Culture21 srl – Gruppo Monti&Taft Ltd
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Lucrezia Borgia, Artemisia Gentileschi, Galileo, la principessa Sissi, Claretta Petacci e Mussolini, si possono incontrare tutti in questo sito che permette di vedere documentari di tipo storico. È un marchio di “La storia in rete”, una società di produzione indipendente che si occupa di storia attraverso diversi canali, web e cartacei. Il portale dà accesso a documentari di storia, letteratura e arte, a pagamento, visibili in streaming, attraverso il supporto della piattaforma vimeo.com.
Usufruire del portale è molto semplice. I documentari sono divisi per epoche storiche dal “Mondo antico” al “Novecento”, più altre tre sezioni dedicate alle biografie, alle figure femminili e ai grandi enigmi della storia. È possibile vederne un trailer e leggerne un breve riassunto, in modo da avere un’anteprima del prodotto prima di acquistarlo. Una volta scelto il documentario è necessario comprarlo appoggiandosi alla piattaforma Vimeo. Questa richiede una breve registrazione e il pagamento nella valuta americana, in dollari. Il costo del video, che si può visualizzare per un periodo di 48 ore, è di 4.99 dollari, ovvero 3.65 euro. È poi possibile commentare il documentario e condividerlo attraverso i social.
Costituisce un modo piacevole e divertente per istruirsi, per conoscere, per appassionarsi di storia. Come specificato dai creatori stessi dell’idea, può anche essere un innovativo strumento da usare a scuola per supportare l’apprendimento di bambini e ragazzi.
È ancora ristretta la scelta di documentari visualizzabili, soprattutto nella sezione “Mondo Antico” e “Novecento”. Rappresenta un limite anche la fruibilità del prodotto solo per tempo limitato. Magari si potrebbe pensare a due fasce di prezzo, a seconda che si voglia acquistare il video, o solo “affittarlo”. Per far saggiare la qualità del prodotto, si potrebbe anche prevedere qualche articolo gratuito.
Il materiale che costituisce il sito proviene dal catalogo della società, che si basa su lavori documentari prodotti in maniera autonoma e mandati in onda dai programmi di reti come La7, Rai, History Channel e Mediolanum Channel.
Amanti di storia, appassionati di documentari, insegnanti, studenti, semplici curiosi.
Mentre qui lanciano un film di Zalone in 1200 sale, in Scandinavia, UK, Repubbliche Baltiche lanciano azioni di largo impatto in cui centinaia di artisti entrano in migliaia di scuole (Creative partnership, Cultural Rucksack), in altri Paesi tutti i ragazzi imparano a suonare uno strumento (sull’esempio de El Sistema di Abreu che sta cambiando il volto del Venezuela, ma anche in Olanda o Germania).
Marco Magnifico il vice presente del FAI in un seminario ci raccontava: “Volevamo misurare la distanza tra il FAI e il National Trust inglese. Migliorarci, capire. Ero in visita in un magnifico parco pubblico gestito dal NT e mi sono fermato a guardare delle peonie particolari. Lì accanto c’era un giardiniere che faceva il suo lavoro con la zappetta. Ha notato la mia sosta su quel fiore e si è avvicinato. Abbiamo dialogato per cinque minuti e mi ha spiegato quello che sapeva della pianta, ha risposto alle mie domande si è stupito per le varietà che nascono da noi. L’ho salutato e, uscendo, ho detto alla direttrice del posto ‘Un giardiniere è stato gentile a dedicarmi il suo tempo per spiegarmi tutto di un fiore che non conoscevo’. Lei ha risposto: ‘Non è stato gentile, è pagato per farlo. I giardinieri, come i custodi dei musei, sono pagati per dedicare l’80% del loro tempo alle mansioni specialistiche e il 20% per far sentire il visitatore accolto, fidelizzarlo, appassionarlo’. Lì ho capito che in Italia non ce l’avremmo mai fatta”.
In effetti l’abituale immagine fantozziana del custode di un museo scolpito sulla sua seggiolina fa già apparire ipercinetico il casellante autostradale. Di certo la colpa non è sua, ma non è neanche innocente. Come non lo sono i manager e la politica. Oggi poi, con la crisi e le spending review, la domanda “Ha senso investire nella crescita, nella valorizzazione e nella partecipazione culturale?” assume un’urgenza vitale.
Per alcuni è facile dire “No”, e lo fanno osservando i costi e i miseri incassi di Teatri, Musei, Biblioteche, Centri Culturali.
Io la penso al contrario ma sono convinto che occorra lavorare duro per far percepire il valore che hanno l’arte e il patrimonio culturale per la vita e la democrazia altrimenti i fiori di Van Gogh valgono le erbacce di uno spartitraffico e i Caravaggio le pennellate di un imbianchino.
Non bastano qui le spiegazioni romantiche, le pretese ovvietà, né le evidenze intellettuali sempre confutabili da chi ha altri interessi e sensibilità. Servono Indicatori di impatto Culturale che come quelli di Impatto Ambientale o Economico possano quantificare cosa significhi aprire o chiudere un museo, ma anche costruire una ferrovia su un parco o preservare le botteghe storiche di una zona.
Forse non si può misurare la bellezza ma, ad esempio, la solitudine sì, e con essa il suo ‘costo’ per i singoli e la collettività.
Indicatori ragionevoli di Impatto Culturale possono zittire chi ha interessi anticulturali e vuole vendere le spiagge e quello che esse rappresentano per far cassa.
Si può fare: si possono misurare i suicidi, gli alcolisti, le violenze. Posso misurare la partecipazione alla vita della comunità, la penetrazione e l’uso della banda larga, le propensioni xenofobe e omofobe, la diffusione delle droghe e degli strumenti musicali tra gli adolescenti.
E gli antidoti all’isolamento e alla solitudine sono la cultura e il lavoro, entrambe coniugate col rispetto e la passione.
Si può cominciare allora a ragionare su qual è l’impatto concreto dell’aprire un teatro in un quartiere periferico, quanto valga far partecipare gli abitanti della zona alle attività di un Centro Culturale, quale sia l’impatto culturale di un Bingo o di un centro commerciale; e anche il valore di laboratori artistici in una scuola o in un centro anziani. E quanti sollevi l’opera a Caracalla, un concerto dei Negramaro, o l’estasi davanti a un Kiefer, un Rothko, un Bernini.
Si potrebbe meglio programmare il futuro, zittire quelli che “con la cultura non si mangia” e dimostrare come quella generata dalla Cultura sia la vera energia pulita.
Andrea Pugliese è esperto di programmazione europea e autore del blog Pensieri sProfondi
Caso 1. Primo appuntamento. Stasera verrà a cena il presunto amore della vostra vita. Tutto è pronto, le candele sul tavolo, il servizio buono. Ma… avete dimenticato un piccolo particolare: sapete cucinare solo l’uovo sodo. Caso 2. Il vostro computer è impazzito, nonostante la vostra necessità impellente di inviare la più importante e-mail di lavoro della vostra carriera professionale. Caso 3. Il rubinetto del bagno si è rotto irrimediabilmente e voi non avete idea di come ripararlo prima che casa si allaghi.
Che si tratti di arte e musica, di informatica, di salute, di fitness, di didattica, lingue straniere o make-up, Google ha pensato ha un modo probabilmente innovativo per risolvere i vostri problemi. Helpouts è una piattaforma online che permette di mettervi in contatto video con una persona reale che, anche istantaneamente, vi spieghi come cucinare un manicaretto, come risolvere un problema informatico, come riparare un elettrodomestico e molto altro. È un’evoluzione del classico tutorial che vi assicura aiuto diretto e specifico in real time, con la formula del soddisfatti o rimborsati.
Helpouts è una creazione di Google e per accedervi è necessario avere un account Google +. Entrati sul sito, il motore di ricerca (ovviamente sempre collegato a Google) vi permette di indicare il problema che volete risolvere o il campo sul quale volete consulenza, assistenza, aiuto. Gli “Helpout providers” ai quali potete rivolgervi sono impiegati di grandi o piccole aziende, o privati, che sono stati selezionati appositamente da Google per offrire questo servizio. Possono essere contattati immediatamente, se disponibili, o per appuntamento. È possibile anche inserirsi in una lista d’attesa nel caso non si voglia perdere l’occasione di interagire con un determinato Helpout provider. Il servizio è a pagamento: le tariffe sono indicate dai providers stessi che possono decidere se farsi pagare al minuto, a “lezione”, o se far scegliere all’utente la modalità di pagamento che preferisce. Si può pagare solo tramite Google Wallet e il 20% del prezzo di vendita va a Google. L’incontro avviene via video e il cliente può stabilire se mostrarsi in telecamera o no. Alla fine dell’esperienza è richiesto un feedback perché è importantissimo garantire l’affidabilità del servizio ed evitare, in ogni caso, brutte sorprese. Helpouts garantisce, infatti, anche il servizio soddisfatti o rimborsati. Se non si è contenti della lezione video, si può richiedere un rimborso della quota versata. Il tutorial interattivo può anche essere registrato su Google Drive. Non manca ovviamente la parte social, dato che gli Helpout preferiti possono essere condivisi su Facebook, Twitter, Youtube e Google +.
È molto probabile che nel futuro sarà introdotta una connessione con alcuni dei tutorial reperibili su Youtube, rimandando direttamente da una piattaforma ad un’altra nel caso in cui si volesse un appuntamento privato e personalizzato col tutore prescelto.
I tutorial costituiscono una categoria video seguitissima e la possibilità di entrare in contatto diretto con una persona in carne e ossa con la quale interagire costituisce un evidente vantaggio. Un altro beneficio è anche la possibilità di avere disponibilità immediata di tutoraggio. Il nome Google, poi, aleggia a garante dell’affidabilità dei contenuti.
È quasi tutto a pagamento e i prezzi proposti non sono neanche dei più modici. Il fattore economico potrebbe far pendere l’ago della bilancia a favore dei tradizionali video tutorial, a volte incomprensibili, sì, ma gratuiti.
Helpouts è appena nato ed è al momento rivolto principalmente ad un pubblico anglofono.
