Culture21 srl – Gruppo Monti&Taft Ltd
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Un tripudio di colori lanciati in aria che si mescolano tra loro ricadendo sulla folla festante. Benvenuti all’Holi Festival, la festa dei colori che si svolge ogni anno in India, per salutare l’arrivo della Primavera, coinvolgendo la popolazione da nord a sud del paese. Bambini, anziani e turisti: tutti si riversano in strada ed inizia la battaglia a suon di polveri gialle, viola, rosa e azzurre, chiamiate gulal. La festa trae origine dalla religione induista: il dio Krishna dalla pelle scura e invidioso di Radha, gli avrebbe dipinto la faccia di due colori per nasconderne l’aspetto biancastro. Quest’anno si è celebrata il 27 marzo.
Un simbolo che racchiude in sé la famiglia di origine e l’appartenenza allo Stato Pontificio, di cui diviene il regnante: questa potrebbe essere in sintesi la definizione dello Stemma papale, un segno di riconoscimento adottato da ogni Papa. Dei 266 Papi che si sono succeduti nel corso di questi duemila anni, ne abbiamo selezionati alcuni appartenuti ai pontefici più conosciuti.
Mentre nei primi anni della storia della chiesa i simboli del pontefice erano dei semplici araldi con le insegne della famiglia nobiliare d’origine, a partire da Papa Innocenzo III (1198-1206) è stato introdotto uno stemma peculiare, la cui grafica è cambiata di poco nel corso dei secoli. Le chiavi decussate, simbolo del potere temporale, sono state aggiunte verso la metà del trecento, mentre il trigeno, il copricapo pontificio che rappresenta la chiesa militante, sofferente e trionfante, è comparso per la prima volta nelle insegne di Bonifacio VIII (1295-1303). Tali simboli posti sullo sfondo non furono, tuttavia, adottati da ogni pontefice: alcuni infatti, come Pio IX mantennero solo l’araldo originale senza insegne nel fondo.
Per la comunicazione del proprio programma lo stemma pontificale è ancora significativo, perciò vi diamo qualche indicazione sulle insegne del neo eletto Francesco: oltre al trigeno e alle chiavi incrociate, troviamo le caratteristiche dello stesso stemma che aveva quando era vescovo, tra cui il campo blu con tre figure in oro in primo piano. Una di queste immagini dorate indica l’ordine di provenienza, ovvero la Compagnia di Gesù, un sole con incise in rosso le lettere IHS, gli altri due sono una stella che simboleggia la vergine Maria e un fiore di nardo che rappresenta San Giuseppe.
Nome anagrafico: Jorge Mario Bergoglio
Data di nascita: 17 dicembre 1936
Nazionalità: argentino di Buenos Aires
Motto cardinalizio: Miserando atque eligendo. Scusando e scegliendo.
Ordinamento religioso: Compagnia di Gesù. Ordine fondato nel 1534 a Parigi da Ignazio di Loyola, ha come elementi caratterizzanti le cure d’anime, opere di carità e l’attività educativa. L’ordine nato pochi anni prima dell’inizio del Concilio di Trento, ha voluto da subito rispondere al distacco dei fedeli dalla Chiesa cattolica, per arginare la riforma protestante portata avanti da Martin Lutero e Calvino. Papa Clemente XIV, nel 1773 soppresse l’ordine, osteggiato dai Borboni, che venne poi ricostituito da Papa Pio VII nel 1814.
Titolo: Papa Francesco. 266° vescovo di Roma e 8° sovrano dello Stato della Città del Vaticano.
Particolarità: primo papa gesuita e primo latinoamericano. Per un’infezione respiratoria da giovane ha subito l’asportazione di un polmone. Non porta la croce d’oro.
