Cosa hanno in comune videogiochi e cultura? Molto più di quel che crediate!

A dimostrarlo è l’evento Playing The Game, la cui seconda edizione si terrà a Milano il 26 e 27 ottobre, nei locali della Santeria, spazio noto tra i giovani più avant-garde del capoluogo lombardo.

PLAYINGTHEGAME
Qui sarà possibile scoprire nel fine settimana il dialogo che intercorre tra videogames, arte, musica e design, in una manifestazione pubblica e gratuita che vuole dare nuova dignità al settore dei giochi virtuali, attorno cui ruotano professionalità diverse ed elevate, dagli sceneggiatori ai designer, dai grafici agli sviluppatori, per giungere a prodotti davvero di alto livello.
Il tema di quest’anno è “Videogiochi indipendenti in dialogo con arti e culture” e suona dunque come un invito per tutti, diretto anche a chi non è proprio un esperto del gaming, ma preferisce magari mostre e musei.

Nell’appuntamento milanese saranno presentati in particolare tre progetti che il pubblico potrà scoprire autonomamente. Si tratta di Bosch Art Game, Brush Chronicles e Will Love Tear us Apart.

Bosch Art Game è stato lanciato dalla Fondazione Jheronimus Bosch 500 che ha indetto un concorso internazionale volto a creare videogiochi attorno all’opera del pittore olandese. Ad aggiudicarsi l’edizione 2013 del premio è stato tra l’altro il duo italiano We Are Muesli con il loro Cave! Cave! Deus Videt!

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A Playing The Game sarà presente Iris Peter, coordinatrice del progetto Bosch Art Game, che illustrerà anche i prototipi degli altri giochi finalisti del contest.

 

Brush Chronicles è invece l’idea di Wannabe-Studios, gruppo di sviluppatori indipendenti con sede a Reggio Emilia. Si tratta di un videogioco ambientato all’interno di dipinti famosi della storia dell’arte, in cui si richiede di recuperare il colore perduto delle opere. La vocazione “edutainment” lo rende un prodotto particolarmente adatto al target di studenti delle classi secondarie. La versione presentata a Playing The Game pone al centro del gioco la tela di Salvador Dalì “La persistenza della memoria” del 1931.

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Will Love Tear us Apartcome ricorderete, è la canzone del gruppo punk Joy Division, ma anche il titolo del videogame realizzato dalla maltese Mighty Box GamesIl testo della canzone ha infatti ispirato gli sviluppatori che hanno utilizzato ciascun verso del brano per creare ogni livello del gioco: il lato oscuro dell’amore è così il tema principale del game. Will Love Tear us Apart sarà presentato al pubblico di Playing The Game dal Project Manager Costantino Oliva.

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Game:ART:Gallery esporrà inoltre 14 opere realizzate con diverse metodologie artistiche da noti game artist, che si rifanno alle ultime acquisizioni del Moma. GameSearch.it metterà poi a disposizione del pubblico una ricercata selezione di videogame per una vera e propria full immersion. Nella giornata di sabato, da non perdere la mostra allestita da OVOSONICO con i disegni di Murasaki Baby.

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Da quanto tempo non giocate a Monopoly? Probabilmente da tanto visto che nessuno ha più così tante ore libere da dedicare ad uno dei più classici ed intramontabili giochi da tavola.

Forse è stato proprio partendo da questa considerazione che l’editore statunitense Hasbro proporrà, per il prossimo Natale, la versione Monopoly Empire: non più casette ed alberghi o partecipazioni statali per la società ferroviaria od elettrica bensì azioni e grattacieli da conquistare in Borsa. Segno dei tempi che cambiano: tanto che la nuova versione del gioco prevede partite di massimo mezz’ora dove i giocatori, improvvisati manager, dovranno riempire i loro grattacieli di mega cartelloni pubblicitari, investendo azioni, comprando e rilanciando in aziende come Yahoo, Samsung, Coca-Cola o Nestlè.monopolyepire1

Non si tratta però di speculazione, tengono a precisare dalla casa madre, ma solo di una corsa verso chi riesce ad arricchirsi più velocemente: anche questo specchio della società iperattiva e capitalista in cui viviamo?