Se l’Helpout provider richiesto ritarda più di 5 minuti sull’orario d’appuntamento, o dà la sua disponibilità per una certa ora in un certa data ma non si presenta, la sessione è gratuita. Efficienza è, infatti, la parola d’ordine alla base del servizio offerto. È quanto traspare chiaramente dalle parole del vicepresidente Google, Manber: “credo che la ragione per la quale internet è un mezzo così potente e di successo risiede nel garantire un livello completamente nuovo di efficienza e convenienza”.
I curiosi e coloro che vogliono apprendere sempre qualcosa di nuovo. A chi perde facilmente la pazienza e agli ansiosi. A chi crede che internet abbia la risposta a qualsiasi interrogativo. Ai socievoli e a coloro che preferiscono l’interazione, specialmente durante il processo di apprendimento.
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Promosso dalla BBC, l’evento ‘The Your Paintings Masterpieces in Schools’ ha riscontrato grande entusiasmo in tutto il Regno Unito, coinvolgendo per tutto il mese di ottobre 27 scuole elementari e medie portando uno dei 26 dipinti selezionati tra le più famose collezioni del Paese direttamente tra i banchi di scuola per un’intera giornata. Insieme ad artisti, esperti ed insegnanti, bambine e bambini tra i 5 e i 12 anni hanno avuto la possibilità di conoscere un modo diverso e divertente di imparare.
“Mamma lo sai che oggi a scuola abbiamo visto il Castello dove è stato imprigionato il Principe del Galles Owain il Rosso? Ci hanno portato un quadro di ‘un Turner’ importante direttamente dal museo!”; “Noi abbiamo costruito neuroni e sinapsi con bastoncini palloncini colla carta e plastilina, come nel quadro cubista di Ben Nicholson!” hanno commentato tornando a casa due bimbi inglesi alunni della Trelai Primary School (Galles) e della Norton Knatchbull School (Inghilterra), due delle 27 scuole che hanno partecipato al progetto promosso da Public Catalogue Foundation, in collaborazione con la BBC ospitando rispettivamente il celebre Dolbadarn Castle, dipinto a olio da J. Mallord William Turner nel 1799–1800, normalmente esposto alla National Library of Wales, e Bocque di Ben Nicholson dipinto nel 1932, parte dell’esibizione della Arts Council Collection.
Come il proverbiale detto di Maometto e la montagna, così al posto degli alunni in gita al Museo, questa volta sono stati i dipinti conservati in questi ultimi ad entrare direttamente nelle scuole regalando una giornata davvero memorabile per tanti bambini e bambine per cui spesso è molto difficile visitare una collezione, per questioni sociali, culturali o spesso logistiche ed economiche.
Enorme la soddisfazione degli organizzatori ed insegnanti nel vedere gli alunni così curiosi, emozionati e interessati a conoscere gli autori e le storie nascoste dentro le tele. Scoprendosi grandi artisti, i piccoli hanno trascorso un’indimenticabile giornata, imparando che è bello avvicinarsi alla cultura e all’arte, così come è molto importante prendersene cura.
L’idea che i musei non siano luoghi silenziosi dall’aria seria e opprimente, visitati da critici in abiti eleganti e professori dagli occhiali spessi, ma al contrario spazi da visitare e far vivere, dove si impara giocando, è oggi condivisa da molti. Si sta infatti affermando la tendenza di proporre con le più disparate modalità innovative il coinvolgimento di grandi e piccini in maniera divertente e costruttiva.
Negli ultimi anni il ‘bambino’ sta conquistando un posto d’onore nelle sale dei musei del mondo grazie alla nascita della didattica museale per bambini che vede il diffondersi di laboratori creativi anche nelle scuole per l’infanzia e primarie.
Proliferano i musei sensibili da questo punto di vista, proponendo tanti e coinvolgenti percorsi pensati appositamente per bambini e famiglie in cui, oltre alla valorizzazione del patrimonio storico-artistico, si effettuano attività di intrattenimento, gioco e creazione manuale di oggetti grazie anche all’utilizzo di filmati, diapositive, musiche e spettacoli teatrali per sperimentare e divertirsi insieme, anche con mamme e papà.
Sul portale dal simpatico nome www.quantomanca.com, che ironicamente richiama la tipica frase che i bambini annoiati rivolgono solitamente ai genitori, si trova una coloratissima mappa che raccoglie, divisi per regione, musei “a misura di bambino”, utile consiglio per trascorrere un fine settimana alternativo o una piacevole gita divertente.
Il disegno e il gioco sono infatti la “formula magica” che permette ai piccoli di sentirsi protagonisti della scoperta dell’arte, esprimendo la propria creatività e i propri sentimenti, indipendentemente dal talento, oltre a stimolare lo sviluppo della capacità di astrazione e percezione della realtà.
Ma la grande sfida del futuro è quella che si propone di sviluppare gioco e divertimento attraverso gli strumenti innovativi digitali e virtuali: oggi li chiamano musei interattivi e sono musei reali che utilizzano al loro interno tecnologie digitali, sistemi touchless, giochi, app e strumenti virtuali come proiezioni, ologrammi, immagini e stampanti a 3D, per una didattica fondata sulla partecipazione attiva, lo stupore e il coinvolgimento.
Più delle parole, sono infatti le emozioni vissute ad imprimere saldamente i contenuti nel ricordo dei bambini che, avidi di sapere e privi di pregiudizi estetici, sono forse le persone più vicine ad accogliere il messaggio dell’arte. Del resto è un concetto affermato anche da Picasso: “Ho impiegato una vita per imparare a dipingere come un bambino.”
È possibile racchiudere 50 anni di storia della musica in un sito internet semplice e accessibile? Se si spulcia per bene il sito Musicologia, la risposta diventa magicamente sì. Non si tratta di certo di un’operazione facile, ma l’intento della pagina web è proprio quello di creare un’enciclopedia della musica popolare dal 1962 al 2012, che presenti al navigatore i brani e gli artisti che hanno fatto la storia della musica, che hanno segnato un’epoca, che generazioni canticchiano da decenni, o che i teenager contemporanei ascoltano oggi.
Entrando su Musicologia appare subito visibile che è possibile esplorare il sito attraverso tre modalità:
1) Seguire la Timeline, cioè seguire una divisione cronologica degli eventi. Cliccando su ogni anno, appare una parte testuale che spiega i principali avvenimenti in ambito musicale di quell’anno, un elenco dei principali artisti che lo hanno caratterizzato, e la possibilità di ascoltare i brani più significativi, o di vedere un video Youtube. L’elenco, poi, viene proposto tramite una suddivisione in Easy, Medium, Hard, a seconda della difficoltà di ascolto e fruibilità dei brani proposti.
2) Procedere con la ricerca per Artista: per ogni artista è disponibile una scheda informativa e uno o più brani da ascoltare.
3) Scegliere la ricerca per Genere musicale: in questo caso, i generi, oltre settanta, sono catalogati in ordine alfabetico, dalla A di Alternative Dance alla W di World Music.
Per ogni contenuto è possibile lasciare un commento.
Si tratta di un sito molto ben articolato, di facile fruizione, dalla grafica piacevole e divertente. Ha la peculiarità di evitare gli snobismi e di fare una cernita dei brani in base alla loro popolarità e non solo alla loro qualità musicale, presentando un quadro veritiero delle tendenze musicali di un determinato periodo.
Non tutti gli anni o gli artisti sono ancora trattati e sviscerati. Ma, come specificato dal creatore del sito, Stefano Masnaghetti (caporedattore della rivista Outune), si tratta di un work in progress che potrebbe essere praticamente infinito, vista l’immensità del panorama musicale popolare e la sua continua evoluzione.
Navigando sul sito, emerge chiaramente che si tratta di un progetto nato per passione. Stefano Masnaghetti precisa che si tratta di una visione soggettiva del panorama musicale e che “non è un lavoro enciclopedico, non è l’ennesimo Vangelo di un critico onnisciente, non è un tentativo di racchiudere in un unico luogo i dischi più “belli” di sempre. È molto di più. È il primo viaggio, interno a quella che è la colonna sonora delle nostre vite…” E soprattutto, non si tratta di un progetto chiuso, ma di un progetto in continuo divenire che cerca e stimola il confronto con altri appassionati di musica.
I “musicadipendenti” che vogliono condividere idee e passioni, i fruitori “ingenui” della musica che sono desiderosi di apprendere e saperne di più.
Per una volta non sono stati gli atenei italiani ad analizzare, esaminare, valutare. Il maestro si è trasformato in scolaro e le 133 strutture sparse sul territorio italiano, tra università ed enti di ricerca, sono state oggetto di indagine da parte dell’Anvur, l’Agenzia nazionale di valutazione, nata nel 2006. Ci sono voluti 20 mesi perché 14.770 revisori concludessero la monumentale opera di valutazione che per la prima volta ha messo sotto esame la produttività della ricerca degli atenei italiani (progetto VQR).
Sono state considerate 14 aree scientifiche e per ogni struttura sono stati tenuti in conto 7 indicatori che si riferiscono a fattori come la qualità della ricerca, la capacità di attrarre risorse o l’internazionalizzazione; e altri 8 indicatori relativi, invece, alla capacità di relazione, connessione e valorizzazione del contesto socio-economico.
Per quanto riguarda i 95 atenei italiani, è stata fatta una distinzione in base a grandi, medie, piccole università e la posizione di ciascun ateneo in graduatoria è stato determinato da un valore medio tra tutte le aree considerate. Ai primi posti tra le grandi università figurano: Padova, Milano Bicocca, Verona, Bologna, Pavia. Le prime 5 classificate delle medie università sono state: Trento, Bolzano, Ferrara, Milano San Raffaele, Piemonte Orientale e Venezia Ca’ Foscari. Infine, tra gli atenei più piccoli, spiccano Pisa Sant’Anna, Pisa Normale, Roma Luiss, Trieste Sissa, Roma Biomedico. Se si considerano, invece, le classifiche “tematiche”, per le Scienze matematiche e informatiche abbiamo nell’ordine: Roma La Sapienza, Roma Tor Vergata, Pisa. Per le Scienze economiche e statistiche: Padova, Milano Bocconi, Bologna. Per le Scienze dell’antichità, letterarie, artistiche: Padova, Milano Politecnico e Bologna. Per le Scienze giuridiche: Trento, Padova, Verona.
