Culture21 srl – Gruppo Monti&Taft Ltd
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Lucio e Anna sono una coppia di Genova come tante altre, hanno un lavoro, una bambina di nome Gaia e una casa in città. Eppure un giorno si rendono conto che la loro vita, le loro giornate, hanno bisogno di qualcosa in più rispetto alle opportunità che ogni giorno offre la realtà urbana.
Decidono allora di intraprendere, tutti e tre, un progetto ambizioso e pionieristico: viaggiare alla scoperta di nuovi modi di vivere, di fare economia e di intendere il rapporto uomo-natura. Capire come si vive in una fattoria biologica, cosa comporta il cohousing, come effettivamente si svolgono le giornate in un villaggio ecosostenibile, provare in prima persona forme alternative di educazione e di apprendimento.
Anche il modo di spostarsi di Unlearning – così si chiama il loro progetto – avverrà in maniera originale e sostenibile, sfruttando le più avanguardistiche forme di baratto: WorkAway, Banca del tempo, Couch Surfing, scambi di ospitalità in cambio di lavori in fattorie biologiche, in strutture culturali indipendenti, baratto di conversazione per imparare le lingue, e così via. Da questa particolare avventura verrà fuori un documentario, un prodotto culturale che sarà il risultato di un’ulteriore forma di scambio e condivisione “dal basso”, basandosi sui finanziamenti del crowdsourcing.
Ma sentiamo dalla voce dei suoi stessi protagonisti i dettagli di questa esperienza, unica nel suo genere.
Come spiegate nel trailer di presentazione di “Unlearning”, l’idea del vostro progetto è nata da un pollo a quattro zampe, che è diventato il simbolo della vostra iniziativa. Potete raccontarci l’aneddoto che ha dato inizio a tutto e rivelarci i motivi che vi hanno spinto a intraprendere un’avventura del genere?
Viaggiare e curiosare ha sempre fatto parte del nostro DNA di coppia. L’arrivo di una figlia ha cambiato molti aspetti pratici della nostra quotidianità. Ma quando Gaia ha disegnato un pollo a quattro zampe si è riaccesa la scintilla e ci siamo detti “Perché non coinvolgere anche la bimba?” Meraviglioso… la nostra crescita individuale si è trasformata esponenzialmente a livello familiare. Il pollo a quattro zampe è diventato il simbolo della nostra epoca, dove i bambini di città conoscono gli animali al supermercato, guardano gli speciali in tv e, se va bene, vanno allo zoo.
Tutto il vostro viaggio si baserà sull’idea del baratto. Si tratterà di un’esperienza all’insegna dell’improvvisazione e della scoperta o potete già dare delle anticipazioni sull’itinerario, i tempi, le persone che incontrerete?
Viaggeremo con una bimba piccola, non possiamo pensare di fare come Indiana Jones!
Sarà un viaggio pianificato perché non è l’aspetto avventuroso che ci interessa.
Anticipazioni: vi possiamo dire che questi ultimi giorni sono fantastici perché abbiamo ricevuto numerosi inviti da parte di persone che hanno trovato interessante il progetto, e li ringraziamo. È molto probabile che ci vedrete alle prese con un progetto educativo indipendente, una famiglia di “artisti del riciclo” e… un circo! Abbiamo sei mesi di viaggio e qualche mese per decidere le ulteriori tappe.
Quanto e come pensate che “Unlearning” possa essere importante per vostra figlia? E in generale, pensate che il vostro potrebbe o dovrebbe essere un esempio per altre famiglie, per altri bambini?
Noi non pensiamo di essere un esempio, ciascuna persona ha il diritto di vivere come preferisce, ma le famiglie che vogliono sperimentare differenti modi di vivere e di viaggiare troveranno in Unlearning un manuale pratico per affrontare con serenità questo tipo di esperienza.
Noi abitiamo a Genova e, come molte altre famiglie, siamo contenti della nostra vita e Gaia ha i suoi punti di riferimento: amici, giochi, casa. Certo, il confronto con altri stili di vita, non sarà indolore perché metterà a nudo aspetti di forza e di debolezza delle nostre convinzioni, della nostra routine. Come una sorta di depurazione, alla fine resteranno solo le cose più preziose.
I finanziamenti per compiere il vostro singolare viaggio si basano interamente sul crowdfunding. Perché un individuo, un’altra famiglia come la vostra, o una collettività dovrebbero finanziarvi?
Bella domanda! E ti ringrazio perché è molto importante spiegare questo passaggio, tanto delicato quanto importante.
Unlearning è un progetto di documentario indipendente. Ti piace il trailer? Puoi acquistare il film in prevendita qui: www.unlearning.it. È come comprare un biglietto del cinema ma vedere il film dopo sei mesi. Capiamo che può sembrare strano, ma il ricavato della prevendita ci permetterà di realizzare Unlearning al meglio! Non chiediamo soldi per organizzarci una vacanza, ma per creare un prodotto culturale a stretto contatto con i suoi fruitori. Il costo del download è di dieci euro ma se proprio vi siamo simpatici, potete richiederci i fantastici gadget creati appositamente per Unlearning: t-shirt per uomo, donna e bambino, fondini per il desktop, stampe e segnalibri magici.
In Francia, e in altri paesi europei il finanziamento da basso (crowdfounding) è un metodo molto utilizzato per progetti di tipo sociale, scientifico, musicale, letterario.
Ci è sembrata una buona idea adottare questa nuova formula di finanziamento anche da noi, in Italia. La nostra scelta è pioneristica ma, se compresa dalla collettività, potrebbe rivelarsi molto utile anche per altri progetti.
Intraprendere un percorso del genere non è un avvenimento di tutti i giorni. Cosa pensano le vostre famiglie e i vostri amici di “Unlearning”? C’è un territorio o una realtà che vi sostiene particolarmente?
Familiari e amici sono stati in nostri primi fans! Ma non solo, sono state le prime persone con le quali confrontarci e mettere a fuoco il progetto. Insomma, sono il nostro “territorio amico”.
Probabilmente la vostra vita sarà cambiata dopo aver portato a termine un’avventura come questa. Cosa vi aspettate per il futuro, dopo “Unlearning”? Il vostro proposito di sperimentare nuove forme di vita e di economia avrà un seguito?
In realtà i cambiamenti sono iniziati già da ora! “Imparare, disimparare per imparare nuovamente”. E quando rientreremo a casa dopo sei mesi, chissà! Magari saremo felici di ritornare alla nostra quotidianità, oppure… Questo sarà il finale del nostro documentario!
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Legambiente non ha perso tempo per esercitare pressioni scrivendo al Premier Enrico Letta affinché l’esecutivo italiano intervenga presso il Governo Russo al fine di veder rilasciati i 28 attivisti e i due giornalisti arrestati ingiustamente.
L’associazione del Cigno Verde è al fianco dell’Associazione Greenpeace cui condivide l’allarme lanciato per l’Artico. Anzi crediamo che anche il nostro Governo debba far sentire la propria voce a nome di tutti gli italiani. L’accusa di pirateria inizialmente lanciata sui 28 attivisti di Greenpeace e i due giornalisti, con il rischio di essere condannati fino a 15 anni di prigione per un’azione dimostrativa pacifica a difesa dell’Artico contro la piattaforma della Gazprom, ci è sembrata un’enormità assolutamente ingiustificata. L’Artico è un bene di tutti che va salvaguardato anche per le generazioni future. Ci preme che vengano rilasciati gli attivisti e i due giornalisti freelance, ingiustamente arrestati il 19 settembre scorso e ancora trattenuti dall’autorità russa per aver tentato di assaltare la piattaforma Gazprom: un’azione dimostrativa che nulla ha a che vedere con le accuse formulate dal Governo Russo, e che vede tra gli attivisti fermati anche l’italiano Cristian D’Alessandro. Cristian è un napoletano che ha abbracciato le cause ambientaliste con passione, coraggio e fermezza. Una persona decisa e perbene che lotta per un mondo migliore, più giusto ed equo, dove un diverso modello di sviluppo sia possibile per scongiurare il declino del genere umano.
L’appello di Legambiente si va ad unire alla mobilitazione internazionale che è partita in queste settimane e che ha coinvolto personaggi illustri come gli undici Premi nobel per la Pace. E dall’assemblea annuale dei circoli in corso a Rispescia (Gr), Legambiente lancia un messaggio di solidarietà e di vicinanza agli amici di Greenpeace con una foto dallo slogan provocatorio “Colpevole di pacifismo”. Le azioni di Greenpeace, seppur eclatanti, sono pacifiche per definizione e quella che sta avvenendo in Russia, con la detenzione dei 30 membri dell’equipaggio della nave Arctic Sunrise compreso il nostro amico Cristian, è una risposta violenta e spropositata al gesto di protesta dell’associazione ambientalista che vuole solo accendere i riflettori sulla delicata questione dell’Artico e dell’inquinamento marino.
Nabil Pulita è Delegato Nazionale Legambiente
In costante aumento, gli orti urbani sono ormai presenti in molte città italiane, piccole o grandi che siano. Nel 2013 Coldiretti ha annunciato il record totale di 1,1 milioni di metri quadri di terreno di proprietà comunale destinati a orti urbani. Inoltre, poco più di un terzo (38%) delle amministrazioni comunali dei capoluoghi di provincia li hanno inseriti tra le modalità di gestione delle aree del verde.
