturale.
Questo network del terzo settore è riuscito in soli sei anni a realizzare oltre 15 progetti – raccogliendo circa 4,5 milioni di euro esclusivamente da finanziatori privati – che stanno cambiando in maniera significativa l’immagine e la realtà del quartiere. Grazie alle tante iniziative affidate ai cittadini ed in particolare ai giovani, oggi oltre 70 persone lavorano in questo circuito virtuoso fatto di orchestre giovanili, accademie di teatro, Basiliche e Catacombe paleocristiane, case di accoglienza per minori, aree verdi restituiti al quartiere.
Sono esempi di tutto ciò, progetti come la riapertura delle Catacombe di San Gennaro affidate ad una cooperativa di giovani del quartiere che, dopo un periodo di formazione e di start-up, sono riusciti ad aumentare in un solo anno gli ingressi delle catacombe del 300%, oppure l’Orchestra Giovanile Sanitansamble, un’orchestra sinfonica formata da 46 bambini del Rione Sanità che da cinque anni studiano assieme ai loro maestri ed è arrivata ad esibirsi in teatri importanti come il San Carlo e suonare l’inno nazionale per il Presidente Giorgio Napolitano.
Oggi questa rete mira alla costituzione di una Fondazione di Comunità Locale con la duplice mission di fundraising e grantmaking.

 

Perché il vostro progetto è innovativo?
Il progetto di Fondazione di Comunità Locale Rione Sanità intende dotare le realtà locali del quartiere di una infrastruttura sociale – un organismo basato sull’aggregazione e sulla collaborazione dei soggetti appartenenti della comunità di riferimento – in grado di attrarre risorse, di valorizzarle attraverso una oculata gestione patrimoniale e di investirle localmente in progetti di carattere sociale.
La Fondazione di Comunità Locale Rione Sanità sarà a tutti gli effetti un organismo nato dal basso, quale espressione dalla comunità locale che si organizza e si attiva per lo sviluppo del proprio territorio.
L’elemento più significativo è rappresentato dalla possibilità data alla collettività di investire nel proprio futuro, attivando risorse proprie per realizzare interventi in favore del recupero e dello sviluppo del proprio territorio.
In questi termini, significa che la Fondazione sarà un ente capace di leggere e comprendere i bisogni e le esigenze espresse dal territorio, coinvolgere i suoi cittadini nel processo di valorizzazione, diffondere una cultura del “bene comune”, immaginare e realizzare nuove iniziative di sviluppo territoriale – con particolare attenzione verso l’arte e la cultura, attrarre risorse dall’esterno.
La Fondazione promuoverà inoltre la sperimentazione di piattaforme web orientate alla costituzione di comunità partecipate. Le piattaforme civiche, infatti, consentono una diretta partecipazione delle persone alla vita civica delle proprie comunità, fornendo loro strumenti tipici dei media sociali, che incentivano e rafforzano i legami sociali a livello locale.

 

In che modo riuscirete a rendere economicamente sostenibile la vostra idea?
Il patrimonio della Fondazione sarà costituito dalle donazioni raccolte in tre differenti fasi. Una prima fase riguarderà la fidelizzazione dei finanziatori che hanno sostenuto i progetti finora realizzati e le donazioni dei singoli cittadini. Con l’eventuale aggiudicazione del premio Che Fare, sarà possibile raggiungere la cifra di 500.000 €, e presentare il progetto della Fondazione alla Fondazione con il Sud che, dopo un processo di valutazione, provvederebbe al raddoppio del patrimonio.
Raggiunto il capitale iniziale di 1 milione di euro, si programmerà una strategia di fund raising che avrà l’obiettivo di raccogliere in un arco di tempo di 7 anni, altri fondi per circa 1,5 milioni che, anche in questo caso, la Fondazione con il Sud raddoppierà per costituire un patrimonio di 5 milioni di euro.

 

Che obiettivi vi siete posti?
La Fondazione – attraverso una logica di economia solidale e di coworking – sarà in grado di promuovere l’intrapresa giovanile, investendo sulla formazione e sullo lo scambio di risorse e competenze, a tutela anche dell’identità culturale del territorio.
Essa ha pertanto come obiettivo iniziale quello di raccogliere e costituire un patrimonio la cui redditività sarà permanentemente destinata al finanziamento delle attività di promozione e di sviluppo socio-culturale del territorio: maggiore l’incremento del patrimonio, maggiori gli investimenti sociali in tale direzione.
I principi costitutivi della Fondazione saranno orientati verso la nascita di un’istituzione comunitaria partecipata, indipendente ed autonoma, mirata al raggiungimento di risultati e obiettivi concreti e localmente rilevanti.
Con l’approvazione del Bando Che Fare, sarà inoltre istituito dalla Fondazione un fondo dedicato: “Che Fare_qui”, rivolto al sostegno di interventi di social innovation.

