carignanoLa grave crisi del sistema delle fondazioni lirico-sinfoniche ha imposto al Governo un intervento di salvataggio, operato con il d.l. “Valore Cultura” n. 91 del 8 agosto 2013, in G.U. 9 agosto 2013. Il provvedimento, accanto ad un incisivo sostegno finanziario alle fondazioni maggiormente bisognose – accompagnato da una rimodulazione forzata dei costi ed una ristrutturazione del debito – impone altresì una revisione della governance delle fondazioni. La materia, fino ad oggi disciplinata dal d.lgs 367/1996 (c.d. Legge Veltroni) ha infatti evidenziato gravi profili di inefficienza sia sotto il profilo dell’adeguatezza del sistema dei controlli, sia, per l’effetto, sotto il profilo dell’efficacia del sistema sanzionatorio.

Il sistema di governance delineato dalla Legge Veltroni
Una corretta interpretazione sistematica della disciplina vigente, confermata dalla prassi assolutamente dominante, evidenzia infatti come l’organo cui il d.lgs. 367/1996 pareva aver formalmente demandato il potere di amministrazione, ossia il Consiglio di amministrazione, abbia in realtà un ruolo del tutto subordinato rispetto al Sovrintendente.
Questi, nel sistema della Legge Veltroni, risulta essere il vero titolare del potere gestorio, là dove gli viene attribuita in via esclusiva la gestione della produzione artistica della fondazione e delle attività? connesse e strumentali: in pratica l’intera attività tipica dell’ente. Il Sovrintendente predispone altresì il bilancio preventivo ed il progetto di bilancio consuntivo e tiene la contabilità della fondazione.

Il Consiglio, per contro, è chiamato unicamente ad approvare la programmazione artistica, il bilancio preventivo ed il bilancio consuntivo, tutti predisposti dal Sovrintendente, senza disporre di un potere propositivo alternativo e senza poter verificare, nel corso dell’esercizio, l’effettivo rispetto delle indicazioni fornite e del vincolo di bilancio.
In sostanza, il diritto vivente, così come risultante anche dagli statuti delle fondazioni, ha modellato un sistema di governance assimilabile al sistema dualistico di matrice tedesca, articolato in un organo di indirizzo (l’Aufsichtsrat, qui rappresentato dal Consiglio di Amministrazione) e l’organo di gestione (il Vorstand, qui rappresentato dal Sovrintendente).

In questo quadro, la confusione tra il piano formale, che attribuisce l’amministrazione della fondazione al Consiglio, e piano sostanziale, che invece vede il Sovrintendente quale unico titolare effettivo del potere gestorio, ha reso sostanzialmente inefficace il sistema di controlli ed il collegato impianto sanzionatorio. Ed infatti, non sono noti in giurisprudenza precedenti relativi all’esercizio di azioni di responsabilità dal Consiglio verso i Sovrintendenti, pur dinanzi a significative perdite patite dalle fondazioni per effetto di gestioni non sempre ineccepibili.

La riforma operata dal d.l. Valore Cultura
Il passaggio dal sistema dettato dal d.lgs. 367/1996 a quello introdotto dal decreto Valore Cultura lascerebbe supporre, ad una prima lettura, un completo stravolgimento del sistema di governance delle fondazioni: gli organi necessari passano da quattro a cinque e, tra questi, scompare il Consiglio di amministrazione, ora sostituito dal Consiglio di indirizzo. La nuova struttura si articola così in cinque organi necessari: il Presidente, il Consiglio di indirizzo, il Sovrintendente, l’Organo monocratico di monitoraggio e il Collegio dei revisori dei conti.
Una riflessione più attenta induce peraltro ad affermare che la nuova normativa, lungi dall’apportare una rivoluzione della disciplina, come era accaduto in occasione del superamento della Legge Corona da parte della Legge Veltroni, si sia limitata piuttosto ad adeguare la forma alla sostanza, liberando il sistema dalle aporie e contraddizioni evidenziate nelle pagine che precedono. Le competenze di ciascun organo risultano delineate con maggior chiarezza rispetto al passato ed è oggi possibile individuare il soggetto titolare del potere gestorio (il Sovrintendente), l’organo di indirizzo (il Consiglio di indirizzo) e gli organi con funzioni di controllo (l’Organo monocratico di monitoraggio ed il Collegio dei revisori).

L’aspetto centrale della riforma del sistema riguarda i rapporti tra il Sovrintendente e il Consiglio di indirizzo.
Il Sovrintendente è oggi espressamente definito “unico organo di gestione”, così superando le incertezze sollevate dalla disciplina previgente. Questi viene nominato dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo su proposta del Consiglio di indirizzo e può essere coadiuvato da un direttore artistico e da un direttore amministrativo.
Quanto al Consiglio di indirizzo, l’unica competenza prevista per legge è rappresentata dal potere di proposta al Ministro – apparentemente vincolante – del nominativo del Sovrintendente. Ancora, si soggiunge al comma 17 dell’art. 11, d.l. Valore Cultura, che il Consiglio esercita la proprie funzioni “con l’obbligo di assicurare il pareggio del bilancio”.
Quali siano tali funzioni, tuttavia, non risulta espressamente dalla riforma e occorre procedere pertanto a ricostruire il sistema sulla base delle previsioni della l. 367/1996, nella parte in cui è ancora compatibile con le nuove disposizioni, nonché sulla base dei riferimenti al Consiglio di indirizzo che possono cogliersi indirettamente dalla disciplina degli altri organi.
Deve così ritenersi che il Consiglio di indirizzo, così come in precedenza il Consiglio di amministrazione nel vigore del d.lgs. 367/1996, debba approvare il bilancio preventivo ed il bilancio consuntivo predisposti dal Sovrintendente, là dove nel nostro sistema non è ammesso lo svolgimento di attività gestoria nell’interesse altrui senza un parallelo obbligo di rendicontazione verso il soggetto nel cui interesse l’attività è svolta, ossia i soci fondatori, a loro volta rappresentati dai componenti del Consiglio.
Nascosta, per così dire, tra le pieghe del decreto, l’art. 11, comma 19, attribuisce inoltre al Consiglio la determinazione della pianta organica della fondazione, previa verifica dell’organo di controllo.