Cenni biografici: quarto di cinque figli, la sua famiglia ha origini piemontesi, in località Bricco Marmorito di Portacomaro Stazione, in provincia di Asti. Il papà Mario Jose era funzionario delle ferrovie, mentre la madre Regina Maria Sivori era una casalinga. Ha studiato come perito chimico per poi entrare in seminario nel 1958 e laurearsi in filosofia. Nel 1969 riceve l’ordinazione di presbitero e diventa rettore della facoltà di teologia e filosofia a San Miguel. Nel 1998 diventa vescovo di Buenos Aires e poi cardinale; dal 2005 al 2011 ricopre il ruolo di capo della Conferenza Episcopale Argentina. Durante il Conclave del 2005, riunitosi dopo la morte di Papa Giovanni Paolo II, Bergoglio era tra i porporati favoriti a ricoprire la carica papale, cui poi fu chiamato Ratzinger.
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Adesso che, con l’apertura del Conclave, assisteremo a un black out comunicativo nelle vicende della Chiesa cattolica, è il momento adatto per affrontare la questione del nuovo papato, accanto alle considerazioni di ordine culturale e di geopolitica della religione, come una rinnovata sfida comunicativa.
È nota ed è stata analizzata in ogni modo la differente personalità e il differente magistero degli ultimi due papi, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Il risultato è che, dopo un papa generosamente sensibile alle esigenze di popolarizzazione del messaggio evangelico e considerato alla stregua delle pop star su scala globale, il papa dimissionario – per questioni di indole e di personalità – ha preferito mantenere un’immagine più distante dal disbrigo delle questioni ultramondane.
Ora che la Chiesa chiama il successore di Benedetto XVI a risolvere delle questioni di enorme e drammatica complessità, che partono dalla gestione degli scandali che hanno indebolito il Vaticano (pedofilia e Vatileaks su tutti, senza dimenticare le vicende legate allo Ior) e arrivano alla domanda decisiva sul ruolo globale della Chiesa nel nostro prossimo futuro.
Evidentemente, la scelta di una piuttosto che un’altra delle diverse figure di cardinali ammessi alla short list dei papabili, significherà una decisione chiara tra le differenti strategie a disposizione per quella che, a tutti gli effetti, si configura come una campagna di rilancio dell’immagine della Chiesa, del suo dictator e del Vaticano come agenzia globale di influenza. Decidere, ad esempio, se concentrare le energie sulla ri-evangelizzazione dell’Occidente o espandere l’influenza della Chiesa nelle nazioni di nuovo sviluppo, implica differenti strade di ri-costruzione dell’immagine e del ruolo del Papato.
Se la nuova evangelizzazione è, per sua natura, un tentativo di egemonia anche culturale, la “guerra” comunicativa che il nuovo Papa deve accingersi a combattere ha come precondizione la costruzione di un’immagine che sappia incarnare contemporaneamente gli aspetti tradizionali del messaggio evangelico e l’apertura alle istanze della contemporaneità, e dei suoi canali comunicativi, a partire dalle più moderne tecnologie di comunicazione. A prescindere dalla nazionalità o dalla “cordata” vincente, la Chiesa oggi ha disperatamente bisogno di un Papa social. Un Papa 2.0. Questa, più che il cedimento dottrinario e l’orizzontalizzazione delle gerarchie, è la vera rivoluzione di cui ha bisogno la Chiesa cattolica.
Angelo Mellone è giornalista e scrittore, dirigente di Radio Rai
Foto di Franco Origlia
Dalle 13 di quest’oggi è chiusa la Capella Sistina, la splendida sala all’interno dei Musei Vaticani la cui volta è decorata dal Giudizio Universale che Michelangelo Buonarroti dipinse tra il 1536 e il 1541. È sotto quel dipinto, infatti, che si riunirà il Conclave di 115 cardinali, scelti tra coloro che non hanno compiuto ottant’anni (possono essere al massimo 120), chiamati a Roma per eleggere il successore di Benedetto XVI.
Papa Ratzinger si è dimesso l’11 febbraio scorso e proprio il 12 marzo, ad un mese di distanza dovrebbe tenersi la prima riunione dei Cardinali elettori, per scegliere quale tra loro può rivestire il ruolo di successore di Pietro a capo della Chiesa Cattolica.