Complice la crisi, ma anche l’aspirazione a un’alimentazione più sana ed ecco che sempre più persone riscoprono il piacere di coltivare il piccolo appezzamento di terra messo a loro disposizione e produrre per la propria tavola ortaggi, verdure e frutti. Antiche tradizioni e segreti del mestiere si apprendono dalla rete: sono sempre più diffusi i social network, i blog e i siti dedicati. La Zappata Romana, ad esempio, oltre ad aver sviluppato una mappa online di tutti gli orti urbani della capitale, visitata ogni anno da oltre 30 mila persone, fornisce le linee guida per realizzare un orto condiviso.
La tutela dell’ambiente, insita nell’impegno a prendersi cura quotidianamente della terra, diviene dunque un momento di condivisione: lavorare fianco a fianco, scambiarsi consigli, suggerimenti e strumenti di lavoro favoriscono l’aggregazione sociale.
Questo non è, tuttavia, il solo beneficio apportato dagli orti urbani. Gli orti possono essere, infatti, uno strumento di valorizzazione del territorio e dei beni culturali. Vediamo come. È stato siglato nel maggio scorso il progetto nazionale “Orti Urbani”, promosso dall’associazione Italia Nostra Onlus con l’intento di creare una rete di orti all’interno delle città.
Il progetto, al quale hanno aderito quest’anno anche il Ministero per le Politiche Agricole e Forestali e l’ANCI, mira a realizzare un’unica rete in tutta Italia, che, ispirandosi a comuni regole condivise, favorisca lo sviluppo di un’economia etica e la valorizzazione del patrimonio storico, gastronomico e culturale connesso alla coltivazione.
È esemplificativa in tal senso l’esperienza del Comune di Ostuni, che nell’ambito di tale progetto, ha deciso di riqualificare l’intera cinta muraria, andando ricreare gli orti terrazzati che un tempo caratterizzavano l’area. Coinvolgendo gli studenti alla riscoperta delle antiche tradizioni contadine e con un forte impegno dell’amministrazione comunale, si andrà a restituire al territorio un’area di circa 1.500 metri quadrati, che saranno destinati in parte a verde pubblico e in parte dati in gestione diretta ai residenti, alle associazioni e alle scuole.
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E’ finito da pochi giorni, con la grande festa (e sfida!) del Palio del Grano (una gara in cui sono iscritte otto squadre in rappresentanza di otto rioni di Caselle in Pittari “che si muovono” in una sorta di “staffetta” all’interno del campo di grano diviso in “corsie” – dal sito del Palio del Grano), il #campdigrano, una settimana all’insegna della “terra” e del “sapere”, o meglio di Alfabetizzazione e Innovazione Rurale.
Tante le collaborazioni anche quest’anno, dopo il grande successo del 2012, tra cui quella con Societing, accademia, e centro studi, attenta alla valorizzazione delle risorse organizzative ed al “passaggio” concettuale da marketing a societing, con occhio vigile alla necessità di un elevato valore sociale dei nuovi mercati.
Programma molto ricco quest’anno, che ha visto, oltre Societing, eccellenti collaborazioni – ad esempio – con Mediterranean Fab Lab, laboratorio di fabbricazione digitale; con Vincenzo Moretti, che ha parlato del suo “Testa, Mani e Cuore – Il lavoro che cambia l’Italia”); con alcune case history d’eccellenza nell’ “innovazione rurale” come Terra di Resilienza, Open Bosco, Bio & Sisto (solo per citarne alcune).
Naturalmente, impossibile non citare l’attenta, operativa e lungimirante Pro Loco di Caselle in Pittari, paesino del Cilento arroccato su una collina, che ospita Palio e Camp con il suo calore e la sua partecipazione e, soprattutto, con la sua tranquillizzante quotidianità.
L’anno scorso, per l’edizione 2012, abbiamo parlato qui di contro-rivoluzione. E proprio questa rivoluzione procede veloce a colpi di sostenibilità e passione per il proprio territorio con occhio attento al cambiamento della società.
Il successo crescente dell’iniziativa è il frutto di componenti “speciali”: l’ospitalità di un piccolo borgo con i suoi ritmi slow; il lavoro e l’amore per il territorio, che gli organizzatori del Camp mettono in gioco non solo durante la settimana dedicata; l’innovazione nel campo della terra e dell’agricoltura.
E’ questo il passo giusto per dare forza a piccole realtà che possono essere valorizzate sempre più, non con grandi alberghi oppure con invasioni turistiche indiscriminate, ma con sperimentazioni di questo tipo che facciano conoscere non solo le realtà balneari del Cilento (che ad ogni modo meritano attenzione e riguardo), ma anche l’incantevole e, incontaminato, entroterra.
Citando il Sillabario del #campdigrano, scritto da Vincenzo Moretti e pubblicato su Il Sole 24 Ore, penso che le due parole con la lettera U siano quanto mai indicate per raccontare l’esperienza: Unire e Uomo.
Immagini:
© Fabrizio Barbato @svoltarock da instagram http://instagram.com/p/b875EUJHFk/
le altre immagini sono tratte da: http://www.paliodelgrano.it/campdigrano/
301.277 kmq la superficie dell’Italia. Una spina dorsale rocciosa adornata da una fascia costiera della lunghezza complessiva di 8.300 km. Un paesaggio naturalistico senza pari della cui tutela e valorizzazione è competente il “Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare”. Un titolo lungo e altisonante per un dicastero al quale, a ben vedere, poche sono le risorse umane e finanziarie destinate, pari circa a 1/3 di quelle destinate al Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che pure a presidio del territorio opera (504.402.890 mln di euro a fronte di 1.673.088.469 mln di euro le cifre rispettivamente messe a disposizione per il bilancio di previsione per l’anno finanziario 2013).
Dobbiamo, dunque, ritenere che l’ambiente e il territorio siano meno importanti dei beni culturali che su di esso insistono? Un confronto tra le strutture e le cifre messe a disposizione dei due ministeri sembrano confermare tale impressione.
A fronte di una struttura, quella del Mibac, che annovera 8 Direzioni Generali e 2 organi di vertice, e un radicamento nel territorio periferico che sconta in non pochi casi di sovrapposizioni e giustifica lo stipendio esoso di una vasta schiera di dirigenti, la struttura del Ministero dell’ambiete si articola in 5 Direzioni Generali, coordinate dal Segretario generale, e nell’Ispettorato generale per la difesa del suolo; 3 organismi di supporto – il Comando Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente, il Reparto Ambientale Marino (RAM) del Corpo delle Capitanerie di Porto e il Corpo Forestale dello Stato – e una serie di Commissioni e Comitati scientifici.
Una fascia dirigenziale più contenuta, dunque, quella del Ministero dell’Ambiente e una spesa di “funzionamento” ben diversa. Se, in effetti, si deve rilevare che le cifre di retribuzione annua lorda della dirigenza siano grosso modo in linea con quelle afferenti la dirigenza di prima e seconda fascia del Mibac, attestandosi su una media di 69.000,00 mln di euro per quelli di seconda fascia e sui 180.000,00 per quelli di grado più elevato, le risorse economiche a disposizione sono state così utilizzate.
A fronte di una liquidità via via decrescente nel corso degli ultimi anni, sul sito del Minambiente possiamo leggere, in riferimento al bilancio del 2011, che le risorse complessivamente messe a disposizioni sono state pari a 554.181.895, di cui 323.003.212 mln di euro destinati alle spese correnti e 231.178.683 alle spese in conto capitale. Tra le spese correnti, la cifra destinata al “funzionamento” dell’apparato ministeriale è si è attestata sui 78.903.460 mln di euro.
All’incirca 1/3 della spesa andando ad includere gli oneri comuni di parte corrente (pari a poco più di 24 mln di euro), laddove per il Ministero per i Beni Culturali nel bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2012 ha destinato metà del proprio budget complessivo di spesa corrente (1.371.409.968 mln di euro) al “funzionamento” (869.043.350 mln di euro).
Perché, dunque, al Mibac ci si lamenta di una carenza di risorse quando il Ministero dell’Ambiente, che pure si occupa della valorizzazione di un bene altrettanto importante, il nostro territorio, ha a disposizione risorse nettamente inferiori? Piuttosto che lamentarsi non sarebbe invece più opportuno che si andasse a verificare come queste risorse vengono spese? Siamo davvero sicuri che la valorizzazione e la tutela dei beni culturali necessitino di un organico dirigenziale tanto folto e lautamente stipendiato o forse si è ecceduto con troppe assunzioni?
Appena entrati, già di fronte alle prime foto, si è assaliti da così tanta bellezza che ti sembra di vedere il paradiso, ma non essendo a colori ti chiedi se esiste veramente ciò che vedi fotografato in bianco e nero oppure è il risultato di effetti o montaggi di qualche tipo. Più ti avvicini, vedi più foto, e scopri che stai vedendo il tuo Pianeta così com’è, la nostra natura e chi vive in sintonia con essa, la ‘casa’ di tutti. Stai ammirando semplicemente il tuo habitat, la Terra com’è ancora oggi e non quella dell’era giurassica: allora le emozioni, che lo scetticismo e il tuo quotidiano essere cittadino tenevano a freno, esplodono e non puoi non commuoverti per così tanta bellezza.
Non si esce dalla mostra“Genesi” di Sebastião Salgado all’Ara Pacis di Roma semplicemente appagati dalla poesia di queste immagini, ma si inizia a sperare e a volere un futuro diverso. Ecco la via tracciata dal maestro nella sua intervista in occasione dell’anteprima dell’esposizione, che sarà ospitata in oltre 30 musei del mondo, per proteggere quella parte del pianeta ancora integra, forse il 45%.
