senatosedEra stato facile l’esordio del Cavaliere Aimone Chevalley di Monterzuolo: “ … si è subito pensato al suo nome, Principe: un nome illustre per antichità, per il prestigio personale di chi lo porta, per i meriti scientifici; per l’attitudine dignitosa e liberale, anche, assunta durante i recenti avvenimenti”. Erano tempi in cui l’italiano era una lingua ricca ed elegante, la House of Lords a Londra era solo dinastica, le schifezze (che non sono mai mancate nella storia) non erano fonte di vanteria tamarra e di invidia dei mentecatti.

Fabrizio Salina declinerà elegantemente, ricordando il monito di Padre Pirrone: “Senatores boni viri, senatus autem mala bestia”. Era un consesso di anziani (chi ricorda più che “senex” vuol dire “vecchio”?) che controbilanciava lo strapotere dell’imperatore: anche nella Roma potenza mondiale c’era un sistema di checks-and-balances. Quando Catone il censore martellava i colleghi ripetendo “Ceterum censeo Carthaginem esse delenda” alla fine lo ascoltarono.

Le cose sono cambiate, certo. Qualcuno azzarda sulla stampa o in televisione (il Senato, così come la Camera, hanno molteplici succursali di fatto): “Porcellum delendum”, magari si guadagna un titoletto sui giornali ma i colleghi se ne fottono. Quando le scrissero sulla Costituzione le Camere erano state concepite come asimmetriche per poter fertilizzare la visione dei Deputati con l’esperienza dei Senatori. Oggi ci si candida all’una o all’altra sulla base di ubbìe atmosferiche o di calcoli machiavellici. Che peccato.

Rimangono i Senatori a vita, che i tanti villan rifatti della politica temono e perciò disprezzano. Persone che invece di strillare luoghi comuni nei salotti televisivi lavorano davvero, costruiscono mondi significativi e utili, “hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”. Abbiamo qualcosa da ridire su Montale, Bo, De Filippo, Bobbio, Levi-Montalcini? O su Abbado, Cattaneo, Piano, Rubbia? Il fatto che siano intensamente alfabetizzati non implica che non sappiano ragionare, anzi: la finta logica che vuole contrapporre poesia e azione nasce solo dal terrore degli ignoranti

Ovvio che nel clima da ultimi giorni di Pompei che stiamo attraversando in questi mesi (anni? decenni?) qualcuno si diletti a far il dietrologo. L’ombra del complotto aleggia sempre sulla nostra disastrata Repubblica, così finisce per fare più notizia un legittimo parere soggettivo che non l’interpretazione analitica degli spartiti, la ricerca sui materia-li da costruzione del corpo umano, la visione dinamica e ironica delle armonie proget-tuali, l’investigazione sui moti dell’universo.

E’ arrivato il tempo di imparare la lezione, deponendo finalmente la fede da ultras nello stellone che laverebbe le nostre indefinite onte. In un Paese sorretto dalla logica elemen-tare i prossimi candidati al Senato dovrebbero venire dalle numerose e multiformi schiere di chi sa immaginare il futuro costruendo il presente, investendo fiducia e risorse per migliorare le cose, facendo prevalere la passione sull’interesse e il sogno sulla volgarità. Buon lavoro ai Senatori a vita.

 

Michele Trimarchi è Professore di Analisi Economica del Diritto all’Università di Catanzaro

dalimontremolleSettembre alle porte segna la ripresa delle quotidiane attività, anche nel settore dei beni culturali: si prospetta un autunno caldo per Bray e il suo staff.

Dal Ministero giungono infatti notizie di scadenze serrate dopo l’approvazione del Decreto legge “Valore Cultura”, che dovrà essere convertito in legge entro e non oltre l’8 ottobre.

In primis ci sono le tante attese nomine.

A cominciare dal Soprintendente Speciale per Pompei e dall’incaricato a rivestire il ruolo di Direttore Generale di Progetto, per proseguire con il Comitato di Pilotaggio e il Comitato di Gestione. Questo per quel che riguarda il solo sito archeologico partenopeo, dove nel frattempo sono in corso i primi interventi di restauro.

Per quel che attiene la Reggia di Caserta, sempre secondo il sopra citato decreto legge, il sito andrebbe a confluire nel Polo Museale di Napoli, generando una Soprintendenza Speciale del Polo Museale di Napoli e Caserta: anche in tal caso è necessaria la nomina di colei o colui che vi sarà posto alla guida.

In Calabria invece si attende entro gennaio, come promesso, l’apertura del Museo volto ad ospitare il simbolo della Regione: i Bronzi di Riace.

Nel settore dello spettacolo, dopo l’erogazione anticipata dei fondi fus, rimane ancora da risolvere la faccenda delle fondazioni lirico-sinfoniche in perdita, mente il cinema si chiede se potrà effettivamente tirare un sospiro di sollievo con il ripristino dei 90 milioni di tax credit, così come sostenuto nel decreto “Valore cultura”.

Il Collegio Romano è del resto chiamato a dar seguito a molte delle promesse fatte negli scorsi mesi: si aspettano intanto i risultati delle due Commissioni neonate, quali quella per la revisione del Codice dei beni culturali e del Paesaggio e quella per il rilancio dei beni culturali ed il turismo e per la riforma del Ministero in base alla disciplina sulla revisione della spesa.

Non ultimo l’annuncio dell’assunzione di oltre 150 dipendenti da inserire nell’organico del dicastero.

Si avvicinano inoltre altre due importanti ricorrenze che coinvolgeranno il Ministero dei beni e delle attività culturali: si tratta della scadenza della prima fase per le città italiane candidate a divenire Capitale della Cultura europea 2019 (il 20 settembre) e della rincorsa ai preparativi per l’Expo 2015.

 

 

 

campidoglioIn queste ore (mercoledì 26 giugno 2013), circola con discreta insistenza, anzi viene accreditata come sicura, l’ipotesi che Flavia Barca, direttrice dell’Istituto di Economia dei Media (Iem) della Fondazione Rosselli (potente fondazione di ricerca, che vanta – per citarne soltanto un paio tra i più noti – Amato e Urbani tra i propri sostenitori), venga nominata dal neo Sindaco di Roma Ignazio Marino come Assessore alla Cultura. La Giunta Marino verrà presentata oggi alle 18 in Campidoglio, ponendo finalmente fine ad una lunga e travagliata gestazione.

Rivolgiamo alla Giunta e specificamente alla neo-Assessora un qualche suggerimento, che peraltro abbiamo già avuto chance di manifestare anche al Sindaco Marino, così come all’Assessore regionale Lidia Ravera. Per quanto riguarda l’assessora regionale alla Cultura (e allo Sport e alle Politiche Giovanili), le sue sortite, nelle ultime settimane, appaiono incoraggianti, rispetto all’esigenza di un “new deal” nelle politiche culturali, che debbono essere centrate più sull’innovazione/sperimentazione che sulla riproduzione/conservazione.

Al Sindaco Marino, suggeriamo di accorpare alla “cultura” (ed alla “comunicazione”, immaginiano) anche le deleghe per il “turismo”, la “moda”, e magari anche l“innovazione”. Ne scriveva su queste colonne (per quanto riguarda turismo e innovazione) Stefano Monti in un articolo del 17 gennaio 2011.

Marino lo farà? Ce lo auguriamo. Il Sindaco ha peraltro prospettato un assessorato dedicato agli “Stili di vita”. Perché no, quindi, un “assessorato alla creatività ed alle industrie culturali”?!

Quel di cui ha necessità la Capitale, così come la Regione, è anzitutto una riflessione radicale e rinnovata sul senso dell’intervento della mano pubblica nel settore culturale. Questa riflessione non può che essere basata su un’analisi critica del sistema culturale (inteso a trecentosessanta gradi, beni ed attività culturali: dai musei alla concertistica, culture “alte” e “basse”, convergenza con il sistema dei media…): domanda ed offerta, ruolo dei privati ed istituzioni pubbliche, tra l’economico, il politico, il semiotico…  Senza dimenticare l’interazione tra i livelli dello Stato: Mibac, Regione, Province, Comuni… E vogliamo dimenticare il ruolo ormai fondamentale (e finora mal analizzato) delle Fondazione Bancarie???

Lo stato dell’arte delle conoscenze, a Roma e nel Lazio, è totalmente deficitario.

