tatuaggioarte1In questi anni si sta diffondendo sempre di più la moda dei tatuaggi nelle parti più disparate del corpo.  Il tatuaggio diventa così parte ed espressione della persona che lo indossa e quindi una vera e propria opera d’arte.

Ancor di più se “ispirato” dai grandi capolavori di artisti celebri come nelle foto che vi presentiamo qui: Cezanne, Andy Warhol, Bansky, Leonardo, Duchamp, Magritte…rimarranno per sempre impressi su di voi.

Con risultati, a volte eccellenti, a volte di dubbio gusto.  A voi l’arduo giudizio

 

Look, musica e scooter i tratti distintivi: abiti stretti, giacche dal tipico collo a tre bottoni e dai risvolti rigidi, magliettine colorate e solitamente attillate, uno stretto cravattino nero abbinato a pantaloni senza pences, mocassini o brogues sempre scure. Facilmente riconoscibili per i loro tagli di capelli, i giacconi parka con in bellavista il simbolo della Royal Air Force (l’aeronautica militare britannica) e il rombo di  Vespe e Lambrette riempite dei particolari più stravaganti, primi fra tutti decine di luci e specchietti retrovisori.

Ricercatori dello stravagante, del nuovo, amanti degli stilisti italiani e francesi, fissati nella ricerca del particolare, dell’eleganza sempre all’avanguardia. I primi Mods della Londra anni ‘50 volevano esprimere così la loro diversità rispetto ai ‘rozzi’ Teddy Boys, i Rockers contro cui spesso si scatenavano feroci risse, tra cui il famoso e triste episodio di Clepham Common in cui rimase ucciso un ragazzo e dal quale emerse la popolarità mediatica dei due gruppi. Amanti e ballerini di ‘modern jazz’, (da cui deriva il nome Mods) trascorrevano le lunghe notti nei nightclubs di tutta Londra, all’insegna dello sballo, ballando musica ska e soul,  passando poi alla beat music, and R&B.

 

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Ragazze con pantaloni e camicie da uomo; pochissimo trucco, sopracciglia fini e capelli corti che per il tempo erano una vera provocazione! Negli anni lo stile è divenuto sempre più fashion, sulla base dello slogan cool, neat, sharp, hip and smart: essere belli, stravaganti, puliti e decisamente eleganti. Icone intramontabili, la giovane Twiggy, bellissima androgina dai capelli corti e occhi truccati, l’impertinente Peggy Moffitt con il suo caschetto asimmetrico e gli occhioni dal trucco audace; per non dimenticare Jean Shrimpton forse la prima vera supermodella mondiale, apparsa su tutte le copertine delle riviste di moda più famose, Vogue, Harper’s Bazaar, Vanity Fair, Glamour, Elle, Ladies’ Home Journal, Newsweek, and Time magazines. E quando la moda Mod si espanse oltreoceano, una delle più belle superstar degli anni ‘60, musa di Andy Warrol e di Bob Dylan, Edie Sedgwick, influenzò con il suo stile tutto il mondo femminile e non dell’epoca.

 

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Alla fine degli anni ’70, a seguito del film Quadrophenia di Franc Roddam, ci fu un vero e proprio revival;  i The Who e i The Jam di Paul Weller scattarono in cima alle classifiche, mentre la 2-Tone divenne la primissima etichetta completamente ska al mondo.

Proprio in quegli anni cominciarono a Milano, Torino e Roma i raduni internazionali che continuano tutt’oggi a raggruppare moltissimi appassionati, vecchi e nuovi: famosissimo il week-end di Pasqua a Rimini con il ‘The italian Job’ e a Marina di Ravenna con il “Raduno Mod Italiano” alla penultima settimana di settembre (l’edizione 2013 si è appena conclusa lo scorso 20-21 settembre); prossima tappa l’All Saints Mod Holiday a Lavarone (Trento), per il week-end di Halloween.
Una vera passione che va ben oltre il vintage, come subito ci si accorge se solo si dà un’occhiata al sito ufficiale http://www.modculture.co.uk dove si trovano video, libri, abiti e oggetti, tutto rigorosamente Mod style.

 

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Se questo vi affascina, ascoltate oltre ai sempreverdi Statuto, i Tailor Made di Torino, i Made di La Spezia, i Fay Hallam Trinity o gli olandesi Kik e i danesi Movement; infine non vi resta che vestirvi di tutto punto e recarvi in uno dei diversi locali dove vengono tuttora organizzate serate Mod: il Flamingo Mod Club a Torino, l’Underground Blues a Teramo, il Buzz with the Fuzz a Milano, il Maximum Speed Mod Weekend a Genova, il Soulvivors a Bologna, il Right Track e la Youth in Revolt a Roma nel periodo invernale, l’Hot Mod Summer on the Lake sul lago Trasimeno nel periodo estivo. Ready, steady, go! Continue reading “Torna di moda il Mod” »

lolitaGiochino dell’estate: che siate degli impareggiabili hipster o degli inafferabili nerd, gli occhiali dicono molto di voi. E delle persone che vi circondano. Così anche per le celebrita di tutti i tempi che hanno fatto degli occhiali, da sole o da vista, il loro biglietto da visita.
Il designer e art director Federico Mauro li ha rivistati, decontestualizzandoli dai visi a cui appartengono. Eppure, li riconosceremo ancora tra mille, vero?

Scoprite tutti i suoi lavori sul sito uffiale

Avete mai sentito parlare di selfies? Forse no, ma sicuramente quasi ognuno di voi, almeno una volta nella vita, se lo è fatto. No, non si tratta di una nuova sostanza allucinogena, bensì di un semplice, sempreverde autoritratto. Solo che, se fino a qualche secolo fa, l’autoritratto era un’opera d’arte fatta di colori ad olio o acquerelli, da qualche anno a questa parte è digitale e alla portata di tutti, è una foto scattata dall’Ipod, dallo smartphone, dalla macchina fotografica da se stessi a se stessi, e poi, ovviamente, postata sui social.

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Nei primi mesi del 2013, un artista americano, Patrick Specchio, ha pensato di attuare un esperimento: i visitatori della sua mostra erano invitati a entrare in un ascensore di un condominio di Brooklyn e scendere fino al seminterrato. All’apertura delle porte, un grande specchio accoglieva il pubblico, invitandolo a scattarsi un selfie con una macchina fotografica, proprio nell’atto di specchiarsi. Le foto raccolte in quell’occasione – oltre a poter essere postate su Facebook in real time – sono diventate una mostra di grande successo al Moma di New York, “Art in Translation: Selfie, The 20/20 Experience”. L’artista ha dichiarato di voler esplorare, attraverso questa modalità, il nuovo concetto di io e di individualità che scaturisce dalla società contemporanea, dominata dai social media, trasformando il pubblico da ricettore passivo dell’opera d’arte, a creatore attivo.

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L’esperimento di Specchio ha infoltito la sequela di riflessioni su questa vera e propria nuova mania del selfie. In principio erano i teenager a postare su MySpace ammiccanti foto, auto-scattate principalmente in bagno. Ora, con l’avvento dei social network e dei nuovi smartphone, con l’ausilio di Instagram e altri strumenti per fotografi amatoriali che rendono artistica anche la foto di un sasso, sono tantissime – e di tutte le età, i ceti, i sessi – le persone che praticano i selfies. Da Obama a Justin Bieber, da Rihanna a George Harrison, dalla casalinga al body builder, si sono messi in posa per auto scattarsi una foto.