Nell’intervista Salgado si è soffermato sui 13 anni trascorsi dalla sua ultima mostra alle Scuderie del Quirinale, “In cammino”, che è stata per lui un lavoro lungo, durato 7 anni, e difficilissimo, a causa delle violenze e brutalità cui ha assistito in giro per il mondo, tanto da provocargli un tale malessere da farlo decidere di fermarsi per un po’: aveva perso la speranza che la specie umana potesse sopravvivere.
Ma proprio in quel periodo i suoi genitori, in età avanzata, hanno consegnato ai figli l’azienda agricola (un’estensione di 8-10 km in lunghezza e svariati km in larghezza) dove la foresta tropicale non c’era più: per costruire la nostra società moderna abbiamo distrutto gran parte della natura circostante. “Mi sentivo morto e la mia terra per me era morta” racconta Salgado e Lélia, sua moglie, ebbe però un’idea favolosa: ripiantare la foresta tropicale, con l’aiuto di un amico, ingegnere forestale. Così è stato avviato un progetto di riforestazione su vastissima scala, sono stati piantati 2 milioni e mezzo di alberi e oltre 300 specie diverse di vegetazione.
“E’ allora che è arrivato il progetto: Genesi”, nel 2003, e dopo anni di lavoro, con l’aiuto dell’Unesco, sarà presentato attraverso mostre in tutto il mondo. Si tratta di un programma “fotografico e ambientale allo stesso tempo, ci siamo dati un tempo di otto anni per effettuare una valida campionatura del pianeta così come è ora, con la speranza di avviarne il recupero. All’epoca avevo fotografato un solo animale nella mia vita: noi, l’uomo. Ora si trattava di fotografare le altre specie animali, vegetali, minerali. Per me è stata una sfida enorme: come si può creare un rapporto con le altre specie per fotografarle?”.
“All’inizio non è stato facile fotografare gli animali, si trattava di mettersi al loro livello. Il primo animale che sono andato a fotografare è stata una tartaruga gigante delle Galapagos (nome delle tartarughe). Come faccio a fotografare questo bestione? Normalmente io so che per fotografare qualsiasi soggetto bisogna avere una certa intimità ma come realizzarla? Mi metto allo stesso livello, mi metto in ginocchio, la tartaruga si è fermata, sono indietreggiato e lei è avanzata, ho capito che lei aveva la stessa curiosità che io avevo nei suoi confronti. Ho capito una cosa cruciale che in tutta la mia vita mi avevano raccontato bugie: l’essere umano è l’unica specie al mondo razionale, bugia! Ogni specie animale è razionale a suo modo e quella tartaruga me lo aveva dimostrato, dandomi il permesso di fotografarla, come gli altri esseri umani, ci vuole intimità e ci vuole che ti diano il permesso. E’ importante comprendere la natura e il pianeta. Solo dopo averlo capito mi sentivo in unità con il pianeta e potevo fotografare. Analogamente questo vale per i vegetali, i minerali”. “Abbiamo vissuto un grandissimo privilegio a frequentare il pianeta e ora cerchiamo di restituirvelo attraverso queste immagini”.
Nasce spontaneo un interrogativo: fotografare il mondo per salvarlo? Salgado precisa: “Non credo che la fotografia possa salvare qualsiasi cosa nel mondo, ma credo che noi tutti insieme: fotografi, scrittori, registi possiamo cambiare le cose e far progredire il nostro rapporto con il Pianeta”.
Alla domanda: dove trova la sua forza la fotografia in un mondo abituato all’immagine in movimento? Salgado risponde che “il potere della fotografia è nel poter riassumere una storia in una frazione di secondo. La foto racconta la storia in un brevissimo istante: la storia del fotografo e quella del soggetto. La fotografia è un linguaggio simbolico, un modo di esprimersi fenomenale. La foto, come la musica, è un linguaggio comprensibile senza bisogno di traduzione”.
Ultimo quesito inevitabile: perché la scelta del bianco e nero? “Il colore è una perdita di concentrazione. Non potrei fare foto a colori. Mi piace molto il colore ma io non riesco. Il bianco e nero è un’astrazione totale, attraverso la gamma dei grigi riesco a mantenere la concentrazione su cosa sto lavorando. Per me i grigi sono come una tavolozza a colori”. Uscire dal colore per far si che chi guarda lo rimetta dentro l’immagine.
Lélia Wanick Salgado, curatrice delle mostre e dei libri di Sebastião, moglie, ma soprattutto “socia per tutto ciò che facciamo nella nostra vita”, presenza importante all’anteprima romana, ha spiegato come è stata organizzata la mostra. Dopo il lungo lavoro di selezione delle foto da presentare, queste sono state suddivise, sulla base delle diverse zone geografiche del pianeta e della biodiversità, in cinque sezioni. Sono state riunite le foto del sud del pianeta (Argentina e Antartico) e nel nord sono confluite le immagini di monti, steppe e popolazioni autoctone e del Colorado. Un’altra sezione è stata destinata all’Africa, in quanto le foto relative a questo continente erano troppo specifiche per far parte di altre zone del mondo. I colori delle pareti su cui sono esposte le foto sono stati scelti sulla base delle caratteristiche delle zone raffigurate, il rosso per l’Africa rappresenta il calore del sole, ma anche calore umano, i grigi per le zone fredde, per l’Amazzonia il verde. Una sezione a parte è stata dedicata alle isole, chiamata ‘santuari’ perché ricche di una biodiversità speciale, ovvero le Galapagos, Nuova Guinea e Madagascar. Al richiamo ambientalista hanno risposto anche il figlio Juliano e Wim Wenders che hanno girato insieme un film.
E’ una mostra e un messaggio di cui non si può fare a meno così come del nostro Pianeta, la cui integrità dobbiamo difendere.
Il 22 aprile 1970 si è tenuto il primo Giorno della Madre Terra. In quella data infatti 20 milioni di cittadini statunitensi diedero vita alla più grande manifestazione a sostegno dell’ambiente, dopo il disastro dell’Union Oil al Largo di Santa Barbara, in California. Si cominciava infatti a parlare di “questione ambientale”, relativa al consumo limitato delle risorse naturali e all’inquinamento del pianeta e dell’atmosfera. Gli attivisti e i movimenti ecologisti si riunirono dunque nell’Earth Day Network, fondato da Danis Hayes e dagli altri organizzatori del raduno del 1970, che conta oggi oltre 20 mila organizzazioni provenienti da 192 Paesi.
Le Nazioni Unite, nella persona del segretario generale U Thant, il 26 febbraio del 1971 proclamarono inizialmente il 21 marzo come la Giornata mondiale della Terra, stabilendo solo successivamente la ricorrenza per il 22 aprile.
Da quel giorno ogni anno la Giornata della Terra è stata celebrata con eventi e iniziative ecologiste in tutto il mondo.
Quest’anno ricorre dunque la 43° Giornata della Terra.
Nel nostro Paese, a programmare gli appuntamenti volti a celebrare questo anniversario e porre all’attenzione dell’opinione pubblica le problematiche del pianeta, è l’Earth Day Italia, l’organizzazione attiva dal 2007 e facente parte dell’Earth Day Network.
L’Earth Day Italia ha lanciato per questa edizione la campagna di sensibilizzazione dal titolo “Io ci tengo”, che ha coinvolto personaggi famosi e gente comune rendendoli protagonisti di alcuni videoclip per lanciare messaggi di impegno ed educazione al rispetto dell’ambiente.
Appuntamento da non mancare è il concerto a Km 0 che si terrà a Milano: protagonisti Fiorella Mannoia e Khaled, con la presenza di Giobbe Covatta. I proventi dei biglietti saranno impiegati per la realizzazione di tre progetti ambientali. Lo spettacolo potrà essere seguito anche in diretta streaming o in differita tv.
Una maratona web animerà poi il 22 aprile, con video e testimonianze da ogni angolo del Mondo, per ricordare la drammatica situazione attuale del pianeta, ma fornire anche indicazioni per una condotta rispettosa dell’ambiente. La carrellata di messaggi partirà con un contributo video di Zygmunt Bauman, grande sociologo e filosofo della postmodernità.
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Sono molte le città italiane che parteciperanno alla Giornata della Terra.
A Roma, il 24 aprile, il maestro giapponese Tatsuo Uemon Ikeda realizzerà in Piazza del Campidoglio l’istallazione “Avere o non Avere”: un filo rosso di lana e seta coprirà lo spazio della piazza e i passanti potranno interagire con l’opera, diventandone parte per qualche momento.
La piazza del Campidoglio rappresenterà il pianeta Terra, mentre la scalinata sarà il simbolo del passaggio degli esseri umani sul pianeta, uguali nonostante le loro differenze.
A Cefalù, dal 20 al 22 aprile, si terrà un convegno sulle tematiche ecosostenibili, escursioni guidate sulla Rocca di Cefalù, concerti, degustazioni di prodotti biologici, esibizioni sportive, campagne di sensibilizzazione ambientale, e una mostra fotografica sul pianeta Terra presso l’Ottagono S. Caterina. Piazza Duomo verrà arredata a verde con di micro-giardini temporanei realizzato da florovivaisti.
Anche il mondo del calcio non rimarrà insensibile all’Earth Day: tutti i giocatori della Serie B indosseranno infatti per l’occasione una polsiera verde con lo slogan “Io ci tengo”; il Bologna, che scenderà in campo il 21 aprile, vestirà una divisa interamente verde.
“Not A Cornfield” è un progetto temporaneo di Land art nato a Los Angeles nel 2005 da un’idea dell’artista statunitense Lauren Bon, laurea in Architettura al MIT e numerosi progetti di Public art ad Hong Kong, Stati Uniti e Irlanda del Nord all’attivo.
