TAVOLAPERIODICA

Bisogno primario dell’uomo, fonte di piacere e occasione di socializzazione, il cibo è uno dei principali mediatori nella nostra relazione con il mondo, con altre culture e con noi stessi.

Tema centrale nella scena dell’arte contemporanea – si pensi alle ultime Biennali di Venezia – star dei palinsesti televisivi, concept della prossima Expo 2015 “Nutrire il pianeta. Energia per la vita” il cibo è stato il protagonista di Tavola Periodica, un brunch itinerante dove tutti possono contribuire a finanziare progetti creativi in ogni campo dell’arte.

Tavola Periodica si ispira a Sunday Soup, progetti di microfinanziamento per l’arte e la creatività che hanno luogo a partire da cene organizzate a Chicago. Il foodraising è sbarcato in Italia grazie a CTRLZAK Studio, gruppo artistico internazionale formato Thanos Zakopoulos e Katia Meneghini e dal 2010 ha già coinvolto diverse città italiane. Domenica 20 ottobre più di un centinaio di visitatori hanno scelto di pranzare con il gustoso brunch de Le Madeleine, una selezione di prodotti food design a km zero, e chiacchierando nella suggestiva cornice della Cattedrale della Fabbrica del Vapore, uno spazio industriale dove ferro, acciaio e grandi vetrate fanno da contenitore all’arte contemporanea milanese, e sorseggiando birra artigianale hanno assistito alla presentazione dei progetti creativi da finanziare.

Designer e artisti hanno illustrato le proposte e specificato come sarebbero stati usati i finanziamenti, raccolti grazie al ricavato del brunch, e grazie al voto di ogni partecipante. I sei progetti, selezionati tra le centinaia di proposte arrivate a CTRLZAK Studio, spaziano dalla fotografia alla performance, al design alla letteratura: XY project, di Manfredi e Rossin, è una doppia sessione fotografica che vuole indagare il rapporto dicotomico tra individuo e cibo raccontando storie personali e intime. Irene Rubiano ha presentato un progetto di documentazione fotografica e mappatura degli orti solidali del Piemonte. Il cibo come nutrimento poetico è il concept alla base di L’alimentazione sentimentale, un ciclo di incontri di scrittura a partecipazione gratuita promosso da Roberta Secchi.

Plateroom, di Stefania Solari, il terzo progetto classificato, è un servizio web di ricette on demand dove utenti, golosi, piccole realtà imprenditoriali, ristoratori e viaggiatori scambiano informazioni, fotografie e ricette legate al luogo in cui si trovano. Plateroom, attualmente in fase beta, si propone come punto di incontro tra viaggiatori che hanno voglia di un piatto particolare o che magari, complici le intolleranze alimentari o la scelta di alimentarsi in modo vegetariano, biologico, macrobiotico hanno bisogno di trovare un ristorante che proponga proprio il piatto che stanno cercando.

Il centinaio di partecipanti a Tavola Periodica ha deciso di premiare pari merito due progetti con tema design e amore. Will be, ideato da Marco Salvi e Stefano Caimi, intende creare una collaborazione tra creativi e artigiani per la riscoperta e l’apprendimento delle tecniche di realizzazione degli oggetti che abitano le nostre tavole.

VegetableLove, di Michela Grisi, racconta, in modo ironico, storie di amori impossibili tra frutta e verdura che ricalcano le esperienze di vita vissuta. Nasce come una serie di tavole indipendenti, realizzate a partire dall’impressione su carta di ortaggi veri e poi rielaborati graficamente, già esposte a Berlino, e si sviluppa in un ciclo di workshop aperti al pubblico: ognuno può raccontare attraverso frutta e ortaggi esperienze d’amore tragicomiche e, se proprio non riesce a sdrammatizzare, può sempre mangiarci su.

 

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Intervista a Caterina Mosca (Bologna Water Design)

A un mese della chiusura della terza edizione di Bologna Water Design (BWD), vi proponiamo un’intervista in esclusiva a Caterina Mosca, fondatrice di Mosca Partners, da anni attiva nel mondo del design, e tra gli ideatori di Bologna Water Design, manifestazione dedicata al design dell’acqua che mette in mostra progetti sviluppati da aziende di ceramica in collaborazione con artisti, designer e architetti.

 

Come nasce il concept di BWD?
Si tratta di una manifestazione di progetti di design legata al tema dell’acqua, nata con l’idea di creare un evento parallelo alla fiera annuale di ceramica di Bologna (Cersaie), per trattare temi tipici della fiera ma allo stesso tempo con un taglio culturale, ampio, trasversale, che uscisse dalle logiche commerciali delle manifestazioni fieristiche. Un ‘Fuori Fiera’ che riuscisse quindi ad essere complementare alla Fiera stessa, ma che avesse una sua identità forte e che potesse in prospettiva vivere anche autonomamente. Il tema dell’acqua ci è subito sembrato quello giusto, anche per le sue implicazioni sociali legate alla futura carenza di questo elemento e al conseguente sforzo di educare il pubblico a consumi minori e consapevoli.

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Jewel Light, progetto di Sergio Brioschi con Pozzi Ginori

Abbiamo cominciato con una prima edizione nel 2011 per verificare la fattibilità del progetto in cui abbiamo coinvolto gli showroom esistenti in città, ma poi, fin dallo scorso anno, abbiamo capito che era importante avere un cuore centrale della manifestazione in cui poter controllare e gestire in modo diretto i contenuti. Così abbiamo cercato una location importante nel centro della città e abbiamo trovato questo meraviglioso “Palazzo dei Bastardini”, chiuso da vent’anni, di proprietà della Provincia. Lo abbiamo chiesto e ottenuto a condizione che sostenessimo tutti gli oneri per renderlo agibile. Così è stato e lì abbiamo dato vita ad una edizione di grande successo, chiamando tanti progettisti a realizzare le loro idee e trovando le aziende giuste per sostenerli. Questa idea, difficile e complessa, di partire dai progetti invece che dalle aziende è stata la chiave vincente di BWD: quella che garantisce la qualità, la spettacolarità, l’emozione generata dai progetti.

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 Fontane inconsapevoli, progetto di Studio Benaglia + Orefice con Geberit

 

Bologna Water Design in cifre – quali sono, ad oggi, i risultati della manifestazione?
Il numero di aziende interessate e coinvolte è cresciuto molto velocemente. Siamo passati dalle dieci aziende della prima edizione alle trenta di quest’anno. Il numero degli artisti è raddoppiato da dieci a venti. Certamente un aumento significativo, ma occorre trovare spazi più grandi se si vuole far diventare BWD una grande manifestazione di livello internazionale.
L’evento – ad accesso libero – è stato inoltre molto ben accolto dal pubblico. E’ molto difficile in una manifestazione sul territorio senza recinti né controlli dare numeri verificabili. La nostra stima realistica e prudente è di qualche migliaia il primo anno, circa 10.000 il secondo e oltre 15.000 quest’anno. Ma quel che più conta a nostro avviso non è la quantità, ma la qualità del pubblico che ha visitato la mostra. Nei giorni lavorativi, dal lunedì al giovedì, un pubblico professionale di livello alto e poi il venerdì sera e il sabato i bolognesi attenti e curiosi alle iniziative culturali della città. Siamo molto soddisfatti della qualità del pubblico che ha visitato la manifestazione.

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 Pinnacle, closing party – Chiostro ex Maternità

Ma c’é di più. L’impatto in termini di riqualificazione del patrimonio storico-culturale è stato altissimo. Ci teniamo molto a sottolineare questo aspetto. Ci pare una cosa importante che una manifestazione che dura pochi giorni non disperda le energie e l’investimento fatto ma che lasci alla città un valore: quello di riscoprire spazi abbandonati della città come Palazzo Bastardini, riaprirli e utilizzarli per manifestazioni culturali riqualificando il patrimonio storico.
Inoltre, i contenuti della manifestazione hanno portato e speriamo portino sempre di più a Bologna una opportunità in più di conoscenza e diffusione della cultura legata al mondo del design e, nel caso specifico, visto che il tema è quello dell’acqua, si possa contribuire seriamente a far nascere opportunità di ricerca progettuale e una consapevolezza diversa sul consumo di tale bene.

 

Quali le opere d’arte più interessanti che hanno avuto un “seguito” dopo l’evento?
Il caso più clamoroso è certamente quello del progetto di Kengo Kuma dello scorso anno: un paesaggio in pietra serena di circa 100 mq. realizzato da Il Casone.