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Anche i sociologi si sono interrogati sul fenomeno. I selfies nascono dal nuovo concetto di immagine che caratterizza l’uomo contemporaneo: non più una realtà a parte, quasi sacra, creata solo da artisti e geni, l’immagine è un elemento tanto pervasivo del nostro quotidiano, da diventare esso stesso elemento “terreno”, realtà, vita. L’io del mondo 2.0 è sottoposto e si sottopone continuamente a giudizi, commenti, opinioni che provengono da terzi, e anche l’approvazione della propria immagine è diventata fondamentale. La parola che è stata maggiormente associata a “selfies” è “narcisismo”: l’individuo ha bisogno di affermare se stesso, mostrando un’immagine anche intima di sé, che possa suscitare il consenso altrui.

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C’è, poi, un’altra spinosa questione che si pone all’attenzione: possono i selfies definirsi arte? Di sicuro è difficile chiamare arte l’auto-scatto di una 14enne in top, di fronte ad uno specchio. Ma è anche vero che la rappresentazione di sé, dal Rinascimento in poi, è stato uno dei soggetti più affascinanti e diffusi in campo artistico. E il fatto che, attualmente, ci sono 90 milioni di fotografie su Instagram taggate #me, fa sì che i selfies possano definirsi un’espressione caratterizzante dell’iconosfera contemporanea, del nostro modo di percepire il nostro mondo esteriore e interiore.

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Intervista a Giuseppe Tamola, country manager di Zalando Italia

zalandoI dati relativi ai consumi non sono certo incoraggianti e tante aziende come la vostra, per reagire alla sfiducia degli acquirenti, hanno investito nella propria immagine e creatività con successo.
Che ruolo gioca la pubblicità e la comunicazione in tale frangente? Quali i messaggi che volete far giungere? Quali i mezzi e i payoff scelti per farlo?
Naturalmente un primo obiettivo è far conoscere la nostra realtà e, più nello specifico, il nostro servizio. Vogliamo che i consumatori comprendano come si articola la nostra offerta  e il servizio attraverso cui la veicoliamo. Vogliamo comunicare che Zalando è il miglior approdo online dove trovare la moda su misura per le proprie esigenze.
È inoltre importante saper comunicare, in generale, i vantaggi dell’acquisto in rete, così come è essenziale fornire informazioni riguardo alla sicurezza della nostra piattaforma e offrire piena trasparenza sui processi.

Da un lato cerchiamo di esporre sempre in maniera chiara le caratteristiche del nostro servizio e i nostri USP: nessuna spesa di spedizione, reso gratuito, pagamento alla consegna senza costi aggiuntivi, assistenza clienti sempre disponibile e gratuita. Dall’altro utilizziamo un payoff – “Urla di piacere” – che sottolinea l’emozione dei nostri clienti nel momento in cui ricevono i propri ordini. Questi diversi elementi percorrono tutti gli ambiti della nostra comunicazione, dalla presenza onsite alle campagne televisive.
Quanto ai mezzi, Zalando si è distinta per il proprio marketing mix, dunque per l’utilizzo sinergico dei diversi canali di comunicazione online e offline. Questa sinergia è uno dei nostri punti di forza, in particolare poiché il mix è sempre declinato rispetto alle esigenze e caratteristiche dei singoli mercati. Questo ha significato, nel caso dell’Italia, il rafforzamento della componente offline: abbiamo trovato nuove vie per interagire efficacemente anche con gli utenti meno inclini a utilizzare la rete e i siti di acquisto online.

Estate: tempo di cambio di stagione e di rinnovo del guardaroba. Quali sono le misure anti-crisi che ZALANDO ha predisposto per andare incontro ai propri clienti e assicurargli un look nuovo e di tendenza?
La possibilità di reperire i nuovi trend è garantita dal nostro stesso modello di vendita: Zalando è uno shop in-season, il che significa che ci focalizziamo sulle nuove collezioni, le quali costituiscono la parte più importante del nostro assortimento. Questo implica un modello principalmente full-price, ma non mancano le promozioni, sempre disponibili in abbondanza sul nostro sito. Inoltre, l’offerta è ampia e trasversale: fermo restando che i prodotti devono sempre garantire determinati standard di qualità, la gamma è vasta e soddisfa ogni fascia di prezzo, partendo dai basic fino ad arrivare all’high-end fashion.

Accanto ai più importanti brand internazionali affianchiamo prodotti di nicchia, difficilmente reperibili in Italia e sicuramente fuori portata per chi non si trovi in una grande città. Al contempo curiamo molto la selezione di brand italiani e abbiamo dislocato il reparto acquisti per lo shop italiano a Milano, in modo che i nostri Buyer siano in grado di interagire più efficacemente con le label del nostro pa ese. Tutto ciò ci permette di offrire un assortimento selezionato senza paragoni all’interno della catena di retail tradizionale: per visionare una selezione analoga dovreste visitare indicativamente 300 negozi fisici.

ZALANDO ha esordito come negozio on line di calzature e successivamente si è aperto a nuovi prodotti legati all’abbigliamento e all’arredamento. Come avete presentato e spiegato  questo ampliamento? E come è stato accolto?
Quando siamo sbarcati in Italia offrivamo già sia scarpe sia abbigliamento, ma in una prima fase abbiamo comunicato principalmente la nostra offerta di calzature. La linea di abbigliamento è stata più ampiamente comunicata a partire dal nostro secondo spot televisivo, “La Banca”, ma venne introdotta in Zalando nel febbraio 2010 (prima che Zalando.it fosse online) e da allora ha sempre registrato performance eccellenti. Parlando di Zalando in generale, oggi più del 50% delle vendite deriva da accessori, living, sport e abbigliamento – tutte categorie in forte crescita.
Quanto alla sezione “Casa”, è piuttosto recente per quanto riguarda il mercato italiano ma cresce velocemente, con ottime performance. L’ampiamento resta inquadrato nel segmento del lifestyle, che è quello in cui si muove Zalando, ed è stato accolto molto positivamente perché abbiamo prestato attenzione a selezionare le giuste marche e a offrire prodotti che potessero essere interessanti per i nostri clienti.

I clienti di ZALANDO come navigano? Prediligono la consultazione per brand o cercano i prodotti per categoria? Chi sale sul podio dei prodotti più amati?
Abbiamo utenti dai profili molto diversi, e dobbiamo tenere conto di entrambe le modalità di navigazione. Naturalmente vi sono alcune differenze: ad esempio la ricerca per brand è più costante nel corso dell’anno, mentre la navigazione per categorie è spesso vincolata alla stagionalità. Al contempo possiamo notare alcune differenze di genere: l’uomo tende a essere più affezionato a certi brand mentre la donna, parlando per linee general, è più incline a ricercare ispirazioni tra stili e colori.
Dato il grande numero di prodotti che offriamo è importante fornire la giusta assistenza a quei clienti che non sono in cerca di qualcosa di specifico: per questo abbiamo implementato una piattaforma particolarmente user-friendly e abbiamo iniettato all’interno dello shop le competenze fashion che sono presenti in azienda. Come? Con mezzi diversi: ad esempio, attraverso un magazine online che offre ispirazioni e overview sui diversi trend, così come per mezzo di un set di filtri intuitivo e che permette di accedere a selezioni di prodotti molto ben profilate.
Non è semplice estrarre una lista dei prodotti più amati ma possiamo dire con certezza che i clienti italiani amano i brand del nostro paese, sempre tra i top-performer del nostro catalogo.