Finanziata con tre milioni di dollari dalla Annenberg Foundation, di cui Lauren Bon è vice presidente e direttrice, l’opera trova le sue radici nella memoria adolescenziale dell’artista, nata proprio a Los Angeles, non lontano da questa zona industriale dismessa dell’est side, nota come “The cornfield” per le piante di granoturco che vi crescevano spontaneamente grazie ai semi caduti dai container di passaggio nella vicina stazione ferroviaria.
Significativo esempio di spazio marginale, a partire dal 2001, quest’area è stata destinata a un processo di riconversione orientato alla realizzazione del Los Angeles Historic State Park, progetto particolarmente complesso a causa dei limitati fondi disponibili e delle numerose comunità adiacenti al sito. Proprio il rallentamento subito da questi lavori evidenziò la necessità di un’attività transitoria in grado di richiamare l’attenzione sull’importanza del recupero di quest’area centrale della città. Necessità dalla quale prese vita l’idea di trasformare una porzione del futuro parco nel progetto artistico di Lauren Bon.
“Not A Cornfield” si presenta come una “scultura viva”: un campo di 32 acri nei quali vennero trasportati oltre 1500 camion colmi di terreno utile alla bonifica del suolo e più di 875.000 semi di granoturco. Obiettivo: la creazione di un monumento effimero che potesse contribuire alla riqualificazione del luogo ripartendo dalla sua eredità, come il nome stesso del progetto suggerisce.
L’artista riabilitò un terreno abbandonato, trasformandolo in un produttivo campo di granoturco e in un orto urbano: “The eye”, questo il nome, divenne il centro spirituale dell’opera, dove insieme al granoturco, vennero seminati a mano, in occasione di un evento aperto alla partecipazione della comunità, anche semi di fagioli e zucchina, le “tre sorelle” dell’alimentazione e della tradizione agricola dei nativi americani. L’area “The eye” venne pensata per ospitare workshop musicali, tour, eventi per la comunità e dibattiti aperti al pubblico di tutte le età, con particolare attenzione per le scuole, creati per raccontare l’opera e sensibilizzare le comunità rispetto alle tematiche di riferimento.
Restituendo alla collettività uno spazio pubblico rinnovato, l’artista intese riportare al centro dell’interesse cittadino il ruolo della natura nello spazio urbano, sollevando domande relative alle politiche territoriali e culturali, all’importanza narrativa dei parchi urbani e alle incombenti disuguaglianze sociali che caratterizzano la società contemporanea.
“Not A Cornfield” volle essere un momento di riabilitazione del passato e di speranza in un cambiamento produttivo, non più frutto delle parole, delle quali il progetto celebra il fallimento, ma dell’azione concreta e creativa degli artisti, i quali: “Hanno bisogno di creare nella stessa misura in cui la società ha la capacità di distruggere” (Lauren Bon, 2005).
Se i riferimenti artistici di Lauren Bon si rivolgono all’attivismo estetico di Gordon Matta-Clark, Joseph Beuys e Suzi Gablik, il progetto “Not A Cornfield” si rifà interamente all’esperienza della Land Art di Robert Smithson e della sua famosa opera Spiral Jetty (1970), di Andy Goldworthy e James Turrell, noto per il maestoso Roden Crater Vulcano del 1979.
Land art alla quale Lauren Bon volle integrare la Socially Engaged Art Practice, affrontando la critica all’artista autoreferenziale e disconnesso dalla realtà, per abbracciare un’idea d’arte in grado di assumere un ruolo di responsabilità etica a servizio della collettività.
Il progetto si è concluso con la mietitura del granoturco avvenuta nell’ottobre del 2005 mentre il programma culturale di “Not A Cornfield” terminò definitivamente nel marzo 2006. Il Los Angeles State Historic Park è stato ufficialmente inaugurato il 23 settembre 2006.
L’autunno è ormai arrivato e con lui la caduta delle foglie che tappezzano il terreno: anche questi semplici elementi della natura possono ispirare la vena artistica delle menti più creative. E’ il caso di Lorenzo Duran, artista spagnolo che fin dalla più giovane età ha sperimentato molteplici forme grafiche. Tutto è cominciato osservando una foglia a terra su cui era rimasta impressa la traccia di un pneumatico: da allora, ispirandosi anche all’arte orientale e all’intaglio della carta, Duran ha iniziato ad incidere la superficie di ogni foglia, ideando una tecnica particolare per preservare il disegno. Gurdate qui!
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Incontriamo Krzysztof in uno degli hotel più eleganti di Varsavia, circondato dal bellissimo Parco ?azienki con i suoi alberi secolari, l’incantevole Palazzo sull’acqua e i raffinati pavoni, tappa consigliata anche per ascoltare intensi e meravigliosi concerti di Chopin all’aperto. La sala in cui ci accomodiamo, regala un’emozionante vista della città che in più di un’occasione ci distrae. Ma non è tutto, ci aspetta subito una sorpresa! Non ci crederete ma sul tetto di questo hotel di lusso, al sesto piano, le api producono il miele: un miele “gold”, delicato e genuino, perché viene direttamente dal nettare dei fiori del Parco ?azienki.
Vivete in perfetta simbiosi con le api, ma non è pericoloso?
Le api sono particolarmente educate, abbiamo insegnato loro le buone maniere: se incontrano un cliente dell’hotel, devono fermarsi e sorridere prima di volare al lavoro. A parte gli scherzi, tutto si svolge in completa sicurezza e con la massima naturalezza e tranquillità, questo è anche il miele che viene servito agli ospiti dell’hotel.
L’hotel è adiacente al Parco ?azienki, visto che siamo appena arrivati è una bella tappa per iniziare il nostro viaggio?
E’ un parco splendido, quasi magico. Dove il re aveva il suo palazzo, oggi lavora un gran numero di persone che si prende cura del verde, della salute e della pulizia del parco. Se possibile, rende il parco ancora più bello. In autunno, con le foglie che si accendono dei diversi colori è davvero uno spettacolo!
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Sempre nel parco, si può visitare il Palazzo sull’acqua (Pa?ac na Wodzie) al suo esterno e al suo interno, molti varsoviani lo frequentano specialmente con i bambini perché è uno spazio incantevole e molto tranquillo. All’interno del parco c’è anche un laghetto, dove è possibile pescare.
Per gli amanti della musica e non solo, sempre nel parco si possono ascoltare gratuitamente concerti settimanali di Chopin durante la bella stagione.
Chopin è un filo conduttore per scoprire la città?
Sicuramente, infatti il secondo giorno potete visitare il nuovissimo Museo Chopin. Un museo multimediale molto interessante e dal design innovativo. Ideale anche per gli stranieri, che possono seguire tutto il percorso espositivo nelle diverse lingue europee (Scopri dov’è custodito il cuore di Chopin in: Varsavia, storia e curiosità da spulciare).
Quale tappa possiamo abbinare alla visita del Museo Chopin?
Adiacente al museo, c’è Tamka 43. E’ un ristorante speciale, che offre portate ricercate. In Polonia non ci sono ristoranti stellati, ma nel novero delle stelle nascenti c’e’ sicuramente Tamka 43. Può essere l’occasione per assaggi non scontati ed intriganti. Mi è piaciuto molto e mi sento di raccomandarlo per una cera o per un cocktail, sicuramente non per mangiare molto ma per vivere un’esperienza nella nostra città dal punto di vista gastronomico.
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Un altro ristorante, per il terzo giorno?
Ancora più vicino alla stella Michelin è il ristorante Atelier Amaro, quest’anno ha ricevuto il premio Rising Star Michelin, primo ed unico ristorante in Polonia. Lo chef è un allievo di Ferran Adrià, il suo locale si trova nel cuore di Varsavia tra l’ufficio del primo ministro e il Centro per l’Arte Contemporanea “Castello Ujazdowski”.
Dopo il pranzo, visitiamo il Centro per l’Arte Contemporanea “Castello Ujazdowski” e la Galleria “Zach?ta” con le sue esposizioni di altissimo livello. Un’alternativa per chi non ama l’arte contemporanea?
Gli ospiti del nostro hotel tornano sempre entusiasti dalla visita del Museo dell’Insurrezione di Varsavia… dovete visitarlo! (Leggi ancora su questo museo: Varsavia, storia e curiosità da spulciare)
Mentre questa sera dove possiamo andare?
Vi consiglio il nuovissimo Stadio Nazionale (Stadion Narodowy), sede dei recenti Europei di calcio: ricordate la semifinale Italia-Germania 2-0? E’ uno spazio interessante, si può cogliere l’occasione di un evento o di un concerto per andarlo a vedere, qualche giorno fa c’è stato per esempio il concerto di Madonna.
Ma in Polonia non c’è solo Varsavia, il tuo consiglio se volessimo concludere la settimana con una gita di qualche giorno?
La Polonia è un paese bellissimo e molto verde. La stessa città di Varsavia è lambita dalla foresta. Il mio consiglio è di visitare la Masuria, la terra di grandi laghi (Mazury). Avrete la possibilità di passare qualche giorno in barca a vela, che è possibile affittare se non ve la siete portata dietro! Intorno ai laghi, che sono tutti collegati tra loro, è tutta incantevole campagna a perdita d’occhio, ovunque ci sono piccoli attracchi, per due o tre barche, in modo da fermarsi per una pausa nel verde o una sosta per la notte.
Se non siete amanti dell’acqua o della campagna, c’è la Miniera di Sale (Kopalnia Soli “Wieliczka”): anche questa davvero speciale!