 

Dateci 3 motivi per i quali la giuria dovrebbe votare per voi.
Il progetto è fondato su tre assi:
– reale partecipazione e coinvolgimento diretto dei cittadini: far partecipare attivamente i residenti è fondamentale per ottenere risultati duraturi; sono i cittadini a pianificare il proprio futuro.
– indipendenza e autonomia da istituzioni pubbliche o private: dopo una storia di 6 anni fatta di risultati e ricadute importanti per il Rione Sanità, tanto da farne un caso nazionale di recupero territoriale attraverso l’arte e la cultura, non vi era altra alternativa che guardare al futuro e puntare le basi per la propria auto sostenibilità.
– riproducibilità e replicabilità futura: il progetto vuole mettersi in rete e rendere disponibile le sue esperienze per tutti coloro che volessero gemmare un’esperienza simile in altri territori.

 

La scheda della Fondazione di Comunità Locale Rione Sanità su Che Fare
Leggi le interviste agli altri progetti finalisti su TAFTER

TAFTER, in qualità di partner del bando Che Fare, vi fa conoscere da vicino i 6 finalisti del premio dedicato all’innovazione sociale. Fino a sabato 26 gennaio, uno per uno, i responsabili dei progetti finalisti ci mostrano i loro obiettivi, i loro sacrifici e le loro ambizioni nel caso risultassero tra i favoriti della Giuria. La votazione finale, si svolgerà il 27 gennaio.

Verrà data comunicazione ufficiale del vincitore martedì 29 gennaio. Siete pronti a scommettere sul vincitore?

Parliamo della Casa del Quartiere San Salvario con Roberto Arnaudo, direttore dell’Agenzia per lo sviluppo locale di San Salvario

 

Siete tra i 6 finalisti del premio Che Fare. Come è nato il vostro progetto?
La nostra intenzione è di completare, con il premio cheFare, la fase di start up della Casa del quartiere di San Salvario attraverso la realizzazione di attività che rappresenterebbero per noi il coronamento di un lavoro iniziato molti anni fa.
La nostra opinione è che – in un generale contesto di crisi della scuola, delle politiche culturali e del welfare – sia sempre più importante investire su progetti che favoriscano l’accesso e la diffusione della cultura, favorendo la crescita delle persone e l’integrazione sociale di contesti urbani sempre più frammentati.
Proprio in ragione della crisi delle politiche pubbliche, piuttosto che pensare alla realizzazione di progetti ex-novo che quasi sempre non riescono a sopravvivere all’esaurimento dei finanziamenti, pensiamo sia più utile consentire il completamento e lo sviluppo di strutture in grado di auto-generare da sé le risorse necessarie per dare continuità ad un lavoro che si articola, non come esperienza estemporanea, ma come vero e proprio servizio pubblico di prossimità.

Perché il vostro progetto è innovativo?
Perché integra radicamento sociale, capacità di ibridare funzioni differenti (culturali, formative, aggregative, etc.) e capacità auto-generativa di produrre un’offerta socio-culturale accessibile a fasce differenti di popolazione.
Perché la Casa del quartiere è una struttura di produzione socio-culturale che nasce dal basso attraverso la partecipazione di cittadini, enti culturali e associazioni e che rappresenta una risorsa complementare alla scuola e alle sempre più deboli politiche culturali ed educative.
Perché sperimentiamo un’inedita modalità gestionale, con la quale l’utilizzo di risorse economiche aggiuntive rappresenta a tutti gli effetti un investimento capace di creare nuove risorse da reinvestire nel tempo.
Perché la Casa del Quartiere rappresenta un modello fortemente trasferibile che risponde a bisogni socio-culturali fortemente presenti nelle città contemporanee e che, per questo, si sta già diffondendo a livello nazionale.