Giocando con l’immaginazione, a quale personaggio della cultura consiglierebbe di rifarsi il guardaroba su ZALANDO? Con quale outfit?
Se si dovesse scegliere un personaggio del mondo della cultura, mi piacerebbe vedere un classico personaggio dei fumetti come Dylan Dog cimentarsi con l’acquisto online.
Sarebbe curioso capire come andrebbe a interagire con la tecnologia (da lui sempre rifiutata) e che effetti avrebbe sul suo guardaroba. Si lascerebbe consigliare dal nostro servizio clienti? Sarebbe disposto a vestire una t-shirt stampata e un paio di chino colorati? Lo abbiamo visto innamorarsi di bellissime donne, vediamo se con Zalando può scoccare la scintilla…

ZALANDO è attivo in molti Paesi europei, ciascuno caratterizzato da proprie tendenze. Se dico Gran Bretagna, cosa le viene in mente? E per Spagna, Francia e Germania, quali sono gli articoli “must have” del momento?
In Francia nel corso della prossima stagione vedremo un ritorno dello stile grunge, con un mix tra il look “no future” di Kurt Cobain e un tocco di lusso. In Gran Bretagna il grigio e i pattern geometrici. Per la Germania, per citarne alcuni, sicuramente le stampe naturali e le righe verticali, nonchè materiali trasparenti, pelle e pizzo. In Spagna per la stagione corrente vanno invece stampe floreali e look nautico.

Il settore dell’e-commerce sta trasformando il modo di fare shopping. ZALANDO come sta cambiando invece le modalità di acquisto on line? Quali novità avete in riserbo?
A fianco delle nostre competenze in ambito moda, possiamo vantare senza ombra di dubbio alcune delle più solide competenze in ogni ambito dell’ecommerce: logistica, marketing oppure tecnologia – basti pensare che abbiamo oltre 300 esperti IT costantemente al lavoro per ottimizzare la piattaforma e i processi sottesi. Sicuramente abbiamo fatto molto per unire questo spettro di competenze all’interno di un’unica formula, costruendo un servizio ottimale e centrato sulle esigenze dell’utenza.
Inoltre abbiamo concentrato i nostri sforzi nell’adattare il modello a ogni singolo mercato, creando una sinergia tra ecommerce e specificità del paese in cui operiamo. Ad esempio, oggi ci si accorge che molti utenti italiani preferiscono i pagamenti in contante: Zalando.it, nel maggio 2011, è stato il primo player a offrire in Italia il pagamento in contrassegno senza costi aggiuntivi a prescindere dall’importo. Allo stesso tempo abbiamo cercato di comunicare – attraverso canali non-tradizionali per un player online – i vantaggi dell’ecommerce. E possiamo dire con orgoglio di aver convinto molti utenti a effettuare il primo acquisto online proprio su Zalando.

Gli italiani sono ancora poco avvezzi all’ecommerce e sentono la necessità di toccare con mano i prodotti, ma nel momento in cui si rendono conto che un servizio è affidabile diventano molto fedeli. Questa è la ragione per cui abbiamo applicato un metodo ibrido per interagire con la clientela, ad esempio accettando anche ordini telefonici. Vogliamo essere upfront e non abbiamo problemi a esporre in homepage il nostro numero di telefono, invitando i clienti a contattarci per esporre problemi, critiche o semplicemente per ricevere assistenza.
Quanto alle novità, siamo consapevoli del ruolo che il mobile giocherà nel futuro e stiamo lavorando in questa direzione, così da esser sicuri che gli utenti abbiano a disposizione la migliore esperienza d’acquisto a prescindere dalla modalità con cui decidono di entrare in contatto con Zalando.

Era il 1988 quando un certo François Pasquier tornò a Parigi dopo un periodo di permanenza all’estero. Una volta tornato a casa, aveva il desiderio di incontrare di nuovo i vecchi amici, ma organizzando qualcosa di speciale. François pensò ad un pic nic il cui invito era: “porta del cibo e un nuovo amico”. Ben presto il numero di invitati diventò talmente grande che il giardino di François non fu più capace di contenerli tutti ed era necessaria una location più spaziosa: François e i suoi invitati si diedero appuntamento al Bois de Boulogne e decisero di vestirsi di bianco per potersi riconoscere l’un con l’altro.

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Da quel lontano 1988, la Dîner en Blanc è diventato un evento annuale per tutti gli amanti del glamour e del mistero, per tutti quelli che vogliono sentirsi parte di un momento magico di condivisione. Oggi, dopo 25 anni, si tratta di un flash mob organizzato non solo a Parigi, ma anche nei luoghi pubblici di tutte le città più chic del mondo – da Londra e Milano, da New York a Johannesburg, da Chicago a Singapore – nel nome dell’eleganza, della bellezza, del galateo, dell’educazione. La Dîner en Blanc, infatti, è diventata un momento per vivere immersi nel bon ton e diventare protagonisti di una vera e propria opera d’arte vivente, in cui il gusto estetico la fa da padrone.

 

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I partecipanti alla Dîner en Blanc devono rispettare determinate regole per garantire che l’evento si svolga secondo l’incantesimo alla sua base. La versione originale, oggi organizzata dall’impresa di uno dei figli di François Pasquier,  Aymeric Pasquier, prevede che si partecipi in due, rigorosamente vestiti in eleganti abiti bianchi, che si porti con sé un tavolo di dimensioni determinate, con tovagliato bianco, un pasto raffinato e solo vino o champagne come bevanda alcolica. Tutti i protagonisti della cena devono sedersi allo stesso momento e andare via tutti insieme dopo aver lasciato pulito lo spazio da loro usato. Durante la cena, le donne siedono da un lato, godendo della vista più ottimale sullo scorcio di città prescelto, e gli uomini dall’altro lato. La serata ha, infatti, uno scopo ricreativo ed estetico e la visione d’insieme di tutti i partecipanti contribuisce a determinare il fascino di questo pic nic, speciale e affascinante.

 

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La Cena in Bianco può essere organizzata chiedendo il supporto di Pasquier e della sua squadra, oppure anche autonomamente. In Italia, è stata riuscitissima la dîner tenutasi a Milano e a Torino. Nella città piemontese l’evento si chiama “Unconventional Dinner” ed è organizzato da Antonella Bentivoglio d’Afflitto. Quest’anno è previsto per il 22 giugno, e i prenotati al momento sono già circa 6000.

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Chiunque voglia partecipare a questo evento da sogno è bene che tenga d’occhio il sito ufficiale della Dîner en Blanc, ma anche le pagine Facebook dei vari eventi organizzati in tutte le città del mondo.

 

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Cosa ci fa una celebrity sotto vetro?

Se lo saranno chiesto i tanti che, durante il vernissage della 55. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, hanno scorto la bellissima modella e attrice Milla Jovovich all’interno di una teca al centro del giardino di Palazzo Malipiero Barnabò. 