Fatto sta che comunque la nuova versione di Monopoly andrà solo ad affiancarsi alla classica, senza sostituirla. Un primo passo verso quell’opera di “svecchiamento” che la Hasbro sta operando e che si inserisce in operazioni economiche (vere questa volta) che l’azienda sta compiendo: dopo l’investimento di 112 milioni di dollari nell’acquisizione del 70% di Balckflip Studios, società di sviluppatori attiva nel campo delle app per giochi, Hasbro mantiene infatti la sua volontà di diversificare il mercato, proponendo versioni tecnologicamente avanzate e app per device mobili dedicate ai suoi celebri giochi.

Frutto della crisi generale che sta investendo il settore del gaming: i ricavi dell’azienda sono infatti calati di circa il 6% in questo secondo trimestre del 2013, così come anche quelli dei principali competitor, come il marchio Mattel, ad esempio, che ha registrato anch’esso risultati al di sotto delle aspettative.

Venduto in 111 paesi e disponibile in 43 lingue, la nuova versione del Monopoly arriverà per il momento in Francia per poi estendersi al mercato mondiale.

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Ah, ovviamente dimenticate il fiaschetto o il funghetto come pedine: un pacchetto di patatine di Mc Donald’s, una consolle Xbox e un auto da corsa fiammante e laccata in oro andranno a sostituirli, icone sicuramente più adatte ai nuovi (finti) manager del XXI secolo.

Alla sociologia della complessità l’analisi del fenomeno Ruzzle tocca per definizione e per colpa.
Sette milioni di italiani giocano a Ruzzle, gli uni contro gli altri, in scontri feroci in cui l’analfabetismo di ritorno si scontra con il senso unico dell’identità digitale. È apparso all’improvviso, come fu del mapo, di Internet o dei Jalisse.
Si vince e si perde compulsivamente, senza chiedersi il perché. Giocano le manager di Voghera contro le casalinghe di Shangai, i personal trainer di Cologno Monzese contro i casari della Barbagia. Si fa sui bus, metro, in classe, in ufficio. Viene quasi da chiedersi se il Papa si sia dimesso perché gli hanno imposto Twitter, quando invece lui voleva giocare a Ruzzle in latino contro il patriarca ortodosso.
La complessità del fenomeno si radica in una sana riscoperta dei lemmi più arcaici e desueti dello Zingarelli, talmente consapevole che i migliori giocatori combinano le lettere a caso alternando vocali e consonanti, certi che anche a scrivere male prima o poi ci si azzecca.
L’analisi di Ruzzle non si concentra però sul gioco in sé, ma su quella del gioco in te.
In esso vi è un apparente barlume di cultura e, si sa, tira più un po’ di cultura che una vasca di nutella. Un po’ rimanda con la memoria predigitale, a quando si andava in libreria a sfogliare i classici russi solo perché qualcuno/a ci notasse.
In molte università americane, Ruzzle è oggetto di studio la metamorfosi esistenziale di molti giocatori che grazie a questo gioco fanno pieni di autostima che poche droghe artificiali sono in grado di restituire. Questo vale sia per i secchioni, che a scuola erano abituati a essere i primi della classe, ma nella vita hanno visto i raccomandati sulla corsia del sorpasso, e che qui ci danno dentro e rivivono le stesse estasi adolescenziali; sia per i furbetti che copiavano fin dalla materna e, di Ruzzle, imparano prima i trucchetti e tutte le parole di 3 e 4 lettere e poi sfidano i secchioni nei momenti di maggior stanchezza e negli orari più disagevoli, certi che comunque abboccheranno.
Sfidandosi a chi ce l’ha più lungo, il lemma, si ripercorre in fondo la storia dell’umanità sino alle origini. Hai in fondo la certezza che in un paese democratico dovresti poter sfidare a Ruzzle i candidati alle elezioni per verificare che siano degni, che siano meglio di te, che non selezionino IVA e IMU preferendo IRTO o EVO.
Come detto, l’analisi sociologica è solo agli inizi e ma in questa enorme bolla di inutilità ci sarà da inzuppare fior fiore di commenti.

 

Samuel Saltafossi è sociologo della complessità