Infine, il Consiglio deve poter esprimere delle indicazioni “di indirizzo” al Sovrintendente circa il merito della gestione, con portata vincolante quantomeno con riferimento agli aspetti economici. In difetto, non troverebbe giustificazione la denominazione attribuita all’organo (definito appunto “di indirizzo”), né la responsabilità espressamente prevista a carico dei consiglieri, non potendosi prevedere responsabilità senza potere.
Nella pratica, deve ritenersi che così come già accadeva nel vigore del d.lgs 367/1996, il Sovrintendente debba predisporre annualmente il programma artistico della stagione, unitamente ad una previsione dei costi relativi, da sottoporre all’approvazione del Consiglio di indirizzo. Questo, a sua volta, dovrà valutare la compatibilità del programma della stagione con il bilancio preventivo e la situazione economica, patrimoniale e finanziaria della fondazione, bocciando ogni proposta che non fosse conforme all’obbligo di pareggio di bilancio. Ritengo peraltro che il Consiglio possa altresì bocciare la proposta di programmazione dissentendo sul merito delle scelte artistiche, rimanendo peraltro preclusa la possibilità di apportare alla programmazione modifiche non condivise dal Sovrintendente.

Venendo ora al sistema dei controlli, il decreto Valore Cultura introduce una distinzione tra controllo di legittimità e controllo contabile, già nota alla disciplina delle società azionarie.
Il controllo di legittimità degli atti adottati dall’organo di gestione è affidato all’Organo monocratico di monitoraggio. Questo ha il compito di verificare la sostenibilità economico-finanziaria e la corrispondenza degli atti adottati dall’organo di gestione (il Sovrintendente) con le indicazioni formulate dall’organo di indirizzo (il Consiglio di indirizzo), inviando almeno ogni due mesi una relazione al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo sull’attività di validazione svolta, secondo un prospetto definito con decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo.
Il controllo contabile è attribuito al Collegio dei revisori dei conti. Manca tuttavia nel Decreto Valore Cultura qualsiasi riferimento espresso circa le competenze dell’organo che, sulla base di un’interpretazione sistematica, devono essere assimilate a quelle del revisore contabile, oggi previste dal d.lgs. 39/2010. Il Collegio dei revisori deve quindi verificare la correttezza dei documenti contabili predisposti dal Sovrintendente, così fornendo l’ultimo – e fondamentale – elemento necessario al funzionamento del nuovo sistema di governance

Considerazioni di sintesi
Il sistema dettato dal decreto Valore Cultura ha senz’altro razionalizzato la governance delle fondazioni lirico-sinfoniche, oggi finalmente caratterizzata da una chiara separazione di poteri.
Il processo decisionale origina dal Sovrintendente, cui è rimessa la programmazione dell’attività della fondazione, mediante la predisposizione dei piani strategici, industriali e finanziari (cfr. art. 2381 c.c.), preventivamente sottoposti al vaglio di correttezza contabile da parte del Collegio dei revisori e, quindi, all’approvazione vincolante del Consiglio di indirizzo.
L’attività gestoria è invece rimessa alla competenza esclusiva del Sovrintendente ed è soggetta al controllo dell’Organo monocratico di monitoraggio, chiamato a verificare la corrispondenza dei singoli atti gestori posti in essere dal Sovrintendente ai deliberati del Consiglio di indirizzo ed al vincolo di bilancio, dovendo tempestivamente relazionare all’autorità governativa ogni violazione.
Infine, al termine dell’esercizio, il Sovrintendente è chiamato a rendicontare al Consiglio di indirizzo, mediante la predisposizione del progetto di bilancio previamente sottoposto all’esame del Collegio dei revisori, il risultato dell’attività svolta.
Resta da rilevare l’evidente aporia rappresentata dalla previsione contenuta nell’art. 11, comma 17, del d.l. Valore Cultura, che richiama unicamente la responsabilità erariale dei componenti del Consiglio di indirizzo nell’ipotesi di violazione dell’obbligo di pareggio del bilancio.

Invero, è stato chiarito che il Consiglio non ha alcun potere gestorio (spettante al Sovrintendente) né di controllo (spettante all’Organo monocratico di monitoraggio) e, conseguentemente, non può essere gravato da responsabilità in relazione alle eventuali perdite d’esercizio, delle quali è unicamente chiamato a prendere atto al momento dell’approvazione del bilancio consuntivo. Le uniche ipotesi di responsabilità del Consiglio riguardano l’eventuale approvazione di un bilancio preventivo che chiuda in perdita, ovvero l’approvazione di una programmazione artistica non conforme al bilancio preventivo che comporti, per l’effetto, la violazione del vincolo di pareggio del bilancio.
Salve le ipotesi sopra descritte relative alla violazione “programmatica” dell’economicità della gestione, l’assetto dei poteri e dei doveri risultante dalla riforma evidenzia come la responsabilità per la violazione in concreto dell’obbligo di pareggio di bilancio debba essere attribuita al Sovrintendente, quale unico titolare del potere gestorio, nonché all’Organo monocratico di monitoraggio, quale titolare del potere-dovere di controllo. Soggetti, questi, incomprensibilmente ignorati dal legislatore che, nel disciplinare le responsabilità, pare aver scordato la portata delle riforme introdotte nella governance delle fondazioni; carenza cui peraltro si potrà auspicabilmente sopperire nella legge di conversione.

balloinmaschScoppia la polemica per “Un ballo in maschera” trasformato dal regista Michieletto in festa elettorale con tanto di prostitute e faccendiere. Volano insulti tra le fazioni e cresce la tentazione di bandire le messe in scena innovative. Che fare?

Non è compito di queste poche righe giudicare una regia d’opera o darsi al delicato mestiere della critica musicale. Ma quando le dispute da loggione finiscono sulla stampa per la loro insolita veemenza, forse qualche pensiero può emergere. L’opera è teatro musicale, si può reggere soltanto se la musica, la parola e il gesto camminano insieme e si rafforzano a vicenda.

E’ vero che, nel sistema tendenzialmente mummificato della lirica italiana sulle cui sorti pesano le barriere sindacali, gli interessi delle agenzie, l’ignavia del legislatore, la compiacenza del governo e ogni tanto la nostalgia dei loggionisti, si finisce spesso per preferire interpretazioni musicali e messe in scena piuttosto obsolete e ogni tanto anche carnevalesche; è altrettanto vero che la risposta a questa lettura gozzaniana tende spesso a esplorare le aree scomposte e patetiche dell’eccesso, tentando di épater le bourgeois con mezzucci da avanspettacolo, dalla Harley Davidson di Compare Turiddu (un bel po’ di anni fa a Taormina) agli abiti da escort stradale della povera Amelia (qualche giorno fa alla Scala).