La top model, inizialmente in sottoveste e bigodini, ha trascorso il suo tempo ordinando on line, dagli irrinunciabili pc e smartphone, capi di abbigliamento, opere d’arte e oggetti di svariato genere, sotto gli occhi di giornalisti e pubblico. Gli acquisti le sono stati recapitati presso il salottino racchiuso nel plexiglass, fino a riempirne completamente lo spazio a disposizione.

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La performance, intitolata “Future Perfect”, porta la firma dell’artista e a sua volta attrice Tara Subkoff, sponsorizzata da Marella. 

L’idea che ne è alla base è quella di mostrare l’“ultimate consumer”, così come l’autrice lo ha definito, che ormai si affida al canale virtuale, senza uscire dalle mura domestiche e intessere relazioni umane dirette, per fare le proprie compere.
L’esibizione, della durata di sei ore, è stata inoltre un’occasione per mostrare le opere di altri artisti contemporanei come Yoko Ono, Jeff Koons, Richard Phillips, tra gli oggetti recapitati a Milla, insieme ad una intelligente campagna del noto marchio di abbigliamento italiano, che della modella ucraina ha fatto la sua testimonial.
“Future Perfect” è partito alle 14,00 di oggi, 28 maggio, e proseguirà fino alle 20,00 di stasera; il tutto sarà visibile anche in live streaming attraverso il canale dedicato.
Non è la prima volta che personaggi dello star system si pongono al servizio dell’arte: recentemente Tilda Swinton, volto prestato dal cinema, ha posato dormiente al Moma di New York destando, come prevedibile, grande interesse del pubblico.

Tara Subkoff ha scelto per la sua opera una vetrina e una performer certamente d’eccezione: al vernissage di una delle Biennali d’arte più seguite al mondo, una top model che si mette a nudo, nel vero senso della parola, non può di certo passare inosservata.

Passione Vintage –  Il gusto per il passato nei consumi, nei film e nelle serie televisive

 

 

Il risultato di una ricerca condotta tra il 2011 e il 2012 ad opera di un gruppo di professionisti ed appassionati del vintage che hanno tentato, con eccellenti risultati, di analizzare questo fenomeno non solo nel settore della moda ma anche in quello dei consumi, dei film e delle serie televisive.

 

Circa 170 pagine scorrevoli ma dense di nozioni e riflessioni in grado di circoscrivere il fenomeno del vintage facendoci fare balzi avanti e indietro nel tempo: dalla valigia contenente il giradischi fino a Instantlab, un progetto che consente di stampare foto d’epoca grazie all’iPhone non vi capaciterete di quanto oggi il vintage sia presente nella nostra vita. Un occhio perpetuo verso il passato che però mantiene la lucidità e la consapevolezza tecnologica del presente.

Il volume ci induce a riflettere su come lo sguardo al passato soprattutto delle nuove generazioni sia in realtà aiutato dalle nuove tecnologie, prime tra tutte l’e-commerce che, grazie alla potenza del marketing e di internet, fa tornare in auge non solo i veri pezzi della storia e gli stili più in voga come il rockabilly, l’hipster o lo steampunk ma anche packaging antichi e il cosiddetto “Finto modernariato”, le riproduzioni old style che aprono nuovi scenari sui mercati internazionali.

Come tutti i saggi che analizzano fenomeni transmediali la sua piena comprensione è possibile solo dopo aver visionato tutta o parte della filmografia, libreria musicale o prodotti presi in rassegna.

 

Le foto e le schede illustrative nel libro riescono a dare una risposta esaustiva ai nostri dubbi sulle differenze tra i vari stili ma ci portano ad una conoscenza linguista e, a tratti anche psicologica dei diversi vintage mood. Quale ad esempio la differenza tra il soggetto vintage e il retro-flaneur?
Una scheda interessante passa in rassegna una serie di titoli cinematografici degli ultimi anni, tutti ambientati nel passato con mode e gusti retrò.

 

Tutti i soggetti vintage, fissati per il ritorno al passato che però sanno reinterpetrarlo ed analizzarlo alla luce dei tempi attuali.

 

Passione Vintage – Il gusto per il passato nei consumi, nei film e nelle serie televisive
Carocci editore, di Daniela Panosetti e Maria Pia Pozzato con contributi di Daniele Dodaro, Fabrizio Festa, Giacomo Totani, Valentina Vellucci, 19 euro

Sono ormai il must delle mezze stagioni, l’indumento che tutte le donne hanno nel guardaroba: i leggings fanno bella mostra sulle gambe di giovani e meno giovani, consentendo anche di giocare con fantasie e colori.
Quale miglior “tela” dunque su cui sfoggiare la propria corrente artistica preferita? Da Michelangelo a Klimt, dalle vetrate gotiche alla pittura giapponese, ecco le calzamaglie più cool del momento.
Sono firmate Black Milk.

Clio: …è davvero il Red Carpet cui tutti aspirano.

Claire:  Ca va sans dire Clio: il MET Gala è il summit della moda e del glamour, l’evento per eccellenza nella primavera newyorkese!

Clio: Lo scorso 6 maggio c’erano davvero tutti i volti noti dello star-system, nessuno escluso. E sembra che molti degli ospiti vip abbiano seguito fedelmente il mood della mostra “Punk: chaos to couture”, cui l’edizione 2013 della serata al Metropolitan era dedicata.

Claire: Cosa vorresti dire Clio? Che la sempre impeccabile Anna Wintour si è presentata con un look alla Sid Vicious?!

Clio: No, ci mancherebbe: ci sono alcuni capisaldi che rimangono fedeli al loro stile. Anche se l’abito da “fille en fleur” di Chanel da lei scelto non era proprio in linea con la grande soirée.

Claire: Bisogna infatti ammettere che non sono mancate esagerazioni: la modaiola Sarah Jessica Parker ha davvero “alzato la cresta” con un copricapo da monaco tibetano. Forse un po’ esagerato.

Clio: Anche la Signora Ciccone devo dire che ha colto perfettamente il tema con borchie e collant strappati, ma il punk non le si addice molto.

Claire: Chi salvi allora Clio?

Clio: Direi che Sienna Miller si è difesa bene: abito lungo, bianco ed elegantissimo movimentato da chiodo nero e acconciatura tribale. E per te Claire, chi ha colto lo spirito del mitico John Lydon?

Claire: I Sex Pistols sono inimitabili, ma mi sarei aspettata di più dalla regina del punk: sua maestà Vivienne Westwood. Nessun tessuto scozzese e nemmeno qualche spilletta, ma un abito lungo cangiante. Molto più calata nella parte Donatella Versace con il suo sirena nero lucido sormontato da spalle appuntite.

Clio: Rimane il fatto che il MET Gala è un’ottima occasione per ricordare all’opinione pubblica l’importanza della moda nella cultura e nel costume. Anche tendenze undergorund possono aspirare ad entrare nell’Olimpo dell’haute couture.