Come si può ben notare, la vittoria degli atenei del nord su quelli del sud e del centro è quasi schiacciante. Roma La Sapienza, nella classifica generale, è solo al 22° posto e il consiglio nazionale delle ricerche, il CNR, è risultato il grande assente dalle classifiche Anvur. Le Università di Catania e Palermo sono al 30° e al 31° posto, Bari e Cagliari al 26° e 27° posto, mentre risalgono un po’ la china solo Catanzaro, Napoli e Salerno che si attestano più o meno a metà classifica.
Alla luce di ciò, non sono mancate le polemiche, specialmente se si considera che tra i 6,69 miliardi di euro che il Miur ha stanziato per la ricerca nelle università, 540 milioni, cioè il 7%, dovrebbero essere distribuiti in base al merito, ovvero proprio in base ai risultati di questa ricerca. Il Cnr, ad esempio, si giustifica sostenendo che il centro privilegia i rapporti con il mondo delle aziende e l’interdisciplinarità, mentre la valutazione dell’Anvur ha messo in luce gli atenei che si occupano principalmente di ricerca pura. C’è anche da dire, poi, che l’indagine è stata compiuta per gli anni dal 2004 al 2010, escludendo per forza di cose, risultati importanti come quello dell’Istituto nazionale di fisica nucleare che nel 2012 è stato coinvolto nella scoperta del bosone di Higgs.
Certo è che si tratta di un momento significativo e importante per l’università e la ricerca italiana. Il fatto che si parli di questi due settori, a lungo ignorati o deprecati, e che si investano 10 milioni di euro per istituire un agenzia (l’Anvur appunto) che ne monitori lo stato di salute, è sicuramente un passo avanti positivo. Forse il passo successivo, quello di stanziare parte di fondi in base ai risultati di questa classifica, necessita di un altro po’ di rodaggio per essere effettuato. Bisognerebbe prima capire tutte le sfaccettature della ricerca, delle sue applicazioni e della sua produttività. E magari evitare il rischio di affondare ancora di più quegli atenei che sono già in fondo alle classifiche, e che, pur non essendo prestigiosi, garantiscono però una distribuzione democratica dell’accesso al sapere nel nostro Paese.
D’altra parte persino dall’Anvur giunge la necessità di cautela nell’applicare ai risultati della ricerca una distribuzione delle risorse, nonostante l’esito incoraggiante e positivo del loro lavoro: “crediamo che la VQR dispiegherà i suoi effetti benefici nei mesi e negli anni a venire se i suoi risultati saranno studiati nel dettaglio e analizzati con attenzione, e utilizzati dagli organi di governo delle strutture per avviare azioni conseguenti di miglioramento. Un segnale incoraggiante è lo spirito di grande interesse e collaborazione con l’ANVUR delle strutture valutate, per le quali la VQR ha richiesto lavoro e impegno in un momento di grande trasformazione e difficoltà (in particolare per le università)”.
Ragioniamo per un attimo sulla formazione post-laurea in economia e management della cultura (possiamo aggiungere marketing, fundraising, comunicazione e tutti i comparti appealing del fare cultura). I corsi non mancano, e sotto una varietà di etichette raccolgono laureati e giovani professionisti in cerca di una corretta ibridazione tra discipline umanistiche e approcci gestionali.
Non è forse colpa di nessuno, ma l’atmosfera dominante è pervasa dalla percezione che i corsi forniscano strumenti oggettivi per risolvere problemi, ossia essenzialmente per trovare fondi; che i testimoni scelti come docenti possano insegnare trucchi inoppugnabili per sopravvivere in un eco-sistema ostile; che il tirocinio in aziende e organizzazioni attive nel sistema culturale rappresenti in sostanza la via d’accesso al lavoro, trasformando uno stage in un contratto possibilmente a tempo indeterminato.
Ora, valutare la qualità e l’efficacia dei corsi – per quanto numerosi e in buona parte eterogenei – certo non spetta a chi partecipa da entrambi i versanti: sarà il tempo a rivelare quali possano essere le aree di perfettibilità di ciascuna iniziativa formativa; va detto che in media ogni corso è ben consapevole di doversi misurare con la realtà ed è incline ad apportare le necessarie modifiche per risultare più efficace e credibile.
Una cosa che però nessuno ha il fegato di ammettere è che il corso non può trasformare i discenti in manager di successo solo per il fatto di aver seguito diligentemente serie e importanti lezioni ed esperienze: una classe è formata da individui diversi per formazione, per orientamento e per capacità di affrontare il mondo professionale. Certo, un corso facilita l’apprendimento e la metabolizzazione di approcci e strumenti, ma non può rendere automatico il percorso dall’istruzione al lavoro.
Prima che l’aura del politically correct mettesse in frigo molti concetti e altrettante parole, si parlava di studenti brillanti, di studenti lenti o complessi, e così via. Per quanto i termini che rivelano un giudizio possano suonare antipatici e vadano pertanto usati con molta parsimonia evitando di etichettare le persone, si può tuttavia concordare sul fatto che chi affronta un buon corso da una posizione dotata di visione, capace di flessibilità e priva di pregiudizi con ogni probabilità ne potrà trarre il massimo beneficio.
Sarebbe dunque opportuno che i protocolli formativi mettessero l’accento sulla propria capacità di fertilizzare delle risorse dinamiche, purché le stesse risorse non si aspettassero una miracolosa metamorfosi. Si può anche sottolineare che di norma sono proprio i discenti più pigri e scettici a pretendere che il corso risolva i problemi del proprio orizzonte professionale; e sono quelli che si arrabbiano di più quando si trovano ad affrontare un mondo complicato e renitente a meccanismi a buon mercato (il mio progetto è bello, quindi finanziami; ho un pubblico numeroso, quindi sponsorizzami, e così indefinitamente).
La formazione dovrebbe servire a insegnare come si impara: metodi più che contenuti, approcci più che trucchi. Forse è il momento di abbandonare l’illusione del problem solving e corteggiare con delicata serietà il territorio del problem facing.
Kunerango
Si tratta di una piattaforma di networking per studenti e insegnanti: una social application che raggruppa una serie di strumenti realtime per mettere in comunicazione gli utenti, in una sorta di ateneo virtuale.
Si accede a Kunerango previa registrazione o dal proprio profilo Facebook. Rivolgendosi a studenti, insegnanti e università e scuole, offre a ciascuno di questi utenti differenti servizi. Per i ragazzi è possibile creare gruppi di studio tra gli iscritti, prendere appunti digitali e condividerli, confrontarsi riguardo le domande più frequenti che vengono poste agli esami, “affiggere” annunci in bacheca per la vendita di testi o la ricerca di coinquilini. L’ulteriore e grande vantaggio è quello di confrontarsi, oltre che con altri studenti attraverso videochiamate, anche con i professori, cui è possibile chiedere delucidazioni in merito ad alcuni argomenti o seguirne le lezioni in tempo reale.
Anche i docenti trovano in Kunerango uno strumento utile per il loro lavoro: possono infatti servirsi della piattaforma per caricare materiale didattico da distribuire tra i loro studenti, organizzare ricevimenti a distanza audio e video, hanno a disposizione strumenti 2.0 per impartire lezioni, come la lavagna virtuale, per non parlare dei numerosi feedback diretti che possono raccogliere tra i loro allievi.
Kunerango risulta vantaggioso anche per scuole, università e accademie, che possono così disporre di un canale e-learning ed entrare in contatto con diversi partner.
I vantaggi di Kunerango sono evidenti: superando le barriere della distanza spaziale e le lungaggini degli orari di ricevimento, condensa on line una comunità di utenti che s’incontrano per attività didattiche. Oltre al fondamentale scambio tra studenti, e tra alunni e docenti, c’è anche il confronto tra metodi di insegnamento diversi.
L’unica pecca è che molti dei servizi presentati da Kunerango sono ancora in fase di attivazione.
Kunerango nasce dall’idea di sei studenti di ingegneria all’Università di Ferrara. Si è inoltre aggiudicato il Premio UNIdea, a favore delle migliori proposte innovative di impresa o di prodotto nell’ambito del Progetto Digit@lia – Agenda Digitale per l’Italia delle nuove generazioni.
Kunerango è consigliato a studenti, insegnanti, ma anche a tutti coloro che desiderano rispolverare concetti appresi a scuola, che magari rimangono ancora ostici.
Scopri Kunerango al seguente link
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=9OubYqmwNI4]
“Cinecittà si Mostra” e svela i suoi tesori al pubblico: questo percorso di visita agli studios romani è un’occasione preziosa per scoprire “Backstage” di celebri film, i profili di personaggi illustri del cinema, ma anche professionalità e mestieri che rendono, a ragione, questo settore la settima arte. Ad illustrarci il progetto sono stati il Direttore di Cinecittà Studios, Giuseppe Basso, e Barbara Goretti, responsabile delle Attività Educative di “Cinecittà Si Mostra”.
Direttore, grazie al progetto “Cinecittà si Mostra” gli Studios sono stati aperti al pubblico. Cosa attende i visitatori?
Giuseppe Basso: Il pubblico può finalmente scoprire i set residenti, New York; Roma Antica e Firenze del Quattrocento dove sono stati girati film come Gangs of New York; The Third Person, Romeo and Juliet o fiction tv internazionali come Rome. Può approfondire, attraverso visite tematiche, la storia di Cinecittà, dei suoi personaggi e della sua architettura razionalista. Inoltre c’è la possibilità di visitare un’ampia sezione espositiva che si articola in tre differenti percorsi: “Come si realizza un film”, “I protagonisti” e “Backstage”. I primi due sono stati riallestiti – mantenendo il concept originario ideato da Elisabetta Bruscolini – dall’ASC, l’Associazione Italiana Scenografi Costumisti e Arredatori, che ha sede nella stessa Cinecittà e che riunisce professionisti del settore tra cui importanti maestri di scenografia e del costume del cinema italiano.
Oltre a nuovi prestiti – tra cui i costumi dei film L’Ultimo Imperatore, Anna Karenina; C’era una volta il West e molti altri – la mostra permette al pubblico di attraversare ambienti estremamente suggestivi come la sala dell’attrezzeria – pensata proprio come una sorta di camera delle meraviglie dove trovare qualsiasi tipo di arredo e oggetto per il set – o come la sala del set, un interno ‘800, ispirato allo sceneggiato tv Cuore di Luigi Comencini. A questo si aggiunge una selezione di macchine da presa curata dall’AIC, l’Associazione Italiana Autori della Fotografia Cinematografica, che ha reso disponibili pezzi storici di proprietà dello stesso Museo AIC.