Il punto dolente non risiede nella scelta di ambientare un’opera in tempi diversi dall’originale, sono per fortuna molti i casi – pur discussi e contestati – in cui il regista e il direttore si parlano e costruiscono insieme una lettura strategica dell’opera: “Così fan tutte” diretta da Harding e messa in scena da Chéreau a Aix-en-Provence qualche anno fa sceglie una rarefazione elegante, sottrae spazio agli orpelli scenici e mette l’accento sulle dinamiche sentimentali, tanto nello spartito quanto sulle tavole del palcoscenico. Così va bene. Può piacere o meno, ma è il frutto di una scelta circostanziata e poco interessata agli effetti speciali. “Die Zauberflöte” messa in scena da Peter Brook, così come “La Bohème” a Vigliena firmata da Francesco Saponaro riducono l’organico a un pianoforte, ma lasciano che voci, gesti ed espressioni rispettino del tutto l’intenzione del compositore.

Sono decine gli esempi di regie non convenzionali e al tempo stesso intelligenti e pertinenti. Dario Fo fa giocare Figaro e Almaviva con una carriola di giocattoli, Ugo Gregoretti trasforma Belcore in un vigilante rissoso, Claudio Desderi (baritono e direttore) mette in scena “Le nozze di Figaro” con due poltrone e basta. E la cosa funziona magnificamente. Certo, bisogna evitare effetti a buon mercato, a questo penseranno sovrintendenti e direttori artistici. Ma connettere l’opera con la società contemporanea aiuta a pensare, toccando i nostri nervi scoperti e mostrando quanto l’opera sia attuale e feroce, nonostante la musealizzazione che la aggredisce quotidianamente.

Il morbo è sempre quello: pensare che il pubblico sia in fondo ignorante e passivo, quindi, o lo si addormenta con messe in scena soporifere e già previste, o lo si elettrizza con lenoni, barattieri e femine da conio (come avrebbe detto il padre Dante). Il fatto è che mentre si litiga tra loggione e proscenio, ci si continua a dividere in guelfi e ghibellini anche sulle sublimi finzioni dell’opera, combattendo la solita guerra scema tra culture e nazioni, l’opera lirica sta per esalare l’ultimo respiro, melodrammaticamente. Gli effetti speciali servono a poco; forse basterebbe rileggere le partiture per comprenderne a fondo la potenza: orchestre asciutte, cantanti giovani e capaci di recitare davvero, direttori curiosi e registi acuti non mancano. Sono le fondazioni a dover diventare adulte.

 

Michele Trimarchi è Professore di Analisi Economica del Diritto all’Università di Catanzaro

Musica antica, troppo costosa e perciò non adatta ad un pubblico giovanile se non a coloro che fanno parte di questa raffinata elite. Un cliché che si sta ormai consolidando da anni nella mentalità italiana, ma che un esperimento di successo è riuscito a scalfire.

Per tutti i ragazzi, curiosi di avvicinarsi al mondo della musica classica, ma anche per tutti coloro che conoscono a memoria le note dei grandi compositori del passato, è nato tre anni fa il progetto “Pappano in web”. Una ricetta semplice, che unisce musica di qualità, guidata da noti direttori d’orchestra, servendosi del canale online che permette di divulgare l’intero concerto, al di fuori delle porte chiuse della silenziosa sala e rendendolo fruibile gratuitamente in diretta streaming.

Protagonisti di questo progetto sono l’Orchestra sinfonica e il coro dell’Accademia di Santa Cecilia, di cui il maestro Antonio Pappano è il direttore, e Telecom Italia Group che ha reso possibile la realizzazione della diretta web. La musica classica diventa interattiva, ma anche social e si avvicina al mondo dei giovani, sfruttando gli strumenti a loro più familiari: non solo la piattaforma web, ma anche canali Facebook e hashtag Twitter (#pappanoinweb) per avere aggiornamenti costanti.

In questo modo non solo riuscirete a vivere le atmosfere e le emozioni che si respirano nella sala dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, ma avrete anche l’occasione di approfondire l’evento in corso, sia prima dell’inizio del concerto, grazie alle guide all’ascolto e alle lezioni-conversazioni, realizzate dal musicologo Giovanni Bietti e dallo stesso Antonio Pappano, ma anche durante le pause dello spettacolo: in sala si riaccendono le luci, ma contemporaneamente, nel back stage, i protagonisti del palcoscenico vengono intervistati per il pubblico online, che potrà soddisfare tutta la propria curiosità, ponendo delle domande in diretta, collegandovi con la chat monitorata dagli operatori.

L’ultimo appuntamento si è tenuto lo scorso 24 aprile e a dirigere l’orchestra nell’esecuzione di tre concerti di Amadeus Mozart è stato il maestro Uto Ughi, mentre il primo spettacolo, è stato condotto dallo stesso Antonio Pappano che ha inaugurato lo scorso 18 marzo questa terza edizione del progetto con le note della “Sinfonia Patetica” ?ajkovskij. Se non avete potuto partecipare né seguire la diretta streaming, o se volete rivivere l’emozione dell’esecuzione musicale, non preoccupatevi: sul sito infatti tutti i concerti rimangono disponibili sino al prossimo 24 maggio 2014, decisamente il tempo necessario per godersi tranquillamente lo spettacolo in qualsiasi momento, sempre in modalità gratuita.

Intanto, se volete assistere di persona all’evento, l’ultimo appuntamento da non perdere è programmato per il prossimo lunedì 27 maggio, con l’esecuzione dalle 21.00 in poi del Quartetto di Verdi, La Serenata di Britten e la Sinfonia n.5 di Beethoven. Perciò preparate il vostro computer e le casse per trasformare il vostro salone nella sala dell’Auditorium, e godervi gratuitamente le emozioni delle note classiche.

 

Quale è la distanza tra le nuove generazioni e la lirica? In Italia sempre meno grazie a internet, alle nuove app, ai cinema e alle associazioni che stanno nascendo.
Nuovi linguaggi e nuovi supporti che creano un ponte tra i giovani e la tradizione. In Italia è nato da poco un movimento che riunisce i grandi teatri, l’Opera e i più giovani. Lo scorso 13 novembre al Palazzetto Bru Zane – Centre de musique romantique française di Venezia si è tenuta una importante conferenza stampa per presentare Elektra, un network tutto italiano formato da giovani sotto i 30 anni amanti della lirica. Quattro associazioni giovanili, quali Juvenice Giovani Amici della Fenice, Milano per La Scala e Amici del Filarmonico di Verona con le rispettive sezioni giovani e La Barcaccia i giovani del Carlo Felice, si sono messi all’opera dando vita al progetto, appunto, di “Giovani all’Opera” promosso da giganti quali Fondazione Teatro La Fenice, Arena di Verona, Teatro alla Scala, Teatro Carlo Felice e Palazzetto Bru Zane.