DOVE SIAMO STATI:
a pernottare…
Hyatt Regency Warsaw *****
ul. Belwederska 23, 00-761 Warszawa
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a passeggiare…
Parco ?azienki (?azienki Królewskie) e Palazzo sull’acqua (Pa?ac na Wodzie)
ul. Agrykoli 1, 00-001 Warszawa
Sito internet
a museare…
Fryderyk Chopin Muzeum
ul. Okólnik 1, 00-368 Warszawa
Progettato dallo studio italiano Migliore+Servetto Architetti Associati, una struttura in grado di avvicinare i più diversi visitatori alla musica classica e alla figura di Chopin, con spazi interattivi per i visitatori più piccoli davvero apprezzabili e funzionali.
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Museo dell’Insurrezione di Varsavia (Muzeum Powstania Warszawskiego)
ul. Grzybowska 79, 00-844 Warszawa
Un viaggio intenso ed emozionante, siamo usciti con la pelle d’oca…
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Centro per l’Arte Contemporanea “Castello Ujazdowski”
(Centrum Sztuki Wspó?czesnej na Zamku Ujazdowskim)
ul. Jazdów 2, 00-001 Warszawa
E’ uno centro dedicato alla presentazione delle creazioni e alla documentazione dell’arte contemporanea polacca ed internazionale. Dal 2010 il direttore è l’italiano Fabio Cavalucci.
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Elenco degli artisti esposti
Galleria Zach?ta (Zach?ta Narodowa Galeria Sztuki)
Plac Stanis?awa Ma?achowskiego 3, 00-916 Warszawa
Semplicemente il migliore spazio istituzionale per l’arte visiva ed avanzata a Varsavia.
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Vi consigliamo anche il Museo Nazionale (Muzeum Narodowe) e le sue sedi presso il Castello Reale (Zamek Królewski) nella Città vecchia ed il bellissimo Palazzo di Wilanów (Pa?ac w Wilanowie), residenza estiva dei reali polacchi.
a mangiare…
Tamka 43
ul. Tamka 43, 00-355 Warszawa
Adiacente al Museo Chopin, aperto 7 giorni su 7 dalle 12 alle 22 con possibilità di caffè / wine bar dalle 10 alle 22 (anche all’aperto).
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Atelier Amaro
ul. Agrykola 1 00-461 Warszawa (entrata da Pl. Na Rozdro?u)
Wojciech Modest Amaro è la stella nascente della cucina polacca e dell’Europa centro-orientale… Atelier Amaro non vi dirà che cosa ha in programma per il vostro pasto, per sapere se è solo puzza sotto il naso oppure autentico valore, c’è un solo modo… prenotare!
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Stadio Nazionale (Stadion Narodowy)
Aleja Ksi?cia Józefa Poniatowskiego 1, 03-001 Warszawa
Facilmente raggiungibile anche con il treno urbano dalla centralissima fermata ?ródmie?cie (sotto il Palazzo della Cultura e della Scienza) alla fermata Stadion. Ricordate le vecchiette polacche pronte a rimpiazzare Shakira? Vai all’articolo ed ascolta “Koko Euro Spoko”!
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Tour virtuale
fuori Varsavia…
Terra dei laghi della Masuria
(Mazury)
Un’area di acque e verde che comprende 4000 laghi collegati e si estende per circa 290 km ad est del fiume Vistola verso il confine polacco-lituano per un’area complessiva di circa 52.000 km².
Sito internet
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Miniera di Sale “Wieliczka” (Kopalnia Soli “Wieliczka”)
ul. Jana Miko?aja Dani?owicza 10, 32-020 Wieliczka
Patrimonio Unesco, conosciuta anche come “la cattedrale di sale sotterranea della Polonia”, si trova non lontano da Cracovia. Al suo interno si possono ammirare laghi sotterranei e statue storiche e mitiche, stanze decorate e cappelle, tutte scolpite dai minatori direttamente nel sale. È una delle più antiche miniere di sale al mondo tuttora attiva, si estende per più di 300 km tra gallerie e cunicoli ad una profondità di 327 metri, ma non vi preoccupate: solo 1% è visitabile!
Web (in italiano)
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Arte, natura e tecnologia. Può esserci una stretta relazione tra questi elementi? Secondo Daniela Di Maro, giovane, promettente e apprezzata artista napoletana, la risposta non può che essere affermativa… Anzi, è la stessa arte che si alimenta da questo delicato rapporto tra natura e tecnologia, dove la prima è fonte di ispirazione per la seconda e dove la seconda non potrebbe esistere senza la prima, perché, in fin dei conti, ogni processo tecnologico, per quanto possa essere nuovo, ha una sua origine nello studio dei processi che regolano il sistema naturale, dalle piante agli animali. È il cuore della poetica di Daniela, espresso molto bene nella conferenza di chiusura della mostra – concorso “Un’Opera per il Castello 2011”, vinta dalla stessa artista con l’opera Anastatica Sensibile, realizzata in una delle sale interne di Castel Sant’Elmo, a Napoli, e rimasta esposta per alcune settimane poco tempo fa. Ed è in occasione di questo traguardo così importante che Tafter ha avuto modo di fare qualche domanda per una breve intervista a Daniela, parlando della sua ricerca artistica, la sua poetica e, ovviamente, il significato che si cela dietro la sua ultima installazione site – specific, pensata per il castello napoletano (da anni uno dei più affascinanti spazi espositivi).
Partiamo dalle origini… Com’è nata la tua passione per l’arte, soprattutto per quella contemporanea? E quali sono stati i tuoi “maestri” ispiratori?
Credo tutto sia nata perché già da bambina, nonostante non conoscessi l’arte contemporanea, ero particolarmente affascinata dalla vita di noti artisti e ne ammiravo opere e pensieri; passavo ore ed ore a disegnare e poi leggevo poesie, ascoltavo molta musica, soprattutto classica. Adoravo poi fare escursioni, visitare luoghi dove sentirmi parte della Natura ed osservare gli animali, raccogliere e collezionare foglie, fiori e pietre. Forse, iniziavo già ad “intenerirmi” al pensiero che esistesse una possibilità, al di là di tutte le altre, di esplorare il mondo, imparando ad “osservare” e ad “ascoltare”. Il legame che ho con l’arte, però, non posso definirlo “passione”. Direi che ormai si tratta di una necessità, senza la quale la mia vita non sarebbe la stessa. Per diversi anni, ho sperimentato percorsi, soprattutto universitari, che non mi hanno mai dato ciò che cercavo. Così, nel 2006 iniziai a frequentare l’Accademia di Belle Arti a Napoli. Aveva inizio il confronto con un nuovo mondo: cominciai a studiare, fagocitare input e riflettere. Mi misi in gioco. Finalmente. Di “maestri” ispiratori, in tutta sincerità, non ne ho avuti. Ci sono, naturalmente, tanti artisti (contemporanei e non) che stimo molto.
Quanto è stato duro il tuo percorso nel mondo dell’arte da quando ti sei laureata in Accademia a oggi?
Sicuramente il mio percorso fino a oggi non è stato semplice e continua a non esserlo. Ma mi va bene così, dopotutto sono ancora “giovane”. Sono soddisfatta di ciò che ho fatto fino a oggi soprattutto perché ho sempre agito in maniera trasparente e usato le mie forze. Credo però che anche nel mondo dell’arte ci siano tanti aspetti che andrebbero rivisti, ma questa è un’altra storia…
Verissimo. A proposito del tuo percorso, qualche anno fa hai partecipato con due opere a due edizioni diverse del Videoart Yearbook di Renato Barilli. Come sono nate queste opere video?
Sì, ho partecipato all’edizione del 2007 con Stand-by, video realizzato durante il corso di Videoinstallazione all’Accademia. Questo è stato tra i primi video ed è nato quasi per gioco… All’inizio sperimentavo molto e in quel caso mi ritrovai a riprendere una particella luminosa in movimento. In realtà, questa sorta di fotone, che vaga intrappolato nello schermo, è fermo e il suo movimento è dato unicamente dalla mia ripresa, il che ne ribalta il senso. Poi c’è Hemerocallis, video presente nell’edizione 2008. Completamente diverso da Stand-by, in questo video c’è la volontà di far riemergere dalla terra la parte più intima dell’uomo, evidenziandone il legame e sbocciando dal sottosuolo come un “hemerocallis”, fiore che rimane in vita per pochissimo tempo, ma di una bellezza immensa.
Abbiamo iniziato ad accennare il rapporto tra la tua arte e la natura… Arriviamo allora al presente e parliamo della tua ultima opera, “Anastatica sensibile”. Com’è nato il concept dell’opera?
Il concetto che c’è dietro al mio operato è sempre lo stesso: indago le relazioni che intercorrono tra i processi vitali, propri dei sistemi naturali e le opportunità intrinseche al progresso tecnologico, auspicando una presa di coscienza da parte dell’uomo per ristabilire e riconsiderare la sua Unità Originaria. Anastatica sensibile è frutto degli studi condotti negli ultimi anni di ricerca su queste relazioni. In questa installazione è pregnante la necessità di rivalutare la parte naturale di noi stessi per la formazione di un uomo nuovo, in armonia con se stesso e con ciò che lo circonda, ponendo le basi nell’idea romantica di Natura, concepita come Unità del Tutto, dove l’uomo è un frammento di un unico grande Organismo. Da qui, l’istanza di rendere il fruitore dell’opera parte fondamentale di un processo in divenire… Processo scaturito dalla sua sola presenza, che, consapevolmente o meno, lo rende responsabile di ciò che sta accadendo.