Il terzo step di Cinecittà si Mostra è “Backstage”, un percorso didattico interattivo, curato da Barbara Goretti, Responsabile delle Attività Educative di Cinecittà Si Mostra, con l’Associazione Culturale “Senza titolo” di Bologna, su un progetto di Cristina Francucci, responsabile scientifico del Dipartimento Didattico del Mambo e docente universitaria presso la Facoltà di Scienze della formazione e l’Accademia di Belle Arti di Bologna.
Tutto questo dimostra come Cinecittà abbia attinto da realtà differenti, valorizzando quelle che vivono al suo interno e nello stesso tempo aprendosi all’esterno per creare sinergie che hanno consentito di allestire una mostra molto ricca.
Gli Studios di Cinecittà sono stati per lungo tempo il fiore all’occhiello del cinema italiano. Con le vostre attività educative vi rivolgete a ragazzi giovani, che non hanno magari mai visto le grandi pellicole girate negli studios. In che modo spiegate loro l’importanza di questi spazi? Quali reazioni mostrano?
Barbara Goretti: Quello che proponiamo è un progetto educativo completo con cui ci rivolgiamo alle scuole di ogni ordine e grado fino all’università, oltre che agli adulti, alle famiglie e ai pubblici speciali. La pratica laboratoriale è alla base della nostra metodologia didattica proprio perché attraverso l’esperienza diretta si possono trovare le giuste chiavi per far comprendere anche ai più giovani riferimenti complessi o temporalmente distanti.
Questo si risolve evitando un approccio esclusivamente storico e citazionista, caratterizzando ogni visita come una suggestiva narrazione in cui tutti possano riscoprire i grandi maestri del cinema o i film più significativi girati a Cinecittà. Per i più piccoli in questo modo la visita guidata standard diventa un viaggio molto divertente,una sorta di grande favola e il problema di eventuali conoscenze specifiche viene superato. In più, molti percorsi sono basati sul fil rouge della mostra permettendo così di conoscere le varie fasi di realizzazione di un film e di calarsi nei panni dei professionisti del cinema come i costumisti, gli scenografi o per i più grandi gli sceneggiatori.
In che modo Cinecittà si tiene al passo con i tempi, dinanzi alle novità che interessano il panorama dell’entertainment? Nella mostra Backstage sono riscontrabili tali innovazioni?
B.G.: Backstage è l’evoluzione del nostro impegno didattico a Cinecittà, un’ area interattiva, inserita nel percorso di mostra per offrire al pubblico una modalità di fruizione dell’esposizione partecipata e non esclusivamente legata alla visione-contemplazione del materiale esposto.
Il percorso è costituito da più sale dedicate alla fase ideativa della realizzazione di un film – la sala del regista e la sala della sceneggiatura – e a quella più operativa per cui abbiamo scelto di presentare sale dedicate al sonoro, alla finzione e agli effetti speciali, ai costumi.
Backstage coinvolge il visitatore attraverso varie tipologie di interazione, alcune più legate alle tecnologie – come i touch screen nella sala del costume o le docce sonore nella sala del sonoro – altre che propongono modalità più riflessive e atmosfere più misteriose come le cassettiere nella sala dei registi. Qui il pubblico si trova di fronte ad una libreria, una sorta di installazione, di cui deve aprire i cassetti, ognuno dei quali dedicato a diversi registi: Fellini, Scorsese, Leone, Wertmüller, Benigni, Verdone sono raccontati attraverso oggetti, documenti, citazioni che ricostruiscono per ognuno una sorta di ritratto metaforico.
Tutto questo però più che al concetto di entertainment, è decisamente riconducibile a quello di edutainment. È infatti possibile conoscere divertendosi, ma le formule più ludiche sono comunque pensate per avere una ricaduta educativa e non fini a se stesse.
Che importanza ricopre l’area didattica per Cinecittà si Mostra? Come si inserisce con le altre attività svolte? Quali investimenti vengono ad essa riservati?
B.G.: La didattica ha una notevole importanza e quanto appena descritto testimonia la volontà ferma di dedicare un progetto educativo completo, studiato ad hoc e non improvvisato, per sostenere l’apertura di Cinecittà al pubblico.
L’investimento sulla didattica prosegue con il sostegno della progettazione di nuove attività, nuove formule mirate a sostenere la formazione di più tipologie di pubblici, tra cui quello degli insegnanti a cui la sezione didattica dedica degli incontri esclusivi e per cui sta progettando seminari e corsi di formazione che avranno inizio nei prossimi mesi.
Inoltre la considerazione del progetto educativo è visibile proprio nel momento in cui esso si trova a convivere con altre attività, come quella fondamentale della produzione cinematografica: spesso si viene così a creare un ambiente di condivisione, in cui i gruppi in visita si incontrano con le troupe a lavoro, con grande sorpresa e curiosità reciproca, soprattutto quando ci sono i più piccoli.
Direttore, quali saranno invece le prossime novità della mostra?
G.B.: Stiamo preparando una nuova mostra permanente, che dovrebbe esser pronta in ottobre, e si lavora anche al recupero di nuovi spazi, molti dei quali storici, che si apriranno al pubblico per rendersi fruibili ai visitatori: tutta l’area della mostra è infatti ideata come luogo per trascorrere il tempo, per accogliere le famiglie, come spazio di incontro, tra esposizioni, set e proiezioni.
Era il 1980 quando, all’indomani del terribile terremoto che devastò l’Irpinia, il quotidiano napoletano “Il Mattino” titolava in prima pagina “Fate presto”: un imperativo forte che richiamava al senso di solidarietà tipicamente partenopeo e invitava tutta la cittadinanza ad aiutare chi era rimasto senza una casa e a salvare chi era ancora intrappolato sotto le macerie.
Quel grido di aiuto e di dolore, consegnato all’eternità della memoria dal grande Andy Warhol, è tornato tristemente attuale, dopo il tragico incendio doloso che ha distrutto quasi del tutto il complesso di Città della Scienza, a Napoli. Dello spazio espositivo si è salvato pochissimo: quello che si vede adesso è solo un cumulo di cenere e macerie. Solo i pilastri portanti sono riusciti a resistere in piedi e a salvarsi da quella distruzione così barbara e vergognosa.
Ero appena un ragazzino quando visitai per la prima volta la Città della Scienza, che aveva aperto da pochissimo tempo. Rimasi incantato da tutti quegli esperimenti e dai giochini messi a disposizione per avvicinare i bimbi come me alla scienza e alla natura. Ricordo di essermi divertito molto a provarne la maggior parte, con la curiosità dei miei 11 anni (ora ne ho 26) e con la gioia di riuscire a imparare giocando: il sogno di ogni bambino.
Quella prima visita con la scuola fu una specie di svolta per me e mi piacque talmente tanto che decisi di ritornarci insieme ai miei genitori poco tempo dopo. Da allora a oggi, ho avuto modo di visitare più volte e per diverse occasioni quei padiglioni espositivi. Sono tornato volentieri durante le superiori e vedevo crescere sempre di più quel complesso, che nel frattempo si stava allargando anche sull’altro lato di via Coroglio con il BIC (Business Innovation Centre). Leggevo che lì sarebbe nato un incubatore di imprese. “Che buffo nome” pensai, senza sapere che quello spazio sarebbe diventato, per me, anni dopo, importantissimo.
Anni fa ho partecipato anche all’organizzazione della mostra “Europa Museum”, dove diverse scuole superiori di Napoli hanno elaborato progetti ed esposizioni per comunicare al pubblico la propria idea di Europa in diversi settori, dall’istruzione alla cultura, dall’ambiente all’energia. Ricordo un aneddoto curioso: l’apertura della mostra fu anticipata dall’intervento di alcune personalità istituzionali. In poche parole, una gran noia… Io, insieme all’artista Maria Giovanna Ambrosone (direttrice artistica di quella mostra) e a un’altra ragazza, decidemmo di passare in modo diverso quell’ ora di chiacchiere e andammo a vedere un’esposizione scientifica altamente interattiva che si teneva in un altro padiglione. Ci divertimmo tantissimo… E neanche ci rendevamo conto del tempo che passava. Tornammo giusto in tempo per le conclusioni della discussione e l’apertura della mostra.
E poi, l’anno scorso. Ho passato diversi mesi nell’area del complesso dedicata al progetto Creative Clusters, un concorso promosso dall’agenzia Campania Innovazione e volto alla creazione di imprese innovative, a partire da una semplice idea imprenditoriale. Lo dico senza alcun dubbio: si è trattato di una delle esperienze più belle della mia vita. Partire da una piccola intuizione, confrontarsi con un team competente e con altri ragazzi creativi anche durante le deliziose pause pranzo, vedere crescere sempre di più la tua idea e vederla trasformata, alla fine, in un progetto imprenditoriale abbastanza maturo da essere presentato a business angels e investitori…
Credo di non aver mai fatto un’esperienza tanto bella e formativa come questa. Non riuscivo a capirlo ancora, ma quell’opportunità mi ha aiutato tantissimo… È lì che ho piantato il seme del mio futuro. E’ in quei laboratori settimanali che ho costruito il mio domani. È grazie a Città della Scienza se sono riuscito a sbloccare le mie potenzialità, a pensare in modo creativo e ad avere tante e grandi soddisfazioni, soprattutto sul piano lavorativo. Anche oggi, anche adesso che sto scrivendo.
Città della Scienza non era un semplice museo, ma un cuore pulsante al centro di un territorio molto difficile da amministrare. Un esempio di archeologia industriale che il mondo intero ci invidiava. Un’oasi in un deserto, quello di Bagnoli, sul quale si è parlato troppo e si è fatto poco, anzi pochissimo. Un laboratorio di idee e menti creative dal quale stava partendo un riscatto di noi giovani napoletani.
Chissà se davvero si riuscirà a ricostruire quello che è andato perduto per sempre. Certamente non si potranno riavere indietro i bellissimi ricordi che ognuno di noi porta con sé e conserverà nella memoria. Quel fuoco non ha distrutto solo un patrimonio culturale incredibile, ma ha cancellato le idee di noi giovani, i sogni dei tanti bambini che si sono avvicinati alla scienza e alla cultura con gli esperimenti interattivi e con il simpatico Bit. Ha cancellato il nostro futuro!