In che modo riuscirete a rendere economicamente sostenibile la vostra iniziativa?
La Casa del quartiere di San Salvario, nell’attuale fase di start up, ha già raggiunto la capacità di auto-generare risorse economiche pari al 70% dei suoi costi complessivi. Un risultato notevole, se si tiene conto che realizziamo attività culturali e aggregative a bassissimo costo per il pubblico (non si paga l’ingresso agli spettacoli e le attività formative/educative sono tutte molto accessibili) e attività sociali del tutto gratuite.  Dal punto di vista economico, il nostro obiettivo è di completare, con il premio cheFare, la nostra fase di start up gestionale, raggiungendo una percentuale di autofinanziamento pari all’80% dei costi.
Tutto ciò sarà possibile perché il modello gestionale della Casa del quartiere permette di generare risorse significative sia attraverso la compartecipazione ai costi di tutta la vastissima rete di enti no profit e cittadini che collabora con noi, sia attraverso la realizzazione di alcune attività economiche (in primo luogo la gestione di un bar-caffetteria interno alla struttura).
L’investimento previsto consiste nell’acquisto di beni strumentali, nel potenziamento dell’offerta culturale e della comunicazione pubblica e rappresenta quindi anche un’occasione di crescita della struttura e quindi dei ricavi complessivi da reinvestire su nuove attività.

Che obiettivi vi siete posti?
La finalità della nostra proposta è di costituire un modello di intervento innovativo di diffusione sociale della cultura, capace di dare una risposta alla crisi delle politiche pubbliche e delle agenzia formative tradizionali, produrre coesione sociale e autosostenersi economicamente.
Gli obiettivi sono quelli di fare crescere in qualità e quantità l’offerta culturale della Casa del quartiere, raggiungere con più efficacia target di popolazione svantaggiata, acquisire maggiori capacità di autofinanziamento e di autonomia di azione.

Dateci 3 motivi per i quali la giuria dovrebbe votare per voi.
Perchè la nostra proposta:
1. risponde ad un bisogno diffuso di cultura accessibile a tutti i cittadini, di aggregazione, di progettazione condivisa, di servizi socio culturali a cui l’Ente pubblico non riesce più a dare risposta.
2. è un buon investimento per il futuro: la Casa ha dimostrato di essere capace di attivare un meccanismo di sostenibilità virtuoso nel tempo, aumentando progressivamente il proprio grado di autonomia.
3. e perché la Casa del Quartiere è considerato un modello imitato in città e fuori ed è esportabile e replicabile anche in altri contesti.

La scheda di Casa del Quartiere di  San Salvario su Che Fare
Leggi le interviste agli altri progetti finalisti su TAFTER

TAFTER, in qualità di partner del bando Che Fare, vi fa conoscere da vicino i 6 finalisti del premio dedicato all’innovazione sociale. Fino a sabato 26 gennaio, uno per uno, i responsabili dei progetti finalisti ci mostrano i loro obiettivi, i loro sacrifici e le loro ambizioni nel caso risultassero tra i favoriti della Giuria. La votazione finale, si svolgerà il 27 gennaio.

Verrà data comunicazione ufficiale del vincitore martedì 29 gennaio. Siete pronti a scommettere sul vincitore?

Parliamo di Artribune Jobs con Massimiliano Tonelli, direttore di Artribune

 

Siete tra i 6 finalisti del premio Che Fare. Come è nato il vostro progetto?
Il progetto Artribune Jobs si inserisce in un più ampio piano di investimenti che l’azienda intende portare avanti con l’obiettivo di internazionalizzare il brand, ampliare il proprio mercato e aprire nuove aree di business. Il processo di apertura del marchio Artribune verso l’estero, che verrà perseguito durante il biennio 2013-14 attraverso una serie di iniziative coordinate (pubblicazione di contenuti in inglese su carta e web, presenza del giornale in eventi internazionali, progettazione di nuove applicazioni per il mercato dei dispositivi mobili, lancio di una piattaforma di content curation), punta sul progetto Jobs come perno dell’intera strategia.

Perché il vostro progetto è innovativo?
E’ innovativo perché non c’è niente di questo genere in giro per il mondo della creatività. Un settore dove il turnover di personale e addetti è continuo, ma dove la domanda e l’offerta di lavoro è demandata al passaparola. Un settore, inoltre, dove c’è una sovrabbondanza di opportunità in termini di bandi, call e concorsi e dove non c’è nulla per averli tutti insieme a disposizione. Artribune Jobs è innovativo perché semplifica le procedure per chi sta offrendo o cercando lavoro. Rende più facile l’incontro della domanda e dell’offerta in ambiti strategici in questo momento come il lavoro e le opportunità.