Eleggere il Papa è un’operazione complicata che segue dei passaggi molto rigidi e precisi. Eccoli:
– I requisiti fondamentali per rivestire i panni del capo della Chiesa Cattolica sono all’apparenza molto comuni: essenzialmente essere un uomo di religione cattolica. Tuttavia, per convenzione, il Papa è sempre stato eletto tra i cardinali membri del Conclave. Raggiungere il ruolo di cardinale è l’apice della carriera ecclesiastica che si raggiunge solo dopo aver iniziato, dapprima come sacerdote, divenendo successivamente vescovo. I cardinali elettori, infatti, sono prima di tutto vescovi. La vita religiosa presuppone inoltre il celibato ma, soprattutto, al fine di avanzare di carriera, sono importanti gli studi teologici e filosofici.
– I cardinali elettori vengono convocati a Roma e risiederanno per la durata della loro permanenza all’interno della Domus Sanctae Marthae, edificio a ridosso della Basilica di San Pietro dentro le mura vaticane. La dimora è stata istituita da Giovanni Paolo II, perché prima di allora i cardinali elettori alloggiavano in alcune stanze di fortuna, allestite attorno alla Cappella Sistina.
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– Una volta riuniti all’interno del Conclave, i cardinali devono mantenere il più assoluto riserbo, e viene vietato loro di comunicare con l’esterno. Il nome Conclave deriva proprio dal latino “cum clave”, perché i membri del collegio vengono chiusi a chiave dal Cardinale Diacono, all’interno della sala, per fare in modo che siano completamente isolati. La votazione tra il gruppo riunito nella cappella avviene infatti a scrutinio segreto dal 1621. Ogni componente deve scrivere uno nome su un foglio di carta che viene portato, chiuso, al tavolo degli Scrutatores, ovvero i cardinali sorteggiati per svolgere il ruolo degli scrutatori. Sono tre le urne dove vengono raccolti i voti, tutte lavorate in argento e in bronzo e ognuna con una sua funzione: la prima accoglie i voti dei cardinali presenti in sala, la seconda viene utilizzata solo per quei cardinali impossibilitati a lasciare la propria stanza per malattia grave, la terza serve per riporre le schede una volta scrutinate.
– Per essere eletto, il nuovo pontefice deve aver ottenuto una maggioranza di 2/3. Se al 34° scrutinio questa non è stata raggiunta, si va al ballottaggio tra i due cardinali che hanno raggiunto il maggior numero di voti nell’ultima votazione.
– Una volta raggiunta questa maggioranza, il prescelto deve confermare al Cardinale Decano, colui che presiede il Collegio dei Cardinali, se intende accettare questo compito e, nel caso di risposta affermativa, quale nome abbia scelto.
– Di tutti questi passaggi il mondo intero non ha notizia sino a quando non è stato effettivamente scelto il nuovo pontefice di Roma. L’unico segnale che consente a tutti di capire a che punto sono i lavori del Conclave è la fumata che arriva dalla cappa sopra i tetti vaticani. Ogni volta che si conclude la votazione, le schede su cui i Cardinali hanno scritto i nomi vengono bruciate: se le fumate sono nere vuol dire che la votazione non è andata a buon fine; solo la fumata bianca annuncia l’elezione del nuovo Papa.
– Ecco quali sono gli abiti papali: una tonaca bianca, una stola rossa, un rocchetto, una mantella rossa, uno zucchetto bianco. In genere vengono preparati tre vestiti di tre taglie diverse per ogni corporatura, in modo tale da essere indossati subito dal nuovo Papa qualsiasi fisicità esso abbia.
– “Annuntio vobis gaudium magnum: habemus papam” è questo il messaggio rigorosamente in latino con cui il Cardinale Protodiacono presenta il nuovo Papa alla folla di Piazza San Pietro e al mondo intero. Il pontefice, dopo qualche minuto, pronuncerà il suo discorso e impartirà la sua prima benedizione “Urbi et Orbi”.
Expedia aveva annunciato un aumento di prenotazioni di voli e hotel su Roma già nelle prime 24 ore successive l’11 febbraio, data in cui Benedetto XVI ha annunciato le proprie dimissioni, e alcuni giorni fa la Capitale ha visto oltre 100.000 pellegrini, provenienti da tutto il mondo, ritrovarsi davanti San Pietro per assistere all’ultimo Angelus di Papa Ratzinger.