A differenza di altre Regioni d’Italia (come nel caso dell’Osservatorio Culturale del Piemonte, che proprio il 5 luglio prossimo presenta la propria nuova relazione annuale; si ricorda che è stato costituito nel 1998), a Roma e nel Lazio gli assessorati competenti non dispongono ancora di un dataset adeguato alla delicatezza delle politiche che pure debbono attuare.

Non esiste un’analisi degli investimenti pubblici, della loro efficienza e efficacia, ed il livello di trasparenza della spesa pubblica è modestissimo. Anzi inesistente, fatta salva l’ipotesi di andare a cercare – con approccio poliziesco, oltre che con il lanternino… – tra le pieghe dei criptici bilanci comunali e regionali.

Non è possibile comprendere quanto sia benefico, o meno, l’intervento della “mano pubblica”: si pensi al controverso caso di Musica per Roma, e del suo ruolo di disturbo (secondo gli operatori privati, che arrivarono a rivolgersi all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) nel “libero mercato” culturale romano… Ma stesso discorso (assenza di analisi valutative) si può fare per Zètema e per il suo intervento nella gestione dei beni culturali, così come per le iniziative festivaliere: perché tanto danaro pubblico al Festival del Cinema di Roma e nemmeno un euro (incredibilmente) all’eccellente MedFilm (almeno nell’edizione 2013, che è la n° 19)?!

Infinite soggettività, simpatie/antipatie, cromie politiche, capitali relazionali, lobby... Tutto è gestito con grande approssimazione.

La “conoscenza” relazionale prevale sulla “conoscenza” tecnica. Della tecnocrazia, nemmeno una traccia.

L’ultimo tentativo di analisi lo si deve alle giunte Rutelli e Veltroni (e si perdoni un cenno… autoreferenziale): si tratta di due ricerche (l’ultima risale al 2008) realizzate dall’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult, che hanno gettato le basi di un “Osservatorio sulla Cultura” a Roma e nel Lazio, fortemente voluto dall’ex Assessore Gianni Borgna (il più longevo d’Italia: 1993-2006), iniziativa che la Giunta Alemanno e la Giunta Polverini hanno poi messo in un cassetto. L’Assessore Umberto Croppi (Comune di Roma) non ha ritenuto di aver necessità di una simile strumentazione, e certamente non manifestò esigenze cognitive di questo tipo l’Assessore Fabiana Santini (Regione Lazio).

Notoriamente, in questo nostro Paese malato, se una iniziativa è stata sostenuta da giunta di cromia avversa, la novella giunta tende a bollare la precedente esperienza, a priori, come partigiana.

Da ricercatore, chi scrive queste note ha maturato l’impressione che spesso l’italico politico/amministratore (sia rosso o nero o bianco o… a pois) giunge alla (perversa) conclusione che “meno si sa, maggiore è il mio margine di discrezionalità”, con buona pace di esigenze di trasparenza ed efficacia. Anche perché, riducendo il livello di conoscenza, si riduce la capacità critica dei… dissidenti e degli… esclusi.

Negli ultimi mesi della Giunta Marrazzo, IsICult aveva proposto all’allora assessore Giulia Rodano la elaborazione di quello che sarebbe stato un primo inedito eccezionale avanguardistico “bilancio sociale” dell’Assessorato alla Cultura, arricchito di dati dettagliati (“chi abbiamo finanziato, perché, quali sono stati i risultati dell’intervento pubblico…”), ma le dimissioni di Marrazzo hanno fatto svanire anche questa prospettiva.

Qualche altro tentativo di analisi (concentrato su Roma piuttosto che sul Lazio) è stato messo in atto da Federculture, qualcosa ha tentato di fare – nello specifico dello spettacolo – la Siae, ma siamo ben lontani dalla disponibilità di strumenti di conoscenza tecnica (si noti, non soltanto di approccio economico: la degenerazione economicista è sempre latente, e va scongiurata) che debbono essere accurati, approfonditi, e soprattutto resi di pubblico dominio: disponibili agli operatori, agli studiosi, e soprattutto agli “stakeholder” finali, cioè i cittadini.

Il risultato attuale qual è? Che Zingaretti e Marino governano, sono costretti – almeno per ora – a governare “a vista”, nasometricamente e spannometricamente, almeno nello specifico della cultura (del resto, taciamo). Ed in questo habitat, finisce per prevalere, quasi inevitabilmente, una logica conservativa-conservatrice, esattamente come avviene, a livello di Stato centrale, per la gestione del Fondo Unico dello Spettacolo, che è il fondo di sostegno alla cultura più chiuso d’Europa.
Il Fus è un fortino inaccessibile: chi è dentro, è dentro, e può sperare di essere risovvenzionato; chi è fuori, fuori resta! Ne ha scritto con efficacia Lucio Zan nel suo saggio del 2009 “Le risorse per lo spettacolo”, per i tipi de il Mulino.

Un esempio concreto del rischio di riproduzione di errori? Settimane fa, le “associazioni storiche” dell’Estate Romana hanno protestato perché il Comune di Roma aveva emanato un bando surreale, nel quale l’entità del finanziamento era rimandato ad un “si vedrà…”.
Eccesso di prudenza, forse, data l’incertezza pre-elettorale, ma anche un’assurdità amministrativa (crediamo che in nessun altro Paese sviluppato si assista a simili buffonate). Le associazioni hanno promosso un incontro di protesta ed hanno richiesto una sovvenzione di almeno 2,5 milioni di euro l’anno. L’allora candidato Marino si è impegnato per almeno un paio di milioni di euro, e, pochi giorni dopo l’insediamento, il Sindaco ha annunciato una dotazione di 1,5 milioni. La domanda è: perché 2,5 o 2 o 1,5 milioni, ovvero 10 o 0 (zero)?! Non è ben dato sapere, se non per… inerzia, o per valutazioni… “spannometriche” appunto.

E che dire dei 3 milioni di euro che Zingaretti, e gli assessori Ravera (Cultura) e Fabiani (Economia) hanno annunciato pochi giorni fa voler assegnare agli esercenti di Roma e del Lazio per accelerare la digitalizzazione dei cinema? Perché 3 o non 2 e non 5? Qualcuno ha analizzato con un minimo di serietà i fabbisogni? No. E lasciamo perdere le possibili necessarie analisi in termini di evoluzione della domanda, di nuovi linguaggi, di effetti dell’offerta culturale sulle “visioni del mondo” (e, quindi, anche sulla politica stessa: qualcosa ne sappiamo, dopo la “mutazione antropologica” provocata dai modelli culturali della televisione berlusconiana, quegli… “stili di vita” evocati da Marino).

Flavia Barca conosce queste problematiche: vanta un eccellente curriculum come ricercatrice e chi redige quest’articolo ne è stato ex datore di lavoro prima (tra il 2002 ed il 2003 Barca è stata direttrice dell’IsICult) e poi spietato competitore. Questi suggerimenti sono rivolti quindi in particolare alla neo Assessore, con simpatia finanche imbarazzo. In verità, Barca non ne ha necessità. Queste tematiche sono state oggetto di tante discussione e della comune sconsolata constatazione della diffusa insensibilità dei politici italiani, rispetto ai migliori modelli di valutazione dell’impatto delle politiche pubbliche (vale per il Mibac non meno che per la Rai), procedure che sono routine – da decenni – in Francia, Regno Unito, Germania, finanche Spagna… Addirittura l’Argentina può vantare una pluralità di “osservatori culturali” (anzi, meglio “sulle industrie culturali”!), che l’Italia può soltanto invidiarle.

Qualche critico ha osservato che Flavia Barca, a parte la ricchezza di un cognome familiare partitocraticamente pesante, è “soltanto” una ricercatrice, e non può vantare alcuna esperienza come “amministratore pubblico”: è vero, ma forse questa sua estraneità alle esperienze burocratiche potrebbe paradossalmente rivelarsi un plus e non un minus. Così come ci si augura stia avvenendo con Lidia Ravera, intellettuale umanista prestata alla politica. Se sapranno dotarsi delle adeguate cassette degli attrezzi, sia Ravera sia Barca potranno far sì che la “politica culturale”, in Italia, non resti un pio intendimento, anzi una pura illusione.

Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult


Nome anagrafico:
Jorge Mario Bergoglio

Data di nascita: 17 dicembre 1936

Nazionalità: argentino di Buenos Aires

Motto cardinalizio: Miserando atque eligendo. Scusando e scegliendo.