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L’installazione è stata smontata a Bologna ed è stata richiesta e successivamente donata alla città di San Paolo in Brasile per diventare il centro di una Piazza.
Il vostro potrebbe essere definito un business model “win-win” che ricompensa voi, l’artista/designer/architetto e le aziende partecipanti alla manifestazione – in cosa consiste esattamente il vostro business model? Qual è il ritorno per voi, l’azienda e l’artista?
Per noi l’idea è soprattutto quello di continuare una forte interazione con il mondo del progetto in senso ampio (design e architettura ma anche di altri settori della creatività come la musica e il cinema). L’azienda remunera direttamente l’artista con cui noi lo mettiamo in contatto e con cui l’azienda sviluppo il proprio progetto da portare alla manifestazione.
E’ in questo mondo che Mosca Partners lavora da sempre. Fare progetti di qualità che creino occasione di incontro e valorizzazione del lavoro, crediamo che sia fondamentale: i ritorni sono sia in termini di relazione che di opportunità di lavoro. BWD è poi soprattutto un progetto di comunicazione, con un posizionamento molto preciso che valorizza le eccellenze e vuole tenere un profilo molto alto. I ritorni quindi sono per tutti, artisti e aziende, di visibilità, valorizzazione del lavoro e opportunità di business anche a livello internazionale.

 

Si sta sempre più sviluppando una nuova tendenze nelle politiche di innovazione a livello europeo che consiste nel promuovere la cultura e la creatività come fattore di innovazione (i cd. creative spillovers). Il vostro è un ottimo esempio di collaborazione riuscita tra mondo dell’arte e industria tradizionale che permette al cliente potenziale di offrire un’esperienza più che un semplice prodotto. Secondo la sua esperienza, come si potrebbero stimolare gli effetti di “spillover” creativi presso aziende tradizionali oltre il settore della ceramica?
Abbiamo sempre pensato che, soprattutto in certi settori, la cultura sia un motore fondamentale dell’economia. Non c’è design senza innovazione e promuovere la cultura è sicuramente un modo fondamentale per alimentare e sviluppare la creatività e l’innovazione. Aldilà della contemporaneità del Cersaie con la nostra manifestazione, che ovviamente facilità la visibilità nel settore del bagno e della ceramica, pensiamo che se riusciremo a fare un buon lavoro nei prossimi anni questa manifestazione potrà rappresentare per gli operatori di settori diversi una grande opportunità per avvicinarsi al mondo del progetto e della creatività. BWD vuole diventare una vetrina trasversale e uno stimolo per tutti coloro che vogliono scoprire il valore di questa cultura.

 

A quando la nuova edizione di BWD?
Settembre 2014 – in contemporanea con il prossimo Cersaie.

 

pesciIn un mondo sempre più dominato dai geek e dai nerd, intriso di virtualità sociale e comunità virtuali c’è bisogno di ritornare alle origini del lavoro creativo, in cui l’atto di creare ha delle sue precise conseguenze materiali. Operae è l’effetto, il risultato concreto di un’attività artistica, intellettuale e materiale: un processo di messa in funzione che prevede la produzione di un determinato manufatto conseguente ad un’attività di lavoro.

Torino la scorsa settimana per la quarta edizione ha ospitato Operae, l’independent Design festival; una fucina di makers, artigiani e designer pronti a sporcarsi le mani e ad ibridare nuove e vecchie tecnologie per dialogare tra futuro e presente. Oltre ottanta espositori provenienti da tutta Italia hanno riempito le OGR Torinesi in tre giorni intensissimi di incontri, workshop per bambini, conferenze e masterclass.

Costola creativa della Torino Design week, Operae quest’anno ha ospitato al suo interno la manifestazione MICRO più, organizzata da Copy Copy, associazione che da anni cerca di restituire uno sguardo sulla produzione editoriale indipendente proponendo case editrici e publisher internazionali più creativi del momento, fino all’anno scorso svoltasi ad Art Kitchen, a Milano.

Tra i molti progettisti presenti, molto interessanti sono sicuramente le sperimentazioni editoriali di LuchaLibre, un progetto che cerca di esplorare le nuove forme di cinema, letteratura e la musica unendo con le opere di giovani illustratori internazionali in una veste grafica molto accattivante. Ancora più eclettico è il magazine Diorama, frutto di una ricerca costante, scandita in stagioni tematiche.

La creatività che traspira dalle decine di giovani designer presenti fa sperare bene per il futuro dello stivale; una parola su tutte è flessibilità e indipendenza; se non andrà in patria, il mercato estero infatti è già pronto per accogliere la creatività italiota.

Tra i manufatti più ingegnosi e hipster c’è la libellula emotiva di tagmi; agenzia di comunicazione milanese che si era fatta notare l’anno scorso con il progetto Fix your bike, un film adesivo per le biciclette resistente ad acqua e raggi UV che permette di rivestire totalmente la propria bici in maniera creativa.

Parlando di musica e diffusori alternativi impossibile non citare GIACINITO Loudspeaker, un altoparlante fai da te che consente di modulare le frequenze del suono in maniera analogica grazie a filtri intercambiabili. Simile principio ma meno personalizzabile è ITO’CH amplificatore acustico creato per fare suonare il legno, creazione nata dalla collaborazione tra Realizzatori di idee e lavoro di un liutaio.

Il laboratorio tipografico Semiserie è un pozzo di idee regalo senza fine: un duo creativo definisce le sue creazioni irrazionali e ironiche, utilizzando tecnologie scomode, lente ed obsolete senza alcuna logica di mercato.

Arriva da Lecce il progetto MoMang, realizzato nell’ambito dell’arte pubblica: è una struttura metallica leggera e smontabile pronta per essere utilizzata come cucina da street food e pensata come attivatore dello spazio pubblico.

Per gli appassionati del Design, imperdibile l’appuntamento in corso con la Dutch Design Week Olandese ad Eindhoven dal 19 al 27 ottobre, e per chi non riuscisse a volare in terra arancione dovrà aspettare l’appuntamento milanese organizzato allo spazio “O”: Sprint (dal 29 novembre al 1 dicembre) con l’Independent Publisher and Artist Book Fair.

 

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COSESe fino a poco tempo fa il mercato dell’arte era una prerogativa esclusiva degli intenditori più raffinati, delle famiglie facoltose, dei collezionisti di generazione in generazione, ultimamente sembra che si stia aprendo sempre di più ad un pubblico maggiormente diversificato. Dopo le fiere d’arte che propongono creazioni accessibili, o le aste per tutti i portafogli, è arrivato anche Artuner, il portale dov’è possibile comprare opere d’arte online, a prezzi speciali, in una sorta di asta web rivolta anche ai meno esperti. Lo scopo è quello di incrementare la conoscenza e l’apprezzamento dell’arte contemporanea internazionale, e allo stesso tempo, di stimolare la nascita di una nuova generazione di collezionisti, giovani e appassionati.

 

 
COMEArtuner è una vera e propria galleria online che, per periodi limitati, espone le opere d’arte che mette in vendita ad un prezzo conveniente, ridotto. L’esposizione è tematica e scelta dai curatori e dagli esperti stessi del sito ed è chiamata “curation”. Come specificato dal creatore del sito, Eugenio Re Rebaudengo, in un primo momento i lotti proposti saranno principalmente di fotografia. I prezzi partono dalle 2,000 sterline. Per acquistare bisogna registrarsi online, ma prima di compiere il passo decisivo del pagamento, si può usufruire del consiglio degli advisors messi a disposizione dal portale, contattabili tramite email o Skype. Il sito offre, poi, per ogni artista e opera messa in vendita, informazioni bibliografiche di approfondimento, come in ogni catalogo d’asta che si rispetti. Una volta terminato il periodo della “curation”, è possibile trovare le precedenti esposizioni allestite su Artuner cliccando su “All Art”. Delle sezioni specifiche, contenenti articoli e testimonianze, aiutano infine l’utente a muoversi nel mondo del mercato dell’arte e della tutela delle opere.

 

 
proLa grafica è elegante e curata, il sito è di facile navigazione e comprensione. Al di là della possibilità di acquistare realmente un’opera d’arte, la piattaforma potrebbe rivelarsi un mezzo utile per affacciarsi sul mondo del collezionismo, uno strumento didattico per aggiornarsi sulle tendenze dell’arte contemporanea.