Claire: Chissà se Joe Stummer, al tempo dei The Clash, avrebbe mai immaginato di divenire icona per Riccardo Tisci ed Helmut Lang…

 

Per visionare le interviste agli ospiti consultate il MetGala2013 su YouTube

 

Claire&Clio sono due cool hunters metropolitane impegnate in discussioni ataviche sulle ultime tendenze in fatto di stile

 

In questi giorni, le sale principali del museo Peggy Guggenheim di Venezia ospitano dei capolavori molto speciali. Provengono da tutta Italia e a realizzarli sono stati degli artisti unici: i bambini delle scuole primarie.
L’esposizione giunge a coronamento del progetto “Kids Creative Lab”, nato dalla collaborazione tra la Collezione Guggenheim e OVS con l’obiettivo di avvicinare i più piccoli al mondo dell’arte e di incentivarne la creatività.
Il progetto, al quale tutti i bambini possono partecipare a titolo gratuito sia attraverso la loro scuola, sia individualmente, è semplice e fortemente interattivo. Il fil rouge che lega le creazioni è il binomio arte e moda, storicamente caro a Peggy Guggenheim e fonte di ispirazione per le creazioni di Ovs. Nel sito dedicato sono illustrate, tramite dei veri e propri laboratori a distanza, le modalità di realizzazione degli elaborati artistici: quattro in tutto le possibilità, che tuttavia diventano mille grazie alla fantasia dei bambini e ai colori utilizzabili, dai bottoni e le spille fatti con la pasta modellabile agli stampini per decorare maglie e tessuti. Le fotografie delle creazioni possono poi essere caricate e condivise nella sezione del sito appositamente dedicata, che diviene una vera e propria galleria virtuale. I lavori inviati entro marzo, invece, sono confluiti nella grande installazione collettiva visitabile presso il Guggenheim fino al 6 maggio. Vincitrice è la Scuola elementare “Michele Scherillo” di Napoli, che data la grande adesione dei suoi alunni è stata premiata con 10 tablet ASUS. La mostra non è però un evento conclusivo e l’invito a partecipare rimane aperto.
La creatività come strumento che si apprende sin da piccoli e come arma per affrontare un futuro pieno di sfide; l’amore per l’arte che va stimolato, affinché possa crescere nel tempo ed essere coltivato giorno dopo giorno: questa è la forza dell’iniziativa, semplice e al tempo stesso innovativa, nata dall’incontro tra l’impegno educativo che la Collezione Guggenheim porta avanti da diversi anni e l’attenzione di Ovs ai temi della responsabilità sociale d’impresa. Il progetto, appare l’ideale prosecuzione della scelta del noto marchio del retail di coniugare sostenibilità e stile, puntando su idee innovative e sul talento dei giovani. Strategia confermata anche dalla recente creazione dell’Ovs Design Area, una piattaforma dedicata a dare spazio ai talenti emergenti provenienti dalle più rinomate scuole di moda nazionali e internazionali.

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Passeggiando per le strade del centro è capitato a ciascuno di noi di ammirare le luccicanti vetrine di Gucci, gli abiti sartoriali di Dior o le borse di Louis Vuitton con il loro indistinguibile ologramma. Qualche volta, forse, osservando la perfezione delle rifiniture e la bellezza di questi oggetti ci siamo interrogati sul lavoro necessario a realizzarli. Quanti sarti e sarte collaborano alla creazione di un abito di alta moda? Quanti abili artigiani lavorano la pelle per realizzare una borsa o un paio di scarpe? Chi sono queste persone dotate della straordinaria capacità di trasformare la materia informe in oggetti del desiderio?
Per rispondere a questa domanda il gruppo Lvhm, acronimo di Louis Vuitton Moët Hennessy, leader mondiale che riunisce i principali marchi del lusso, aprirà le porte dei propri atelier, vigneti, laboratori e palazzi.
Tornano, infatti, il 15 e 16 giugno 2013 “Les Journées Particulières”. Per un intero week-end, il pubblico sarà attivamente coinvolto in tour, visite, dimostrazioni e conferenze: insomma, un’esplorazione a tutto campo di oltre 40 esclusive sedi del gruppo, dislocate in Francia, Italia, Spagna, Svizzera, Regno Unito e Polonia. Dagli studi di Christian Dior alla casa di famiglia di Louis Vuitton, dalla sede produttiva di Guerlain a Orphin al laboratorio di Vuitton a Marsaz nella provincia della Drme, dalla tenuta viticola Numanthia in Spagna alla sede di Acqua di Parma in Italia.
Il successo della precedente edizione, tenutasi nel 2011, alla quale hanno partecipato oltre 100.000 visitatori, recandosi nei 25 siti aperti, ha spinto il gruppo francese a rinnovare e ad estendere a nuovi siti l’esperienza. Orologiai, calzolai, orafi, sarti, viticoltori e tanti altri “artisti del mestiere” sveleranno i loro antichi segreti e mostreranno il dietro le quinte del lusso.

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Dall’inizio del 2012 gli eventi dedicati a questa forma rivisitata di baratto si sono moltiplicati, offrendo agli italiani una serie d’incontri creativi e di tendenza. Organizzare uno swap party vuol dire, essenzialmente, ideare un momento di ritrovo in cui i vari partecipanti – amici, parenti, conoscenti o perfetti estranei – portano con sé una serie di oggetti che possiedono ma non utilizzano, rigorosamente puliti e in ottimo stato, per scambiarli con gli altri, nel tentativo di aggiudicarsi qualcosa di nuovo, utile e gradito. Il tutto si svolge in una cornice piacevole, con un accompagnamento musicale, un buffet o un aperitivo e, volendo, dell’intrattenimento. L’evento può svolgersi in casa, in uno spazio aperto o in una location specificamente dedicata, può essere formale o informale, su invito o aperto: ognuno è libero di esercitare la propria fantasia e dare un tocco personale all’organizzazione, a seconda dei gusti e delle esigenze.

Questo nuova forma di “edonismo sostenibile”, facendo sua la filosofia del riuso e del riciclo, è capace di liberarci dal potere d’acquisto, proponendo una soluzione di scambio eco-friendly e offrendo un’ottima occasione per socializzare e condividere valori, idee e il proprio tempo. E’ proprio in questo momento di difficoltà finanziaria che riscopriamo il valore sociale ed economico del baratto, facendo dello scambio informale la strategia migliore per liberarsi di quanto non serve, guadagnarsi qualcosa di nuovo e vivere un’esperienza diversa. Nella diffusione del fenomeno, ancora una volta è la comunicazione social a giocare un ruolo fondamentale, innescando dinamiche virali e facilitando lo scambio d’informazioni.

Nel Bel Paese lo swapping ha trovato terreno fertile e ha dato vita a negozi e boutique specificamente dedicati, ad alcune community virtuali e ad una serie di eventi e declinazioni interessanti. Gli appassionati di moda, seguendo le orme delle fashion addicted di Manhattan, hanno deciso di applicare la pratica allo scambio di abbigliamento e accessori. Interessante, in questo senso, l’evento organizzato dall’Atelier del Riuso a Milano, chiamato Urban Swap Party e tenuto in concomitanza della settimana della moda lo scorso settembre. L’incontro, infatti, si è svolto a bordo dello Swap Tram, nel quale, oltre allo scambio, venivano organizzate una serie di attività, dai massaggi alle consulenze d’immagine. Scegliendo di fissare l’evento nel corso della fashion week, gli organizzatori hanno voluto aprire una finestra sull’altra moda, quella che abbraccia la sostenibilità e sposa una filosofia che concepisce il riuso come occasione creativa e di scambio.