Ma noi siamo il futuro, siamo la forza dirompente che può sconfiggere questo cancro della società. Città della Scienza deve essere ricostruita, deve rinascere, più bella di prima, senza se e senza ma. Quel simbolo di riscatto e di costruzione di un futuro migliore non può mancare in una città tanto ambigua come Napoli. Il fuoco distrugge e cancella ogni cosa che incontra sul suo cammino, ma non potrà mai cancellare la nostra voglia di combattere e di modellare una città finalmente degna del suo nome.
Non possiamo permettere che la criminalità vinca ancora una volta e che l’imperativo sia quel fastidioso “Fujitevenne”. Dobbiamo vincere noi, devono vincere i giovani di Napoli, deve vincere la nostra città, devono vincere i buoni. Ma soprattutto, deve vincere la Cultura. Nulla è ancora perduto, ma per favore… Fate presto!
Nella moderna prospettiva di considerare il museo non solamente come luogo di tutela e conservazione del patrimonio artistico e culturale, ma anche come luogo sociale dotato di una serie di servizi che permettano di fruire questo luogo come una “esperienza”, la didattica è sicuramente un aspetto fondamentale che si pone come intermediazione tra le opere d’arte e il pubblico, proponendo una formazione attiva rivolta non solo agli adulti, ma soprattutto all’infanzia e alle fasce più giovani.
Tutti i musei e le istituzioni culturali – seppur ancora con una forte disparità tra le diverse realtà territoriali – prevedono nel loro organico un dipartimento specifico con il compito di progettare e svolgere le attività didattiche. Ma oltre ai singoli dipartimenti museali esistono delle iniziative di tipo associativo che, fatto tesoro dell’esperienza dei più grandi musei, si sono distaccate dal singolo luogo e hanno avviato una serie di attività per così dire “collaterali”, che vogliono affiancarsi e integrare le linee didattiche avviate dalle principali istituzioni. La proposta consiste in piccoli progetti da poter svolgere anche in altri ambienti quali librerie, gallerie commerciali, fiere, e anche direttamente nelle abitazioni private.
Un esempio a Roma è quello dell’associazione WorkInProject, fondata solamente nel 2011 da Giovanna Cozzi, Linda Mazzoleni e Silvia Garzilli, tre giovani storiche dell’arte specializzate in didattica del museo e del territorio, che hanno voluto creare una realtà dedicata specificamente all’arte contemporanea che, nell’opinione pubblica, resta ancora di più difficile comprensione rispetto a quella dei secoli passati. Solamente nel giro di un anno sono riuscite a creare una rete di collaborazioni che ha coinvolto, per la prima volta nella capitale, anche le gallerie d’arte contemporanea private che hanno aperto le loro porte non solamente ai collezionisti, giornalisti e addetti al settore, ma anche alle famiglie, con lo scopo di far conoscere ai “diversi pubblici” l’esistenza di luoghi dove poter vedere una mostra senza dover pagare il biglietto.
Andiamo a conoscere direttamente le nostre tre interlocutrici.
Come e quando è nata la vostra associazione, e come mai il nome “Work In Project”?
L’Associazione è nata grazie ad un momento lavorativo poco felice che mi ha portata a voler intraprendere un progetto tutto mio (Giovanna) e, fortunatamente, le mie colleghe sono state subito entusiaste della proposta!
Il nome viene dal termine anglosassone work in progress visto che per noi questo lavoro è sempre “in corso”, non è mai “concluso”, è in continuo mutamento. Abbiamo cambiato la parola progress con project perché della didattica il Progetto è il nodo centrale di tutto: senza un progetto (con i suoi obiettivi, il suo svolgimento e la sua organizzazione) non possono esserci laboratori didattici.
Quali sono gli aspetti dell’arte e della cultura contemporanea che volete far conoscere e comprendere al vostro pubblico?
Tutti. Vorremmo che i nostri pubblici imparassero a guardare all’arte e alla cultura contemporanea con occhio critico e competente in modo da potersi arricchire culturalmente ed emotivamente. Non insegniamo storia dell’arte, cerchiamo di dare i mezzi per comprendere l’arte, per trovarne le giuste chiavi di lettura, per guardare alla cultura contemporanea come a qualcosa che possa coinvolgerci tutti.
Tutto questo non è facile: l’arte contemporanea è vissuta dalla maggior parte dei pubblici come qualcosa di distante, noi cerchiamo di farla sentire vicina, così come dovrebbe essere.
Quali sono gli strumenti che utilizzate per avvicinare il vostro piccolo pubblico all’arte e alla cultura contemporanea?
Laboratori didattici, visite, seminari, workshop. Ma ciò che ci differenzia è il metodo che usiamo: partecipativo e mai statico. Per i laboratori e i workshop (con bambini o adulti) uniamo una prima parte di laboratorio teorico in cui l’operatore veicola messaggi e media discussioni che nascono dall’osservazione di opere d’arte e da domande poste in modo coinvolgente; una seconda parte di laboratorio pratico durante la quale l’assioma è quello del “fare per capire”, momento in cui i partecipanti creano un proprio elaborato originale riprendendo e facendo propri tecniche e contenuti emersi nella prima parte.
Per le visite guidate invece proponiamo visite molto interattive finalizzate ad evitare che il visitatore si annoi e smetta di ascoltare, veicolando critiche e riflessioni che non siano semplici nozioni trovate in un qualsiasi testo.
Quali sono le vostre aspettative e a che livello è secondo voi la situazione romana riguardo la didattica del contemporaneo? Potete fare qualche confronto con altre città italiane o anche internazionali?
Aspettative? Diciamo piuttosto speranze! La nostra speranza è di crescere e riuscire ad arrivare ad un più ampio raggio di pubblici possibile. La situazione romana ha diverse realtà istituzionali (vedi Maxxi, Macro, Gnam) e pochissime realtà private… esistiamo noi WIP e – che conosciamo – altre due associazioni che si occupano, in modo differente, di didattica del contemporaneo.
In altre città italiane credo sia più o meno lo stesso… molto diverso il panorama di altre città europee (ma non solo, americane…) dove la didattica museale è talmente forte, presente e alla portata di tutti che le realtà associative sono meno necessarie.
Quale è secondo voi in Italia una realtà, museale pubblica o privata, o associativa, che ritenete esemplare nel settore della didattica?
Non ragioniamo per classifiche ma, come già accennato, esistono problemi talmente sistemici del “caso Italia”, che non è facile brillare senza fondi. Ci teniamo a ricordare un caso esemplare nel settore della formazione di professionisti del campo: l’istituzione della cattedra di Didattica del territorio e del Museo all’Università di Roma “La Sapienza”, che grazie all’impegno della Prof.sa Lida Branchesi, incentiva stage e ricerche specialistiche all’estero per indagare le realtà straniere e aggiornarsi, offrendo così per l’Italia un ricco bacino di nuove figure professionali.
Tra le vostre collaborazioni ci sono diverse realtà private, tra le più riconosciute nel settore artistico contemporaneo di Roma – Galleria del Prete, Fondazione Volume!, Fondazione Giuliani, Indipendenza Studio – nonché partecipazioni alle ultime edizioni delle fiere Roma Contemporary e Affordable Art Fair, che per la loro natura più commerciale forse ben poca attenzione hanno dato finora alla didattica. Quali risultati avete ottenuto da questi progetti e come sono state accolte le vostre proposte dai vari galleristi?
Le gallerie private e le fondazioni di arte contemporanea, difficilmente accessibili al grande pubblico, ci hanno accolto molto calorosamente, felici di aprire le porte ad una utenza più vasta. In alcuni casi ci hanno contattate direttamente loro.
In questi casi l’importante per noi è far percepire le gallerie e le fondazioni come luoghi da visitare per poter accrescere conoscenze e competenze. Per quanto riguarda le fiere, siamo molto contente di aver partecipato, visto che gran parte del pubblico visita la fiera con scopi esplorativi e non commerciali. Dopo Roma Contemporary (che per la prima volta ha dedicato uno spazio alla didattica quest’anno), Affordable Art Fair ci ha contattate per la loro prima edizione romana. È stato un successo, c’è stata una grande affluenza e ne siamo state felicissime!
Tutte queste realtà sono ideali visto che si può lavorare con delle opere d’arte giovani, davvero contemporanee e che ci mettono in contatto con una realtà non istituzionale, sperimentale, magari underground.
Tra i vostri imminenti progetti c’è la collaborazione con Palazzo Incontro, in occasione della mostra “Elliott Erwitt Fifty Kids”. Si tratta della prima collaborazione con un luogo istituzionale? Quali attività proporrete qui ai vostri visitatori?
Si, si tratta del primo museo in cui entrano le WIP (ma abbiamo altri progetti in ballo) e la mostra di Erwitt che fotografa bambini è perfetta per noi! Proponiamo un laboratorio in mostra, Bambini Faccia a Faccia, per bambini di età compresa tra i 5 e i 12 anni.
Con un’operatrice si visiterà la mostra fotografica facendo riflettere su modalità e significati delle opere. Ci saranno dei momenti pratici in cui, durante la visita, i bambini dovranno scattare delle fotografie polaroid agli altri partecipanti al laboratorio per poi mettere a confronto lo sguardo di Erwitt sui bambini e lo sguardo dei bambini sui bambini stessi! Crediamo ne usciranno riflessioni ed elaborati davvero interessanti.
Inoltre Palazzo Incontro è stato molto collaborativo e felice di questo nuovo progetto per loro (non hanno ancora mai avuto laboratori all’interno del museo) e hanno concesso la gratuità dell’ingresso ai partecipanti al laboratorio e l’ingresso ridotto agli accompagnatori.
Qualche suggerimento o la proposta didattica che vi piacerebbe presentare a tutti i dipartimenti didattici, associazioni e addetti al settore del contemporaneo?
Di proposte didattiche che vorremmo presentare ce ne sono ma siamo un po’ gelose delle nostre idee e delle nostre proposte, preferiamo non dichiararle.
Un suggerimento per i musei, del tutto utopico ma ovvio e scontato, sarebbe di INVESTIRE PIU’ FONDI nei propri dipartimenti didattici e di non ESTERNALIZZARE i dipartimenti stessi.