 

 
CONTROArtuner è stato messo online di recente, quindi al momento contiene esposizioni di un solo artista, il fotografo Luigi Ghirri. Nonostante ci sia la possibilità di vedere il quadro posizionato all’interno di una stanza, o dotato di cornice, il fatto di non poter analizzare l’opera da acquistare dal vivo sicuramente costituisce un limite.

 

 

 

SEGNI PARTICOLARIIl portale è stato creato da Eugenio Re Rebaudengo, giovane collezionista, esperto d’arte anche grazie all’esperienza nella Fondazione di famiglia, la Sandretto Re Rebaudengo. Gli altri membri del team, Nicolas Epstein e Muna Rabieh, anche loro giovanissimi, hanno una formazione internazionale.

 

 

 

CONSIGLIATO AI collezionisti in erba, gli appassionati di storia dell’arte, mercato dell’arte, economia della cultura.

 

 

 
INFO UTILIhttp://www.artuner.com

GLIMPTSiete appassionati di design innovativo, contemporaneo, spiritoso e creativo? Allora l’ Operae. Independent Design Festival di Torino è il posto che fa per voi. Si tiene ai Cantieri OGR dall’11 al 13 ottobre e queste sono alcune delle creazioni che espone al pubblico.

Sedie, lampade, sgabelli, elementi d’arredo per la cucina, il salotto, la camera da letto, opera di designer e artisti nazionali e internazionali della scena contemporanea, risultano un piacere per gli occhi e i gusti dei visitatori del festival. E se poi c’è un oggetto che vi è piaciuto più degli altri… potrete pure acquistarlo!

Quelle che vi proponiamo sono le realizzazioni di:
1) Digimorphé
2) Dorodesign
3) Federica Bubani
4) Friday Project
5) Glimpt
6) Ilaria Innocenti
7) Jamais Sans Toi
8) Johnny Hermann
9) Lith Lith Lundin
10) Livia Polidoro
11) Manuel Netto
12) Marco Guazzini
13) Officina82
14) Philipp Beisheim
15) Piktur
16) Teste di legno
17) ZPSTUDIO

Look, musica e scooter i tratti distintivi: abiti stretti, giacche dal tipico collo a tre bottoni e dai risvolti rigidi, magliettine colorate e solitamente attillate, uno stretto cravattino nero abbinato a pantaloni senza pences, mocassini o brogues sempre scure. Facilmente riconoscibili per i loro tagli di capelli, i giacconi parka con in bellavista il simbolo della Royal Air Force (l’aeronautica militare britannica) e il rombo di  Vespe e Lambrette riempite dei particolari più stravaganti, primi fra tutti decine di luci e specchietti retrovisori.

Ricercatori dello stravagante, del nuovo, amanti degli stilisti italiani e francesi, fissati nella ricerca del particolare, dell’eleganza sempre all’avanguardia. I primi Mods della Londra anni ‘50 volevano esprimere così la loro diversità rispetto ai ‘rozzi’ Teddy Boys, i Rockers contro cui spesso si scatenavano feroci risse, tra cui il famoso e triste episodio di Clepham Common in cui rimase ucciso un ragazzo e dal quale emerse la popolarità mediatica dei due gruppi. Amanti e ballerini di ‘modern jazz’, (da cui deriva il nome Mods) trascorrevano le lunghe notti nei nightclubs di tutta Londra, all’insegna dello sballo, ballando musica ska e soul,  passando poi alla beat music, and R&B.

 

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Ragazze con pantaloni e camicie da uomo; pochissimo trucco, sopracciglia fini e capelli corti che per il tempo erano una vera provocazione! Negli anni lo stile è divenuto sempre più fashion, sulla base dello slogan cool, neat, sharp, hip and smart: essere belli, stravaganti, puliti e decisamente eleganti. Icone intramontabili, la giovane Twiggy, bellissima androgina dai capelli corti e occhi truccati, l’impertinente Peggy Moffitt con il suo caschetto asimmetrico e gli occhioni dal trucco audace; per non dimenticare Jean Shrimpton forse la prima vera supermodella mondiale, apparsa su tutte le copertine delle riviste di moda più famose, Vogue, Harper’s Bazaar, Vanity Fair, Glamour, Elle, Ladies’ Home Journal, Newsweek, and Time magazines. E quando la moda Mod si espanse oltreoceano, una delle più belle superstar degli anni ‘60, musa di Andy Warrol e di Bob Dylan, Edie Sedgwick, influenzò con il suo stile tutto il mondo femminile e non dell’epoca.

 

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Alla fine degli anni ’70, a seguito del film Quadrophenia di Franc Roddam, ci fu un vero e proprio revival;  i The Who e i The Jam di Paul Weller scattarono in cima alle classifiche, mentre la 2-Tone divenne la primissima etichetta completamente ska al mondo.

Proprio in quegli anni cominciarono a Milano, Torino e Roma i raduni internazionali che continuano tutt’oggi a raggruppare moltissimi appassionati, vecchi e nuovi: famosissimo il week-end di Pasqua a Rimini con il ‘The italian Job’ e a Marina di Ravenna con il “Raduno Mod Italiano” alla penultima settimana di settembre (l’edizione 2013 si è appena conclusa lo scorso 20-21 settembre); prossima tappa l’All Saints Mod Holiday a Lavarone (Trento), per il week-end di Halloween.
Una vera passione che va ben oltre il vintage, come subito ci si accorge se solo si dà un’occhiata al sito ufficiale http://www.modculture.co.uk dove si trovano video, libri, abiti e oggetti, tutto rigorosamente Mod style.

 

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Se questo vi affascina, ascoltate oltre ai sempreverdi Statuto, i Tailor Made di Torino, i Made di La Spezia, i Fay Hallam Trinity o gli olandesi Kik e i danesi Movement; infine non vi resta che vestirvi di tutto punto e recarvi in uno dei diversi locali dove vengono tuttora organizzate serate Mod: il Flamingo Mod Club a Torino, l’Underground Blues a Teramo, il Buzz with the Fuzz a Milano, il Maximum Speed Mod Weekend a Genova, il Soulvivors a Bologna, il Right Track e la Youth in Revolt a Roma nel periodo invernale, l’Hot Mod Summer on the Lake sul lago Trasimeno nel periodo estivo. Ready, steady, go! Continue reading “Torna di moda il Mod” »

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COSESe vi capita spesso di girare per negozi e di essere stufi delle solite marche e dei soliti prodotti, se cominciate a sudare freddo ogni volta che è il compleanno di qualcuno a voi caro perché incapaci di trovare un regalo originale, bene, allora dovreste dare un’occhiata a Buru Buru. Si tratta di uno store online dedicato esclusivamente all’artigianato contemporaneo. Si possono vendere o acquistare prodotti fatti a mano, di alta qualità, ma con un brand moderno, fresco e divertente… Persino a costi abbastanza contenuti!
È anche una community di crafter che ricerca e seleziona artigiani e creativi che necessitano di assistenza e supporto per far decollare la propria produzione, il proprio “piccolo brand”. Le parole chiave di Buru Buru sono sostenibilità, creatività, valore.

 

 

COMEBuru Buru funziona un po’ come Ebay, nel senso che è possibile sia vendere dei prodotti, sia comprarli. Solo che il mercato di Ebay prevede merci di tutti i tipi e qualità. Per vendere su Buru Buru, invece, bisogna “candidarsi”, cioè sottoporre le proprie creazioni al giudizio dello store che valuta la compatibilità con la linea e il gusto adottati dal resto degli articoli.
Per acquistare basta solo registrarsi, scegliere tra abbigliamento, accessori, gioielli, cartolerie, prodotti per bambini, green, poster, ovviamente pagare e aspettare l’arrivo dell’agognato pacco a casa. È possibile anche personalizzare i propri acquisti, scegliendo l’illustrazione da abbinare all’accessorio o alla t-shirt preferiti. C’è anche una sezione “Offerte” per scoprire i prodotti scontati del momento. Per le fashion blogger sulla cresta dell’onda è, poi, possibile diventare “Ambasciatrici” Buru Buru e portare alto il vessillo della cultura artigianale indipendente.
Infine, è possibile navigare sulla sezione “Magazine” dello store, il blog di Buru Buru che contiene news, articoli, interviste sul mondo del design, della grafica, della moda.

 

 
proIl sito ha una grafica adorabile, semplice e divertente. Muoversi all’interno della pagina web, alla ricerca del prodotto giusto, è facile e veloce.