Sempre l’Atelier del Riciclo è alle spalle di un’altra declinazione milanese dell’evento, l’After Christmas Swap Party, in cui i protagonisti indiscussi erano i regali di Natale ricevuti ma non graditi. Un’altra proposta interessante è quella di Nonsoloswap, un’organizzazione che si dedica all’organizzazione di eventi ed incontri nella suggestiva cornice delle ville storiche dell’Emilia Romagna e delle Marche. Un esempio è stato lo swapping organizzato presso Villa Serena, nel mezzo della campagna pesarese, un posto che è stato per secoli dimora di villeggiatura per i conti della zona.

Non solo la moda e gli accessori si sposano bene con il nuovo trend. Le mamme romane si sono dimostrate molto interessate alla nuova pratica, incontrandosi ad eventi pensati per lo scambio di giocattoli e vestitini under 10. A Roma, infatti, Amisuradimamma e MO’MO’ Republic, nel mese di marzo, hanno organizzato una serie di eventi per andare incontro alle necessità delle famiglie.

Porre dei limiti alle possibili declinazioni dello swapping è assai difficile. Combinando in un solo incontro opportunità e condivisione e proponendosi agli italiani in un momento in cui fare acquisti diventa sempre più proibitivo, il fenomeno si appresta ad avere notevole successo nei prossimi mesi. Con il suo format che si presta a continue rivisitazioni, lo swapping unisce la fantasia al recupero di vecchie tradizioni, offrendo una modalità semplice ma efficace per reagire alla crisi.

 

 

 

 

 

Da sempre il legame tra arte e moda è stringente. Le reciproche contaminazioni e la medesima capacità di anticipare i tempi e i cambiamenti sociali accomunano questi due mondi, il cui confine è molto spesso labile. Le opere d’arte, soprattutto contemporanea, il cinema e la fotografia sono fonte d’ispirazione dalla quale i grandi stilisti e designer partono per dare vita alle loro collezioni, così come i capi d’abbigliamento, considerati essi stessi opere d’arte, vengono esposti in musei appositamente dedicati. Quadri e dipinti, dunque, come fonte d’ispirazione e come oggetti da ammirare per la loro bellezza. E se da oggetti fissi, queste tele prendessero vita? Se oltre ad essere ammirati quadri e dipinti potessero essere indossati?

È questa la domanda che ha animato l’originale idea della pittrice Roberta Diazzi, da oltre dieci anni dedita alla ritrattistica. L’artista modenese, ispirata dall’esclamazione di una propria cliente, dispiaciuta del doversi limitare a tenere chiusi in casa i suoi dipinti, ha deciso di stampare alcune delle sue opere su foulard e caftani in seta. Nato come un esperimento, il progetto si è evoluto portando alla realizzazione di una vera e propria linea di moda. Nei giorni scorsi la creativa ha debuttato a Reggio Calabria con la sua collezione di abiti: un unico modello dalle linee morbide indossato dalle ragazze tenendo in mano i quadri con la medesima immagine d’ispirazione pop art. Un abito personalizzabile con ritratti d’arte o con il volto di una persona a noi cara che indossato ci colora la vita. L’appuntamento con il prossimo defilé è per il 3 aprile all’Atelier Dictum Factum di Lucia Bassi di Reggio.

Ma la creatività non ha limiti e, quindi, è possibile anche che le tele e i dipinti diventino borse e accessori di moda. Ispirati dall’idea di “Un’arte che cammina”, tre amici hanno utilizzato veri e propri dipinti per realizzare una linea di borse fuori dal comune. Le creazioni di “CGL Walkingart” nascono, infatti, dall’unione delle doti artistiche di Marco Camera, che mette a disposizione le proprie opere, alle abilità di designer di Chiara Gallizia che ne cura la forma, e alla professionalità di Riccardo Legnani che si occupa degli aspetti pratici. Un mix di successo garantito, che vede i quadri uscire dalla fissità delle mura del proprio appartamento o di una galleria per incontrare materiali diversi e dar vita a capolavori da indossare.

Un’esperienza simile accomuna un commerciante di Mestre a questi artisti. Pittore da una vita per passione, circa un anno e mezzo fa Pietro Carloni togliendo l’intelaiatura da un proprio dipinto ha pensato: “perché non farlo diventare una borsa?”. Detto, fatto. Oggi nel suo negozio di abbigliamento, accanto ad abiti, maglie e camicie ci sono le sue creazioni. Inizialmente le borse erano realizzate prendendo direttamente le tele delle sue opere, in seguito poi si è preferito utilizzare un materiale più adatto alla lavorazione, cotone, pelle, iuta, materiali di recupero delle grandi produzioni, e realizza il suo quadro. Un unico prodotto che unisce, quindi, arte e sostenibilità e che, con grande soddisfazione dell’artista, può essere indossato e comunicato.

Indossare i dipinti, le tele di un artista diviene un modo per veicolare l’arte e per esprimere la propria originalità in una società che ci vuole omologati. In un momento di crisi economica, le idee creative si rivelano ancora una volta la soluzione vincente.

 

Il più grande museo di arte e design al mondo dedica in questi mesi, fino all’11 agosto 2013, una grande mostra all’icona pop David Bowie.

Il Victoria and Albert Museum, situato nel cuore del quartiere di South Kensington, è noto per la sua straordinaria ed eccezionalmente varia collezione che comprende, tra gli altri, mobili, ceramiche, gioielli, dipinti, sculture ed accessori di moda. Oltre alle esposizioni permanenti, tra le quali spiccano le British Galleries dove i pezzi unici delle collezioni raccontano i 400 anni di storia dell’arte e del design made in UK, il museo offre un ricco e dinamico programma di mostre ed eventi temporanei, come la passata mostra “Postmodernism: Style and Subversion” (2011) che per la prima volta ha approfondito l’evoluzione e l’influenza del Postmodernismo sull’arte e la cultura.

Questa primavera il V&A mette in scena la prima retrospettiva su David Bowie e la prima mostra che rende omaggio a una popstar. Inaugurata lo scorso 23 marzo, “David Bowie is” sembra essere già un vero successo, dal momento che i biglietti per la mostra – 50 mila per l’esattezza – sono andati a ruba ben prima dell’apertura, facendo registrare un record di vendite al museo britannico.

La mostra-evento interamente dedicata all’artista originario di Brixton, quartiere a sud di Londra, apre quasi in concomitanza con l’uscita a sorpresa del suo nuovo album “The Next Day”, pubblicato il 13 marzo dopo ben dieci anni di assenza, che ha già raggiunto il primo posto delle classifiche nel Regno Unito con 94 mila copie vendute.

Vi sono esposti oltre 300 oggetti rappresentativi della carriera di Bowie che i curatori, Geoffrey Marsh e Victoria Broacker, hanno selezionato dalla collezione personale dell’artista. Per la prima volta costumi, testi di canzoni, video musicali, scenografie, strumenti e fotografie, escono dal suo archivio personale e prendono forma nello spazio espositivo del museo per raccontarne la sua poliedrica e straordinaria carriera. E’ una mostra trasversale e dalle molte forme, proprio come David Bowie stesso, che adopera e mette insieme moda, musica e arte performativa in modo unico e spettacolare.