E adesso che il Papa ha lasciato il Vaticano, quali ricadute avrà per il turismo il Conclave? Antony Stuart, direttore dell’operatore romano Vatican Tour Company, ha raccontato all’Huffington Post: “Durante il Conclave del 2005 sembrava di essere a Woodstock. La gente si era accampata in giro per Roma e nella Città del Vaticano”. Secondo Andrea Costanzo, presidente di Fiavet Lazio, però, il pienone che ci fu al tempo di Wojtyla non ci sarà questa volta “perché il pontefice non è morto e il fascino esercitato da Giovanni Paolo II era più forte”.
Tuttavia, analizzando i dati che emergono dall’indagine di trivago.it sulla stato della ricettività della Capitale, nelle ultime due settimane Roma è stata la città italiana più cliccata dal mercato italiano (+34 per cento), ma anche da quello francese (+38 per cento) e tedesco (+19). L’aumento più significativo nel numero di ricerche, in particolare, è stato quello dei turisti belgi (+83 per cento), irlandesi (+49) e polacchi (+38).
Da considerare, inoltre, che a interessarsi all’elezione del nuovo Papa non sarà soltanto il turismo dei pellegrini, ma l’intero movimento che ruota intorno a un avvenimento storico e di richiamo mondiale come questo: capi di Stato e autorità che verranno a rendere omaggio al nuovo Papa, oltre che grandi media e televisioni internazionali.
La corsa ad alberghi, case e B&B dal centro storico alle porte di San Pietro è già iniziata e anticipa i flussi dell’alta stagione riportando, si spera, un bel po’ di entrate nelle casse degli albergatori che nonostante un aumento degli arrivi nel 2012 (+5,7%) rispetto al 2001 lamentano cali di fatturato del 10% per la Confcommercio e del 30% secondo la Confesercenti. Questo si spiega perché l’ospitalità italiana nel corso dell’ultimo anno è stata costretta ad abbassare i prezzi per fronteggiare la crisi e per inseguire una maggiore competitività rispetto al resto delle capitali europee.
L’elezione del nuovo Papa richiamerà senza dubbio un interesse positivo fortissimo e costante sull’Italia e su Roma, trasformandosi in potente strumento di marketing. Il suggestivo cerimoniale proseguirà per ore nel chiuso della Cappella Sistina, mentre tutto il mondo fuori vivrà l’emozionante attesa fino al giorno della fumata bianca.
E sappiamo che un collegamento di un giornalista da piazza San Pietro funziona meglio di qualunque altra forma di promozione. Proprio come succede sulla scia di un film girato nella Capitale, il turista si incuriosisce e desidera vedere, almeno una volta nella vita, i luoghi delle pellicole cinematografiche da “Vacanze romane” con Gregory Peck e Audrey Hepburn a “To Rome with Love” di Woody Allen.
Basta pensare che dopo il Giubileo del 2000, Roma registrò un incremento di presenze, nell’anno a seguire, del 18%. E sono stati proprio questi ultimi grandi eventi religiosi ad aver avuto un ruolo decisivo sulla tenuta nel lungo termine del turismo romano.
Forse è presto parlare di boom in riferimento a questo Conclave, ma la speranza è molto forte.
In tempi di crisi e di turismo in calo le dimissioni del Papa sono una vera “manna dal cielo”.
La recessione economica colpisce duramente l’economia spagnola, ma non tocca il settore del turismo religioso, che anzi risulta in continua ascesa. Secondo le cifre fornite dall’Oficina del Peregrino di Santiago, nell’ultimo decennio il numero di persone che hanno intrapreso il pellegrinaggio verso la città galiziana è quasi triplicato, e solo nel 2011 si sono registrate più di 183 mila presenze.
Nello stesso periodo di riferimento, i dati dimostrano che sempre più turisti stranieri decidono di compiere il pellegrinaggio e l’anno scorso il 46% dei pellegrini arrivati alla meta era di nazionalità straniera. A fronte di questa massiva affluenza, i vari attrattori presenti sul territorio si sono organizzati per offrire ai visitatori i migliori servizi.