Avvicinare i ragazzi all’immenso e meraviglioso patrimonio culturale italiano, secondo modalità di fruizione nuove e originali. Si potrebbe sintetizzare così l’obiettivo ambizioso, ma estremamente nobile, del progetto “EduCulture”, organizzato dalla Società Cooperative Culture “CoopCulture”. Ogni anno, infatti, la cooperativa, una delle più grandi e attive in Italia nel settore dei beni e delle attività culturali, propone un ricco programma didattico rivolto alle scuole, caratterizzato da laboratori, visite guidate, spettacoli e gite di pochi giorni.
Il tema del nuovo programma preparato per l’anno scolastico 2012 – 2013 è chiaro fin dal titolo: “L’arte che fa crescere e diverte”. Sì, perché l’obiettivo principale che si propone la cooperativa attraverso questo progetto è di cancellare l’idea dell’uscita noiosa al museo, in cui i ragazzi sono costretti a seguire la guida e le sue chiacchiere attraverso le sale della struttura che visitano. Senza dubbio, questo è il modo peggiore per insegnare ai più giovani ad apprezzare tutte quelle meraviglie culturali a pochi passi da casa nostra… La visita in un museo o in una qualsiasi altra struttura deve essere un coinvolgimento totale, un momento di svago e di apprendimento che deve stimolare la crescita e la curiosità del singolo individuo, e non scatenare momenti di distrazione e di sbadigli.
Uno degli approcci più originali adottati dalla cooperativa è quello dell’interculturalità, da intendere come un processo di mediazione dinamico basato sullo scambio di esperienze e di mondi culturali. È opinione comune, infatti, che uno degli elementi che contribuiscono maggiormente alla crescita delle persone e della società nel suo complesso sia da ricercare nell’incontro tra culture differenti, tra stili e modi di pensare anche opposti, pur sempre mantenendosi nel rispetto reciproco. A questo proposito, nell’ambito del programma didattico di quest’anno, la cooperativa ha puntato su una serie di attività tematiche e laboratoriali che hanno a che vedere con il mondo ebraico ed islamico.
In particolare, sono stati preparati diversi percorsi didattici: “La porta del cielo”, un itinerario attraverso le radici storiche della Comunità Ebraica che comprende visite alle sinagoghe di Alessandria, Casale Monferrato, Cherasco e Saluzzo; “Antico Ghetto di Venezia”, un insieme di itinerari e laboratori tra il Museo ebraico, il Ghetto e la Sinagoga di Venezia, per riscoprire un angolo della città ricco di storia, arte e architettura e conoscere da vicino gli elementi caratterizzanti di questa religione; “Le testimonianze della cultura ebraica a Firenze e Siena”, un percorso che tocca il Museo ebraico, la Sinagoga e la Moschea di Firenze e la Sinagoga di Siena, per scoprire i parallelismi tra mondo ebraico e mondo islamico.
Oltre a questo interessante progetto, la cooperativa ha sviluppato anche un programma di e-learning chiamato “E.ducon” e rivolto agli studenti della provincia di Roma: si tratta di un insieme di laboratori aventi come tema principale una serie di questioni di grande interesse per la fase storica che stiamo attraversando, quella della crisi economica internazionale, che impone un ripensamento del nostro modo di vivere quotidiano. Le attività proposte spaziano nel campo dell’ambiente, salute, alimentazione, risparmio energetico, spese e consumo critico.
Nulla è lasciato al caso in questo programma e per confermare la validità di questi progetti, la cooperativa ha organizzato (e continuerà a farlo anche in primavera a Roma), a proprie spese, la presentazione delle mostre e delle attività previste dal piano didattico agli insegnanti: una sorta di dimostrazione delle visite guidate mostrata ai docenti, con l’aggiunta di qualche extra interessante. Al Palazzo Reale di Napoli, ad esempio, la visita agli splendidi ambienti reali si chiude con la messa in scena di alcuni Tableaux Vivants rappresentati dal gruppo napoletano Teatri35, nella fattispecie Gaetano Coccia, Francesco De Santis e Antonella Parrella.
Accompagnati dalle musiche di Bach, Mozart e altri compositori classici, i tre giovani rappresentano alcune delle opere più belle di artisti del ‘500 e ‘600, tra cui Jacopo Bassano, Luca Giordano, Andrea Vaccaro e Artemisia Gentileschi. Un’esperienza unica, emozionante, che commuove e desta meraviglia, non solo perché i tre ragazzi riescono a cambiarsi d’abito davanti agli occhi del pubblico in pochissimo tempo, grazie al tappeto di tessuti e oggetti che hanno sul pavimento, ma anche perché la riproduzione umana dei dipinti raggiunge un grado di somiglianza prossimo al vero, soprattutto per effetto di un’ambientazione “caravaggesca” molto oscura che vede la presenza di un unico punto di luce forte sulla scena. Per chi conosce quei dipinti è un tuffo al cuore, per i ragazzi che li scoprono per la prima volta un modo originale e alternativo di rimanere incantati e affascinati dall’arte, che mai come in questo caso prende vita davanti ai nostri occhi.
Negli ultimissimi anni è comparso un termine nuovo nel lessico delle scienze dell’educazione: “ambiente di apprendimento”. Con questa nuova prospettiva si vuole spostare l’enfasi su chi sta imparando, piuttosto che su che cosa si sta imparando. Dare importanza al soggetto significa osservare quali situazioni possono favorire l’apprendimento e significa, soprattutto, dare il giusto rilievo all’ambiente d’interazione. Infatti, il sistema che circonda gli allievi può favorire non solo la concentrazione e la motivazione, ma può rendere l’intera esperienza più coinvolgente e piacevole.
Uno dei problemi principali riguardo gli ambienti formativi attuali è rappresentato dal fatto che, sia la metodologia di insegnamento che la disposizione dello spazio, sembrano essere profondamente radicati su una struttura tipica delle scuole ottocentesche. L’idea centrale, data anche dalla classica disposizione banchi/cattedra, era quella di creare un isolamento dell’insegnante all’interno di uno spazio rigido, gerarchico e autoritario.
Proviamo ora a pensare alle vetuste aule universitarie, uguali da decenni, per non parlare delle classi delle scuole, sicuramente molto simili a quelle dove hanno studiato i nostri nonni e bis nonni. L’impressione entrando nella maggior parte dei contesti educativi del nostro paese, è che il design dei luoghi di apprendimento sia rimasto indietro -e di molto- rispetto ai cambiamenti avvenuti nella nostra società. Questi cambiamenti possono essere riassunti dal crescente successo dell’e-learning, dallo sviluppo dei social network, dei blog, delle videoconferenze e dalle nuove tecnologie di comunicazione. Tali risorse tecnologiche rendono necessario l’utilizzo di un nuovo tipo di design, uno capace di adattarsi alle differenti attività della didattica contemporanea.
Ed effettivamente, alcuni studi recenti propongono una nuova tipologia di aula, il cui arredamento si ispira a contesti differenti da quello scolastico. Ad esempio, l’architetto e autore del libro Learning Environments, Alessandro Biamonti, ha da poco ipotizzato la realizzazione di spazi di apprendimento che seguano la metafora del teatro: con gli allievi seduti ai tavolini davanti ad un palcoscenico. Questo per favorire le nuove modalità partecipative. Secondo altre ricerche, il tipo di mobilio dovrebbe diversificarsi anche a seconda della materia di studio. Suppellettili moderni, con un design essenziale, favorirebbe l’apprendimento di materie scientifiche, mentre un arredamento più complesso, con mobili antichi, lampadari e tappeti creerebbe i presupposti per un migliore studio di materie letterarie. E non dimentichiamoci dei colori! I risultati di uno studio pubblicato qualche tempo fa sulla rivista Science danno un’importanza centrale alla tinteggiatura delle pareti nei luoghi di apprendimento. Colori come il blu stimolerebbero la creatività e la tranquillità, mentre colori come il rosso aiuterebbero l’attenzione e la concentrazione.
In Italia, per ora, queste ultime scoperte non si sono trasformate in veri e propri progetti, anche se molti risultati potrebbero aprire la strada per un’interessante sperimentazione. E allora, il fatto stesso che gli studi esistano e che i risultati comincino a suscitare un certo interesse è sicuramente un primo passo verso quella tanto attesa evoluzione nel mondo dell’apprendimento che il nostro Paese aspetta da anni.
Ci sono tecnologie che aumentano la realtà conferendo a quel che ci circonda maggiori elementi: esperienze quotidiane vengono così rese interattive e perdono la banalità tipica della routine.
Tali espedienti, oltre ad avere risvolti utili su di un piano pratico, possono anche rivelarsi forti spunti creativi ed ottimi strumenti per strategie di marketing.
Per chi ha poco tempo a disposizione, e non intende perderlo per fare la spesa, la catena di supermarket Tesco ha ideato una soluzione ad hoc che ha sperimentato con successo in Sud Corea. Negli spazi pubblicitari della metropolitana cittadina ha infatti ricreato, attraverso delle immagini, gli scaffali con i prodotti in vendita nei suoi negozi; i passeggeri in attesa del treno, utilizzando uno smart phone e fotografando il qr code corrispondente ad ogni singolo articolo, hanno così la possibilità di ordinare la spesa da farsi recapitare direttamente alla propria abitazione. L’idea di questi Subway Virtual Store concilia le esigenze di comodità dei consumatori con una strategia di marketing davvero vincente: a dimostrarlo l’impennata delle vendite e-commerce dell’azienda, pari al 130% in pochi mesi.
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Anche il noto brand di abbigliamento Adidas ha inserito nelle sue vetrine applicativi che sfruttano i vantaggi della realtà aumentata: non semplici manichini vestiti con felpe, pantaloni e scarpe della collezione, ma pannelli touch screen che mettono a disposizione dei consumatori modelli virtuali cui far indossare il capo di proprio interesse. Il dispositivo consente di fare l’acquisto con lo smart phone e di condividere inoltre lo shopping con gli amici attraverso i canali social. Per ora questa vetrina interattiva è stata installata nello store di Nürnberg, in Germania, ma di sicuro debutterà presto anche in altri punti vendita dell’azienda.
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Dal Giappone arriva invece ARART. Questa applicazione supera il qr code perché riconosce immagini note come possono essere quelle di opere d’arte famose. Installando l’app sul proprio dispositivo è così possibile fotografare i dipinti esposti in una mostra e vedere i soggetti delle opere animarsi, o persino scoprirne retroscena interessanti.