Suddiviso per temi, il percorso espositivo guida il visitatore alla scoperta dell’icona pop e del suo processo creativo: dalle origini nei primi anni Sessanta all’evoluzione, fino ai successi odierni, cogliendone i momenti salienti attraverso oggetti e frammenti della sua vita e carriera. David Bowie, classe 1947, è stato capace di inserirsi e di influenzare non solo la cultura musicale – con 27 album pubblicati, 1000 concerti e 12 tour tra il 1972 e il 2004 – ma anche la moda e perfino il design. La mostra si focalizza sulla figura di Bowie come innovatore musicale e icona di stile, senza appiattirne il personaggio, come rischierebbe di fare una mostra ordinaria, ma invitando invece il visitatore-spettatore a salire sul palco con l’artista per esplorare il suo dinamico e dirompente mutare, evolvere, reinventarsi in quasi mezzo secolo di attività: dal David Jones dei sobborghi di Londra, allo Ziggy Stardust, che ha avuto molteplici riferimenti culturali, dall’espressionismo tedesco al Surrealismo, dal teatro brechtiano ai musical ed anche al teatro giapponese Kabuki.

Si percorrono le sale ascoltando nelle cuffie le sue hit, grazie al sistema approntato dalla compagnia Sennheizer, sponsor della mostra insieme a Gucci. In una perfetta sintesi tra oggetti personali e opere frutto della collaborazione tra l’artista e stilisti, fotografi e designer, che caratterizza tutta la mostra, aprono il percorso due dei sessanta costumi di scena presenti: l’abito in vinile Tokyo Pop realizzato da Kansay Yamamoto per Aladdin Sane tour, e la tuta da alieno antropomorfo indossata per Ziggy Stardust del 1972, realizzata da Freddie Buretti; si possono vedere poi le tante copertine degli album, tra le quali quelle create da Guy Peellaert e Edward Bell, perfino all’ultimo uscito nelle scorse settimane, passando poi per i testi delle canzoni, le annotazioni e i disegni dell’artista, le fotografie firmate da famosi fotografi come Helmut Newton, Herb Ritts e Brian Duffy, gli strumenti e, nell’ultima sezione, i video musicali, tra i quali Saturday Night Live (1979), ed ancora scene tratte dai film, come Labyrinth (1986) e Basquiat (1996).

La mostra si conclude con maxi schermi di dieci metri d’altezza che ci fanno rivivere in prima persona uno dei suoi tanti spettacoli, come fossimo accorsi al suo concerto.

Per i veri fan, da non perdere il mese prossimo la settimana di eventi speciali al V&A tutta dedicata alla mostra, da venerdì 26 a domenica 28 aprile, con conferenze, workshops e tanto altro ancora.

Per tutte le informazioni sulla mostra: www.vam.ac.uk

 

Il rapporto pubblicato dalla ECCIA (European Cultural and Creative Industries Alliance) sul contributo del settore del lusso all’economia europea parla chiaro: l’industria del lusso, con un fatturato pari al 3% del PIL europeo, ha un margine di crescita tra il 7% e il 9% entro il 2014 in un contesto macroeconomico che, al contrario, cede sotto i colpi della crisi. Considerato settore chiave in termini di occupazione, di garanzia della qualità e di creazione di un indotto, soprattutto in termini turistici, il lusso salverà, secondo lo studio, l’Europa dalla crisi. Ma si può dire altrettanto della cultura?
Il mercato dell’abbondanza trova un connubio proficuo con il settore culturale, là dove questo costituisce una fonte inesauribile di prestigio e una risorsa strategica. L’impegno delle Fondazioni a tutela delle espressioni artistiche è solo l’esempio più noto delle possibilità di sinergia tra settori. D’altro canto, creatività e innovazione sono concetti comuni che ricorrono nel descrivere sia il mercato del lusso, sia quello culturale. Lo spettro delle saldature possibili descrive un quadro di sperimentazione che varia da un massimo di ricerca del profitto economico, come nel caso delle collaborazioni di prodotto, fino ad un massimo di mecenatismo e filantropia, come per la politica aziendale della casa tedesca Dornbracht.

Questa azienda di lusso nel settore della rubinetteria, è sponsor di eventi che gravitano attorno al mondo della cultura per vocazione e passione familiare. Numerose sono le strategie usate dall’azienda nel confronto con il mercato culturale: dalle mostre in spazi espositivi come la Serpentine Gallery di Londra o il PS1 di New York, alle “Dornbracht Conversations”, dibattiti in cui gli interessi dell’azienda vengono incrociati con quelli dell’arte, dell’architettura e del design, al Megalog, un periodico in cui agli aggiornamenti di prodotto l’azienda affianca interventi sul mercato della cultura, conformemente agli impegni presi in quest’ambito.

La collaborazione azienda-artista è un esempio di massimo rendimento economico. È celebre a tal proposito la sinergia nata anche tra Maison Vuitton e l’artistar giapponese Yayoi Kusama per la creazione di una collezione ibrida in cui i pois, marca di stile dell’artista, hanno contaminato gli oggetti-feticcio della griffe francese. Visibilità e successo per entrambi, ma anche riscoperta di una manualità che fa parte tanto dell’oggetto di lusso quanto di quello d’arte. E poi contaminazione tra i due sistemi, sia nell’appeal dell’edizione limitata, sia nella trasformazione della vetrina e dello showroom da spazio commerciale per pochi a luogo espositivo per il pubblico.

Se tra cultura e lusso la collaborazione di prodotto è la strategia di più evidente beneficio economico a vantaggio delle parti, la partnership pubblico-privato sembrerebbe invece meno votata ad un ritorno sotto questo profilo. Pur nella diversità dei casi, è evidente che in queste logiche vi siano un impianto strategico e benefici per entrambe le parti. Comune è infatti la volontà di ricevere dal mondo della cultura plusvalore in termini di innovazione e dinamismo, di migliorare il posizionamento e aumentare il proprio prestigio. Anche se il brand di lusso non mira ad ampliare il proprio bacino di acquirenti su scala di massa, le iniziative culturali creano esternalità e benefici per un pubblico più vasto. Sia nelle partnership, sia nelle collaborazioni più commerciali, il mondo della cultura e dell’arte amplia a sua volta i propri scambi e rapporti e crea valore per sé e per i fruitori.
Perchè questo rapporto sia possibile con questa simmetria, è però necessario sradicare la convinzione per cui il mondo della cultura sia il solo beneficiario di tali sinergie. Solo pensandosi come mercato, in termini competitivi e di profitto, esso potrà riconoscere che con il lusso non vi è un rapporto di mero salvataggio, ma di scambio reciproco.

Da remix di successo di Baauer, a comedy sketch rielaborato da un giovane studente di comunicazione, per trasformarsi poi in fenomeno virale del web, che in questi giorni ha raggiunto ben 31 milioni di visualizzazione su Youtube. La ricetta dell’Harlem Shake, come quella di molte altre manifestazioni virtuali, è semplice ma efficace. Si concretizza in un video ironico di circa 30 secondi, in cui, in un primo momento, un solo soggetto balla passivamente, in una situazione ordinaria, circondato da persone immobili che sembrano ignorarlo. Ad un tratto, però, la situazione si evolve, il ritmo esplode e tutti i presenti si lasciano andare in una danza movimentata, trascinante e apparentemente senza senso.