In che modo riuscirete a rendere economicamente sostenibile la vostra idea?
Grazie alle sinergie con Artribune, grazie all’approccio “freemium” ovvero dare una parte del servizio di domandaofferta di lavoro in modalità gratuita ed una parte, la parte premium, a pagamento sia per chi consulta che per chi inserisce le offerte. In questo modo e anche grazie a software open source e non molto costosi la macchina dovrebbe stare in piedi ed essere sostenibile accompagnando al contempo la nostra internazionalizzazione. Ovviamente ci sono circa 100.000 euro di start-up da trovare, ecco perché abbiamo partecipato al Premio Che Fare e lo vogliamo fortemente vincere.

Che obiettivi vi siete posti?
Artribune Jobs ha obiettivi ambiziosi: cambiare l’approccio che le persone hanno al settore della cultura e della creatività, affermare la meritocrazia perché questo progetto accrescerà esponenzialmente la trasparenza specie dei bandi eliminando la possibilità per qualcheduno di pubblicare bandi confidando sulla scarsa diffusione. Con Artribune Jobs tutto sarà disponibile a tutti in qualsiasi momento.
Insomma cambio di prospettiva, merito, opportunità. L’obbiettivo è creare una vera infrastruttura per l’intero comparto. Qualcosa che diventi insostituibile.

Dateci 3 motivi per i quali la giuria dovrebbe votare per voi
Si richiedevano progetti di impatto sociale e attivando Artribune Jobs si cambia letteralmente la faccia, dal punto di vista lavorativo ad un intero settore.
Si richiedeva replicabilità e siamo nelle condizioni di replicare il modello su tutti gli ambiti della creatività, non solo l’arte che è il nostro ambito, ma anche l’editoria, la letteratura, il design, l’architettura, la moda. Nessuno di questi mondi ha delle piattaforme di job engine attive e ben funzionati
E infine siamo il progetto che, se lanciato e messo nelle condizioni di funzionare, può dare maggiormente lustro, diffusione e prestigio al Premio Che Fare e alle realtà che lo hanno realizzato.. Artribune Jobs è un progetto destinato a durare negli anni ed a incidere sulla vita di migliaia di persone. Tutti, dunque, dovranno ringraziare Che Fare per questo.

La scheda di Artribune Jobs su Che Fare
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TAFTER, in qualità di partner del bando Che Fare, vi fa conoscere da vicino i 6 finalisti del premio dedicato all’innovazione sociale. Fino a sabato 26 gennaio, uno per uno, i responsabili dei progetti finalisti ci mostrano i loro obiettivi, i loro sacrifici e le loro ambizioni nel caso risultassero tra i favoriti della Giuria. La votazione finale, si svolgerà il 27 gennaio.

Verrà data comunicazione ufficiale del vincitore martedì 29 gennaio. Siete pronti a scommettere sul vincitore?

 

Parliamo di Lìberos con Michela Murgia, scrittrice sarda

 

Siete tra i 6 finalisti del premio Che Fare. Come è nato il vostro progetto?
Circa un anno fa una libreria sul punto di chiudere ha chiesto aiuto. La reazione immediata e straordinaria di tutti (lettori, autori, bibliotecari e altri librai) è diventata l’occasione per una riflessione comune sulle nostre potenzialità di relazione ancora inespresse e sulla necessità di renderle progettuali anche in senso economico. Per sei mesi ci siamo incontrati e confrontati su un codice etico e uno schema d’azione e alla fine abbiamo fondato Lìberos, che è allo stesso tempo un sistema operativo culturale, un social network e un laboratorio permanente di progettazione comune. Ne fanno parte 150 soggetti profit e no profit della cultura sarda e 4000 lettori in costante aumento.

Perché il vostro progetto è innovativo?
Perché coniuga l’antichissima risorsa delle relazioni umane con le nuove tecnologie, che accorciano le distanze e rendono più facile la progettazione integrata. Coordinare gli operatori non bastava; avevamo bisogno di riconoscere i lettori come parte integrante e paritaria della comunità culturale sarda. La sfida era rendere evidente a tutti che la cultura delle relazioni genera nuova economia e protegge quella esistente, accompagnandola nei cambiamenti già in atto.