E infatti ogni singolo elemento dell’opera si armonizza alla perfezione con tutti gli altri e con il significato generale che è possibile rintracciarvi, a partire dalla rosa di Jericho, scelta non casuale…
Certamente: la scelta di una pianta del genere non è assolutamente casuale. Ricordo ancora quando da bambina mio padre mi incitava ad apprezzarne la sua “miracolosità”. La Rosa di Jericho muore e rinasce in un ciclo, potremmo dire, eterno. Ed è per questo che viene definita “Pianta della Resurrezione”. Quindi, questa pianta racchiude già in sé, un forte valore simbolico.
Hai detto che l’opera si basa sull’interattività, che caratterizza anche molte delle tue precedenti opere. Quanto è importante questo elemento? E che valore gli dai?
Di sicuro è molto importante. Cerco spesso di rendere gli “osservatori” parte attiva e integrante dei sistemi che progetto. L’uomo, integrato nel mondo circostante, ne modifica inevitabilmente (nel bene o nel male) la struttura e ciò avviene anche nell’arte. Condivido in pieno il pensiero di Roy Ascott il quale afferma: “Credo che la comprensione della coscienza di sé sia di grande importanza, sia per il mondo scientifico che per quello artistico. Si tratta di un mistero con il quale stiamo ancora lottando. La scienza vuole spiegare la coscienza, noi artisti, vogliamo esplorarla. Questo puo’ avvenire proprio grazie all’ Arte Interattiva che mette colui che guarda, l’utente, al primo posto. L’utente e’ colui che da’ inizio a una sorta di trasformazione delle immagini, e, colui che e’ al centro dell’esperienza percettiva di un sistema interattivo. In questo modo lo spettatore diventa sempre più in grado di trovare se stesso stabilendo una relazione differente con la propria coscienza “.
La tua opera aiuta il pubblico ad avvicinarsi a un mondo complesso come quello del contemporaneo. Credi che, oggi, l’arte debba riappropriarsi di questa dimensione “pubblica” e abbandonare l’indifferenza del “potevo farlo anch’io”?
Purtroppo c’è ancora chi non ha strumenti e conoscenze adatte alla comprensione dell’arte contemporanea e, a volte, noto che appare più facile abbandonarsi alla superficialità, generando giudizi impropri e senza sforzarsi di approfondire quanto necessario. Forse è una certa “pigrizia mentale” a generare la fatidica frase “potevo farlo anche io”. Credo sia fondamentale non lasciarsi impoverire dall’indifferenza, ma questo vale in ogni ambito, non solo nel mondo dell’arte. In ogni caso, la prima parte della tua domanda mi rende felice!
Del resto, lo si vede anche dal rapporto di curiosità e ammirazione che il pubblico ha avuto con quest’opera… Spostandoci sulla tua ricerca, abbiamo detto che arte, natura e tecnologia sono gli elementi fondamentali della tua poetica. Com’è cambiato il tuo modo di concepire questi tre elementi dal 2007, periodo del diploma e delle tue prime opere, a oggi? E com’è cambiata la tua capacità di trasformare queste ispirazioni in messaggi artistici?
All’inizio ero molto più incline ad affrontare i temi, apparentemente contrastanti, di natura/artificio senza preoccuparmi delle implicazioni più profonde che sarebbero poi venute fuori con il passare del tempo. Oggi, alla luce di una consapevolezza diversa, i miei orizzonti si sono allargati fino ad abbracciare tematiche affini all’ecologia, riconsiderando infiniti aspetti che coinvolgono, inevitabilmente, anche la mia vita di ogni giorno e ponendo, come riferimento secondario, ma non meno importante poiché rappresenta anche lo specchio della nostra contemporaneità, quello della tecnologia, considerandola un “mezzo” ideale affinché io possa realizzare il mio messaggio.
A proposito di tecnologia, anche la musica e i processi elettronici hanno giocato un ruolo fondamentale in alcuni dei tuoi progetti precedenti. Che relazione c’è tra gli elementi citati in precedenza e la musica o, se preferisci, il sound design?
Nel mio operato è da sempre molto importante il legame tra suggestioni visive e dimensione sonora. Questo vale per tutte le mie opere, dalle più recenti alle più datate, se così si può dire. Tramite un approccio sinestetico credo sia possibile reinterpretare, ricostruire e analizzare le complessità del mondo naturale, con maggiore coinvolgimento. E per fare ciò, mi avvalgo spesso di processi elettronici poiché sono in primis loro stessi ad essere una “ricostruzione” artificiale di una dimensione naturale.
Ultima domanda… Stai lavorando a nuovi progetti? Magari puoi farci una piccola anticipazione…
In realtà, lavoro costantemente a nuovi progetti. Alcuni però restano solo su carta poiché mi manca il tempo (e spesso anche la possibilità) di realizzarli! Preferisco non fare anticipazioni specifiche, mi limiterò a dire che sono in preparazione alcune videoinstallazioni.
La spiaggia, il mare e l’aria aperta da sempre ispirano artisti e creativi. Non è dunque raro che in molti scelgano proprio le dune baciate dalle onde per crare le loro opere. C’è chi utilizza la sabbia con le sue molteplici possibilità, come Heide Fasnacht e Gunilla Klingberg, o chi si ispira a temi della natura come le tartarughe di Rachid Khimoune, e non mancano colore che, con installazioni ironiche e divertenti, giocano e fanno giocare. Guardate un pò…
La Sardegna non è solo mare; anche le zone più interne, meno battute dal turismo “da spiaggia”, regalano infatti piacevoli sorprese. L’isola, oltre ad essere meta degli appassionati di acque limpide e cristalline, è caratterizzata anche da testimonianze di una storia millenaria, risalente agli albori della specie umana.
Tipicamente sardi sono ad esempio i nuraghe, costruzioni neolitiche che possono essere ammirate a Nuoro: questa città si erge su un altopiano granitico che suggerisce l’antichità del territorio e qui si trovano il complesso Nuragico Noddule, che presenta tra l’altro un pozzo sacro, e le domus de janas, siti funerari risalenti al III millennio a.C.
Nuoro è però rinomata anche perché città natale dell Nobel per la letteratura Grazia Deledda: proprio a lei è stato dedicato un Museo, ospitato in quella che fu la casa della scrittrice.
Da non perdere nemmeno il Museo MAN, dotato di una valida collezione permanete di arte contemporanea che va dal ‘900 ai giorni d’oggi, con artisti come Antonio Ballero, Francesco Devoto, Giuseppe Biasi.
A pochi chilometri da Nuoro è invece consigliabile seguire le indicazioni per Orgosolo, centro dalle arcaiche origini, reso famoso da Vittorio de Seta che, con il suo film neorealista “Banditi ad Orgosolo”, mise in evidenza la forte persistenza tra gli abitanti di usi e costumi antichi.
Ma questa cittadina è conosciuta soprattutto per i murales visibili sulle facciate dei suoi insediamenti, che dagli anni ’70 sono stati eletti ad arredo urbano predominante, grazie al coinvolgimento degli stessi cittadini.
Da qui, scendendo verso la costa, è d’obbligo dirigersi verso il famoso golfo di Orosei, che prende il nome dall’omonimo centro abitato: qui i colori della natura selvaggia e profumata si mescolano con le mille sfaccettature dell’acqua salmastra, convivendo armoniosamente con un ricco patrimonio archeologico. Da visitare anche il Museo dei Teatrini in Miniatura “Don Giovanni Guiso”, all’interno del cosiddetto Palatzos Vetzos di Orosei.
Per godere del mare di questo Golfo, ecco le calette più belle:
– spiaggia di Cala Libretto, a 12 chilometri dal centro abitato di Orosei, è abbracciata da una fresca pineta che racchiude l’arenile sabbioso con acque limpide di poca profondità. Perfetta per le esigenze dei più piccoli.
– spiaggia di San Curcurica, anch’essa nel Golfo di Orosei, è famosa per la pineta e per l’omonimo stagno alle sue spalle, attrezzato con canoe e sevizi. Per gli amanti dell’acqua dolce e salina.
– l’oasi di Bidderosa è invece un angolo incantato ed esclusivo che comprende cinque meravigliose spiagge, come quella di Berchidda. Per accedervi tuttavia è necessario prenotarsi presso il Museo Guiso di Orosei.
Vi consigliamo di scoprire altri incantevoli scorci di questo angolo di Mediterraneo percorrendo i 6 km di costa, magari a bordo di una piccola imbarcazione.
Per godere di un panorama mozzafiato salite invece sul Monte Tuttavista, dove la natura ha scolpito la Pedra Istampada, una roccia dalla spettacolare conformazione, e sulla cui cima si erge un Cristo in bronzo dello scultore Pedro Angel Terron Manrique.