 

 
CONTROIl tipo di merce messa in vendita potrebbe essere gradito maggiormente da chi ha un determinato tipo di stile, “alternativo”.

 

 
SEGNI PARTICOLARIIl nome, “Buru Buru”, si ispira al linguaggio dei bambini che, pur farfugliando, riescono a fare capire cosa vogliono, soprattutto quando qualcosa li cattura, li attrae, li stupisce. Buru Buru quindi è volontà, entusiasmo, stupore.

 

 
CONSIGLIATO AI/le fashion victim, i/le fashion blogger, i designer, i creativi, gli artigiani 2.0, gli imprenditori fantasiosi, tutti coloro che hanno letto e amato “I love shopping”.

 

 
INFO UTILIhttp://www.buru-buru.com

Vi presentiamo Cesare Bellassai, giovane siciliano che ha fatto il giro del mondo per trovare la sua strada: tra Noto, Milano e Londra si muove alla ricerca di ispirazioni e intuizioni per creare i suoi poster ideas on walls.

 

A3 PADELLACome inizia la tua carriera di designer e illustratore? Come è nato il progetto di ideas on walls?
Tutto è partito nel 2006, quando mi sono trasferito in Inghilterra, dove ho cominciato disegnando biglietti d’auguri, i famosi “greetings card”, per clienti privati. Ero dedito a pittura e scultura, ma disponevo solo di un piccolo spazio, con un tavolo da campeggio, e perciò potevo al massimo disegnare, la mia passione di sempre. Da lì è stato facile, perché l’Inghilterra è un mercato molto ampio e gradisce humor e tratto semplice. Io avevo entrambi, perché venivo da un’esperienza di clown per bambini negli ospedali e il disegno, come ho detto, è da sempre una mia propensione. Ho creato biglietti d’auguri fino al 2011 e dall’anno successivo è nato il marchio ideas on walls: un amico inglese mi ha chiesto un disegno da appendere in camera da letto e da lì ho creato il mio primo poster. Ho cominciato a pensare al progetto, mentre proseguivo la carriera di illustratore con agenzie francesi, grazie anche alla collaborazioni di molti altri colleghi inglesi e americani che mi hanno spinto a creare nuovi poster per altre stanze. Da lì in poi ho compreso che quella era la strada da seguire, poiché era un percorso ancora mai battuto: nessuno aveva pensato di dividere i poster a seconda degli ambienti, seguendo una linea semplice, che lasciasse apparire la realtà così com’è, senza ricorrere ad immagini astratte, con colori vivaci e allegri, mettendo un pizzico di ironia.
Questi gli elementi principali del progetto ideas on walls, che se per ora dispone solo di una piattaforma e-commerce, sarà presto lanciato attraverso dei franchising presenti in diverse città italiane.

 

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Da cosa si differenzia la tua attività da quella di un grafico tradizionale? Quali le peculiarità delle tue creazioni?
Io non sono un grafico e nemmeno un illustratore: in realtà non sono una gran cima nel disegnare. Vivo di intuizioni e di visioni. Tutto quello che creo è frutto di studio, di notti passate a pensare o da improvvise illuminazioni: si tratta di una sovrapposizione di pensieri, di idee che emergono mentre guido, faccio la doccia e conduco le mie attività quotidiane. Non disegno dei bozzetti, ma il più delle volte registro le mie idee in maniera vocale. Per certi aspetti l’idea nasce già finita nella mente e solo successivamente diventa grafica. L’importante è che il disegno abbia un’armonia, un centro dal quale farlo partire, e soprattutto che venga partorito col cuore. Io non posso definirmi un grafico, ma un designer che entra nelle case e nei luoghi; non sono nemmeno un illustratore, che disegna su libri e fogli di giornale; si tratta per lo più di etichette. Io arredo gli ambienti con i miei disegni.

 

I'm hangry

 

 

Come scegli i soggetti dei tuoi poster? Quanto e cosa c’è di Cesare Bellassai in quello che crei?
I soggetti vengono scelti dopo un accurato studio: tento di capire come rappresentare determinati elementi facendo indagini anche su motori di ricerca on line. Se il poster è per la cucina mi ingegno ad esempio a raffigurare una forchetta o un piatto tradizionale. Le “penne all’arrabbiata” è nato da un forchetta trovata su Google e poi, studiando la forma della pasta infilzata ho avuto l’intuizione di vederci una bocca aperta, evocativa della fame e della rabbia che il languore genera. E’ un gioco di visioni, un cercare di guardare le cose al di là, da un altro punto di vista, da una diversa postazione, che consente di vedere altro. Un disegnatore è abituato a guardare il foglio dal tavolo da disegno o dal computer, sempre nella stessa direzione, ma se ci girasse intorno, alzandosi, riflettendo, socchiudendo gli occhi, farebbe più un lavoro da artista, abituato a muoversi attorno al cavalletto. Questa propensione mi deriva proprio dal passato di pittore e scultore, come anche i colori che utilizzo, di una tavolozza ben più ampia rispetto alla gamma cui ricorrono i grafici.

 

 

 

 

I'd like a coffee please

C’è stata una telefonata o un contatto che ti ha svoltato la carriera?
Nel 2010 sono stato a New York dove ho incontrato l’ideatore del famoso logo d’artista “I love NY”, Milton Glaser, il più grande grafico e designer vivente al mondo, che mi ha accolto nel suo studio. C’è stata una sorta di benedizione da parte sua e una collaborazione per un logo destinato a Miami. Mi ha dato dei consigli e mi ha rassicurato dicendomi che la strada che stavo percorrendo era quella giusta.
Come lui, altri grafici, designer, artisti e creativi mi hanno dato delle utili indicazioni spronandomi a provarci. Ci vuole poi tanta testardaggine e curiosità per fare questo lavoro: bisogna guardarsi attorno, conoscere i colleghi, scambiandosi idee, senza rivalità, perché è talmente vasto questo settore che c’è posto per tutti. Non credo vi sia concorrenza. Nel mio caso, a dimostrazione di ciò, sono il primo in Italia ad aver fatto questo tipo di attività, proponendo poster per ciascun ambiente della casa, con tutte queste categorie e forme, dalla cucina alla camera per i bambini, cercando di prendere soggetti precisi da reinterpretare in chiave umoristica e metaforica. Si tratta soprattutto di un gioco, nel senso che è un lavoro perché è fonte di rendita, ma per me è un’attività continua che mi diverte.

 

A3 GAMBA

 

 

Chi sono i tuoi principali committenti? Come influenzano le tue creazioni? Quale la richiesta più particolare che hai ricevuto?
I committenti sono privati e pubblici, dai ristoranti ai liberi professionisti, italiani e stranieri. Mi mandano delle e-mail con suggerimenti su cui io cerco di costruire l’immagine. Ci sono coppie che magari mi inviano riferimenti di lui o di lei per poster di anniversari o magari genitori che vogliono un’immagine da appendere nella cameretta del bambino e bar che chiedono elementi evocativi come ad esempio i croissant; poi lavoro io sull’idea da sviluppare: nessuno dei committenti comunque ha mai rifiutato l’opera.
La più particolare è stata la richiesta di un signora inglese che voleva un poster da regalare al suo compagno per appenderlo sopra una grande vasca da bagno: mi ha infatti scritto via e-mail che per loro il momento del bagno era una sorta di rituale, in cui lei si presentava in autoreggenti e decolleté con tacco a spillo, attorniata da candele e musica. Ho allora pensato di realizzare questo poster erotico con una calza a rete blu, che indossa una scarpa con tacco rossa, e all’interno della gamba ci sono i pesci, che rappresentano i pensieri di entrambi, racchiusi in questo ambiente acquatico d’amore. Un omaggio di lei per lui e per il loro amore.

 

 

 

DEBITI

 

Un designer e illustratore come te, risente della crisi economica? In che modo si reagisce?
Quando nel 2012 ho ideato il marchio ideas on walls ho pensato subito ad un qualcosa di low cost. Avere dei brand con una buona qualità, con idee belle ed innovative, ma a prezzi giusti, è un concetto che dovrebbe essere sempre valido, non solo nel mio settore. La crisi economica si può sentire, ma considera che i costi dei poster non sono eccessivi. La gente abita la casa e vuole farlo in maniera armonica, perciò non rinuncia ad arredarla, per sentirsi a proprio agio e affinché rispecchi chi ci vive. Per quel che riguarda l’illustrazione lascio la parola ai colleghi, perché nel campo dell’editoria le condizioni sono diverse. Dal mio frangente posso dire che non subisco contraccolpi perché le persone hanno bisogno di nutrirsi di immagini e sembrano esorcizzare la crisi economica proprio con i miei poster.