Filthy Frank, vlogger diciannovenne di Youtube e studente di comunicazione, il 30 gennaio pubblica sul suo canale, da 13 mila follower, un video girato con un gruppo di amici nella sua stanza. Quella sera stava ascoltando Harlem Shake di Baauer con alcuni compagni quando, d’un tratto, presi dal ritmo, decidono di travestirsi da supereroi, mettere in piedi una sorta di flashmob e condividerlo attraverso il web.

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=8vJiSSAMNWw?list=UUqSHAXN5sqtyE93A-w-8Ddw]

Il video da subito cattura l’attenzione degli internatuti, ma la vera svolta avviene il 7 febbraio, quando viene diffuso Harlem Shake v3, un video in cui un individuo a volto coperto inizia a ballare in un ufficio open space, mentre gli altri impiegati sono intenti a lavorare. Ad un tratto, secondo la formula nota, il ritmo sale e il gruppo si scatena in una danza tribale collettiva, senza alcun freno.

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=0IJoKuTlvuM]

Di qui il fenomeno esplode e iniziano a diffondersi sulla rete imitazioni e rivisitazioni. Dai nuotatori della George University, che ripropongono la scena sul fondale di una piscina, all’esercito norvegese in abito mimetico, da Ada Reina con la sua Milano Shake, prima rielaborazione marcatamente italiana, ai giocatori della Biancoblù Basket di Bologna nello spogliatoio. Il tormentone impazza e ormai sul web si contano decine e decine di video.

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=QkNrSpqUr-E]

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=4hpEnLtqUDg]

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=Cc1s9P6h1_Q]

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=vZtPLJsafqI]

Baauer stesso sta bene beneficiando del fermento virale di queste ultime settimane, dopo aver prodotto remix per gruppi come i The Prodigy e i No Doubt, viene ora riportato prepotentemente sotto i riflettori dal nuovo meme. La canzone Harlem Shake è ora in prima posizione nelle classifiche Nielsen e Billboard e il nuovo tour dell’artista è già tutto esaurito.
Il pezzo, di per sé, s’inserisce nell’hip hop di fine anni Novanta, primi anni Duemila, e unisce atmosfere trap all’elettronica del dubstep di derivazione inglese. Creandolo, Baauer ha remixato una canzone del 2001 dei Plastic Little, i quali si sono rivelati poi entusiasti della scelta, non avrebbero di certo potuto immaginare che il mash up avrebbe poi fatto da colonna sonora ad uno dei fenomeni di costume più virali della rete.

Ad oggi sembra che Do the Harlem Shake stia, in breve tempo, prendendo il posto precedentemente occupato da GanGnam Style nell’immaginario ironico e paradossale del web. Chissà se anche questo nuovo meme riuscirà a sedurre vip, artisti contemporanei e professionisti affermati a lasciarsi andare al suo ritmo. I presupposti sembrano esserci tutti.

Anche la redazione di TAFTER non è rimasta immune dal fenomeno: ecco il nostro Harlem Shake!
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=Y80efnYoe5U]

Helmut Newton è il fotografo che ha cambiato i servizi patinati di moda: i suoi nudi irriverenti e veri hanno mostrato il lato spregiudicato e intimo dell’universo femminile. Donne che prendono consapevolezza di loro stesse, sfrontate e in barba alle convenzioni sociali, senza aver paura di denudarsi con i loro pregi e difetti, è questo quello che mostrano gli scatti del fotografo berlinese nella mostra che il 6 marzo aprirà al pubblico presso il Palazzo delle Esposizioni di Roma.
L’esposizione, intitolata “Helmut Newton. White Women, Sleepless Nights, Big Nudes”, racconta in 180 opere il lavoro che l’artista ha racchiuso nei suoi primi tre libri, pubblicati alla fine degli anni ’70 e da cui la mostra trae il nome. Proprio il primo dei tre, “White Women”, vinse nel 1976 il prestigioso Kodak Photobook Award, lanciando una vera e propria rivoluzione nell’editoria femminile, che con Newton sdoganò il nudo.
Il curatore Mathias Harder , che sta portando la mostra da Berlino a Parigi, fino a Roma, dice che, nonostante in molti si siano rifatti allo stile del tedesco, “esiste un solo Helmut Newton nella storia della fotografia”.

 

 

Trovare idee e spunti per realizzare gioielli sempre più intriganti e innovati non è certo facile. Indossereste mai dei gioielli che abbiano la forma dei vostri organi interni? Polmoni, stomaco e reni in puro oro da portare nelle occasioni importanti e durante le serate di gala. Guardate queste creazioni di LouPiotte!

Claire: Tempo di campagna elettorale mia cara Clio, con promesse e lunghi discorsi retorici…

Clio: Già, ma forse i politici dimenticano che non abbiamo solo orecchie per sentire ma anche occhi per guardare. I loro outfit avrebbero davvero bisogno di un restyling!

Claire: Vorresti fare un rimpasto anche nel loro guardaroba Clio?

Clio: Altroché! Anche l’abito fa il politico e può aiutare a guadagnare qualche punto percentuale. Metti ad esempio Berlusconi, con il suo solito doppiopetto blu e la sua cravatta a pallini inamidata. Non lo trovi un po’ troppo patinato?

Claire: E dire che da un burlone come lui, mi sarei aspettata qualcosa di più originale. Che prenda esempio da Oscar Giannino: lui sì che in tema di stravaganza non è secondo a nessuno!

Clio: Attenzione, però Claire: dalla stravaganza al ridicolo, il passo è molto breve. Stiamo sempre parlando di candidati premier. Il ruolo istituzionale che dovranno ricoprire richiede comunque una certa etichetta.

Claire: …che a volte viene interpretata in maniera più informale. Pensa a Bersani, col suo sigaro in bocca, le maniche di camicia rigirate (prese in prestito da Renzi), e quella cravatta che, se c’è, rimane ad ogni modo morbida sul collo.

Clio: E vogliamo parlare di chi, oltre a rivedere il guardaroba dovrebbe rivolgersi ad un hair stylist? La chioma ribelle di Grillo sembra non vedere una forbice da quando faceva cabaret in tv.

Claire: Un po’ come la barba di Ingroia che poco si sposa al suo stile fin troppo convenzionale.

Clio: Frena, Claire…se parliamo di stile convenzionale Monti batte tutti. Le sue mise rigorose riflettono in pieno la sua politica di austerity.

Claire: Credo di essere in difficoltà Clio: il campionario è ridotto, non esiste la formula “Soddisfatti o rimborsati” e il prezzo da pagare non prevede sconti. Queste elezioni non fanno per me…

Clio: Non dire così Claire, sai che votare è un dovere e lo shopping è un piacere. Pensa che il prossimo Presidente del Consiglio potrebbe dettare moda!

Claire: Clio, lo stile lasciamolo a chi se ne intende. Questa commistione tra politica e passerella ha già provocato danni. Consigliare moda non è affar per consiglieri che vanno solo di moda.

 

Claire&Clio sono due cool hunters metropolitane impegnate in discussioni ataviche sulle ultime tendenze in fatto di stile