 

L’iniziativa – che non a caso parte nell’anno in cui cade il bicentenario della nascita di due grandi compositori quali Wagner e Verdi – permette ai giovani che aderiscono a questo gruppo di assistere a concerti e Opere con soli 10 euro e, soprattutto, di far parte di un’associazione che si sta espandendo a livello europeo. Tale progetto rientra in un impegno più ampio da parte delle istituzioni di svecchiare il proprio pubblico e di avvicinarlo alle opere di Bizet, Verdi e Puccini. Da qui, si intuisce come da tempo sia iniziato un silenzioso ma caparbio ingresso dei giovani nel mondo della lirica e dell’Opera. Attualmente stiamo assistendo alla nascita, in quasi tutti i teatri, di formule di membership per fidelizzare non solo coloro forniti di un portafogli più consistente, ma anche i giovani e i giovanissimi.
L’Associazione degli Amici del Teatro Comunale di Bologna ha previsto che si possano tesserare anche i ragazzi sotto i 14 anni, con una quota di 20 euro e grazie alla quale hanno accesso alle prove, ai laboratori didattici e ad eventi specifici. Sono uno dei pochi casi italiani di Amici così giovani di un teatro ma, soprattutto, rappresentano più della metà dell’associazione bolognese. La Scala ha messo a punto da un paio di anni PassUNDER 30, una tessera che dà sconti notevoli sui biglietti e che mette in campo una community di under trentenni interessati a questo tipo di repertorio.

 

La Fondazione Fenice di Venezia ha ormai consolidato il suo rapporto con i giovani, anche grazie alla collaborazione con gli studenti delle università e dell’Accademia di Belle Arti. In tal senso, ricordiamo Luca Ronconi che lo scorso anno ha portato in scena Intolleranza 1960 di Luigi Nono, lavorando a stretto contatto con i ragazzi della Facoltà di Design e Arte dell’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, i quali si sono dedicati alla realizzazione dello spettacolo, seguendo le fasi di sviluppo anche creativo, dalla scenografia alla regia. Anche nel nostro Paese, seppure lentamente, la lirica si sta facendo strada nei cinema e su internet. Con un biglietto, quasi sempre a poco prezzo – a uno zero contro le poltrone dei teatri che conteggiano due zeri – si può assistere a registrazioni di alta qualità, che trascinano lo spettatore nel corpo vivo dell’opera, gli mostrano le espressioni facciali dei cantanti e lo invitano a vedere cosa accade negli intermezzi, quando la tenda rossa cala. La Cineteca di Bologna, ad esempio, porta nelle proprie sale gli allestimenti del Metropolitan Opera di New York, della Royal Opera House di Londra e quelli del Bolshoi di Mosca. Il Teatro Carlo Felice di Genova ha stipulato un accordo con la piattaforma streaming MyMovies.it, che dà la possibilità di rivedere tutto il cartellone operistico e di danza attraverso un canale online. E proprio citando il binomio internet e lirica – a prima vista anomalo – non si può non menzionare Opera: un’applicazione per Iphone e Ipad, una piccola enciclopedia mobile sul mondo della lirica che offre le sinossi delle opere, le locandine e i libretti, senza tralasciare una descrizione del primo debutto.

Per avere maggiori informazioni, è possibile consultare i seguenti siti:

Elektra Opera

App per gli amanti della musica lirica

 