Lungo i nove cammini ufficiali che i pellegrini percorrono verso il luogo di culto, è sorta una struttura ricettiva diversificata, che spazia dal piccolo ostello a prezzo modico fino all’hotel di lusso in cui i pellegrini abbienti si possono concedere alcune comodità terrene.
La varietà delle sistemazioni offerte si nota soprattutto negli itinerari più recenti e senza grande tradizione storica, mentre nel cammino tradizionale, quello francese, l’offerta si riduce essenzialmente a due tipi di alloggi: l’albergue pubblico e l’albergue privato. Nel primo caso, gli enti locali si occupano della gestione degli spazi e offrono servizi di base ai visitatori, a prezzi molto bassi. Nel secondo, le tariffe possono essere leggermente più alte e la gestione delle strutture è affidata a organizzazioni private o religiose.
Anche l’offerta culturale è estesa, con musei di vario tipo che costellano i cammini: sul classico itinerario francese, nei pressi della città di Logroño, si trova il Museo Würth, che con le sue 11 mila opere d’arte contemporanea costituisce una delle collezioni artistiche private più importanti a livello internazionale. Il Museo de los Caminos della città di Astorga, nella comunità autonoma di Castilla e León, espone pezzi di valore artistico-religioso legati al cammino di Santiago. A fine percorso, nella città di Santiago, si trovano due musei interessanti: il Museo de las Peregrinaciones, il cui obiettivo è quello di ripercorrere la storia dei pellegrinaggi e dell’apostolo Santiago, e il Museo Catedralicio, che ospita il celebre Codex Calixtinus, una raccolta medievale di testi sacri e di cantici relativi al culto di Santiago.
Molti volontari si sono inoltre organizzati per offrire supporto ai visitatori, costituendo varie Associazioni di Amici del cammino di Santiago. Questi gruppi sono sorti in moltissime città spagnole e, oltre a informare e sostenere i pellegrini durante il percorso, lavorano per la tutela e la conservazione del patrimonio storico-culturale presente nei vari itinerari. L’aspirante pellegrino, presso queste associazioni, può inoltre dotarsi del “passaporto del pellegrino”, un libretto da far timbrare ad ogni tappa del suo percorso per certificare il suo itinerario.
Infatti, per ottenere il Compostela, il certificato ufficiale di pellegrinaggio che si richiede all’arrivo a Santiago, è necessario totalizzare 100 km di percorso a piedi o a cavallo oppure 200 km in bici.
Proprio per questo motivo, molte ditte private, fiutato l’affare, offrono da diversi anni una serie di servizi per facilitare il pellegrino durante il suo viaggio: si va dal trasporto di zaini e biciclette, al servizio postale verso le diverse tappe sull’itinerario, alla prenotazione di albergues o hotel o alla vendita del “kit del pellegrino”, disponibile in versione base o premium.
Con tutti questi servizi, anche il visitatore più pigro o impreparato potrà arrivare soddisfatto alla meta.
La foto è del globetrotter Gabriele Saluci
I bookmaker internazionali l’avevano data come la favorita tra le altre 6 capitali internazionali, non facendo i conti però con le ristrettezze economiche che affliggono il nostro Paese.
Questa mattina, infatti, campeggia sui maggiori quotidiani nazionali la notizia di un possibile dietro-front di Roma alla candidatura per le Olimpiadi del 2020. Il premier Monti, che sta esaminando in questi giorni le carte ufficiali, dovrà prendere una decisione al riguardo entro il 15 febbraio ma già si vocifera che dai piani alti preferirebbero che la Capitale passasse questo turno per ripresentarsi direttamente alla selezione per i Giochi del 2024.
Il motivo? Il 2024 sarebbe un anno decisamente più simbolico per Roma e l’Italia visto che il 2025 sarà l’anno del Giubileo: questo vorrebbe dire eventi più concentrati, ravvicinati e spese ridotte ma anche maggior indotto economico per la Capitale che cavalcherebbe l’onda delle Olimpiadi per godersi gli introiti poi del Giubileo, accomunando sacro e profano e facendo anche quadrare i conti.