Ordinamento religioso: Compagnia di Gesù. Ordine fondato nel 1534 a Parigi da Ignazio di Loyola, ha come elementi caratterizzanti le cure d’anime, opere di carità e l’attività educativa. L’ordine nato pochi anni prima dell’inizio del Concilio di Trento, ha voluto da subito rispondere al distacco dei fedeli dalla Chiesa cattolica, per arginare la riforma protestante portata avanti da Martin Lutero e Calvino. Papa Clemente XIV, nel 1773 soppresse l’ordine, osteggiato dai Borboni, che venne poi ricostituito da Papa Pio VII nel 1814.

Titolo: Papa Francesco. 266° vescovo di Roma e 8° sovrano dello Stato della Città del Vaticano.

 

Particolarità: primo papa gesuita e primo latinoamericano. Per un’infezione respiratoria da giovane ha subito l’asportazione di un polmone. Non porta la croce d’oro.

Cenni biografici: quarto di cinque figli, la sua famiglia ha origini piemontesi, in località Bricco Marmorito di Portacomaro Stazione, in provincia di Asti. Il papà Mario Jose era funzionario delle ferrovie, mentre la madre Regina Maria Sivori era una casalinga. Ha studiato come perito chimico per poi entrare in seminario nel 1958 e laurearsi in filosofia. Nel 1969 riceve l’ordinazione di presbitero e diventa rettore della facoltà di teologia e filosofia a San Miguel. Nel 1998 diventa vescovo di Buenos Aires e poi cardinale; dal 2005 al 2011 ricopre il ruolo di capo della Conferenza Episcopale Argentina.  Durante il Conclave del 2005, riunitosi dopo la morte di Papa Giovanni Paolo II, Bergoglio era tra i porporati favoriti a ricoprire la carica papale, cui poi fu chiamato Ratzinger.

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Io sono all’apparenza ciò che molti media e opinionisti si ostinano, con sbrigativi e indignati tratti di penna, a chiamare “cervello in fuga”: scappato dall’Italia nel ’97 per non sopportare piú l’umiliazione di concorsoni dall’esito introvabile o illegibile, sono approdato prima in Olanda e poi in Spagna, nella magica Barcellona post-Olimpica dei primi anni 2000, attratto prima da una borsa generosa di “visiting” e poi da un concorso trasparentissimo, a cui sono stato ammesso dopo essermi sottoposto a autocertificazione dei titoli.

Prima lettore, poi dopo solo due anni associato e direttore di Parco Scientifico ho visto, tra il 2004 e il 2007 venire a Barcellona molti miei amici,  ex vicini di casa, studenti, fidanzate. 4.5000 italiani in una città dove il tasso di disoccupazione era il doppio che in molte città italiane ma c’era un aria piú respirabile, un clima civico più attrattivo, una mobilità sociale interessante, molta fiducia nel futuro.

Si è un po’ alla volta sviluppata una riflessione anche politica. Tutti “cervelli in fuga”? No, anche baristi, cubiste, doppiatori di film porno, lavoratori del call centre, suonatori di bongo, gelatai e pizzaioli, “erasmus a vita” e agit-prop professionali, perfino un paio di latitanti, moderatamente contenti di stare in un paese ed in una città che non era certo il paradiso in terra (sopratutto per chi comunque deve andare a lavorare e pagare l’affitto) ma non aveva quasi nulla delle malattie ataviche del paese da cui erano scappati, “cuori in fuga” da corruzione, mafie, clientelismo, gerontocrazia, precariato, per non parlare dei vari “mammoni”, “olgette”, “choosy” con cui di volta in volta i sociologi de noantri si affannano a definire la condizione sociale dei giovani in un paese dove si vive e si lavora male. Come diceva un mio amico, meglio chiedere l’elemosina a Barcellona, che fare lo stagista a Brescia.

La crisi che ha devastato l’Euopea dei PIGS ha spazzato via tutto, e oggi io e quei miei compagni  e connazionali “cuori in fuga” che siamo rimasti a Barcellona (anziché riemigrare sempre piú lontano) perché abbiamo famiglie, amici e lavori abbastanza stabili stiamo ogni giorno sulle barricate a difendere ció che resta del paese che amiamo – Spagna o Catalogna, secondo i gusti – dal saccheggio inverecondo della cosa pubblica imposto da Bruxelles a una classe politica di serie zeta in un clima da “si salvi chi può” che ricorda gli anni di Tangentopoli.

Però continuamo a guardare divertiti come in Italia, dove in teoria si starebbe meglio, si continua a stare peggio e ci sono pochissimi segni della reazione civile che infiamma ogni giorno le nostre strade con risultati piú che concreti di difesa di diritti e promozione di nuove strutture sociali.

Leggo in questi giorni delle vicende del MAXXi. Questo Museo dovrebbe essere uno degli elementi fondamentali di una strategia nazionale di uscita dalla crisi attraverso la rigenerazione “smart” della nostra economia e dei paesaggi produttivi, che secondo la visione di Europa 2020 mette a valore risorse e conoscenze sedimentate attraverso infrastruttura di altissimo livello e basso impatto, processi di attrazione e socializzazione del sapere, e produzione di narrazioni  e immagini positive che favoriscono l’attrazione di capitale umano e investimenti.

È l’unico modo per venirne fuori, non la restituzione dell’IMU né l’ennesimo favore a Marchionne, ma la museistica, la programmazione di eventi culturali, il neoartigianato di qualità, lo slow food, la conservazione dell’ambiente, la ricerca. Processi che devono essere gestiti “dal basso”, in rete, secondo un’ottica  di merito che valorizza le competenze acquisite e ne forma di nuove, in base a una strategia territoriale intelligente.

Ma, come vedo, siamo alle solite: un partito (in questo caso “de sinistra”) si impadronisce dell’ideona come se fosse un suo feudo, nomina direttori calati dall’alto e segretari generali con curriculum che non c’entrano niente, dando inevitabilmente la sponda ad altri partiti che pretendono un’altra direzione, un’altra segreteria generale un altro evento, e avanti cosí in un circolo vizioso che non ha mai fine e che ci condanna sempre di più ad essere il tallone d’Achille della rinascita europea.

In Spagna, una vicenda cosí attrarrebbe ogni giorno manifestazioni di centinaia di “indignados” (sembra strano, ma è cosí, ed è successo per nomine infelici del Direttore del CCCB di Barcellona o dell’Istituto delle Industrie Audiovisuali). In Italia merita solo un trafiletto su pochi giornali, perché ci siamo abituati. Ma è l’ennesima conferma che noi cuori in fuga abbiamo fatto bene ad andarcene e che, comunque vadano le cose, è molto difficile che torniamo.

Quando tra pochi anni il MAXXi farà la fine di tante altre buone idee soggette all’antropofagia della politica, non date la colpa alla Merkel.

Antonio Paolo Russo è professore associato nel Dipartimento di Geografia dell’Università Rovira i Virgili di Tarragona, Spagna, e Direttore della Ricerca del Parco Scientifico e Tecnologico del Turismo di Tarragona.

 

Partiamo da un presupposto, il Madre non ha riaperto.
E’ sempre stato aperto. A fatica, con orari ridotti e con una somma di problemi (e con poche sale a disposizione), ma era (ed è) aperto al pubblico. Questo è un punto di partenza di un problema serio. Ed il problema non è certamente che il Madre non sia mai stato chiuso, ma il fatto che tutti sapevano il contrario. O meglio, che è stato “comunicato” (volontariamente o involontariamente) il contrario.
Ovunque, online, sui giornali, tramite passaparola, tutti sapevano e raccontavano che il Madre era morto.
C’è stato un chiaro errore comunicativo, però nulla è perduto, come sempre. Non è mai troppo tardi per rimediare. Ora un lavoro intenso e intelligente spetterà a Sol LeWitt (immediatamente) e ad Andrea Viliani (subito e nei prossimi mesi).
Sol LeWitt, anche se morto a New York nel 2007, potrà esser d’aiuto al Madre grazie ad una grande mostra che lo vede protagonista, “Sol LeWitt. L’artista e i suoi artisti”, inaugurata il 14 Dicembre, a cura di Adachiara Zevi (autrice anche del volume che accompagna la mostra “L’Italia nei wall drawings di Sol LeWitt” di Electa).