 

A3 OCCHIALI

 

Tre “dritte” che daresti a chi intende intraprendere la tua stessa professione.
Innanzitutto bisogna capire qual è il proprio talento, ma soprattutto è bene affacciarsi al mondo, uscendo dalle quattro mura italiane e proporsi verso altri luoghi. Si faccia poi la differenza: è bene scegliere la strada meno battuta che consenta di far emergere la peculiarità che contraddistingue ciascuno di noi. Se non si trova la propria originalità e la propria unicità, ci si ripeterebbe solamente.

 

 

 

 

 

 Per saperne di più consulta il sito www.cesarebellassai.com

 

 

All’inizio solo in Giappone erano in grado di fare cose simili: ora il mercato si è spostato anche in Europa.
Ed ecco quindi arrivare anche in Germania, ad Amburgo per la precisione, questo innovativo e creativo servizio che permette di creare delle miniature di se stessi in 3D.  Potete poi esporle in casa, in ufficio, giocarci o farci giocare i vostri figli.

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“Crediamo che le riproduzioni di se stessi in 3D siano una valida alternativa ai vetusti ritratti – dichiara la fondatrice del sito Twinkind Kristina Neurohr – anche perchè grazie alle nostre macchine siamo in grado di riprodurre anche i più piccoli particolari come le espressioni del viso, le texture dell’abbigliamento o dei capelli”

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Il tutto è possibile grazie ad un software, ovviamente, ad uno scanner e ad una stampante in 3D.
Si prenota sul sito, si manda la foto e in lasso di tempo che va dalle 2 alle 5 settimane si vedrà arrivare a casa una mini copia di sè.

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Fantastico vero? Come tute le cose, però c’è un lato negativo. Il prezzo: per il momento, infatti, una statuetta di circa 20 cm parte da un costo di 225 euro.

Dico LETTO e dico PORNO. A che pensate?… Sbagliato!
La chiave di congiunzione tra queste due parole è IKEA. Il noto marchio di arredamento e design svedese, infatti, è l’ignaro protagonista di questa grande trovata pubblicitaria messa in atto da due freelance creativi newyorkesi che hanno strutturato un portale simile in tutto e per tutto ad un sito pornografico (www.hotmalm.com) e che da questo si discosta solo per il fatto che il porno-divo in questione  è, nientepopodimenoche…il letto Malm.

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Eccolo quindi nella sua versione aperta, chiusa, smontata, montata, con buchi visibili e in livestreaming di notte.
Le categorie del sito soddisfano poi gli eccitati più esigenti: si va dai Twin Malm, al Malm con animali, al Malm adulto, fino al Malm molto giovane passando per i Malm biondi come la betulla o neri come l’ebano.hotmalm
Corredano il tutto frasi a doppio senso, immagini allusive e video apparentemente hard in cui il letto Malm, che soffre di solitudine, ci chiede di chattare con lui in una private session.
Ogni immagine o fotogramma di video però non riporta ad esperienze ultraterrene con il nostro beneamato mobile, bensì al catalogo Ikea, dal quale sarà però possibile scegliere la versione più adatta a noi di colui che ci porteremo in camera da letto.
Siete pronti a vivere un’emozione hard?

 

1eleGlobal Chef è un prodotto e un servizio che consente di connettere le persone provenienti da diverse parti del mondo mentre cucinano, avvicinando le distanze attraverso la tecnologia degli ologrammi. Music Yue, che della “y” ha anche la forma, permette di disperdere o convertire in musica i fastidiosi rumori urbani. Ohita è un piccolo oggetto portatile e indossabile che purifica l’aria e ne consente il ricambio a casa, così come in città dove i livelli di inquinamento sono ben più elevati.

Ecco alcune delle migliori idee nate dalla creatività dei giovanissimi che hanno partecipato all’Electrolux Design Lab, il concorso che invita gli studenti di design di tutto il mondo a presentare concept innovativi per gli elettrodomestici del futuro.

La competizione, giunta quest’anno alla sua undicesima edizione, è organizzata da Electrolux, azienda leader nella produzione di elettrodomestici, che presta grande attenzione alla sostenibilità dei processi e dei prodotti.

Tuttora in corso, l’edizione 2013 ha visto 1700 designer proventi da 60 paesi nel mondo confrontarsi sul tema “Inspired Urban Living”, selezionato dall’azienda tenendo conto della crescente urbanizzazione e della conseguente riduzione degli spazi che caratterizzano la società attuale. Tre, in particolare, le aree d’interesse tra le quali scegliere: cucina social, aria naturale e pulizia facile e senza fatica.

Una volta scaduto il termine di applicazione, il 15 marzo scorso, i 100 partecipanti selezionati, accompagnati da una squadra di esperti, hanno lavorato all’ulteriore sviluppo del loro concept in vista del superamento delle successive fasi di sbarramento. Dai 20 finalisti, le cui creazioni possono essere visionate e votate dal pubblico sul blog di Electrolux Design Lab, emergerà una rosa di 8 candidati, tra i quali la giuria di esperti andrà a selezionare il vincitore. Al primo classificato saranno offerti uno stage retribuito di sei mesi presso uno dei Design Center di Electrolux e un premio di 5.000 Euro. Al secondo e terzo classificato andranno rispettivamente un premio di 3.000 e 2.000 Euro, mentre alla proposta che avrà ricevuto più voti on-line sarà assegnato un premio di 1.000 Euro.

 

Continua a leggere su CSR – Culture in Social Responsibility

 

pipalPer molti spostarsi in bicicletta è diventato irrinunciabile.
Sarà una moda, sarà una decisione in sintonia con il proprio spirito, sarà una necessità, fatto sta che è un’ottima abitudine, per se stessi e per l’ambiente.
Con l’obiettivo di incentivare questa tendenza, di migliorare la viabilità urbana e i rapporti umani gran parte del pianeta ha optato per un servizio di bike sharing rivolto a cittadini e visitatori, ossia la semplice possibilità di noleggiare una bicicletta.

Il servizio più efficiente di noleggio bike lo troviamo a Parigi. Si chiama Velib, acronimo di velo (bicicletta) e liberté (libertà). Attivo con successo dal 2007, mette a disposizione di cittadini e turisti ben 20.000 mezzi dislocati in stazioni distanti 300 metri le une dalle altre, che dal 2009 coprono anche l’area periferica della città.

In ritardo rispetto alle capitali europee, questo servizio arriva anche a New York. Il progetto, inaugurato lo scorso 27 maggio, è stato fortemente sostenuto dal sindaco della città, il Signor Bloomberg, che vede nella pedalata quotidiana il primo passo per contrastare il forte tasso di obesità americano, oltre che la possibilità di migliorare gli spostamenti all’interno della città, contribuendo all’economia.
Si tratta del più grande progetto di noleggio di due ruote degli USA attraverso il quale sono state messe a disposizione degli utenti ben 6.000 biciclette dislocate in 330 stazioni alimentate ad energia solare tra il quartiere di Manhattan e quello di Brooklyn. Se l’operazione avrà successo il numero delle biciclette verrà incrementato di 4.000 unità e di 270 postazioni.

Ci sono località in cui l’uso delle due ruote senza motore fa ormai parte della cultura cittadina: come ad Amsterdam anche a Copenaghen la bicicletta ha quasi completamente demolito l’uso dell’automobile. Questo mezzo è ormai parte integrante nel tessuto urbano. Proprio per questo motivo il designer svizzero Rafael Schmidtz ha pensato ad un progetto che vede la bicicletta come qualcosa che fa parte della trama architettonica della città: si tratta di rastrelliere che nascono direttamente dal suolo, in modo da eliminarne l’impatto urbano, o addirittura poste in verticale, sulle pareti degli edifici, perché tutti gli spazi possono e devono essere utilizzati. Questo progetto particolarmente visionario e affascinante prevede anche l’aumento del numero di mezzi a disposizione, e la sua realizzazione dovrebbe avvenire entro il 2015.