Nella foto il mezzosoprano Cecilia Bartoli

Venerdì 13 luglio parte a Viterbo, con l’opera “Gianni Schicchi” di Giacomo Puccini, il sesto Tuscia Operafestival, che quest’anno sarà affiancato dal Festival Barocco, giunto invece alla quarantunesima edizione.
L’intelligente scelta di operare questo connubio, come ci spiega il Maestro Stefano Vignati, Direttore artistico della kermesse, deriva da esigenze di ordine economico e pratico: “Tutti dovrebbero ricorrere a cooperazioni e coproduzioni, dagli enti alle fondazioni liriche, a finire con le associazioni: questo dà la possibilità di giungere a produzioni migliori abbattendo i costi.  E’ inoltre necessario ottimizzare ogni risorsa, come abbiamo fatto con il Tuscia Operafestival e il Festival Barocco a livello di pubblicità: li abbiamo promossi separatamente pur presentandoli congiuntamente”. Il Maestro Vignati ha inoltre voluto ribadire il ruolo importante ricoperto dalle istituzioni: “Il Festival si regge anche grazie alle amministrazioni, perché il nostro evento porta fondi dall’estero, da progetti di formazione, con un mosaico complesso e variegato fatto di cooperazioni, ricerca di sponsor anche minimi e finanziatori dall’estero. La leva economica che generiamo sul territorio tra l’indotto diretto e indiretto è considerevole: ogni investimento ha un ritorno pari a dieci volte tanto. Dinanzi a tali risultati, come si fa a non parlare di economia in ambito culturale!”.
Madrina di questo appuntamento viterbese è la grande Lina Wertmuller che ha così rinnovato il proprio sostegno all’evento: “E’ un bellissimo festival, così come la città. Ho avuto piacevoli esperienze per cui torno sempre con piacere”, pregiandolo anche dello spettacolo “Giamburrasca”, da lei diretto e interpretato da Elio de “Le storie tese”.
Il Tuscia Operafestival si appresta infatti a debuttare con un programma variegato e articolato, nonostante il periodo economico non proprio favorevole. Il Direttore Stefano Vignati ha così commentato il tentativo di democratizzare l’evento: “Il costo dei biglietti è stato abbassato drasticamente e progressivamente in questi ultimi anni perché ci rendiamo conto delle difficoltà delle famiglie. Abbiamo inserito alcuni spettacoli gratuiti perché era la modalità giusta per questa tipologia di appuntamenti che sono di natura popolare e partecipativa. Tutto ciò è volto a mantenere questa cultura realmente viva e non farla solo sopravvivere, non deve essere un accanimento terapeutico, ma un vero impegno per quanto difficile”.
Il programma è infatti ricco non solo di importanti appuntamenti musicali, come il concerto di Ramin Baharami previsto il 17 agosto per il Festival Barocco, ma anche di momenti più ludici come quelli inseriti nella sezione “Pagine Parole & Musica”, che prevede incontri con importanti nomi dello spettacolo come Giovanni Allevi, o i “Concerti Aperitivo” a Palazzo del Drago.
Insieme alla musica ed al teatro, protagonista sarà la danza, sotto l’egregia guida dei Maestri Raffaele Paganini e Luigi Martelletta, anche loro conferme delle precedenti edizioni. La loro autorevole presenza rende lustro a questo evento di cui il Maestro Martelletta ha così parlato, accennando anche a progetti futuri: “Il Tuscia Opera festival sotto l’aspetto qualitativo è sicuramente un evento importantissimo con autorevoli partecipazioni nazionali e internazionali per cui ci teniamo ad essere presenti ogni anno. Per la prossima edizione vorremmo inserire, affianco al programma dei professionisti già affermati, anche un quindici giorni di stage e laboratori per giovani talenti che, all’interno di un’accademia, lavoreranno alla preparazione di uno spettacolo tutto dedicato a loro: un’operazione di certo complessa ed ancora da definire, ma che sarà utile per i giovani che si avvicinano a questa disciplina desiderando renderla la loro professione”.
Gli appuntamenti da segnalare per gli appassionati del balletto non mancano, come lo spettacolo “Unica Passione” del 3 agosto, che vedrà sul palco Samuel Peron insieme al Maestro Paganini il quale si è mostrato forte sostenitore di tale commistione tra generi: “Non eseguendo nel festival la danza classica di repertorio, che solitamente appartiene agli enti lirici istituzionali, con i trenta cigni e compagnie corpose, le aperture di porta ad altre discipline di ballo sono in questo caso un completamento, un luogo comune in cui ci si aiuta a vicenda per creare qualcosa di alto livello”.
Anche la danza è tuttavia interessata alla carenza di fondi che sta interessando il mondo della cultura e dello spettacolo. Secondo il Maestro Martelletta, tuttavia “in questo contesto di grande crisi forse la danza subisce di meno rispetto a chi è abituato a far affidamento su finanziamenti più consistenti, muovendo migliaia di euro” e aggiunge “Chi come noi è solito arrangiarsi con pochi euro, continua a farlo anche ora: la danza sente la crisi ma senza particolari traumi perché per noi è cambiato molto poco”.
I ballerini che si esibiranno al festival hanno voluto a loro volta sottolineare l’importanza di questa vetrina, mostrandosi onorati di prestare la loro arte a tale iniziativa culturale fortemente legata al territorio. Simona De Nittis ha comunque messo in luce le difficoltà che anche i danzatori stanno affrontando: “Siamo coinvolti in questa crisi del mondo dello spettacolo. La disoccupazione per requisiti ridotti ci coinvolge insieme ad altre figure: il vecchio adagio che il ballerino è bistrattato non è un falso. Abbiamo un forte spirito di sacrificio, continuiamo a ballare nonostante i problemi, ma questa disponibilità ci si sta ritorcendo contro”.
Nonostante questo, la passione e l’amore nei confronti di questa disciplina è tale che Stefano Muià ha dichiarato: “Ci impegniamo sempre a portare i nostri coetanei in questo mondo, per rompere lo stereotipo che la danza classica sia riservata ad un’élite, invece non è così: questi spettacoli che prevedono una commistione di generi servono proprio a far integrare un pubblico variegato”.
E la giovane collega De Nittis aggiunge: “Facciamo inoltre un appello ai genitori di iscrivere i bambini ai corsi di danza, perché è una disciplina che forma fisicamente e mentalmente i ragazzi, al di là della carriera che potranno o meno intraprendere”.
Queste sono le voci del Tuscia Operafestival e del Festival Barocco: tante persone, ognuna con il proprio excursus professionale e la propria carriera, ma tutte accomunate  dal desiderio di mantenere viva una cultura che, nonostante tutto, è anche, a quanto pare, vegeta.

 

Quattro studenti poveri e infreddoliti scherzano e giocano insieme. Vigilia di Natale sui tetti partenopei di Vigliena, tra paranchi portuali, officine e bar, dove una tenera corte dei miracoli beve, danza e chiacchiera. Arriva lei, debilitata dalla tisi; se ne innamora il poeta del gruppo, la porta in giro felice e sornione, ci litiga e ci intreccia una speranza di vita dolce e serena. Sembra tutto così allegro, ma il destino irrompe e la povera fioraia muore. E’ il dolore irredimibile. La miseria di una comunità di periferia, sul sottofondo straniante degli anni Ottanta, segna per sempre vite mai davvero cominciate.
Qualcuno potrebbe pensare che somiglia a La Bohème, scritta da Illica e Giacosa e composta da Giacomo Puccini, l’unico musicista italiano davvero affacciato sul futuro. Non somiglia, è La Bohème. Per quanto qualche bacchettone pretenda ancora messe in scena filologiche e imbalsamate, fare teatro musicale oggi passa per le pulsioni e le urgenze della società contemporanea, che di queste storie vere o narrate ne ha visto a centinaia, anche sui libri, nei teatri, nei dipinti. Non possiamo digerire l’arte ignorando tutto quello che è successo nel frattempo.
“La Bohème a Vigliena”, prodotta dal Teatro San Carlo e dovuta all’acutezza interpretativa del regista Francesco Saponaro, della musicista Céline Berenger e dello scenografo Lino Fiorito, è una pietra miliare tanto sul piano semantico quanto su quello gestionale, dagli spazi scenici al laboratorio con giovani attori di quell’area urbana, dalla struttura drammaturgica alla griglia dei costi e delle risorse. Non sarà più possibile assistere a un’opera lirica senza pensare che questa Bohème ha segnato un percorso dal quale non si può tornare indietro. Finalmente.
Per chi avesse paura è il caso di ricordare che questa messa in scena, con una compagnia di giovani cantanti meravigliosi sul piano vocale, incisivi su quello teatrale e potenti su quello musicale, esalta per intero ogni battuta dell’opera pucciniana, ne restituisce appieno l’émpito sentimentale e la forza dialogica, ne amplifica le myricae soavi e turbolente. Per chi temesse la solita – e purtroppo di norma giustificata – solfa sugli sprechi della lirica basta mostrare una contabilità asciutta ed essenziale che può aprire la strada all’opera high quality-low cost. High quality in quanto low cost.
Decenni di cantanti panciuti gigioni, di direttori avidi divi, di masse impiegatizie hanno creato una vulgata operistica pervasa da luoghi comuni, pronta a starnazzamenti parrocchiali, attenta più al foyer che al palcoscenico; e hanno inaridito quella magnifica vena creativa, interpretativa ed esecutiva di cui sono tuttora pieni i nostri teatri, a propria insaputa. Il modello visto al San Carlo, intuìto e non ancora progettato, può scardinare il declino dell’opera recuperandone le opzioni espressive così come le opportunità produttive e finanziarie, rispondendo ai nostri complessi desideri orientati al futuro.