In che modo riuscirete a rendere economicamente sostenibile la vostra idea?
L’azione comune – cioè presentarsi uniti davanti chi cerca progetti culturali di qualità ed è disposto a investirci – ci consente di ridurre moltissimo i costi e di riverberare i benefici a tutti, con un effetto moltiplicativo che fino a ieri sembrava impensabile. Si fanno più cose, la fatica e gli investimenti si dividono e la qualità dei progetti portati avanti attira, oltre ai lettori, anche i fondi di istituzioni e privati.

Che obiettivi vi siete posti?
Aumentare il tasso di lettura e il numero dei lettori, qualificare meglio l’offerta culturale e consolidare le relazioni tra gli operatori della filiera, tra loro e con le istituzioni locali.

Dateci 3 motivi per i quali la giuria dovrebbe votare per voi.
Perché non siamo belli e impossibili, o possibili solo in Sardegna. Lìberos è un modello virtuoso facilmente riproducibile altrove anche su scala differente (una sola provincia, una sola città, un altro settore). Abbiamo già trattative aperte con altre realtà fuori dall’isola per capire come possiamo farlo migrare.
Perché siamo la prova efficiente che di cultura si mangia. Operare in questo modo su un’intera regione significa dimostrare che lavorare insieme non solo è possibile, ma conviene.
Perché il meccanismo di funzionamento di Lìberos è pedagogico: spinge le persone a ragionare al plurale, abbattendo le barriere tra profit e non profit e tra centro e periferia. Chi aderisce a Lìberos impara a immaginare la propria azione culturale in maniera organica al territorio e integrata alle altre presenze.

La scheda di Lìberos su Che Fare
Leggi le interviste agli altri progetti finalisti su TAFTER

 

Che cosa si intende oggi per innovazione sociale? Ma, soprattutto, può oggi questa definizione così generica soddisfare un’ampia rete di esigenze che si muovono dal profit al no-profit?
Ne parlano Marco Belpoliti e Bertram Niessen sull’inserto Domenicale del Sole24Ore, citando nel concreto uno dei più innovativi bandi in ambito culturale: “Che Fare”, uno spazio che permette alle imprese sociali profit e non profit di realizzare il proprio progetto grazie ad un premio di 100 mila euro.

Volete presentare la vostra idea? Potete farlo qui

 

 

 

Il Novecento è stato interamente fondato su grandi processi di standardizzazione. Non solo uniformità dei processi di produzione industriale, come nelle catene di montaggio della Ford, ma anche uniformità nell’accesso al welfare e all’istruzione, nella burocrazia statale, nei mezzi di comunicazione e nei modelli di consumo.

Quando Castells ha scritto La nascita della società in rete molti lettori hanno preferito soffermarsi su una lettura prevalentemente tecnica della questione, secondo la quale il grande cambiamento paradigmatico, sopraggiunto con la fine del secolo passato, è stato soprattutto un problema infrastrutturale. Ma la trasformazione reticolare della società ha degli sviluppi che vanno ben oltre Internet: si tratta, infatti, di un fenomeno di vastissima portata che, proprio grazie alle possibilità di reperimento, organizzazione e ri-aggregazione delle informazioni, sta trasformando il mondo in cui viviamo in un’ecologia nella quale si affolla un numero di attori sempre più eterogenei.

È allora questo il momento per iniziare a ripensare il mondo attorno a noi come uno spazio della molteplicità, come aveva intuito Italo Calvino nella sua “lezione americana”. Accanto ad attori e processi che rimangono saldamente sotto il controllo dei monopoli della produzione di beni e servizi, iniziano a cercare, e trovare, un loro posto dei fenomeni nuovi, che si muovono secondo criteri inediti e non-standardizzati.

La definizione corrente per indicare questo panorama complesso è “innovazione sociale”; un termine che non può che lasciare insoddisfatti, per la sua genericità e il suo prestarsi a equivoci di ogni sorta. Eppure, al momento, nonostante questo, appare il termine migliore che abbiamo per indicare una serie d’iniziative, sia profit che non profit, che cercano di rafforzare il tessuto civico delle nostre società, favorendo relazioni orizzontali e comunitarie, colmando il più delle volte i vuoti lasciati dalla pubblica amministrazione nella sanità, nell’educazione, nella cultura.

L’innovazione sociale ha tanti volti quanti sono i territori nei quali opera; se si esplora a giro d’orizzonte le nuove forme di sostenibilità economica, sociale e ambientale s’intravedono iniziative che riguardano il micro-credito, il crowdfunding (il finanziamento di servizi o prodotti in modo distribuito attraverso Internet), passando poi per le social enterprise, che operano direttamente sul mercato.

 

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