Ci sono poi città che ci stupiscono come nel caso di Bordeaux. Philippe Stark disegna per la città la nuova bici-monopattino, Pibal, che permette di pedalare, pattinare e passeggiare. La canna del telaio è posta a pochi centimetri da terra acquisendo la funzione di monopattino, utile ad esempio quando si è costretti a passare sui marciapiedi oppure quando si deve rallentare, magari perché ci si trova in mezzo alla folla, o per accompagnare qualcuno a piedi; può anche diventare un trasportino per carichi ingombranti e pesanti.

E sorprende ancora di più il lavoro del team newyorkese capeggiato da Ryan Rzepecki che ha cercato di eliminare ogni problema legato al servizio di noleggio, proponendo un nuovo modello di bicicletta intelligente: si chiama Sobi e può essere parcheggiata nelle rastrelliere già esistenti diminuendo cosi i costi di realizzazione e l’impatto urbano. Il meccanismo di blocco, un computer GPS, viene posizionato direttamente sulla bicicletta, nel portapacchi posteriore e attraverso un codice personale permette di sbloccarla. È inoltre dotata di piccoli pannelli solari che ne garantiscono il funzionamento anche dopo lunghi periodi di sosta.
Sobi, acronimo di Social Biking è l’evoluzione del bike sharing, purtroppo ancora alla ricerca di finanziamenti per concretizzarsi.

La strada giusta sembra comunque essere stata intrapresa, perciò tutti in sella!

La settimana che stiamo attraversando è dedicata ad uno dei settori peculiari del made in Italy: si è aperto infatti ieri, martedì 9 aprile, per proseguire sino a domenica 14 il Salone del Mobile di Milano, evento dedicato all’arredamento e al design, giunto alla sua 52° edizione.

Ad invadere gli edifici fieristici di Rho non è una singola manifestazione bensì quattro eventi congiunti: accanto al Salone Internazionale del Mobile sono stati allestiti il Salone Internazionale del Complemento d’Arredo, le biennali Euroluce, il Salone Ufficio e il Salone Satellite.

Una settimana dedicata ad espositori, esperti del settore e pubblico, durante la quale la speranza è quella di veder ripartire i numeri del settore, oggi gravemente indeboliti dalla crisi economica. Un comparto, quello del mobile e del design italiano, che copre il 5% della produzione europea secondo i dati della Camera di Commercio di Milano Monza e Brianza: data questa eccellenza sono previsti oltre trecento mila persone che verranno da 160 paesi a visitare le 2.500 aziende in esposizione.

Un evento di importanza strategica per l’industria italiana che ha visto stamane sopraggiungere la visita del Presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, il quale ha dichiarato ai microfoni dei giornalisti che la ripresa del settore passa dalla una crescita della nostra economia. Dopo essere calate del 5,6% le imprese attive nel settore tra il 2011 e il 2012, Squinzi ha parlato di una situazione drammatica che non può essere superata solo basandosi sulle esportazioni estere, le quali coprono anche il 90% del rapporti economici. Secondo il Presidente di Confindustria è necessario far ripartire al più presto anche il mercato e i consumi interni.

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All’interno delle aree destinate al Salone Internazionale del Mobile e al Salone del Complemento d’Arredo sono 1.440 gli espositori, divisi tra le tipologie classico, moderno e design. Protagonista della biennale Euroluce invece è l’illuminazione, elemento sempre più essenziale per l’arredamento. Non è casuale neanche la posizione in cui è stato allestito il Salone dedicato all’Illuminazione, proprio davanti agli ambienti dedicati al Salone Ufficio, per sottolineare così la sinergia tra i due settori. La luce è stata protagonista anche ieri sera all’interno del quadrilatero della moda milanese: il sindaco Giuliano Pisapia ha infatti inaugurato il primo sistema di smart city in via della Spiga che prevede un sistema di illuminazione intelligente dell’illuminazione urbana con la tecnologia led per ottenere un risparmio sino al 70% dell’energia consumata. In questi giorni, inoltre, il Comune di Milano ha deciso di rendere gratuita l’entrata nei principali musei civici cittadini e di liberalizzare il servizio taxi.

Tornando infine agli spazi espositivi di Rho, il Salone Satellite invece ospita 700 giovani designer che espongono i propri lavori ispirandosi alla tematica “Design e artigianato: insieme per l’industria”.

Attenzione dedicata perciò alla tradizione ma anche alle nuove idee che avanzano e spazio alle nuove generazioni. Implementati anche i canali social della manifestazione: quest’anno, infatti, oltre ai già collaudati profili Facebook e Twitter è stata aperta una pagina Pinterest in cui far confluire tutte le foto di questa settimana.

Diversi anche gli Hashtag ufficiali attraverso i quali seguire la manifestazione in rete: #iSaloni, #Euroluce, #SaloneUfficio, #SaloneSatellite.

L’apertura al pubblico è prevista per la giornata di sabato e domenica. Grandi sono le speranze riposte in questa edizione per rimettere in moto il settore ma anche il turismo: secondo il Cosmit, l’ente organizzatore del Salone, solo di indotto quest’anno Milano trarrà 200 milioni di euro. Un’occasione quindi per la creatività e il made in Italy, di cui beneficerà non solo l’industria del settore.

 

 

Alessandro Barra, giovane designer torinese, ci racconta la sua “versione dei fatti”: il ruolo del design nella stretta attualità e la complessa situazione lavorativa nel suo ambito di ricerca

Ciao Alessandro, per iniziare…quali sono gli studi che hai portato avanti prima di diventare un designer?
Il mio percorso formativo è stato un pò movimentato, ma sempre caratterizzato da una vena creativa. Nel 2003 all’istituto tecnico ”La Salle” di Torino ho conseguito il diploma di geometra e nello steso anno mi sono iscritto al corso di studi in D.A.M.S. (discipline delle arti della musica e dello spettacolo) della facoltà di Torino frequentando un anno di corso. Il corso di studio non soddisfaceva la mia indole irrequieta, quindi decisi di abbandonarlo ed iscrivermi al Politecnico della mia città; ero indeciso su quale ”disciplina” indirizzarmi: se ad Architettura o Design. La scelta fu in parte influenzata dai miei genitori, entrambi architetti, quindi frequentai due anni del corso di laurea ”Architettura per il progetto”, ma mi si ripropose quell’irrequietezza ed insoddisfazione passata; ma nel 2009 ci fu la svolta. Ricordo ancora quel momento ero seduto su una panchina ed aspettavo il pullman per tornare a casa quando mi resi conto di una pubblicità dello IED (istituto europeo di design) non era sfarzosa ma mi rimase impressa il nome della scuola, ma soprattutto della parola design; decisi quindi di visitare l’istituto. Qui rimasi affascinato nel rendermi conto che le persone della scuola erano giovani ragazze e ragazzi creativi e finalmente mi sentii a casa.

Cos’è per te il design e, soprattutto…a cosa “serve”?
Il termine design al giorno d’oggi è usato in maniera avvolte impropria e discriminatoria; per indicare oggetti, creazioni per lo più appariscenti e costosi; per rendersi conto di quello che sto affermando basterebbe citare il personaggio di Fuffas interpretato da Maurizio Crozza, il quale durante uno sketch osserva una sedia affermando che non può trattarsi di un’oggetto di design perchè un vero oggetto di design per essere considerato tale non si deve comprendere.
Per me il design è un progetto, una soluzione creativa che fonde l’estetica e la funzionalità ma dove entrambi hanno un ruolo non subordinato l’uno all’altra, ma congiunto, indissolubile senza sfociare in manierismi o tecnicismi; dove la forma dell’oggetto e dettata anche dalla sua funzione ed il suo utilizzo risulta essere intuitivo, naturale dal fruitore; tutto ciò deve inoltre ”sposarsi” alle esigenze industriali: ripetibilità all’infinito del prodotto e produzione per la maggior possibilità d’utenza; inoltre per me il designer è un uomo che crea per l’uomo tenendo conto dell’uomo.

Quanto conta lo studio della storia del design nel tuo lavoro?
Per il mio lavoro lo studio della storia del design conta abbastanza ma non costituisce un punto d’arrivo bensì di partenza: prendo spunto nel mio lavoro,  nei designer che hanno fatto l’innovazione del prodotto o che la stanno facendo come Steve Jobs o Tokujin Yoshioka; a me interessa la loro visione progettuale, la loro sensibilità creativa ed il perchè siano arrivati ad una soluzione anzichè ad un’altra.