Se agli inizi di ottobre avevamo fatto il punto sulla situazione del Teatro Lirico di Cagliari, il quale versava in uno stato di grande preoccupazione ed incertezza, le ultime notizie che lo riguardano – pubblicate su l’Unione Sarda lo scorso 9 dicembre e riportate anche dalla rassegna stampa del Comune di Cagliari – annunciano finalmente il nuovo piano per il triennio 2012 – 2014 disposto dal Soprintendente Di Benedetto.
La pesante crisi dovuta al debito, ereditato dalle gestioni precedenti e complessivamente stimato a circa 26 milioni di euro – dei quali ben 2 milioni e 300mila euro i cachet non corrisposti agli artisti esterni – aveva fatto paventare un commissariamento che avrebbe potuto comportare il ridimensionamento del personale, il mancato pagamento degli stipendi e, non ultimo, avrebbe potuto causare delle rovinose carenze all’importante programma artistico.   
Si erano prospettate così, all’inizio della stagione lirica, due possibili soluzioni per risollevare la sorte del Teatro: da una parte quella di chiedere un maxi prestito ed allo stesso tempo ricontrattare il debito con le banche, garantendo il mutuo con lo stesso immobile; dall’altra, invece, si era ipotizzata l’attuazione da parte della Regione, tra i maggiori azionisti dell’Ente Lirico, di un piano straordinario.
In questa difficile situazione, quindi, il piano d’impresa del Soprintendente Di Benedetto sembra ora poter fare luce su quello che sarà il futuro del Teatro e su ciò che si prospetta per quanto concerne la sua gestione e la sua pubblica fruizione.
Il nuovo progetto presentato in questi giorni appare alquanto concreto e ben definito negli intenti e da ciò che è emerso si punta soprattutto, e come era del resto prevedibile, sul contenimento delle spese.
Al centro del mirino i cachet esterni: nel 2010, infatti, quando già si era a conoscenza del pericoloso deficit del Teatro, il totale del cachet si era ridotto della metà rispetto al 2008, anno in cui un’opera allestita da compagnie esterne aveva mediamente un costo di 65 mila euro e si spendevano in totale circa 5,8 milioni di euro l’anno. Nonostante, quindi, la spesa piuttosto contenuta dello scorso anno, che ammontava a 2,7 milioni di euro, il nuovo piano si è focalizzato sul costo ancora troppo elevato delle produzioni artistiche, dal momento che queste spese non possono più andare al di sopra delle possibilità del Teatro.
Di fronte al sindaco ed ai rappresentanti del personale, il Soprintendente ha dunque presentato un piano industriale che vuole investire ed adoperare le risorse interne alla Fondazione, valorizzando in tal modo capacità e potenzialità dei complessi tecnici ed artistici del Lirico, selezionando attentamente ‘gli ambiti repertoriali e di spettacoli in grado di sollecitare e stimolare le qualità intrinseche delle risorse interne’.
Altro punto nodale del nuovo piano di gestione è il contratto integrativo e dunque i costi del personale, stimati per il 60% dei costi totali che deve sostenere l’Ente Lirico e che dal 2008 hanno registrato una crescita da 15,7 milioni di euro a ben 17. Così, se da una parte sembra non si vogliano operare i tanto temuti tagli al personale, dal momento che l’organico stabile di 229 persone risulta essere indispensabile, tuttavia verranno bloccati i contratti a tempo determinato e si impiegheranno alcuni dipendenti per la progettazione e lo sviluppo delle attività del Teatro e del Parco della Musica cagliaritano. Inoltre, il contratto integrativo subirà delle modifiche in quanto probabilmente scompariranno il premio di produzione e gli ‘acconti sui futuri miglioramenti’.  
Assoluta novità, poi, costituisce il progetto di individuare nuove fonti di sostentamento per il Teatro, mediante una ‘scuola di professioni artistiche e una small business factory’, sviluppando quindi attività didattiche e contemporaneamente operando per la creazione di imprese che possono trovare la loro concreta e naturale collocazione nel settore teatrale. Gli spazi del teatro potrebbero essere, infine, dati in gestione: primo su tutti quello del ristorante, in disuso da diversi anni, il quale potrebbe essere concesso in affitto richiedendo oltre al valore della locazione anche quello delle royalities.              
Da questo piano industriale – creato ad hoc da una società esterna all’Ente Lirico – si desume, quindi, la volontà di attuare una oculata programmazione e di porre seria attenzione al bilancio. Ora saranno i sindacati ma soprattutto i vertici della Provincia a valutarlo in tutte le sue parti ed a decidere le sorti della Fondazione.
La nuova attenzione verso la didattica e l’intervento dei privati sembrano comunque poter permettere al Teatro Lirico di affrontare la crisi, nella speranza poi di poter approntare un modello di gestione che possa garantire la gestione e l’autonomia di questo importante Teatro.