La mostra su Sol LeWitt, a Napoli in prima europea, fino al 1° Aprile, ha visto la stretta collaborazione della Fondazione Donnaregina (promotrice dell’evento), del Centre Pompidou di Metz e del LeWitt Collection di Chester in Connecticut. Napoli già conosce LeWitt, che ha reso unica la stazione della Metropolitana Materdei (una tra le più belle stazioni d’arte a Napoli).
Sarà importante, e passiamo all’altro punto di svolta, capire come sarà l’approccio e con quali mezzi riuscirà ad operare Andrea Viliani, nuovo direttore del Museo Madre.

Ha avuto la meglio su ben trentatré candidati, Viliani, piemontese di nascita e nemmeno quarantenne. E queste già sembrano due buone notizie. Non essere “legato” a logiche locali di gestione culturale può essere un vantaggio, una sorta di “campo neutro” museale. Ed inoltre la giovane età è anch’essa una buona notizia, segnale di nuova linfa e di freschezza. E gli appassionati d’arte contemporanea (che hanno a cuore il Madre e lo considerano un esempio d’eccellenza) lo sperano fortemente.

Arriva direttamente dalla Fondazione Galleria Civica, Centro di ricerca sulla contemporaneità, dove era Direttore, a Trento, che insieme a Rovereto (sede del MART – Museo d’arte Contemporanea Rovereto Trento, con cui Viliani ha spesso collaborato nei suoi progetti) è diventato un eccellente polo di arte contemporanea in Italia. Prima ancora, curatore presso il MAMBO (Museo d’arte Moderna Bologna), dove ha posto l’attenzione sulla valorizzazione del patrimonio di tradizioni culturali locali, ma con occhio attento alla internazionalizzazione.
Ed è proprio questa la ricetta che ci sembra necessaria, in questo momento, alla rinascita del Museo Madre. Avvicinare innanzitutto i napoletani, i campani e gli italiani ad uno dei musei d’arte contemporanea migliori sul nostro territorio. Ma tutto ciò è possibile attraverso un processo di consapevolezza dei propri mezzi e di forte propensione verso il mondo internazionale dell’arte e della cultura moderna e contemporanea. Pensare da Madre, agire da Moma (Museum of Modern Art New York) o da Pompidou (Parigi), esempi d’eccellenza mondiale in assoluto in ambito museale,  contemporaneo.
Va “comunicato” che il Madre non solo non è morto, ma è vivo e vegeto e non ha alcuna intenzione di chiudere. Passare parola, attraverso tutti i canali ma, soprattutto attraverso il web, i social – insomma i media contemporanei – che daranno di sicuro un aiuto in questa risalita del prossimo – speriamo – polo d’arte contemporanea del Sud Italia.

 

Con la nomina di Giovanna Melandri a Presidente della Fondazione Maxxi ho assistito ad un processo irrituale e grottesco.  Un ministro per i beni e le Attività Culturali che attua una nomina politica su una fondazione privata è la dimostrazione che la Fondazione Maxxi è solo uno strumento formale di gestione del museo ma che nella realtà è privo di contenuti.
Speravo che con il Mart e la loro attivazione di un bando internazionale per l’identificazione di un nuovo direttore si fosse arrivati ad un processo di cambiamento, limitato certo (perché il bando non prevedeva indicatori di misurazione delle performance e degli obiettivi), ma pur sempre di cambiamento si trattava.
Invece con la nomina di Giovanna Melandri, il nostro paese torna a fare un passo indietro.
Personalmente non ho nulla contro la signora Melandri e mi limito solo a constatare l’operazione in controtendenza effettuata: la politica che continua a gestire istituzioni private.

Il Maxxi ha bisogno di una personalità di spicco internazionale che porti idee, progetti, network e la cosa che ci preoccupa di più è come con questa scelta la fondazione testimonia di non avere una strategia a lungo termine.

Ma poi chi erano gli altri candidati? Pio Baldi, Mario Resca, Gianni Minoli? Forse è per questo che l’Amaci ha plaudito, così come non è mancato il sostegno dell’amico Nicola Zingaretti? Mi dispiace, perché sarebbe stata un’opportunità; mi sarebbe piaciuto vedere un giovane con esperienza diretta nella gestione e con risultati misurabili come Luigi Di Corato o Felicita Platania. Ma questa è un’altra storia e il finale non siamo di certo noi a deciderlo.

Jean Valjean è un giovane ribelle intenzionato a perseguire il bene della società

Un consiglio superiore per i Beni Culturali variegato rispetto allo standard degli anni passati e che rispecchia le peculiarità tecniche dell’attuale governo. Si tratta della squadra nominata dal ministro per i Beni e le Attività Culturali, Lorenzo Ornaghi, una rosa di nomi selezionata tra accademici che spaziano dalla psicologia alla politica, dall’architettura alla filosofia. Ecco i nomi eletti dal ministro che saranno chiamati a fornire pareri e prendere decisioni riguardo la tutela e valorizzazione del patrimonio, sui beni paesaggistici, musei e siti archeologici.

Antonio Paolucci, classe 1939 e attualmente direttore dei Musei Vaticani. Ha ricoperto la carica di Soprintendente per il Polo museale fiorentino ed è stato ministro del dicastero dei Beni Culturali dal 1995-1996 sotto il governo Dini ed è l’unico tra i nominati da Ornaghi ad aver già fatto parte del consiglio superiore in passato.

Albino Claudio Bosio, professore di psicologia e marketing dei costumi presso l’università Cattolica di Milano e preside della stessa facoltà, vanta nella sua carriera accademica più di duecento pubblicazioni sull’argomento ed è direttore della rivista Micro&Macro Marketing.

Enrico Decleva rettore della Statale di Milano, nato nel 1941, storico di formazione, fa parte del consiglio di amministrazione della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori.

Francesco De Sanctis, classe 1944, rettore dell’università Sant’Orsola Benincasa di Napoli dove è nato e insegna filosofia del diritto. Fa parte della direzione scientifica di numerose riviste: “Filosofia politica”, “Geschichte und Gegenwart”, “Trimestre”, “Rivista di diritto pubblico e Scienze politiche”. Ricorpre la carica più importante all’interno del Consiglio superiore, in quanto gli è stato conferito l’incarico di presidente.

Gloria Pirzio Ammassari, la politologa del consiglio, nata nel 1940 e professoressa ordinaria di Sociologia politica presso la facoltà di Scienze Politiche della Sapienza di Roma dal 1994.

Scelti invece dagli enti locali sono i rappresentanti più vicini al mondo della cultura:

Luca Molinari, storico dell’architettura, materia che insegna presso l’Università di Anversa. Oltre alla pubblicazione di volumi accademici sull’argomento, ha curato anche diversi allestimenti architettonici in Italia e all’estero, tra cui la Triennale di Milano e la Biennale di Venezia. È il più giovane del consiglio in quanto nato nel 1966.

Giuliano Volpe, archeologo, classe 1958 e dal 2008 rettore dell’università di Foggia. Socio corrispondente del Deutsches Archäologisches Institut di Roma è autore di numerose pubblicazioni accademiche, ha preso parte ad una ventina di campagne di scavo ed ha conseguito premi e riconoscimenti degni di nota.

Francesca Cappelletti, storica dell’arte che ha partecipato a convegni e seminari nazionali ed internazionali ed ha curato numerose pubblicazioni sul Seicento e Caravaggio: tra queste il catalogo delle mostre “The Genius of Rome”, presso la Royal Academy di Londra, 2001 e “Caravaggio e i Giustiniani. Toccar con mano una collezione del Seicento”, Roma- Berlino. È professoressa di storia dell’arte presso l’Università di Ferrara.

Rimane ancora aperta tuttavia la questione delle nomine dei Comitati tecnico-scientifici. In una nota stampa divulgata in serata dal Ministero si precisa infatti che tale lista, pur essendo stata redatta, non può essere approvata per le disposizioni della spending review:

“Da tempo è stata altresì predisposta la lista dei componenti dei Comitati tecnico-scientifici, sia i componenti designati dal CUN, sia quelli scelti dal Ministro tra gli specialisti dell’area di competenza di ciascun Comitato. Al momento, tali esperti non sono ancora stati nominati, poiché l’articolo 12, comma 20, del decreto legge “spending review” n. 95 del 2012, convertito nella legge n. 135 dello scorso 7 agosto, ha impedito il completamento dell’iter in corso per la proroga dei comitati, stabilendo, altresì, che le attività svolte dagli organismi stessi siano trasferite ai competenti uffici delle amministrazioni nell’ambito delle quali operano. L’urgenza che si proceda alla costituzione dei Comitati tecnico-scientifici, così che i rispettivi presidenti possano essere chiamati a completare la composizione del Consiglio Superiore dei Beni Culturali, è già stata portata all’attenzione del Consiglio dei Ministri, ai fini di predisporre le necessarie soluzioni.”