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La realtà aumentata può avere poi utilità anche a scopi didattici. Da segnalare in tal senso l’app Google Sky Map che mostra i segreti delle costellazioni. L’utilizzo è semplice: basta puntare lo smart phone verso il cielo e, inquadrando le stelle della volta celeste, appariranno sullo schermo le informazioni ad esse corrispondenti.
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Non mancano poi gli utilizzi più ludici di questi ritrovati. Tra questi c’è da segnalare l’Augmented Reality Cinema: questa app ancora in via di perfezionamento, consentirà di vedere sul proprio schermo le scene di film famosi ambientate nei luoghi fotografati con il device.
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Allora, siete pronti per aumentare la vostra realtà?
Sono trascorsi 25 anni da quando i primi ragazzi ormai ultracinquantenni hanno intrapreso l’esperienza dell’Erasmus, il programma di scambi culturali tra atenei europei.
Nato nel 1987, questo progetto di mobilità è cresciuto nel tempo per numeri e università coinvolte, ma raggiunto il traguardo del quarto di secolo, si studiano le modalità per farlo evolvere.
Dall’anno del suo lancio, l’Erasmus ha interessato circa due milioni di studenti e ha contribuito, oltre ad ampliare la formazione dei ragazzi partecipanti, a diffondere una cultura europea.
Secondo quanto riferito dall’attuale commissaria dell’istruzione, Androulla Vassiliou, l’obiettivo di sostenere 3 milioni di studenti sarà probabilmente raggiunto per l’anno accademico 2012-2013, e il traguardo che ci si porrà in futuro sarà ancor più ambizioso qualora si approvi il bilancio da 19 miliardi di euro per il periodo 2014-2020, rispetto all’attuale dotazione da 8 miliardi.
Proprio in occasione di questo venticinquesimo anniversario è stata inoltre firmata a Copenaghen una convenzione in dieci punti tra cui spicca l’intenzione di uniformare i titoli di studio all’interno dell’Unione europea e quella di creare un “Erasmus for all” che travalichi i confini comunitari e si apra ad ogni Paese.
Certo è che in tutti questi anni l’Erasmus è diventato per tanti ex-studenti un ricordo importante del loro periodo universitario, che ha contribuito al raggiungimento della maturità personale e ad una più ampia apertura mentale. Questo ‘mito’ accademico ha poi visto persino la consacrazione in ambito cinematografico con il film ambientato a Barcellona “L’appartamento spagnolo”, dove studenti di diverse nazionalità si trovano a convivere grazie al progetto Erasmus.
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Proprio la Spagna è al top tra le destinazioni preferite dagli aderenti al programma, seguita da Francia e Regno Unito. Sempre il Paese iberico è al vertice della classifica in numero di ragazzi che hanno usufruito delle borse di studio Erasmus, staccando di netto i colleghi francesi, tedeschi e inglesi.Tra le università italiane preferite dagli stranieri c’è la Alma Mater di Bologna, quarta nella classifica generale, cui segue La Sapienza di Roma al nono posto e l’Università di Firenze al dodicesimo.
Intanto a Torino, dal 1° all’8 giugno prossimi, fervono i preparativi per l’Erasmus Day live, il primo “festival europeo universitario” che con concerti, mostre ed incontri, intende convogliare tutti gli atenei e gli studenti coinvolti nel programma europeo attivo ormai dal 1987.
Il teatro in prima serata ha vinto: a confermarlo sono i dati auditel che indicano una netta supremazia dello spettacolo teatrale “Sabato, Domenica e Lunedì” andato in onda nella serata del 1 maggio su Rai uno e che ha superato il 20% di share. Si tratta di un risultato non trascurabile che deve tenere conto di una giornata festiva, in cui le alternative di certo non mancavano.
La commedia di De Filippo, portata in scena davanti alle telecamere da Massimo Ranieri e Monica Guerritore ha fatto breccia nel cuore dei nostalgici della televisione dei primordi, quando la scatola alimentata da un tubo catodico aveva come obiettivo la divulgazione didattico- pedagogica e l’intento di aumentare gli ascolti attraverso programmi d’intrattenimento di scarsa qualità era ancora lontano e sconosciuto a questo palinsesto.
Il tele teatro nasce proprio con l’avvento nei primi anni cinquanta della televisione in Italia, ripercorrendo un’esperienza già maturata nella programmazione francese. All’inizio si tratta solo di riprendere con le telecamere gli spettacoli portati in scena dal vivo e di riportarne le immagini dal palcoscenico al piccolo schermo. Successivamente l’evoluzione delle potenzialità della scatola catodica portarono a rendere autonoma la realizzazione degli spettacoli teatrali per il pubblico televisivo: da una semplice ripresa del palcoscenico si passò ad un vero e proprio adattamento per il piccolo schermo. Il testo teatrale viene inscenato non più nel palcoscenico bensì negli studi televisivi, all’interno dei quali vengono ricostruite scenografie e dove prendono vita i diversi atti.
In un paese come l’Italia del dopoguerra in cui non tutti avevano l’opportunità di frequentare i banchi di scuola e il tasso di alfabetizzazione era piuttosto basso, la televisione, selezionando accuratamente i contenuti dei programmi e divulgando in particolar modo gli spettacoli drammaturgici, adempieva al suo compito didattico mantenendo allo stesso tempo un palinsesto di qualità. La selezione e la raccolta dei programmi da mandare in onda si è rivelata ben presto un’attività superflua tanto che oggi la televisione ha perso questo ruolo didattico, diventando invece nel tempo una “cattiva maestra”.
Il risultato degli ascolti della rappresentazione di De Filippo portata in scena l’altra sera è tuttavia indicativo di una inversione di tendenza degli ultimi anni. Il ciclo delle commedie dedicato ad Eduardo in onda sulla Rai era iniziato il 30 novembre 2010 con “Filumena Marturano” a cui sono seguiti “Napoli milionaria” e “Questi fantasmi”. Proprio da Eduardo era iniziata la stagione delle proiezioni del teatro nel piccolo schermo con il ciclo “Teatro in diretta” (1955-1956) e forse non è un caso che dopo 36 anni di assenza dagli schermi televisivi, l’esperimento è stato portato avanti, partendo proprio dal celebre drammaturgo napoletano e dalle sue commedie in cui la città di Napoli è la protagonista assoluta.
Il risultato ottenuto dimostra infatti una necessità avvertita da parte del grande pubblico di riscoprire una programmazione di qualità e di un desiderio diffuso di poter assistere gratuitamente a questi spettacoli. Una delle ragioni a cui ricondurre questo successo potrebbe essere il costo troppo oneroso degli abbonamenti e degli spettacoli teatrali, non sempre accessibili a tutti, in particolar modo ai giovani (le riduzioni infatti sono riservate solo agli studenti e non sono distribuite in base all’età anagrafica, pertanto una volta terminati gli studi non è più possibile usufruirne).
Nonostante questa nota positiva non bisogna sottovalutare che l’emozione di assistere ad uno spettacolo dal vivo, dove il pathos e l’interpretazione degli attori riescono a coinvolgere e trasportare maggiormente lo spettatore all’interno delle vicende raccontate sul palco, difficilmente potrà essere sostituita dal format del teatro televisivo.
Dopo questo successo di ascolti forse è lecito sperare che la televisione ritrovi nuovamente il suo ruolo di veicolo e mezzo di divulgazione della cultura a basso costo, cercando di far breccia in quanti oggi non possono permettersi i costi onerosi delle sale teatrali. Tale riscontro di pubblico per ora non sembra essere passato inosservato e l’attore Massimo Ranieri ha confermato l’intenzione di proseguire questo progetto portando in onda un ciclo di rappresentazioni di Luigi Pirandello. Che sia un ritorno al ruolo della televisione dei primordi e alla diffusione della cultura per tutte le tasche?
A cura di Cristina da Milano, Ilaria Del Gaudio, Martina De Luca, Giulia Franchi e Valentina Galloni, il volume “I giovani e i musei d’arte contemporanea”, pubblicato da Edisai Edizioni, vuole essere il fedele reportage e insieme l’ideale conclusione del progetto internazionale European museum education and young people: a critical enquiry.
L’iniziativa, finanziata tra i partenariati di apprendimento nell’ambito del Lifelong Learning Program (LLP) – sottoprogramma Grundtving – dell’Education Audiovisual and Culture Executive Agency (EACEA), nasce dall’esigenza di indagare ed analizzare il contesto delle istituzioni museali legate al mondo dell’arte contemporanea, in modo da sfruttarne le potenzialità didattico-formative e mettere a punto delle politiche giovanili in grado di innescare processi di apprendimento innovativi per i ragazzi.
Il volume si pone l’obiettivo di raccontare e raccogliere in maniera sistematica, quasi scientifica, le diverse esperienze e i casi di studio presentati nell’ambito del progetto internazionale, convogliando l’attenzione in maniera più dettagliata e mirata sulla situazione e sulle realtà prettamente italiane.
L’idea alla base della realizzazione di questo testo fa parte, inoltre, di una strategia di diffusione dei risultati prodotti e derivati dal progetto stesso, che vuole la messa in circolo di nuove idee legate al mondo della cultura giovanile.
Il museo assume così un ruolo sociale e diviene un importante polo attrattivo ed educativo in grado di favorire la costruzione identitaria e creare senso di appartenenza.
L’accesso alla cultura, centro dialogico all’interno del testo e argomento apertamente dibattuto nel contesto europeo, deve essere infatti continuamente stimolato e posto tra le priorità perseguite dagli operatori culturali nell’ambito delle azioni di cooperazione e partenariato in ambito culturale e sociale.
Favorire il dialogo e connessioni sinergiche tra attori pubblici e privati e tra gli stakeholder coinvolti è il punto di partenza per l’elaborazione di nuove strategie.
“I giovani e i musei d’arte contemporanea” si contraddistingue inoltre per l’ottimo editing che ne valorizza piacevolmente, da un punto di vista estetico-formale, l’aspetto, presentando al suo interno numerose e variopinte immagini che raccontano anch’esse, insieme alle parole, il contesto educativo nell’ambito del museo.
I giovani e i musei d’arte contemporanea
Cristina da Milano, Ilaria Del Gaudio, Martina De Luca, Giulia Franchi, Valentina Galloni
Edisai Edizioni, € 20,00
ISBN 978-88-95062-86-0
…non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte.