L’opera lirica è una delle tradizioni italiane più apprezzate all’estero e una delle componenti culturali che maggiormente riporta agli splendori operistici del Belpaese. Eppure, in tempo di crisi, scosse burrascose sono state percepite anche dai settori di punta dello spettacolo dal vivo italiano che, con l’iniziale annuncio di riduzione del Fus, hanno visto molto vicina la chiusura di alcune istituzioni teatrali storiche del nostro paese. Il reintegro del Fondo Unico prima e l’approvazione del regolamento attuativo della legge Bondi di riforma degli enti lirico-sinfonici poi, hanno dunque rappresentato una sferzata di aria buona, laddove di arie se ne cominciava davvero a sentire la mancanza.
Il 5 maggio, infatti, il Consiglio dei Ministri ha dato il via libera definitivo al regolamento di riforma delle fondazioni lirico – sinfoniche, suggellando di fatto la firma apposta dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano lo scorso anno.
“Entro la fine del 2011 – ha chiosato soddisfatto il neoministro Galan – mi impegno a completare questa riforma, portando a termine tutti i restanti provvedimenti al riguardo”.
Nel frattempo, ad esultare sono la Fondazione Teatro alla Scala di Milano e l’Accademia Santa Cecilia di Roma che, sulla base delle nuove norme attuative potranno dotarsi, già dai prossimi mesi, di un importante riconoscimento di autonomia che potrà portare, qualora gestito con accortezza, vantaggi nella gestione e nella programmazione dei cartelloni stagionali teatrali e operistici.
Sette i requisiti dettati dal Governo affinché le fondazioni possano aspirare ad una maggiore autonomia e posseduti, ad oggi, solo dalle due istituzioni di Milano e Roma: specificità della fondazione nella storia della cultura operistica italiana, assoluta rilevanza internazionale, pareggio di bilancio per almeno quattro anni consecutivi, eccezionale capacità produttiva, significativo e continuativo apporto finanziario da parte di soggetti privati, capacità di attrazione di sponsor, entità dei ricavi provenienti dalle vendite e dalle prestazioni non inferiore al 40% dell’ammontare dei fondi governativi.
Caratteristiche che comunque, a prima vista, appaiono del tutto slegate a termini oggettivi di paragone: “eccezionale” capacità produttiva non è infatti misurato ad alcuna “normale” capacità produttiva, non adducendo dati, né numeri di sorta che possano far comprendere la mole di lavoro necessaria all’inclusione nel requisito. Così come la “rilevanza internazionale” che si traduce il più delle volte nel numero di tournee effettuate, o l’apporto finanziario dei privati che si replica nel successivo requisito in cui la “capacità di attrazione degli sponsor” presuppone di fatto l’intervento di aziende private.
Per quanto riguarda il bilancio, poi, facile prevedere rimedi dell’ultim’ora: come nel caso della Scala di Milano che, per poter chiudere il bilancio di quest’anno in pareggio, ha chiesto ai propri soci fondatori un contributo straordinario di due milioni di euro, necessario affinché si potesse ascrivere la Fondazione nell’elenco delle realtà virtuose a cui riconoscere maggiore autonomia.
Bruno Ermolli, vicepresidente della Fondazione milanese, parla al proposito di una grande svolta epocale in grado di permettere al teatro La Scala una programmazione a lungo termine (con ricadute positive sulla qualità degli spettacoli) ma soprattutto la possibilità di una contrattazione dei dipendenti autonoma dai contratti nazionali, facoltà che la riforma prevede solo per le realtà più autonome. Proprio su questo punto, però, si teme lo scontro con le principali sigle sindacali le quali si sono già dette assolutamente contrarie all’allontanamento della categoria dal contratto collettivo nazionale.
Importanti mutamenti si auspicano anche nei cda delle fondazioni autonome i quali potranno aprirsi ad una maggiore internazionalizzazione e ad un maggior contributo dei privati, risultando così appetibili per sponsor e imprese.
Tutto rose e fiori? Non proprio. Le fondazioni che godranno infatti di tale autonomia sono infatti solo due su quattordici e ampia è ancora la forbice che distanzia le istituzioni più virtuose da quelle che presentano maggiori difficoltà a mantenere un ritmo di crescita stabile.
Negli ultimi dieci anni, infatti, i teatri dell’opera hanno accumulato un debito di oltre 180 milioni di euro nonostante i 3,4 miliardi di euro finanziati dallo Stato: un grave segnale di crisi che getta le fondazioni più piccole e periferiche in un evidente stato di allarme che va considerato anche in rapporto agli altri paesi europei che contano su un indice di produttività decisamente maggiore rispetto a quello italiano (125 recite d’opera della Scala contro le 226 recite della Staatsoper di Vienna ad esempio, per citare solo le maggiori), indicatore legato alla questione occupazionale e, di fatto, a quella economica di sostentamento finanziario.
Si spera dunque che le fondazioni più grandi e produttive che oggi possono beneficiare dei privilegi offerti loro dalla riforma, costituiscano nel futuro un traino virtuoso per l’intero comparto da anni immobilizzato da difficoltà economiche e gestionali ancorate ad un sostegno economico statale che limita, nel bene e nel male, le naturali logiche del mercato.

Un esperimento colossale che tenta l’avvicinamento della grande opera lirica “Rigoletto” al pubblico di massa della tv generalista del sabato sera, sferzando mix di tecnologia e innovazione attraverso quello che è stato ribattezzato il “cinema in diretta”: questo è stato “Rigoletto a Mantova”, opera lirica in tre atti andata in onda sabato 4 e domenica 5 settembre sulla rete ammiraglia Rai con la regia di Marco Bellocchio e il premio Oscar alla fotografia Vittorio Storaro. A dirigere l’orchestra sinfonica della Rai, il maestro di origine indiana Zubin Mehta, già direttore del Maggio Musicale Fiorentino, con un Placido Domingo, per l’occasione baritono, nel ruolo del protagonista.
Un cast d’eccezione, in gran parte ripreso da quello dell’osannata Tosca di quasi vent’anni fa, che ha dovuto fronteggiare le innumerevoli angosce dovute alla caducità della rappresentazione: l’opera, ideata da Andrea Andermann, in mondovisione per 148 paesi tra cui Stati Uniti, Africa, Russia e Australia, è stata pensata e girata come un vero e proprio “film in diretta”. Le ambientazioni, quella del Palazzo del Tè, il Palazzo Ducale di Mantova, la rocca di Sparafucile (restaurata per l’occasione) dove l’intero melodramma si svolge, sono state infatti adibite a set cinematografico in cui macchine da presa hanno seguito movimenti e canti dei protagonisti. L’orchestra, invece, si è esibita al Teatro Bibiena: il tutto, contornato da monitor e altoparlanti bidirezionali nascosti nella scenografia e in grado di connettere, attraverso un sistema a fibre ottiche, musica, coro e cantanti nella maniera più sincronica possibile.
Quattro regie digitali, trenta chilometri di cavi e microscopici microfoni nascosti nei capelli degli attori hanno dunque fatto da ponte ad un’opera in bilico tra teatro, cinema e tv, tra tradizione storica e innovazione tecnologica.
Nel caso in cui avesse piovuto la rappresentazione sarebbe stata annullata e al suo posto mandata in onda una replica delle prove generali in cui attori e cantanti si alternavano con una generale scarsa qualità del suono: una vera e propria pessima figura in mondovisione  che, fortunatamente, è stata evitata.
Eppure, nonostante il meteo favorevole, la campagna mediatica aggressiva e il saluto iniziale del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che ha ricordato la preziosità della tradizione lirica del nostro Paese, c’è chi ha interpretato i dati dell’auditel come una sconfitta: 14,30% di share nella prima serata di sabato e una media del 10% per gli altri due atti trasmessi domenica, rispettivamente alle 14 e alle 23,30 (per fare in modo che si rispettassero gli orari dell’opera e la luce fosse quanto mai verosimile all’atmosfera evocata dal libretto dell’opera) non sono bastati a scalzare dalle cime degli ascolti programmi come “Velone” o il soap-film “Il peccato e la vergogna” trasmessi da Canale 5.
Il dibattito montato riguarda, come al solito, i limiti della televisione pubblica che ha l’obbligo di fornire un servizio educativo e “alto” ma che, paradossalmente non può neppure sottrarsi alle logiche del mercato, rischiando così di perdere inserzionisti indispensabili per reggere i conti in rosso del bilancio.
In effetti, nell’orario che oscilla tra le 20 e le 22,30 del sabato sera, RaiUno è abituata a punti percentuali più alti di quelli registrati con il “Rigoletto a Mantova”: ma l’operazione va inserita in dinamiche più ampie di quelle meramente commerciali.
Oltre un miliardo di persone in tutto il mondo guarderanno nell’arco dell’anno Rigoletto in tv e lo faranno apprezzando nel contempo le bellezze straordinarie della nostra città dei Gonzaga la quale, attraverso la Film Commission lombarda, ha stanziato un contributo di 250 mila euro per la buona riuscita del dramma, dimostrando che anche in Italia si può creare un kolossal.
Certo, non ai livelli cinematografici dell’americano Avatar ma, nell’ambito del teatro lirico, l’operazione tentata è sicuramente ragguardevole. E poi, come ha commentato ieri anche l’Osservatore Romano tra le pagine del suo quotidiano: “Meglio un Rigoletto di chiara derivazione populista che nessuna opera in tv”…