 

 

 

 

 

Alla direzione artistica di Artefiera Art First, la fiera di arte contemporanea di Bologna, sono state poste due personalità di spicco del panorama artistico italiano: Claudio Spadoni e Giorgio Verzotti.
Ma chi sono? Andiamo a conoscerli.

 

Claudio Spadoni è attualmente il direttore del MAR- Museo d’Arte della città di Ravenna, ruolo che riveste dal 2002.
Ha studiato presso l’Università di Bologna quando in cattedra c’era Francesco Arcangeli e dal 1976 è docente di Storia dell’Arte e direttore dell’Accademia di belle Arti di Ravenna.
E’ inoltre critico d’arte per “Il Resto del Carlino” e altre riviste specialistiche.
Ha fatto parte della Commissione internazionale della Biennale di Venezia nell’edizione 1986, della Quadriennale del 1999 e del 2009 e di commissioni scientifiche di diverse Istituzioni.
Nella sua carriera è stato poi curatore di numerose mostre per Musei e Gallerie Pubbliche in Italia e all’estero, oltre ad aver firmato diverse pubblicazioni.

 

 

 

Giorgio Verzotti, classe 1953, dopo una laurea in Storia della Critica presso l’Università degli Studi di Milano, ha cominciato la sua attività presso l’Ufficio Mostre e alla Biblioteca della Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici di Milano.
E’ stato docente in più atenei: come professore di Estetica presso l’Accademia Carrara di Bergamo, e insegnante di Fenomenologia degli Stili presso l’Università Cattolica di Brescia.
Per dieci anni, dal 1991 al 2001, è stato curatore del Castello di Rivoli-Museo d’arte contemporanea a Rivoli (Torino) e dal 2002 al 2005 è stato incaricato capo curatore del MART – Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, di cui è tuttora consulente esterno.
Attualmente collabora per la rivista Artforum (New York) e Flash Art (Milano).

Classe 1973, 39 anni, milanese Ilaria Bonacossa è da oggi la nuova curatrice del Museo Villa Croce di Genova. Una nomina attesa e sperata per la brillante curatrice e critica d’arte il cui progetto ha sbaragliato la concorrenza degli altri 62 candidati che avevano risposto al bando per la selezione del curatore lanciato dal museo a febbraio.

La Bonacossa, che dal 2002 collabora con la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, è stata inoltre tra le superfavorite alla direzione di Artissima, titolo poi spettato a Sarah Cosulich Canarutto.

Tra le idee innovative presentate nel progetto di selezione che hanno convinto la giuria a puntare sulla sua figura, sicuramente la volontà di collegare le attività del museo agli eventi diffusi su Genova legando in particolar modo il moderno e il contemporaneo, facendoli dialogare tra loro e con le nuove generazioni di artisti che la Bonacossa ha sempre affermato di voler promuovere e valorizzare.

“Intendo rivalutare la collezione permanente, che contiene parecchie opere di pregio – ha affermato – e vorrei puntare sui giovani invitando alcuni visiting professor al dialogo con studenti e giovani artisti”.

Una sfida importante per la giovane curatrice che arriverà a Genova a giugno e che, nel 2013, dovrà inoltre curare il Padiglione Islandese per la prossima Biennale di Venezia.

 

Ha confermato oggi che presterà la sua competenza e la sua esperienza al Festival del Cinema di Taormina (dal 22 al 28 giugno), nel ruolo di direttore editoriale, ma che non abbandonerà l’analogo Festival di Roma di cui è stato uno dei fondatori. Mario Sesti, classe 1958, laureato in filosofia e docente presso il DAMS di Roma tre ha iniziato la sua carriera come professore di liceo e poi si è fatto conoscere nel mondo cinematografico grazie ai suoi saggi e libri sul settore, come Tutto il cinema di Pietro Germi e In quel film c’è un segreto. Critico e giornalista cinematografico ha collaborato per diversi anni con l’Espresso e tuttora scrive sulle colonne di Repubblica e sulla rivista specialistica Ciak. Autore di documentari sul cinema e autori italiani (il più famoso è il film inchiesta sul finale di 8 e 1/2 di Fellini) è stato uno degli ideatori nel 2006 del Festival di Cinema di Roma, per cui ha curato la sezione più innovativa e seguita, “Extra” all’interno della quale sono previsti incontri con attori e registi, lezioni di cinematografia ed interviste.

Quest’anno all’interno del Festival di Taormina per sua scelta Mario Sesti non ha voluto ricoprire il ruolo di direttore artistico ma ha preferito il settore editoriale per portare avanti il suo lavoro di critico e giornalista. Mansioni che potrà svolgere nella sua terra natale (Sesti infatti è originario di Messina) dopo questi anni dedicati alla città dove è cresciuto, Roma, a cui lascia in eredità (seppur temporaneamente) un festival contestato ma da cui sono nati spunti significativi che lui stesso porterà come bagaglio d’esperienza per il suo nuovo incarico.

 

Quest’oggi il ministro per i Beni e le Attività Culturali Lorenzo Ornaghi ha nominato Margherita Zambon e Alessandro Tuzzi consiglieri di amministrazione rappresentanti del MiBac all’interno del cda della Scala, che a breve sarà rinnovato a seguito del recente Decreto interministeriale che ha riconosciuto alla Fondazione Teatro alla Scala di Milano la qualifica di forma organizzativa speciale.

Ma chi sono i due esponenti designati a rappresentare il ministero all’interno della celebre istituzione teatrale meneghina?

 

Margherita Zambon, classe 1960, è laureata all’Università Bocconi di Milano in Economia ed è presidentessa della fondazione Zoè (Zamboni Open Education), struttura che si occupa di responsabilità sociale e di diffusione culturale in campo sanitario e farmaceutico “affinché medici, farmacisti, pazienti, operatori del settore salute e di quello dell’informazione interagiscano per favorire una percezione del “vivere bene” più completa”.

 

Alessandro Tuzzi, classe 1977, è Direttore Sistema Organizzativo, Innovazione e Progetti Speciali presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, stessa università in cui si è laureato in Scienze politiche.

Da ormai quattro anni diamo la possibilità ai nostri editorialisti, tre volte alla settimana, di esprimere in questa sezione di Tafter le loro opinioni a mano libera e senza vincoli – se non di battute – da un punto di vista editoriale.
La redazione, nella riunione di venerdì scorso, aveva deciso che il prossimo tema su cui avrebbe chiesto un approfondimento sarebbe stato quello della nomina di Fuortes a commissario straordinario della Fondazione Petruzzelli.
Da venerdì abbiamo quindi cominciato a fare il solito giro di mail e telefonate per richiedere la disponibilità di un commento sulla nomina: bene, la cosa che ci ha sorpresi è stato il gentile declino da parte di tutti (e dico tutti) ad esprimere un’opinione sul tema. Molti hanno rilanciato proponendo altri temi di attualità – di certo interessanti – ma molto lontani dal tema inizialmente richiesto. Quindi, come direttore editoriale di Tafter, non ho potuto fare a meno di chiedermi come mai persone che in passato si erano esposte anche a commenti su persone e situazioni difficili, si fossero in questo caso tirate indietro così elegamentemente sulla questione.