Questa, in effetti, l’ipotesi utopica abbozzata in prima istanza la quale però non prevede tutte le variabili del caso: come ricorda il Corriere della Sera, infatti, il rinvio al 2024 potrebbe essere applicabile solo nel caso in cui nel 2020 non vinca una capitale europea (Istanbul o Madrid, quindi). In caso contrario, il regolamento vuole che al turno successivo ad essere eletta sia la capitale di un diverso continente.
Il sindaco Alemanno spera a questo punto che Monti “non abbia un atteggiamento troppo professorale”, anche perché il primo cittadino si giocherà con questa mossa uno dei suoi cavalli di battaglia per la rielezione nel 2013.
Nel frattempo si attende il fatidico 15 febbraio, quando cioè si dovrà ufficialmente presentare al Comitato Olimpico Internazionale la lettera di garanzia siglata dal Comitato Olimpico nazionale, testimoniando cioè di avere la forza (economica e manageriale) per affrontare questo grande evento.
Il nodo cruciale è rappresentato proprio dalle risorse economiche: pur rimanendo scontato il fatto che Roma e l’Italia trarranno dai Giochi Olimpici una grande affluenza turistica, una spinta occupazionale e un ampio indotto economico, resta però lo spettro degli investimenti iniziali, circa 8 miliardi, che in questo momento mancano all’appello e che, nel peggiore dei casi, si ripercuoterebbero anche sull’organizzazione dell’Expo di Milano 2015.
Così come le infrastrutture: Sergio Rizzo rammenta che restano ancora da fare il villaggio olimpico, il velodromo, il bacino per il canottaggio e da terminare la città dello Sport di Calatrava a Tor Vergata.
Visto come è andata per le Olimpiadi di Nuoto le premesse non sono le migliori. Speriamo almeno che degli sbagli del passato si sia fatto tesoro.
Chi sono le altre candidate alle Olimpiadi? Leggi l’articolo
A quasi quattro mesi dall’inizio dei lavori, finalmente il 14 dicembre è terminato l’intervento di restauro sulla imponente statua che domina il paesaggio nuorese dall’alto del monte Ortobene, “sopra la roccia con la grande croce che pareva unisse il cielo azzurro alla terra grigia”, come descritto con grande efficacia dalla nuorese premio Nobel Grazia Deledda in “Canne al Vento” (1913). Prima di Natale sono stati infatti rimossi i ponteggi che circondavano la statua bronzea, simbolo da sempre della città capoluogo barbaricino, collocata nella sua attuale sede nel lontano 29 agosto del 1901.
Realizzata dallo scultore calabrese Vincenzo Jerace, la statua, che pesa circa due tonnellate ed è alta quasi sette metri, deve la sua creazione alla precisa volontà da parte della Chiesa di Roma di innalzare su venti monti italiani un monumento dedicato al Cristo Redentore, in occasione del Giubileo sacerdotale di Papa Leone XIII del 1900. Ogni anno, questo speciale evento viene ricordato e celebrato con una vera e propria festa, detta “la festa grande”, che coinvolge la comunità di Nuoro e tutti i vicini Barbaricini, abitanti della Barbagia nuorese.
Durante la mattina del 29 agosto i fedeli si raccolgono davanti alla Cattedrale presso la quale ha sede la cerimonia religiosa, caratterizzata dai tipici canti in logudorese eseguiti in segno di penitenza e di ringraziamento, e compiono, poi, un pellegrinaggio di sette chilometri fino alla statua del Redentore, dove ha luogo la messa solenne su un altare di granito, realizzato appositamente per l’evento. Inoltre si svolge, con grande partecipazione ed entusiasmo generale, una grande sfilata dei costumi tradizionali rappresentanti tutta la Sardegna ed il corteo si apre con uno splendido carro adornato di spighe e fiori variopinti. In concomitanza con la parata ed a concludere la festa, ha luogo il Festival Regionale del Folklore durante il quale si esibiscono i gruppi folkloristici, i migliori dei quali vengono precedentemente selezionati da una apposita giuria, e che proprio durante la sera del 29 vengono premiati dopo un’accesa competizione.