Chissenefregadellambiente
un sito internet volto a coadiuvare l’incessante campagna di sensibilizzazione portata avanti da Legambiente: in occasione delle giornate di volontariato ambientale, “Puliamo il mondo”, che quest’anno andranno in scena il 28-29 e 30 settembre, l’associazione ambientalista, da sempre in prima linea per la tutela della natura e dal nostro patrimonio ambientale, ha creato un sito internet interattivo che permetterà di capire il grado di sensibilità e consapevolezza che ognuno di noi possiede, riguardo le problematiche dell’inquinamento, dello sfruttamento del territorio e dell’erosione delle risorse naturali.
attraverso una voce guida iniziano le fasi di un vero e proprio test interattivo: si viene guidati all’interno di un percorso in cui sono mostrate alcune immagini esemplificative di quanto le fabbriche, le industrie e il bisogno costante di energia e risorse naturali da parte dell’uomo, stiano portando il pianeta terra in una situazione irreversibile e pericolosa. I veleni che vengono riversati nelle acque del mare e dei torrenti; i fumi tossici che affluiscono nell’atmosfera; le discariche dei rifiuti sature da cui penetrano nel suolo sostanze nocive; la caccia e l’uccisione spietata delle foche per ricavarne grasso animale: sono queste alcune delle immagini che vengono mostrate nei diversi video in sequenza. Si tratta di scene reali che ritraggono le condizioni più gravi di sfruttamento e avvelenamento della natura. La violenza con cui l’uomo si è impossessato di queste risorse viene mostrata in tutta la sua crudezza, per far sì che sia comprensibile anche a coloro che ancora non si rendono conto della gravità di tali azioni, quanto irragionevole sia l’attuale politica ambientale portata avanti dai governi mondiali. Tutti i video verranno mostrati solo se si andrà avanti raggiungendo la fine del percorso. In alternativa se la visione di immagini così crude non fosse sopportabile, è possibile interrompere il test in qualsiasi momento e passare direttamente alla fase operativa. Qualora, invece, non si arrivi alla fine del percorso e se il computer fosse dotato di una webcam, verrà richiesto di girare un breve video amatoriale in cui applaudire sarcasticamente e criticamente. Tale applauso è rivolto a coloro che invece in maniera fredda e senza scomporsi sono riusciti ad arrivare sino alla conclusione. L’ultima parte, infine, richiederà ad ognuno di voi tre gesti concreti per fermare le azioni scellerate che sono state visionate nelle fasi precedenti.
Il sito rappresenta un’ottima iniziativa per riportare alle cronache il tema dell’inquinamento e dell’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali a disposizione del pianeta. Un argomento affrontato spesso ma a cui non si riesce a trovare una soluzione concreta da decenni, nonostante i numerosi vertici internazionali, durante i quali i governi mondiali ripropongono le medesime promesse e buone intenzioni, che poi nei fatti sempre disattese.
a primo impatto l’intento didattico e di sensibilizzazione del sito non è di facile comprensione. Nella fase iniziale, infatti, il sito viene presentato come un semplice test per capire quanta e quale sia la consapevolezza degli utenti nei confronti di tale tematica. In realtà proseguendo il percorso interattivo, si scopre che l’intento è quello di testare la capacità emotiva di ognuno di noi di fronte ad alcune immagini aberranti e sconfortanti, vissute quotidianamente in molte zone del pianeta terra che ci ospita.
tutti gli abitanti del pianeta terra, soprattutto a color che vivono nei paesi industrializzati, in quanto maggiori responsabili dell’attuale sfruttamento indiscriminato delle risorse.
http://www.chissenefregadellambiente.com/
All’iniziativa Puliamo il Mondo possono aderire entro il 15 luglio tutti coloro che si iscriveranno all’interno del sito dedicato
L’isola di Ischia in realtà è la punta emergente di un vulcano marino sommerso, ancora in attività. La vetta è spuntata tra le acque cristalline del Tirreno e nell’arco dei secoli ha mantenuto intatto il suo paesaggio e la trasparenza del suo mare, che sin dall’antichità venne solcato dalle navi dei primi coloni greci che ribattezzarono questo lembo di terra Pithecussa. La bellezza delle sue spiagge non passò inosservata e ben presto l’isola divenne il luogo prediletto per risiedere o prendersi un periodo di riposo o di svago. Gli angoli in cui immergersi e tuffarsi nelle acque color smeraldo sono numerosi.
Vi segnaliamo quelle davvero imperdibili:
• Sorgeto nel comune di Forio è una piccola baia raggiungibile attraverso un sentiero collinare che si snoda tra i vigneti e termina in una scalinata composta da 200 gradini e si accede ad una sorta di piscina salata, l’unica in cui sgorgano cascate d’acqua calda termale direttamente sul mare.
• Citara, nel comune di Foro, così chiamata dall’epiteto della dea Venere Citareda. Un lembo di sabbia finissima baciato dal sole durante tutto l’arco della giornata.
• S. Montano, nel comune di Lacco Ameno è una piccola caletta con fondali bassi, conosciuta per la sua sabbia fine e dotata di stabilimenti attrezzati per gli sport acquatici.
• Cava, nel comune di Forio è una delle poche spiagge libere dell’isola: situata tra due promontori di pietra tufacea è la più frequentata dai giovani e dai ragazzi.
• Maronti, nel comune Barono, invece, non è una caletta bensì una delle arene più spaziose dell’isola. In questa spiaggia troverete un servizio di taxi marino per raggiungere il porticciolo di S.Angelo. Nell’entroterra di fronte all’arenile si trovano delle collinette entro cui sono state scavate alcune grotte, sede delle terme dell’antichità, frequentate dai coloni greci e dai vetusti romani.
Le proprietà terapeutiche delle acque che sgorgano dalle sorgenti dell’isola erano ben note anche agli antichi e difatti Ischia divenne meta per i soggiorni curativi.
Non solo, come dimostrato dai reperti archeologici, le acque delle sorgenti termali furono frequentate dai primi coloni greci e dagli antichi romani, ma anche in tempi più recenti furono visitate da personaggi celebri, tra cui Giuseppe Garibaldi di ritorno dalla battaglia dell’Aspromonte e da Camillo Benso conte di Cavour.
• Parco termale Giardini di Poseidon. Nell’area di Forio sorgono impianti termali che sfruttano le sorgenti cloruro-solfato-sodiche. Una delle strutture più note in questa zona è il parco termale Giardini Poseidon che si trova proprio davanti alla spiaggia di Citara.
• La località più popolata di bacini termali è Casamicciola Terme, situata nel nord dell’isola. Se decidete di pernottare qui sono davvero numerosi gli impianti termali tra cui scegliere: il bacino di Gurgitello, il bacino del Cotto e Senigallia, il bacino di La Rita, e le sorgenti di Castiglione.
• Terme di Lacco Ameno in uno dei comuni più eleganti e di alto livello per il turismo termale. Ricca di acque cloruro sodiche, la località divenne rinomata grazie all’editore Angelo Rizzoli che negli anni cinquanta ampliò il sito termale Regina Isabella.
• Le terme di Serrara Fontana sono situate invece nel punto più alto dell’isola ed ha conservato il suo fascino tradizionale e ospita due dei parchi termali più rinomati: Parco Termale Aphrodite ed il Parco Termale Tropical.
Oltre alla baia di Sorgeto sono presenti anche altre piscine naturali nelle acque salmastre:
• la spiaggia delle Fumarole, dove il vapore viene sprigionato dalla sabbia che arrivano sino a 100° ed immergendosi sott’acqua si possono ammirare le bolle di vapore caldo che emergono dai fondali.
Ideale per un breve soggiorno della lunghezza di un weekend come per una vacanza più lunga, la redazione di Tafter è approdata ad Ischia per portarvi a spasso tra i luoghi incantati di quest’isola dove a farla da padrona sono le atmosfere senza tempo degli scorci che si osservano dal ciglio delle strade e proseguono fino alla linea dell’orizzonte passando per natura, mare, castelli, prelibatezze culinarie e una popolazione affabile e disponibile.
Tafter vi porta quindi alla scoperta delle più belle spiagge da visitare, facendo poi un breve salto alle terme (che sono luogo ideale per il relax sia in estate che in inverno).
E poi, lasciatevi guidare tra le più belle pellicole girate tra i panorami dell’isola, film di ieri e di oggi che immolano vedute spettacolari che potrete rivivere una volta arrivati sull’isola.
Se visitate Ischia a fine giugno, ricordate che a partire dal 30 giugno e fino al 7 luglio si terrà la decima edizione dell’Ischia Film Festival, concorso cinematografico internazionale immerso nella splendida location del Castello Aragonese. (Se volete parteciparvi, leggete su Tafter come ricevere gratuitamente un accredito culturale)
Il festival è parte integrante del più ampio progetto denominato “Cinema & territorio”, nato dalla volontà di salvaguardare la particolarità paesaggistica e culturale dei territori promuovendoli attraverso l’audiovisivo.
Non è un caso, infatti, che all’interno del festival si svolge ogni anno la BILC (Borsa Internazionale delle Location e del Cineturismo), l’unico mercato in Europa dedicato alle locations e al Cineturismo, un momento di scambio culturale e commerciale tra l’audiovisivo e il territorio, in cui studi, ricerche e case history consentono di discutere sulle opportunità commerciali e turistiche che derivano dal co-marketing tra questi due grandi settori.
Un motivo in più per ammirare l’isola abbinandovi una serie di pellicole di qualità e in anteprima assoluta.
Come al solito, tra gli appunti di viaggio, troverete invece le informazioni utili su come arrivare e dove soggiornare e sulle migliori location enograstronomiche presenti sull’isola..perchè anche il palato vuole la sua parte.
E, come recita un celebre detto popolare “ad Ischia si mangia si beve e si fischia e dopo aver mangiato bevuto e fischiato e Viva Ischia e chi l’ha creata!”
Buona permanenza!
Immaginereste mai di incontrare un sassofonista in un bosco o in mezzo al deserto? Catturare le immagini dei musicisti classici e direttori d’orchestra in contesti completamente estranei alla loro arte è la tecnica fotografica di Nikolaj Lund. Ognuno accompagnato dal proprio strumento musicale e dal proprio talento viene fotografato in contesti naturali, in mezzo ad alberi, sabbie del deserto o in mezzo alle strade cittadine. Perché la poesia della musica non può essere confinata entro i confini dei teatri o auditorium.