E allora, visto che non possiamo fornirci delle risposte, cerchiamo almeno di porci delle domande:

come si è arrivati a nominare Fuortes a commissario straordinario del Petruzzelli di Bari, quando fino all’ultimo sembrava  quasi certa la nomina di Salvatore Nastasi, plenipotenziario direttore dello spettacolo dal vivo del MiBac, oltre che uomo molto legato alla rinascita del teatro?
Perché, alla fine, in quella canicola che è ormai da qualche mese la Regione Puglia, Nastasi ha ritenuto più opportuno non esporsi direttamente ma sostenere da dietro le quinte il nuovo commissario con lo sblocco dell’anticipazione dell’acconto Fondo Unico dello spettacolo pari a 5 milioni e 500 mila euro?
Tutti sanno chi è Fuortes e tutti conoscono e riconoscono la sua grande capacità di gestire risorse e uomini, oltre all’innata capacità di coordinare relazioni su diversi livelli e soprattutto interpretare sempre al meglio le espressioni di un territorio. Ma perché mai, allora, un uomo così esperto e navigato, che viveva elogiato e rispettato nel suo tempio (l’Auditorium Parco della Musica di Roma),  e che aveva presentato negli ultimi anni bilanci in attivo – rarità nell’ambito della cultura, ha deciso di affrontare un luogo rimescolato dalle contestazioni dei lavoratori, dai rimbalzi di responsabilità tra Regione e Comune e soprattutto un ipotetico buco da 8milioni di euro tutto da analizzare e motivare?
Fuortes sembra avere le idee chiare:  le sue intenzioni sono quelle di avviare in tempi brevi tutte le necessarie operazioni e attività per rimettere in moto quella “splendida macchina” che era ed è il Petruzzelli che da anni vive in sofferenza e che, per varie vicissitudini, non è mai riuscito realmente a ripartire.
Ma nella discesa ed accettazione dell’incarico del Commissario ci sarà sicuramente qualcosa di più profondo, che va oltre “la risposta di un buon soldato alla chiamata alla armi per salvare la patria”.  Qualcosa che forse va oltre il Petruzzelli e la Regione Puglia.

 Stefano Monti è il direttore editoriale di Tafter.it

Dopo la perdita del suo direttore artistico, Francesco Manacorda, approdato alla Tate di Liverpool, Artissima è ora alla ricerca di una nuova figura che dovrà occuparsi di dirigere una delle fiere d’arte più importanti del nostro paese.
E qui viene il bello: perché, come aveva già fatto il MART (Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto), le nomine non verranno discusse a tavolino bensì sarà un bando a decretarne l’esito.
L’incarico avrà la durata di tre anni a decorrere dal 1° marzo 2012, e potrà essere rinnovato per un ulteriore anno in seguito alla valutazione sull’operato svolto: una bella occasione dunque per i giovani curatori italiani e stranieri che si dovranno confrontare con l’evento d’arte per eccellenza, giunto quest’anno alla sua dodicesima edizione che si terrà a Torino dal 9 all’11 novembre 2012.

Il direttore sarà il responsabile dell’ideazione, dello sviluppo e dell’attuazione del progetto culturale e commerciale di ogni edizione, per uno stipendio annuo di 90 mila euro lordi più una percentuale derivante dal raggiungimento degli obiettivi indicati nel contratto.
Allettante? Questi i requisiti per partecipare alla selezione:
– essere in possesso di qualificate conoscenze sull’arte contemporanea internazionale e di consolidate relazioni nel settore;
– aver maturato esperienze di curatela con ruoli di responsabilità nella gestione (inclusi gli aspetti amministrativi, finanziari e di risorse umane) di fiere internazionali d’arte contemporanea, di mostre, o presso istituzioni o gallerie pubbliche o private di arte contemporanea. Si richiede in particolare un’esperienza minima di tre anni di attività anche come freelance.
Per l’espletamento dell’incarico è indispensabile la conoscenza della lingua italiana e inglese.
Se pensate di poter essere i nuovi direttori di Artissima, fatevi avanti, c’è tempo solo fino al 20 gennaio 2012.

Scarica il bando integrale

Scade il 12 maggio del 2012 uno dei bandi più ambiti dalle amministrazioni di tutta Europa: entro quella data, infatti, dovranno pervenire le candidature delle città che aspirano a diventare la quinta capitale europea per i giovani. All’inizio fu Rotterdam nel 2009 a sperimentare la nomina: fu la città olandese ad inventarsi la nomina e da allora l’esperimento ha avuto un tale successo che a partire dall’anno successivo è stato addirittura indetto un bando apposito e ogni anno aumentano le candidature delle città che ambiscono al titolo di European Youth Capital.  Ovviamente non si tratta solo di un titolo onorifico e simbolico, bensì di una vera e propria occasione per la città destinata ad ospitare l’iniziativa. Perché, al di là degli eventi organizzati durante l’anno, quello che emerge dalle esperienze portate avanti sinora è che questo avvenimento risulta essere un investimento i cui effetti sono destinati a protrarsi a lungo termine.
Dopo Rotterdam, a vincere il primo bando è stata una città italiana: Torino nel 2010, nonostante la ristrettezza dei tempi per l’organizzazione, ha ricoperto positivamente questo ruolo grazie alle numerose offerte e iniziative culturali che hanno visto come protagonisti i giovani provenienti da tutto il vecchio continente. Il 4 marzo 2011 è stata, invece, la città belga di Anversa ad ereditare il testimone, inaugurando la sua nomina con una grande festa, il Kick-Off Event Club-Centraal che si è tenuta nella stazione centrale alla presenza non solo di tanti giovani ma anche dei politici europei.

Ottenere il titolo di Capitale dei Giovani non è semplice: come recita il bando ufficiale, per essere nominati bisogna dimostrare di aver attuato negli anni delle serie e solide politiche volte a favorire il mondo giovanile e di essere una città a “misura di ragazzo”, con iniziative, progetti e facilitazioni per le imprese giovanili. Vengono privilegiate, infatti, quelle metropoli le cui istituzioni entrano maggiormente in contatto con le associazioni giovanili e dove si creano sinergie positive tra queste due realtà. Sino ad ora a conquistare il titolo sono state spesso città che si trovano in paesi in cui la crisi economica è molto incisiva. Ad essere premiato è soprattutto lo sforzo degli enti locali a privilegiare il mondo giovanile in un momento di difficoltà: Torino in Italia, Braga in Portogallo e Salonicco in Grecia hanno rappresentato un’opportunità per i giovani e un’occasione di riscatto. Rimane la libertà in ogni città di sviluppare l’iniziativa in forme e caratteristiche differenti: mentre a Torino c’è stata una forte collaborazione tra le associazioni giovanili e le istituzioni, a Salonicco, invece, i ragazzi in attesa del 2014 si stanno già muovendo indipendentemente dall’apparato istituzionale. Sempre a Torino si è cercato di portare avanti di pari passo anche un progetto per facilitare l’inserimento nel mondo del lavoro e per rendere i ragazzi autonomi rispetto alle famiglie di origine. Un piano partito già nel 2007 e che sicuramente ha favorito la nomina di Torino nel 2010. Il titolo infatti viene assegnato dalla Youth Forum Jeunesse, un’istituzione dell’Unione Europea volta a favorire lo scambio culturale tra i giovani europei: tra i  progetti portati avanti c’è quello di un programma di accesso al mondo del lavoro attraverso stage e tirocini in tutti i paesi dell’Unione. Un piano che ha come scopo principale quello di contrastare la disoccupazione giovanile, piuttosto diffusa a causa della crisi economica che attraversa il vecchio continente. Del forum europeo fanno parte 90 consigli nazionali ed internazionali della gioventù e organizzazioni non governative che hanno come priorità quella di rendere i giovani parte attiva e portante dell’Europa. Questi organismi, infatti, hanno funzione consultiva a livello nazionale in ciascun paese. Al di là dei numerosi eventi e manifestazioni ludiche che vengono annualmente organizzate nelle città designate, il fine quindi è molto più ampio: si tratta di creare una nuova generazione europea consapevole e coesa delle potenzialità dell’Unione.