Lo scorso 30 giugno la città di Milano è stata protagonista di un flash mob danzante. 50 ballerini hanno infatti interpretato sequenze musicali di famose arie liriche, riarrangiate in stile funky, lasciando a bocca aperta i presenti in Galleria Vittorio Emanuele e alla Stazione Centrale. La maggior sorpresa però è stata scoprire che dietro a questa innovativa forma di comunicazione c’era la Fondazione Arena di Verona a promuovere la stagione lirica 2010, che giunge quest’anno alla sua 88ª edizione.

Perché si è scelto proprio questo tipo di iniziativa, così innovativa e fuori dagli schemi, per promuovere un evento autorevole e rinomato come la stagione lirica all’Arena di Verona?
L’opera lirica è uno degli elementi distintivi della cultura italiana del mondo, appartiene al nostro passato ma anche al nostro presente e ha molto da dire anche per il futuro.. abbiamo scelto di dimostrarlo attraverso un linguaggio diverso in grado di avvicinarsi con facilità e freschezza, di stupire e coinvolgere. L’obiettivo dei “Mobbers” quando si radunano ad un flash mob è quello di “rompere gli schemi della quotidianità”. Comunicare il Festival Lirico dell’Arena di Verona è un modo per cercare di dare nuovi punti di vista su questo genere, rompere i preconcetti che lo considerano un genere elitario e un po’ ingessato, e avvicinare nuovi potenziali spettatori

La città protagonista del flash mob è stata Milano. Come mai si è prediletta questa sede?
Non è stato facile scegliere la città in cui realizzare il primo flash mob: all’inizio avevamo pensato a Verona, ma la scelta sarebbe stata troppo autoreferenziale.  Milano ci piaceva per l’eterogeneità che rappresenta, per la sua essenza di città della cultura nella sua accezione più ampia, e poi perché è una vetrina eccezionale.

Il 18 giugno è stata la serata inaugurale dell’88° Festival dell’Arena di Verona, che si protrarrà fino al 29 agosto. Come si articola quest’anno il Festival?
La serata inaugurale ha visto quest’anno la rappresentazione di Turandot. Le altre opere in programma sono Aida, Madama Butterfly, Carmen e Il Trovatore, tutte con regia e scene del grande Maestro Franco Zeffirelli, che negli anni ha instaurato con l’Arena di Verona un rapporto speciale. Sono tutte opere di grande richiamo e di forte attrattiva, ma una nota particolare va fatta per Il Trovatore, che vanta quest’anno un cast d’eccezione (Dmitri Hvorostovsky, Marianne Cornetti, Marcelo Alvarez solo per dare alcuni nomi) ed un allestimento davvero meraviglioso.

Per il flash mob le musiche de Il Trovatore, della Carmen e di Madama Butterfly sono state riarrangiate in versione funk. Non avete temuto reazioni di riprovazione da parte dei puristi? E perché è stato scelto proprio questo genere?
Qualche purista avrà trovato sicuramente qualcosa da ridire su quest’operazione che, lo ammetto, può sembrare una “violenza” nei confronti dell’originale, ma è pur sempre vero che innovare a partire dalla tradizione, ovvero ispirarsi a opere scritte più di cent’anni fa per creare qualcosa di nuovo resta la chiave di volta per continuare a “rinfrescare quello che queste opere hanno ancora da dirci. Il funk è stato scelto perché è un genere vicino ai giovani, che può coinvolgerli facilmente e che dunque si presta bene ad attirare l’attenzione. Questo evento non aveva nessuna ambizione di tipo artistico, la finalità era semplicemente creare curiosità e interesse per il Festival Lirico Areniano.

Che tipo di rapporto hanno i giovani con il Festival Lirico dell’Arena?
Il Festival Lirico dell’Arena di Verona può contare su un numero consistente di giovani: le nostre indagini statistiche ci dicono che il 10,7 % del nostro pubblico è al di sotto dei 25 anni e un altro 12,6% va dai 26 ai 35 anni.
Molti giovani però percepiscono la lirica come un genere “vecchio” e poco comprensibile: ricorrere al flash mob dal nostro punto di vista era un modo per avvicinare questa fascia di pubblico.

Quali sono state le reazioni dei presenti al flash mob?
I presenti al flash mob sono rimasti molto colpiti e sorpresi! Soprattutto quando al termine della performance i ballerini si sono dileguati tra la folla velocemente e in silenzio.  Per quasi 4 minuti sembrava che Milano si fosse fermata e che tutto quello che avveniva altrove non avesse più nessuna importanza. E’ stato particolarmente affascinante vedere come lo stupore colpisse tutti i presenti: dai pendolari ai turisti, dalle commesse in pausa pranzo agli uomini d’affari di passaggio.

Ritenete che questo esperimento pubblicitario avrà seguito nel settore teatrale?
Perché no? L’opera lirica, come il teatro, è stata storicamente considerata lontana dal mondo giovanile. In realtà sia la Lirica che il Teatro hanno molto da dire e da dare ad ogni tipo di pubblico. Comunicare questo messaggio attraverso gli strumenti e i canali  più vicini ai giovani aiuta a far entrare questi storici capolavori musicali nella vita di tutti i giorni in modo divertente e curioso. Molti teatri, oltre a Fondazione Arena stanno cercando nuovi modi di comunicare, e non disdegnano mezzi meno classici, quali ad esempio face book.