Qual è il ruolo del designer nella contemporaneità e quali le reali prospettive occupazionali?
Il ruolo del designer è quello di immedesimarsi, interpretare, estrapolare le problematiche o i desideri del committente; farle proprie e tradurle in soluzioni ed infine concretizzarle.
Per questo motivo il designer deve studiare la realtà circostante, la società e le sue esigenze e contaminazioni; infatti la produzione di un designer è quasi sempre contemporanea a ciò che vive ma con un occhio al futuro.
Le prospettive lavorative di questo mestiere possono essere suddivise in due situazioni principali: come dipendente, il designer mette la sua capacità e la sua creatività al servizio di un’unica azienda; oppure come libero professionista /free lance; qui la mente creativa potrà liberare la sua influenza creativa e mettersi in gioco affacciandosi al mondo del mercato com e individuo singolo o come gruppo collettivo tramite studi, studi associati, start up.
Uno dei suoi progetti a mio avviso più interessante è la seduta Pretaporter (nella foto), che fa emergere anche un senso di consistente precarietà.

Com’è nato questo lavoro?
Il lavoro è nato da un’osservazione: come può un oggetto testimoniare la presenza e l’esperienza del suo utente senza perdere o cambiare la sua identità?
Ho creato così una sedia (Pretaporter) che mantiene i ”valori solidi”, immutabili; la sua struttura in contrapposizione ai ”valori liquidi” di una ”società liquida” quali mode, passioni, rappresentati dai quotidiani, magazine; che il fruitore potrà conservare all’interno.
La grafica della seduta è variabile, mutabile in quanto è intrinseco nella natura stessa della rivista mutare nel corso del tempo; la seduta sarà testimone irreprensibile del continuo cambiamento della società.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Il sogno di ogni designer è: sposarsi, mettere su casa, avere dei figli e possibilmente un cane… a parte gli scherzi quello che desidererei è di poter partecipare al salone di Milano; far conoscere al pubblico i miei lavori esponendo in negozi, gallerie e, perchè no, vincere il Compasso d’oro!!

E’ ufficiale: sembra che i baffi siano l’elemento cult di questo periodo. Il loro design semplice e ben riconoscibile è visibile ovunque: si vedono stampati su magliette, riprodotti su bigiotteria e oggetti di uso quotidiano, persino su lenzuola e calzini!
La moda sta spopolando ovunque, ma l’origine di questo “tormentone” ha una motivazione benefica: a lanciare i baffi è “Movember”, associazione australiana impegnata nella lotta contro il cancro alla prostata. Ogni anno, nel mese di novembre, Movember chiede agli uomini di tutto il mondo di farsi crescere i baffi, al fine di sostenere e sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo le problematiche legate alla salute maschile.

Per saperne di più leggete l’articolo che Tafter ha dedicato all’iniziativa

Questa la pagina Facebook italiana di Movember

Mescolare realtà diverse ma compatibili tra loro per ottenere una composizione divertente ed ironica. Associando il mondo dell’enogastronomia con ritratti di alcune persone ed immagini di edifici reali, Aude Debout ci regala qualche sorriso e ci sorprende con degli accostamenti semplici, ma creativi, movimentati anche dai colori contrastanti. Date un’occhiata anche voi al libro The fat fat club.

Negli ultimissimi anni è comparso un termine nuovo nel lessico delle scienze dell’educazione: “ambiente di apprendimento”. Con questa nuova prospettiva si vuole spostare l’enfasi su chi sta imparando, piuttosto che su che cosa si sta imparando. Dare importanza al soggetto significa osservare quali situazioni possono favorire l’apprendimento e significa, soprattutto, dare il giusto rilievo all’ambiente d’interazione. Infatti, il sistema che circonda gli allievi può favorire non solo la concentrazione e la motivazione, ma può rendere l’intera esperienza più coinvolgente e piacevole.
Uno dei problemi principali riguardo gli ambienti formativi attuali è rappresentato dal fatto che, sia la metodologia di insegnamento che la disposizione dello spazio, sembrano essere profondamente radicati su una struttura tipica delle scuole ottocentesche. L’idea centrale, data anche dalla classica disposizione banchi/cattedra, era quella di creare un isolamento dell’insegnante all’interno di uno spazio rigido, gerarchico e autoritario.
Proviamo ora a pensare alle vetuste aule universitarie, uguali da decenni, per non parlare delle classi delle scuole, sicuramente molto simili a quelle dove hanno studiato i nostri nonni e bis nonni. L’impressione entrando nella maggior parte dei contesti educativi del nostro paese, è che il design dei luoghi di apprendimento sia rimasto indietro -e di molto- rispetto ai cambiamenti avvenuti nella nostra società. Questi cambiamenti possono essere riassunti dal crescente successo dell’e-learning, dallo sviluppo dei social network, dei blog, delle videoconferenze e dalle nuove tecnologie di comunicazione. Tali risorse tecnologiche rendono necessario l’utilizzo di un nuovo tipo di design, uno capace di adattarsi alle differenti attività della didattica contemporanea.
Ed effettivamente, alcuni studi recenti propongono una nuova tipologia di aula, il cui arredamento si ispira a contesti differenti da quello scolastico. Ad esempio, l’architetto e autore del libro Learning Environments, Alessandro Biamonti, ha da poco ipotizzato la realizzazione di spazi di apprendimento che seguano la metafora del teatro: con gli allievi seduti ai tavolini davanti ad un palcoscenico. Questo per favorire le nuove modalità partecipative. Secondo altre ricerche, il tipo di mobilio dovrebbe diversificarsi anche a seconda della materia di studio. Suppellettili moderni, con un design essenziale, favorirebbe l’apprendimento di materie scientifiche, mentre un arredamento più complesso, con mobili antichi, lampadari e tappeti creerebbe i presupposti per un migliore studio di materie letterarie. E non dimentichiamoci dei colori! I risultati di uno studio pubblicato qualche tempo fa sulla rivista Science danno un’importanza centrale alla tinteggiatura delle pareti nei luoghi di apprendimento. Colori come il blu stimolerebbero la creatività e la tranquillità, mentre colori come il rosso aiuterebbero l’attenzione e la concentrazione.
In Italia, per ora, queste ultime scoperte non si sono trasformate in veri e propri progetti, anche se molti risultati potrebbero aprire la strada per un’interessante sperimentazione. E allora, il fatto stesso che gli studi esistano e che i risultati comincino a suscitare un certo interesse è sicuramente un primo passo verso quella tanto attesa evoluzione nel mondo dell’apprendimento che il nostro Paese aspetta da anni.

 

Le città vi sembrano spoglie e adorne? Pensate che qualche monile qua e là possa renderle più graziose?
Allora vi piacerà sicuramente l’arte di Liesbet Bussche, che gioca a vestire strade, uffici e angoli cittadini con collanine, orecchini e gioielli di ogni tipo. Dai simboli di fede, speranza e carità, ai più noti fili di perle e cuori spezzati, gli elementi cui la creativa si rifà sono facilmente riconoscibili. Vi mostriamo alcune sue opere. Per scoprire le altre visitate il suo sito.

Simona e Massimo sono i designer di Plinca Home che hanno fornito le sedute allo stand di Tafter presso il Lubec. Questi giovani creativi hanno intrapreso l’avventura dell’interior design, virando dalle loro usuali professioni: il loro lodevole coraggio e l’innato talento, insieme alla passione e all’entusiasmo che li anima, sicuramente li condurranno lontano. Conosciamoli insieme!

Come è nata la vostra attività? Quali i vostri “segni particolari”?