Sul sito internet dedicato all’evento tenutosi quest’anno ad Anversa è stata richiesta una vera e propria partecipazione attiva da parte degli utenti e di coloro che ne avrebbero preso parte. A Torino, invece, la partecipazione è avvenuta attraverso bandi istituzionali. Numerosi sono stati gli eventi culturali, i concerti, i festival nella città piemontese organizzati dagli stessi ragazzi, spazi adibiti a spettacoli e a dibattiti, scambi di opinioni e di idee.
Il 2012 sarà l’anno di Braga in Portogallo: dal 17 al 20 novembre si è già riunita l’Assemblea generale dell’European Youth Capital e sono stati non solo stilati gli obiettivi generali, ma anche eletti i nuovi rappresentanti del Forum. Nel caso della città portoghese, riconnettendosi alla storia coloniale del paese, è emersa la volontà di estendere le iniziative coinvolgendo i ragazzi a livello internazionale e oltreoceano. E forse potrebbe esser proprio questa la nuova strada da intraprendere: ampliare la rete delle relazioni al di fuori dell’Unione europea per coinvolgere i giovani a livello mondiale. Intanto, tra tutte le capitali giovanili nominate sinora si sta creando una rete di partenariato per associare tra loro i giovani protagonisti degli anni passati in quelle che saranno le organizzazioni del futuro. Quello che era partito come un progetto non ben definito si sta quindi negli anni delineando come un’opportunità sia per l’Unione Europea, al fine di sostenere gli investimenti nelle politiche giovanili, sia per i ragazzi stessi implicati nella sua realizzazione, soprattutto in quei paesi dell’Europa mediterranea dove spesso sono assenti dei piani di incentivazione per le nuove generazioni. I risvolti sono quindi molteplici e non tutti sono stati ancora esplorati sino in fondo e forse la città che verrà designata per il 2015 aggiungerà nuove potenzialità da sviluppare nel futuro per allargare la maglia delle relazioni giovanili e rendere la nomina davvero un evento internazionale. Il bilancio per adesso è limitato alle realtà territoriali che hanno ospitato le iniziative, sia a livello di indotto economico che di investimenti. Tuttavia il progetto è partito da pochi anni e si può ancora definire in fase di sperimentazione. Forse dopo Braga e Salonicco il percorso sarà più definito.

 

Tutti gli occhi puntati sui Beni Culturali e sul loro dicastero ieri, da mattina fino a sera, con il neo ministro ai Beni Culturali Lorenzo Ornaghi a fare spola tra convegni e Commissione Cultura per illustrare a colleghi e media le sue idee di intervento nel comparto.
Quattro le linee su cui prendere provvedimenti fin da subito: un ddl che metta ordine nel settore del restauro, uno per il cinema, uno per la qualità architettonica e uno che inasprisca i reati contro il patrimonio.
Il lavoro da portare a termine è dunque moltissimo ma urgente sembra essere anche la questione delle agevolazioni fiscali che fino ad ora non hanno mostrato la minima apertura verso i finanziatori privati: “sugli sponsor oggi grava il 21% di Iva e il 10% sulle ristrutturazioni – ha dichiarato il ministro – occorre quindi semplificare queste procedure complicate e farraginose”.
Ancora una volta, dunque, è il rapporto tra Stato e privati a rappresentare il fulcro dal quale partire per rilanciare la cultura e la sua economia e soprattutto per permettere il proseguimento di lavori, come quelli per la Grande Brera ad esempio, bloccati da anni, che frutterebbero alle casse dello Stato ingenti somme di denaro.
Tra le novità presentate ieri in Commissione rientra anche la volontà di istituire una Giornata per la Cultura volta ad educare soprattutto le nuove generazioni al rispetto e all’apprezzamento del nostri immenso patrimonio culturale.
Molti buoni propositi dunque, che aspettano una realizzazione pratica: al momento, il vero momento clou della giornata si è avuto con l’ufficializzazione della nomina di Paolo Baratta alla presidenza della Biennale di Venezia dopo le polemiche suscitate dalla decisione dell’ex ministro Galan di designare come Presidente Giulio Malgara.
“La bellezza salverà il mondo” ha affermato in apertura il ministro citando Dostojevsky. Ma chi salverà la bellezza?

A due settimane dalla formazione del Governo tecnico, incaricato del difficile compito di risanare una situazione economico-sociale molto difficile, continua a venirmi in mente un’osservazione sull’eccezione che in tale circostanza ha contraddistinto l’ambito culturale, ovvero la scelta di una persona di grande cultura, esperienza e prestigio, ma con profilo meno esplicitamente “tecnico” rispetto ai suoi omologhi di altri dicasteri.
Non mi permetto di criticare una scelta che avrà le sue ottime ragioni per essere stata operata in questo senso, ma ne rimango sorpreso, perché ritengo che il tempo dato a questo esecutivo e la situazione contingente impongano la veloce individuazione di indirizzi chiari ed efficaci nel medio-breve periodo. E ritengo anche che il settore culturale sia uno degli elementi strategici per creare indotti economici di rilievo necessari per il Paese, con costi relativamente contenuti, rispetto alle scarse risorse disponibili.
E per fare questo è necessario avere una competenza su variabili e dinamiche che sono state studiate e analizzate a lungo e approfonditamente negli ultimi vent’anni e sulle quali si dovrebbe incidere efficacemente, coinvolgendo tutte le parti in causa. Va anche considerato, però, che uno dei difetti di quanto è stato fatto sino ad oggi è la mancanza di un’ottica integrata di sistema, perché si è voluto per lo più ragionare per compartimenti settoriali. Allora, forse, proprio a un ministro estraneo ai giochi pregressi potrà essere possibile guardare più in là e realizzare quanto non è stato possibile ai suoi predecessori (utilizzando auspicabilmente la consulenza di tecnici dei vari ambiti disciplinari del settore e  quella del neo sottosegretario Roberto Cecchi, Segretario Generale del Mibac sino a questo incarico, persona di grande esperienza e competenza nel settore).

E allora, augurandomi che questa ipotesi possa essere vicina al vero, mi permetto di segnalare al Ministro quelle che a me sembrano priorità inderogabili:
sul piano delle politiche culturali,
– presidiare tutti i tavoli strategici nei quali si effettua la programmazione economico-finanziaria nazionale e comunitaria, per evidenziare il ruolo che l’ambito culturale (in tutte le declinazioni delle filiere ad esso collegabili) può fornire allo sviluppo del Paese;
– ricucire/cucire relazioni costruttive con i dicasteri e le associazioni di categoria pertinenti ambiti che traggono vantaggi dall’esistenza del patrimonio culturale, quali, ad esempio,quelli del turismo, della ricettività, dell’editoria specializzata e delle tecnologie applicate;
– rafforzare le relazioni con  tutte le Regioni italiane e gli enti locali, per realizzare politiche di settore condivise, ottenendo economie di scala e una migliore efficacia di programmi e interventi;
– rafforzare programmi e interventi, sia ministeriali che condivisi con le organizzazioni della società civile che operano in questo ambito, per favorire la consuetudine e consolidare la consapevolezza di tutti i cittadini sul valore della cultura come strumento di crescita, coesione sociale e di sviluppo;
– porre evidenza e attenzione alle culture dei tanti immigrati nel nostro Paese, facendoli sentire cittadini di una compagine sociale in cui la diversità sia vissuta come valore e ricchezza per tutti;
– dare fiducia ai tanti giovani che hanno investito tempo e risorse per lavorare nel settore culturale, creando opportunità sostenibili nel tempo e localizzate a livello territoriale, anche nelle regioni meridionali, ricche di risorse culturali, ma drasticamente impoverite dai “cervelli in fuga”;
sul piano degli interventi “ministeriali”,
– ridare fiducia al personale del Mibac, amministrazione che da sempre è stata considerata una delle ultime dell’apparato statale, tranne quando si è ritenuto opportuno valorizzare competenze tecnico-culturali che fanno scuola nel mondo intero;
– incrementare programmi di ricerca, anche mediante la creazione di un apposita struttura interna, che abbia competenze e funzioni simili a quelle che in altri paesi permettono ai ministri di disporre di analisi specifiche e di possibili linee di indirizzo (studi e prospettiva).