Questa citazione di Leo de Berardinis, uno dei più significativi rappresentanti del teatro di ricerca italiano, può essere considerata a pieno titolo il riassunto breve dell’iniziativa GIOVANI A TEATRO che ormai da anni la Fondazione di Venezia, attraverso la società strumentale Euterpe, porta avanti nel settore teatrale, un impegno che non vuole essere soltanto un’operazione di marketing, ma che parte da bisogni e mancanze per cercare di colmare lacune e costruire nuove coscienze. E tanto più significativi sono il metodo e gli obiettivi della Fondazione in un’Italia in cui, causa crisi e problemi sistemici, il settore culturale sembra aver perso di vista il senso della propria attività e ancor di più una visione prospettica e progettuale.
Forse schiacciati dalle difficoltà della contingenza, forse poco in contatto con quelli che sono i meccanismi e le realtà oltre confine, si è un po’ dimenticato come la cultura non sia un semplice divertissement, ma sia fondamentale per costruire coscienze, civiltà, creare coesione, sviluppare creatività. Elementi che se da un lato migliorano la qualità della nostra vita, dall’altro diventano strumenti indispensabili per lo sviluppo economico e sociale nell’età della conoscenza che stiamo vivendo.
In questo la Fondazione di Venezia sembra essere un piacevole esempio di cosa si può e si deve fare, da un punto di vista manageriale e di spinta etica. Operare oggi per costruire il domani, investire le risorse, poche o tante che siano, in modo che portino un contributo alla società e nuove risorse, a loro volta da investire secondo gli stessi principi. La Fondazione lo sta facendo con il progetto dell’M9, il futuro centro per la storia del ‘900, con l’obiettivo di cambiare un territorio da un punto di vista sociale ed economico recependo le sue istanze e le sue necessità, e da anni lo fa con il progetto GIOVANI A TEATRO, affinché le nuove generazioni possano attingere per lo sviluppo delle proprie coscienze a questo scrigno di saperi ed esperienze e allo stesso tempo diventare futuri “consumatori” di cultura che garantiscano la continuità del settore teatrale.
Il progetto è articolato in differenti iniziative che insistono su quelle che sono le maggiori mancanze/esigenze del teatro. La prima, IL TEATRO IN TASCA!, offre la possibilità di scoprire teatro, musica, danza e opera lirica viaggiando tra i teatri della provincia con un biglietto di soli 2,50 euro. E’ sufficiente richiedere le CARD, gratuite e disponibili per ragazzi fino ai 29 anni, insegnanti, giovani giornalisti e valide per tutti gli appuntamenti della stagione presenti nel programma GIOVANI A TEATRO. Un modo per avvicinare le nuove generazioni e attraverso di esse anche le famiglie, i formatori e gli informatori, per riappropriarsi del teatro come spazio di esperienza, crescita, utilità.
La sezione ESPERIENZE propone, invece, di entrare attraverso laboratori direttamente nella rappresentazione delle arti dal vivo e sviluppa attività di approfondimento a stretto contatto con gli ambasciatori, artisti ed esperti del settore. Il tema scelto per l’edizione 2010-2011 è “Il male”. Prevede laboratori di drammaturgia, teatrali e di danza, percorsi nella scrittura critica teatrale e musicale, realizzazione di operine, percorsi nella visione, nella messa in scena, per capire, facendolo, cosa vuol dire teatro, cosa gli sta dietro, quali emozioni, riflessioni, consapevolezze ne costituiscono la base.
La sezione PORTARE SAPERE (OBIETTIVO INSEGNANTE), infine, pone gli insegnanti al centro di inedite opportunità di conoscenza attraverso la scena, per sperimentare la complessità del presente attraverso il teatro, la danza e la musica. Perché per trasmettere un sapere che sia vivo e vitale e necessario viverlo e parteciparlo, per formare coscienze bisogna avere il coraggio di mettersi in gioco per primi.
Il progetto costituisce anche uno strumento per i teatri del territorio di “fare sistema”, di ragionare non nell’ottica della concorrenza, ma della condivisione delle risorse e di una progettualità comune, andando a coinvolgere a diverso titolo il Teatro Fondamenta Nuove, il Teatro Stabile del Veneto C. Goldoni, il Teatro Universitario Ca’ Foscari a Santa Marta, il Teatro all’ Avogaria, il CTR, il Teatro Junghans, il Palazzetto Bru Zane, l’ Isola di San Servolo a Venezia; il Centro Culturale Candiani, il Teatro A. Momo, il Teatro Toniolo, il Palaplip a Mestre; il Teatro Aurora nella città di Marghera; in provincia i teatri di Cavarzere, Mirano, Jesolo, Mira, Portogruaro, Noventa di Piave, S. Stino di Livenza, Scorzé.
Uno dei percorsi di punta del progetto, iniziato in questi giorni, è “IL TEATRO DELLE LINGUE – Ovvero una solitudine molto rumorosa” un percorso di 6 monologhi e 6 incontri con gli autori-attori dedicato in particolare agli assoli teatrali. Un programma coordinato per quanto riguarda la Fondazione da Cristina Palumbo e Leonardo Mello e curato da Paolo Puppa, ordinario di Storia del Teatro a Ca’ Foscari, aperto a tesserati e non, ricco di nomi quali Oscar De Summa, Robero Corradino, Andrea Cosentino, Gianfranco Berardi, Gaetano Ventriglia, Daniele Timpano. Un viaggio non solo alla scoperta delle loro opere, ma anche dei linguaggi dell’Italia, dal momento che ogni rappresentazione prevederà l’uso sia dell’italiano che dei diversi dialetti di provenienza degli autori, per scoprire che, anche in questo caso, la differenza è ricchezza. Il giorno successivo ad ogni spettacolo gli autori, inoltre, incontrano il pubblico per un confronto e un approfondimento critico nella sala incontri della Fondazione di Venezia.
“IL TEATRO DELLE LINGUE” proseguirà poi con un convegno internazionale e, nell’autunno, con una seconda sessione di spettacoli provenienti da Sardegna, Piemonte, Emilia Romagna, Calabria e Veneto. Il teatro si fa così strumento di promozione della conoscenza come patrimonio sociale, contro le emozioni teleguidate, si riappropria di quel ruolo sociale che la cultura può e dovrebbe avere, anche in un’Italia in crisi.
L’idea di base è semplice, ma comunque estremamente innovativa: un unico punto di accesso, il sito internet www.edumusei.it, in cui reperire informazioni sulle proposte didattiche delle strutture museali della regione Toscana. L’aspetto più interessante risiede tuttavia nel fatto che i destinatari del servizio non sono tanto i bambini e i ragazzi in età scolare, o meglio, non lo sono in modo diretto: lo sono, piuttosto, gli insegnanti delle scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado, cui la stessa Regione Toscana riconosce un ruolo chiave per la promozione e lo sviluppo della didattica museale. Nell’ambito dell’autonomia di programmazione dei percorsi educativi e dei programmi scolastici, infatti, l’informazione continua e costantemente aggiornata degli insegnanti riguardo alle proposte formative dei musei toscani costituisce una vera opportunità di crescita per i musei stessi.
Le attività educative, infatti, rappresentano parte costituiva del museo stesso, come espressamente dichiarato nel codice deontologico dell’International Council of Museums (ICOM): “al museo spetta l’importante compito di potenziare la funzione educativa e di richiamare un pubblico più ampio, facendo appello a tutte le componenti della comunità, del territorio o del gruppo cui il museo fa riferimento. Il pubblico deve avere l’opportunità di collaborare con il museo per sostenerne le finalità e le attività”.
I musei che hanno preso parte all’iniziativa Edumusei sono più di 290, ovvero tutti quelli che a partire dall’anno 2002 hanno risposto al Censimento delle Opportunità Educative nei musei toscani, condotto per conto del Dipartimento delle politiche formative e dei Beni Culturali dal Museo del Tessuto di Prato, che tuttora si occupa del costante aggiornamento dell’offerta didattica e della stessa banca dati.
Ogni museo, dunque, ha una pagina dedicata all’interno del sito, nella quale sono presentate tutte le iniziative didattiche e, quindi, la disponibilità di visite guidate, gratuite o a pagamento, di laboratori, lezioni frontali, seminari e così via, indicando per ciascuna di esse i destinatari specifici. In questo senso Edumusei rappresenta, specie per le realtà museali più piccole e periferiche, l’opportunità di promuoversi in maniera completamente gratuita, entrando a far parte di una rete informativa dotata di grande visibilità, con tutto il portato di ricadute economiche e, soprattutto, sociali e culturali che una maggiore frequentazione dei musei e una partecipazione più viva alle attività didattiche possono generare sul territorio.
Non solo strumento di promozione, tuttavia, ma anche luogo di scambio virtuale tra musei, istituzioni scolastiche e grande pubblico. Una sezione del portale, infatti, è dedicata alla comunicazione delle iniziative di formazione destinate a tutti coloro che sono coinvolti con il settore della didattica museale, quindi sia insegnanti che operatori museali. In più, lo stesso Edumusei diviene promotore di occasioni formative: periodicamente sono organizzate le Giornate di Edumusei, ovvero occasioni di incontro tra istituzioni museali e scolastiche per l’aggiornamento e l’approfondimento delle tematiche e delle problematiche connesse con la didattica museale.
Inoltre, è stata istituita l’Edumuseicard, una carta destinata agli insegnanti che dà loro diritto a diverse agevolazioni: dall’ingresso gratuito o ridotto in alcuni musei, agli sconti sulle attività didattiche o sugli acquisti di pubblicazioni o gadget nei bookshop. Anche in questo caso, dunque, l’intento è quello di promuovere indirettamente l’attività didattica dei musei toscani, facendola conoscere e sperimentare a chi poi sceglierà di farvi prendere parte le proprie classi scolastiche.
Per tutti questi motivi Edumusei è più di una semplice banca dati online dell’offerta didattica dei musei toscani: è piuttosto un validissimo strumento per favorire l’avvicinamento delle nuove generazioni al mondo dei musei, che contribuisce a porre le basi per quello che sarà il rapporto che i giovani avranno da adulti con i musei e più in generale con l’offerta artistica e culturale del proprio territorio.