Plinca Home è un progetto creativo iniziato quasi per gioco, a Modica in provincia di Ragusa. Ad agosto del 2011, navigando sul web, ci siamo imbattuti casualmente in un sito che promuoveva il “Premio giovani talenti di design Renato Brunetta 2011”, nato dalla collaborazione tra il Ministro Renato Brunetta e l’azienda d’arredamento Midj Srl, con lo scopo di coinvolgere i giovani appassionati di design e consentire loro di investire creatività e talento in un progetto volto alla realizzazione concreta dei migliori lavori. Il premio, nello specifico, era rivolto al vincitore del concorso (bandito dall’ EnAIP Friuli Venezia Giulia con il supporto organizzativo di MIDJ Srl), per la progettazione di una seduta. L’immediata scadenza del bando ci impedì di partecipare ma in noi, abituati a progettare e con una discreta conoscenza dei materiali (nella vita di tutti i giorni siamo un ingegnere edile e un artigiano), era già sbocciato il desiderio travolgente di metterci alla prova nel campo dell’interior design, che ci accomunava e ci appassionava da tempo e verso cui guardavamo con interesse e curiosità. Da questa sfida con noi stessi è nata Enneuno, una poltrona disegnata e realizzata a quattro mani, in modo rigorosamente artigianale, utilizzando pannelli sagomati di polistirene espanso. Mostrata al pubblico, la nostra prima creazione raccolse consensi ed apprezzamenti tali da incoraggiarci ad andare avanti. Fu in seguito a questa esperienza che decidemmo infatti di coltivare la nostra passione in modo continuativo e di iniziare questa nostra avventura, concentrandoci su tre ambiti, il Design, il Restyling ed il Riciclo Creativo. Oltre alla progettazione ex novo di prodotti, mediante l’uso di materiali vergini, ci occupiamo anche di rivisitare in chiave dichiaratamente allegra, ravvivandoli con stoffe multicolor, nastri, bottoni, decorazioni e passamanerie, arredi esistenti e di ridare nuova vita, anche mutandone le funzioni, a mobili ed oggetti in disuso o a materiali di scarto.
Uno dei segni particolari di Plinca Home è senz’altro il colore. L’uso di tessuti variopinti, di fantasie stravaganti e bizzarre e di tinte forti e vivaci rappresenta infatti il fil rouge della maggior parte delle nostre creazioni, siano esse sedute, lampade o complementi d’arredo. C’è poi un’altra cosa che consideriamo un nostro tratto distintivo, l’attenzione per il riciclo, una pratica preziosa che ci ha consentito di ideare degli oggetti originali ed unici concedendo un’altra possibilità di vita a ciò che è usato o che solitamente si butta via.

 

Che ruolo ricopre nella società odierna l’oggetto “sedia”? Quale importanza assume invece per un designer?

La sedia “accompagna” le azioni quotidiane delle persone per il fatto di essere presente in qualsiasi spazio, pubblico e privato. Molti di noi trascorrono le loro giornate passando da una sedia all’altra. Nella società odierna la sedia si configura quindi come un oggetto di uso comune, irrinunciabile ed alla portata di tutti. Nulla è infatti più universale dell’atto di sedersi. Ma non bisogna sottovalutarne un altro importante aspetto che è la sua capacità di incentivare le relazioni sociali. Non a caso, qualche giorno fa un video ideato per promuovere il social network Facebook, ha inserito la sedia nella lista delle cose che consentono alle persone di incontrarsi e comunicare.
La progettazione di una sedia, per un designer, è un banco di prova per la sua creatività ed al contempo una sfida emozionante perché comporta il confrontarsi con un oggetto che è stato interpretato un’infinità di volte, dando vita spesso a delle vere e proprie icone del design.

La Pantom Chair di Verner Panton è stata recentemente dichiarata dal Tribunale di Milano “opera d’arte” tutelata dal diritto d’autore. Da designer, cosa ne pensate riguardo questa sentenza?

Riteniamo che si tratti di un grande risultato. E’ giusto che le azioni di tutela intraprese per difendere il frutto dell’ingegno e dell’investimento economico vengano tenute nella dovuta considerazione. Sarebbe auspicabile che i contraffattori, anziché dedicarsi alla copiatura indiscriminata dei prodotti di successo, investissero i loro mezzi ed il loro denaro nella creatività di tanti giovani promettenti, desiderosi di lasciare una traccia nel panorama del design contemporaneo.

 

Quando ideate una vostra creazione a cosa vi ispirate? Pensate agli utilizzatori finali? In che modo?

Non ci ispiriamo a qualcosa o a qualcuno in particolare. Siamo due persone molto curiose, alla ricerca continua di novità e con una grande sete di scoperta e conoscenza. Le nostre idee, le nostre creazioni sono il frutto dell’elaborazione delle sollecitazioni che ci provengono dall’osservazione di tutto quello che ci circonda.
Agli utilizzatori finali pensiamo eccome e lo facciamo in diversi modi. Innanzitutto cerchiamo di concepire e realizzare degli oggetti che coniughino la funzionalità con una certa dose di stravaganza e bizzarria e che soprattutto siano economicamente alla portata di tutti. Utile, bello e democratico, è infatti il nostro motto! La scelta poi di utilizzare finiture esageratamente colorate risponde al desiderio di contribuire, nel nostro piccolo, a fare entrare una ventata di allegria, gioia di vivere e positività all’interno delle abitazioni, degli ambienti di lavoro e nei luoghi del divertimento. E di questi tempi credo che non dispiaccia a nessuno!

 

Sapreste accostare a ciascuna delle sedie esposte al Lubec una persona in particolare ?

Giummo, Coriandolo, Stripe, Arabesque, Colorama, Orbita, Vintage e Madame sono i nomi delle sedie che abbiamo esposto al Lu.Be.c. Esse non sono altro che una rivisitazione delle tradizionali sedie da osteria che la fantasia e l’estro hanno trasformato in oggetti eclettici e vivaci.

 

Alla sedia Giummo, la cui spalliera è arricchita con delle nappine per tende, ci piace pensare di accostare un’artista per il suo presentarsi come una sorta di istallazione. Ma anche un architetto la apprezzerebbe di buon grado.

 

 

 

 

 

La Coriandolo, che ha la seduta e la spalliera rivestita con la tecnica del Patchwork, ci sembra un modello adatto ad una studentessa anticonformista o comunque ad una persona a cui piace osare.

 

 

 

 

La Stripe, per il suo carattere romantico, ci piace invece abbinarla ad una scrittrice o anche ad un’appassionata di romanzi rosa.

 

 

 

 

 

La Arabesque potrebbe essere la sedia di un decoratore mentre la vivacità della Colorama fa di essa la seduta ideale per un figlio dei fiori o comunque per un creativo, un grafico.

 

 

 

 

 

 

 

La sedia Orbita, nei toni chicco di caffè e mandarino, ci sembra adatta ad un musicista mentre la Vintage è di sicuro la sedia per i nostalgici, per gli amanti dei tempi andati e dello stile retrò ora tanto in voga.

 

 

 

 

 

 

Infine la Madame, più sobria nei colori, ha quel tocco di raffinatezza che la rende adatta ad una donna in carriera, sofisticata ed elegante.

 

 

Per conoscerci meglio seguiteci su Facebook e visitate il sito www.plincahome.com

 

 

Trasformare la propria casa in un’opera d’arte: non con mobili d’epoca e tele proveniente dai maggiori collezionisti italiani, bensì con il proprio estro e creatività.
E’ quello che ha fatto l’americana Apryl Miller che ha reso la sua anonima casa nell’Upper East Side una vera tappa per i cultori del design alternativo (e colorato).
La rivista online statunitense Hyperallergic ha rivolto alla stravagante creativa una serie di domande a cui lei ha risposto con dovizia di particolari e di consigli.

Myller ha cominciato a ridisegnare completamente la sua casa nel 1998: il suo obiettivo era quello di creare uno spazio non solo esteticamente bello ma anche socialmente confortevole con spazi che invitassero alla conversazione e permettessero a tutta la famiglia di ritrovarsi in allegria.

Ha preso quindi forma l’idea di una DIY Intallation (Do it yourself Istallazione): nonostante all’inizio avesse chiesto l’aiuto di architetti e designer professionisti, alla fine, la Myller ha deciso di fare tutto da sé per perseguire un’omogenea visione stilistica che lei ipotizzava per la sua casa.

Nonostante il successo che ha la sua casa tra i suoi ospiti, non è ancora riuscita a pianificare dei veri e propri tour organizzati che portino curiosi ed appassionati ad avvicinarsi alla sua abitazione.

Come scrittrice, inoltre, Apryl ha coadiuvato questa attività artistica con la poesia, dipingendo su mobili e pareti versi composti appositamente per un determinato oggetto, rendendolo così “poetico”.

Non pensate però che Apryl sia una maniaca del riutilizzo e una mera “aggiustatrice” di cose vecchie o rotte, tutt’altro: “quando mi accorgo che qualcosa si è rotto o che c’è una crepa nel muro non mi preme ripararla – afferma nell’intervista – ma la enfatizzo. Cerco di dare valore a quella rottura facendo notare che il tempo passa per tutti, anche per gli oggetti o le mura di una casa”.

Photo by Maria Maltsava via HyperAllergic