Emilio Cabasino è ricercatore su temi di politica ed economia della cultura

Il nome di Roberto Cecchi, appena nominato Sottosegretario ai Beni Culturali dal neo governo Monti, non è nuovo negli ambienti culturali e amministrativi. Dopo il presunto ottenimento della carica da parte dell’ex assessore alla cultura di Roma, Umberto Croppi, è invece Cecchi ad accapararsi il titolo.
Cecchi, infatti, fin dal 1977, anno della sua laurea in architettura a Firenze, si è interessato di restauro, metodi conservativi e tutela del patrimonio culturale arrivando a ricoprire la carica di Segretario Generale del MiBAC.
Nato a Firenze il 5 maggio del 1949, è formalmente un architetto ma le nomine ricevute negli anni lo hanno portato a gestire ben più alte responsabilità: nel biennio ’94-’95 viene nominato Soprintendente per i Beni Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici della Calabria, dal 1997 al 2001 è a capo invece della stessa Soprintendenza ma a Venezia, luogo in cui prende parte alla commissione per la ricostruzione del Teatro La Fenice.
Da qui in poi, è tutto un proseguire di investiture e responsabilità: dal 2001 al 2007 guida la Direzione Generale per i Beni Architettonici e Paesaggistici e nel 2008 (dopo la riorganizzazione degli uffici MiBAC) assume la Direzione Generale per i beni architettonici, storico-artistici ed etnoantropologici che oggi accorpa anche le arti contemporanee e il paesaggio (passata nel 2010 all’arch. Antonia Pasqua Recchia).
Cecchi è stato inoltre Commissario straordinario delle aree di Roma e Ostia antica e di Napoli.
Oltre agli incarichi nazionali il 61enne Cecchi è stato insignito anche di numerosi titoli internazionali: ha fatto parte del gruppo di lavoro sino-italiano per il progetto di cooperazione culturale per la conservazione del Padiglione Tahie a Pechino e collabora con le autorità iraniane per la ricostruzione di Bam, città distrutta dal sisma del 26 dicembre 2003.
Per quanto riguarda le sue collaborazioni editoriali e scientifiche, è attualmente inserito nel consiglio scientifico della rivista “Arkos. Scienza e restauro” ed è direttore responsabile di “Scienza e Beni Culturali”.

Classe 1948, il nome di Lorenzo Ornaghi è cominciato a circolare tra le indiscrezioni delle nomine del nuovo Governo Monti come possibile Ministro dell’Istruzione.
Laureatosi nel 1972 all’Università Cattolica del Sacro Cuore in Scienze Politiche, dal 1990 ne è diventato professore e nel 2002 rettore. E’ infatti da quella data che detiene l’incarico, rinnovato per tre mandati di seguito.

I suoi studi si sono concentrati in prevalenza sul sistema politico italiano, sulle elite e sulla Costituzione Europea. Oltre ad essere al vertice dell’Università cattolica milanese, Ornaghi è direttore dell’ASERI (Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali), direttore della rivista Vita e pensiero, vicepresidente del quotidiano Avvenire, vicepresidente della Fondazione Vittorino Colombo di Milano, membro del Consiglio di amministrazione della Fondazione Policlinico IRCCS di Milano.
Nel 2005 ha ricevuto una laurea honoris causa in Giurisprudenza, conferita dall’Università Cattolica Pázmány Péter di Budapest.

È inoltre componente del Comitato per il Progetto culturale della Conferenza Episcopale Italiana.

Cattolico fervente, appassionato di studi sulla legislazione e sulla politica…quali potranno essere le sue idee in campo culturale?

A una settimana dall’ammissione della Palestina come membro a pieno titolo dell’dell’organizzazione intergovernativa per l’Educazione, la Scienza e la Cultura -UNESCO – la querelle palestinese sembra aver lasciato in ombra il valore simbolico di un simile riconoscimento.
La tempesta scatenata da Stati Uniti e Israele, la divisione delle diplomazie internazionali, e gli interessi ideologici ed economici che si muovono sullo scacchiere globale, sono stati i protagonisti dell’informazione pubblica mondiale, senza lasciare spazio alcuno a riflessioni di carattere intellettuale, motivate dalla considerazione dell’organismo autore della decisione, un’organizzazione per sua natura inclusiva, alimentata da un’ambizione di pace e di valori comuni, che rinviene nel dialogo tra i popoli la via privilegiata per uno sviluppo duraturo, e che pertanto si propone di contribuire all’affermarsi di una comunicazione capace di superare i confini della religione, dell’ideologia e della cultura propri di ogni Paese.
La Conferenza Generale si è aperta lo scorso 25 ottobre con la volontà di improntare l’esercizio biennale 2012-2013 all’insegna del dialogo interculturale e interreligioso, un messaggio rivolto ai giovani, soprattutto attraverso lo strumento educativo, la cui pianificazione vuole effettuarsi con lo scopo di ridurre i rischi dei conflitti e delle catastrofi. È questa la strada che l’Unesco intende percorrere per contribuire a costruire una cultura della pace per un sviluppo globale duraturo.
Così, il peso di una scelta che tutti hanno tentato dapprima di scongiurare e infine di differire, è stato con fermezza sopportato dall’Unesco, nonostante gli ammonimenti intimidatori di Stati Uniti e Israele, voci che  da sempre accusano l’organizzazione associata Onu di seguire una linea “terzomondista”.
Tuttavia, neppure le minacce di sicure ritorsioni USA in termini di budget hanno sortito l’effetto sperato: i 2/3 dei membri presenti e votanti alla Conferenza Generale necessari per l’ammissione della Palestina all’Unesco sono stati raggiunti, dimostrando con ciò come gran parte della comunità internazionale desideri che i palestinesi siano liberi in un loro Stato sovrano.
A votare a favore, soprattutto la porzione di mondo “che cresce”: a parte Russia e Paesi Arabi, la Cina, l’India e il Brasile hanno espresso il loro deciso; contrari, ovviamente, Israele e Stati Uniti, seguiti dal Canada. L’Europa continua a non essere compatta, così, mentre schierate ai due poli Francia e Germania hanno con convinzione sostenuto rispettivamente il loro appoggio e il loro sfavore, la Gran Bretagna e l’Italia hanno preferito astenersi, laddove il voto degli astenuti valeva come quello dei non presenti, e quindi non computato ai fini del raggiungimento del quorum. Un’incapacità di intercettare gli indirizzi globali? L’Italia, e l’Europa intera, hanno compreso il valore simbolico di una simile ammissione?
L’Unesco, prima agenzia ONU ad  aver messo in agenda e votato a favore del riconoscimento dell’esistenza di uno Stato di Palestina, ha in tal modo spianato la strada alla domanda di riconoscimento avanzata da Abu Mazen lo scorso 23 settembre all’Organizzazione delle Nazioni Unite. È ovviamente questo il traguardo che i palestinesi ambiscono a conseguire, e lo sanno bene Stati Uniti ed Israele, le cui politiche di ostracismo mirano appunto ad evitare un simile risultato.
Ma facciamo il punto. Quante possibilità ci sono che il Palazzo di Vetro di New York voti a favore della domanda palestinese? Nessuna, ovviamente, essendo interdetta l’ammissione di un qualsiasi nuovo membro con il veto di anche un solo Stato permanente, quali sono appunto gli Stati Uniti. E abbiamo la certezza che tale facoltà verrà prontamente sfruttata. E allora? La decisione verrà delegata all’Assemblea Generale Onu, la quale  verosimilmente non faticherà a raggiungere i 2/3 dei voti favorevoli, in tal modo modificando lo status della Palestina da entità osservatrice a Stato non membro – alla stessa stregua del Vaticano.
Se l’esito del voto sembra certo, non così le conseguenze dei dibatti che già  infiammano la comunità internazionale: gli Stati Uniti rischiano con le loro posizioni risolute di esiliarsi ad una condizione di isolamento rispetto agli altri grandi attori economici mondiali?
Senza contare che la stessa crociata di tagli ai finanziamenti intrapresa contro l’Unesco avrà ripercussioni negative su importanti progetti sostenuti dall’organizzazione, primi tra tutti quelli avviati in Afghanistan, dove gli USA hanno tutto l’interesse ad uno sviluppo economico e sociale duraturo, ma anche quelli relativi alla diffusione della conoscenza dell’Olocausto, essendo l’UNESCO l’unica agenzia ONU che dispone di un mandato per promuovere nel mondo l’educazione relativa a questo doloroso evento.
La Palestina non comparirà ancora sulle cartine geografiche, e probabilmente verranno inasprite le politiche di occupazione dei territori oggetto degli accordi del ’67, ma il valore diplomatico di un simile riconoscimento attiva un effetto domino di conseguenze positive, innanzitutto di tipo pratico, non essendo trascurabile la sottrazione di importanti siti oggetto di disputa tra palestinesi ed israeliani in termini di valore culturale, quali  il Parco Archeologico di Tell Balata a Naplouse, il monumentale palazzo Qasr Hisham e i suoi mosaici, la Chiesa della Natività e il Museo Riwaja a Betlemme, ma soprattutto di significato ideologico, che conseguono dal riconoscimento di questo primo pilastro della lotta per l’indipendenza e tendono a  dotare finalmente il popolo palestinese di un suolo in cui poter radicare la propria identità culturale, per la prima volta nella storia di questa terra disunita e sconvolta dalla guerra, in maniera non violenta.