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Il caldo si comincia a far sentire, anche in ufficio. Parte così il ricorso frenetico al refrigerio dei condizionatori d’aria, che se contribuiscono a rinfrescare l’aria della stanza, surriscaldano l’ambiente esterno, aggravando il consumo di energia elettrica e, conseguentemente, incrementando le emissioni di CO2.
Eppure, per frenare questa impennata di consumi, gli accorgimenti sono semplici: basterebbe convertirsi ad un abbigliamento più confortevole, in stoffe naturali, che lasci il corpo libero.
Il primo indumento che sicuramente deve cedere a questo dettame è sicuramente la cravatta, accessorio simbolo dell’eleganza maschile, che tuttavia non trova utilità alcuna, ma al contrario è stato spesso tacciato di essere scomodo, portatore di microbi e di procurare sudorazione eccessiva nella stagione del sol leone.
Nel luglio del 2007 l’allora ministro della Salute Livia Turco emanò persino una circolare con cui esonerava i dipendenti pubblici e privati dal mettere la cravatta, a causa del caldo eccessivo.
Quella di fare a meno della cravatta nei mesi estivi è una pratica che anche Eni adottò subito e che l’azienda ripropone ormai annualmente.
Anche per la stagione calda 2012 Eni si toglie la cravatta, poiché evitando questo accessorio e la giacca che sempre lo accompagna c’è un notevole contenimento di spreco energetico: nell’edizione 2011 sono state risparmiate 430.000 kwh di elettricità, con una riduzione del 9,5% dei consumi elettrici per il condizionamento. Ne è risultata una notevole limitazione nell’emissioni di CO2 pari a quella prodotta da circa 1.350 viaggi Roma-Milano andata e ritorno, equivalente a 40 viaggi di una nuova auto attorno al mondo.
Questa good practice è stata adottata anche nel Sol Levante già da qualche tempo: in Giappone è stata lanciata già nel 2005 la campagna “Cool Biz”, che gioca proprio sul significato della parola inglese ‘cool’, che significa sia ‘fresco’ che ‘alla moda’ ed invita i cittadini a vestire in modo casual; in Cina dal 2007 si da la possibilità agli impiegati in ufficio di indossare anche una semplice t-shirt, come avviene già dal lontano 1996 in Corea del Sud.
La questione si riapre sempre di questi periodi e molte aziende e amministrazioni sembrano volersi convertire a questo “cambio d’abito”, come il Comune di Torino o gli stabilimenti di Indesit, che hanno in parte sposato l’iniziativa lanciata da Eni istituendo i “casual friday” e limitando al venerdì le mise più informali.
Eppure questa resistenza al cambiamento è poco giustificabile: senza giacca e cravatta ci perderà forse lo stile e l’eleganza, ma di sicuro ci guadagnerà l’ambiente e il benessere di tutti, senza contare il non trascurabile risparmio economico che ne deriva.
In tempo di crisi sembra che tale vantaggio sia stato ben recepito anche all’ultimo G8 tenutosi a Camp David, in cui il premier Monti e il presidente Obama hanno fatto a meno di questo indumento.
Il 5 giugno si celebra in tutto il Mondo la Giornata dell’Ambiente, giunta quest’anno alla sua quarantesima edizione.
Istituita dall’Assemblea Generale dell’ONU nel 1972, durante la Conferenza sullo Sviluppo Umano, ogni anno la manifestazione ruota attorno ad un particolare tema: la Giornata dell’Ambiente del 2012 è intitolata “Green Economy: does include you?”, scelta motivata dall’attuale crisi dei mercati finanziari che costringe ad una profonda riflessione e ad un decisivo cambiamento di condotta che, ci si augura, terrà in maggior considerazione le sorti del pianeta.
La ricorrenza odierna sembra inoltre un’anticipazione della prossima Conferenza di Rio che si terrà nella capitale brasiliana dal 20 giugno.
Per l’occasione il WWF ha lanciato la campagna “RiutilizziAMO l’Italia” che invita a segnalare on line le aree dismesse o degradate, proponendo progetti per riconvertirle creando ‘destinazioni d’uso green’ a misura d’uomo, evitando così un ulteriore consumo di suolo.
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Attività simile è quella proposta da UNEP – United Nations Environment Programme che lancia “WED Challange”, la sua chiamata al Mondo affinché si realizzi la più ampia mobilitazione a favore della tutela ambientale. In questa settimana infatti dai singoli cittadini alle amministrazioni locali, dalle associazioni ai governi, tutti sono invitati a proporre la loro iniziativa a favore di uno sviluppo realmente sostenibile, avendo appunto come chiave di lettura il tema della “green economy”.
Per maggiori informazioni consultate il sito
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Oggi uscirà nelle sale il docu-film “La vita negli Oceani” di Jacques Perrin e Jacques Cluzaud, a conclusione del Festival CinemAmbiente di Torino. La voce narrante italiana è quella di Neri Marcorè. L’intento di questa straordinaria pellicola è quello di mostrare l’enorme patrimonio naturale che le acque salmastre celano e che la condotta dell’uomo sta mettendo in grave pericolo.
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Lo scopo ultimo di questi appuntamenti rimane comunque quello di ricordare all’Umanità della grande responsabilità che ha nei confronti del Pianeta, della flora, della fauna e delle generazioni future. E’ perciò necessario che le buone condotte verso l’ambiente diventino un’abitudine e non casi isolati.
Che l’alimentazione è alla base della nostra salute è una consapevolezza arcaica che, solo dopo il dannoso boom del junk food e dei cibi pronti, stiamo lentamente riscoprendo.
Sembra infatti che i consumatori italiani abbiano voglia di tornare a sapori genuini e sani, così come testimonia la forte crescita della vendita di prodotti biologici nel nostro Paese, che dal 2000 al 2010 è triplicata e continua a crescere.
Il costo dei prodotti cosiddetti “bio” è tuttavia dal 5 al 10% maggiore rispetto alla media, e attualmente resta appannaggio di una ristretta cerchia di popolazione.
Per mangiare cibi sicuri e naturali senza eccedere nella spesa non ci sono tuttavia solo i produttori che effettuano vendita al dettaglio, i negozi specializzati o la grande distribuzione, che si è aperta ultimamente a questo mercato, ma esistono anche le piccole realtà degli orti urbani.
L’idea di realizzare piccole coltivazioni all’interno del tessuto cittadino è riconducibile ai “kleingarten” di Lipsia destinati ai bambini e ai “jardins ouvriers” francesi risalenti all’Ottocento, ma la riscoperta si è avuto negli anni ’80 come fenomeno sociale in risposta alla crisi economica dell’epoca.
Oggi gli orti urbani si stanno moltiplicando grazie all’accresciuta sensibilità verso i temi della sostenibilità ambientale, di riqualificazione degli spazi cittadini, di risparmio economico e sicurezza alimentare. Secondo una ricerca effettuata dalla società di studi economici Nomisma, sarebbero più di 18 milioni i detentori di orti in Italia ed esperienze degne di nota sono presenti da Nord a Sud.
Esiste persino un progetto nazionale di Orti Urbanisostenuto dalla fondazione Campagna Amica, in collaborazione con Coldiretti, che raccoglie le diverse realtà che aderiscono al vademecum stilato: tra i principi cui attenersi è richiesta la predilezione nella coltivazione di ortaggi e frutta caratteristiche del luogo, tutelando la biodiversità e rispettando la stagionalità dei prodotti. Agli orti aderenti è inoltre richiesto di aprirsi ad attività didattiche volte a favorire la cultura del biologico, escludendo il ricorso a fitofarmaci e sottoponendosi ai controlli di Campagna Amica.
Anche Italia Nostra e l’ANCI hanno sposato questa attività firmando nel 2008 un protocollo d’intesa che impegna i vari Comuni che aderiranno al progetto ad attenersi a linee guida comuni stilate dalla Facoltà di Agraria dell’Università di Perugia. L’obiettivo principale è quello di reintrodurre nella società odierna la cultura del mangiare genuino, riscoprendo tradizioni parti integranti della nostra cultura e utilizzando in modo sostenibile il suolo. Le indicazioni fornite cui devono attenersi gli orti partecipanti sono in gran parte specifiche tecniche atte a garantire una corretta coltivazione, come la fornitura idrica, lo smaltimento dei rifiuti, la limitazione dell’impatto antropico, ma non mancano misure volte ad armonizzare gli orti con la valenza storica e architettonica dello spazio e a selezionare le specie più adatte alla coltivazione. In queste realtà si adotta inoltre il metodo del ”pick your own”: esiste infatti la possibilità per i consumatori di scegliere i prodotti freschi direttamente dalle piante, raccogliendoli di mano propria; tale sistema self service, insieme alla riduzione al minimo della filiera, garantisce un abbattimento consistente dei prezzi.
I vantaggi offerti da queste attività sono stati riconosciuti dunque anche da molte amministrazioni locali che, oltre ad aderire a iniziative nazionali come quelle sopra citate, adottano pure decisioni volte a favorire la nascita e la valorizzazione degli orti urbani. I comuni di Padova, Vicenza, Torino, Milano, Trieste, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, ma anche Senigallia, Cesena, Massa Marittima e molti altri hanno infatti emanato ordinanze volte all’affidamento di orti cittadini ad associazioni di anziani, disabili, ma anche di semplici volontari desiderosi di tornare a gustare sapori autentici, di cui è nota la provenienza e la modalità di coltivazione.
Gli orti urbani sono perciò a tutti gli effetti realtà virtuose che garantiscono cibi freschi e sani a basso costo, favorendo l’abbellimento degli spazi e la socialità, e dando un importante contributo al miglioramento della qualità della vita.