L’affetto ed il sentimento di identità ed appartenenza che questa statua ha da sempre suscitato nella comunità nuorese tutta, spiegano la grande attesa per la fine dei lavori di rispristino e consolidamento della stessa. Una volta “liberato” da impalcature e ponteggi, il Redentore ha mostrato lo stesso volto che presentava all’inizio del secolo scorso, con la sola aggiunta di un manto di cera, che il team di quattro restauratori, con alla guida Carlo Usai, ha applicato per assicurarne la protezione da agenti climatici e corrosivi che possono comprometterne l’aspetto e la sua conservazione nel corso del tempo.
Questa felice conclusione si è fatta attendere, dal momento che si sono sollevate numerose polemiche, con il coinvolgimento della Soprintendenza e ricorsi al Tar, sui tempi e i modi per restituire la salute al “gigante malato”; così come era stato definito, infatti, a causa dello stato di corrosione avanzata che interessava la struttura di ferro, la quale da sola regge in piedi la statua con tutto il suo peso e che figurava pericolosamente inclinata facendo paventare il rischio di un rovinoso crollo, anche se nel 1966 era già stato operato un intervento di consolidamento. Nel 2008 la Curia di Nuoro, a cui appartiene la statua, aveva chiamato il fiorentino Nicola Salvioli per effettuare delle analisi sulla statua. La giunta comunale, guidata dal sindaco Zidda, a fine dicembre 2009 si era resa quindi disponibile ad affidare i lavori proprio al restauratore; tuttavia, solo nell’ottobre 2010 la nuova giunta Bianchi aveva chiesto un preventivo al restauratore – il quale per l’intervento, che prevedeva tra l’altro lo smontaggio della statua, chiedeva oltre 500 mila euro – ed aveva poi bandito una gara d’appalto, nella quale Salvioli era risultato vincitore e, secondo contratto, avrebbe dovuto finire il lavori il 31 luglio 2011. Così, se la Curia aveva dato il suo nulla osta, la Soprintendenza ai Beni Culturali di Sassari, però, non aveva approvato il via libera a questo costoso lavoro per la mancanza di uno studio di impatto ambientale e delle schede tecniche di restauro. Per questo motivo il Comune commissionò all’architetto Niffoi, suscitando le proteste di Salvioli, il quale aveva nel frattempo fatto imbragare la statua e che deciderà di presentare una causa – ancora in corso – al Tar nei confronti del Comune di Nuoro.
Questi rallentamenti avevano comportato a fine dicembre 2010 la sospensione dei lavori da parte del Comune e successivamente, portando l’ente alla rescissione del contratto, venne bandita una nuova gara d’appalto ed affidato un nuovo incarico alla ditta Usai per l’elaborazione di un progetto di restauro, che in questo caso ha previsto la sola manutenzione in loco. Nel frattempo erano stati stanziati 277 mila euro dalla Regione ed, inoltre, il Comune aveva aperto un conto corrente per libere donazioni dei cittadini – che ammontavano a circa 12.500 euro – per il restauro della statua, anche se molti avevano lamentato la poca chiarezza con cui il Comune ha gestito i fondi ed i soldi dei cittadini, visto lo stallo nei lavori di restauro e la decisione di attuare un differente intervento rispetto a quello originario.
Finalmente, con grandi ritardi ed il malcontento generale, poiché la statua non aveva il suo solito aspetto durante l’ultima festa del Redentore, nel settembre 2011, al costo di 146.200 euro è iniziato un lavoro esclusivamente di consolidamento e mantenimento – con un nuovo ancoraggio della statua al basamento di granito tramite perni d’acciaio, creazione di un sistema di scolo interno per l’eliminazione dell’acqua che si forma a seguito della condensa e della pioggia, eliminazione di precedenti bullonature e saldature – poiché secondo il team di esperti la corrosione non comprometteva la stabilità della statua. Ed al di là delle responsabilità politiche e di gestione delle modalità di intervento, sperando che il restauro possa essere duraturo e possa preservare la statua per molto tempo, la città di Nuoro, e non solo, ha riavuto il suo simbolo più vitale.