Culture21 srl – Gruppo Monti&Taft Ltd
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Lucio e Anna sono una coppia di Genova come tante altre, hanno un lavoro, una bambina di nome Gaia e una casa in città. Eppure un giorno si rendono conto che la loro vita, le loro giornate, hanno bisogno di qualcosa in più rispetto alle opportunità che ogni giorno offre la realtà urbana.
Decidono allora di intraprendere, tutti e tre, un progetto ambizioso e pionieristico: viaggiare alla scoperta di nuovi modi di vivere, di fare economia e di intendere il rapporto uomo-natura. Capire come si vive in una fattoria biologica, cosa comporta il cohousing, come effettivamente si svolgono le giornate in un villaggio ecosostenibile, provare in prima persona forme alternative di educazione e di apprendimento.
Anche il modo di spostarsi di Unlearning – così si chiama il loro progetto – avverrà in maniera originale e sostenibile, sfruttando le più avanguardistiche forme di baratto: WorkAway, Banca del tempo, Couch Surfing, scambi di ospitalità in cambio di lavori in fattorie biologiche, in strutture culturali indipendenti, baratto di conversazione per imparare le lingue, e così via. Da questa particolare avventura verrà fuori un documentario, un prodotto culturale che sarà il risultato di un’ulteriore forma di scambio e condivisione “dal basso”, basandosi sui finanziamenti del crowdsourcing.
Ma sentiamo dalla voce dei suoi stessi protagonisti i dettagli di questa esperienza, unica nel suo genere.
Come spiegate nel trailer di presentazione di “Unlearning”, l’idea del vostro progetto è nata da un pollo a quattro zampe, che è diventato il simbolo della vostra iniziativa. Potete raccontarci l’aneddoto che ha dato inizio a tutto e rivelarci i motivi che vi hanno spinto a intraprendere un’avventura del genere?
Viaggiare e curiosare ha sempre fatto parte del nostro DNA di coppia. L’arrivo di una figlia ha cambiato molti aspetti pratici della nostra quotidianità. Ma quando Gaia ha disegnato un pollo a quattro zampe si è riaccesa la scintilla e ci siamo detti “Perché non coinvolgere anche la bimba?” Meraviglioso… la nostra crescita individuale si è trasformata esponenzialmente a livello familiare. Il pollo a quattro zampe è diventato il simbolo della nostra epoca, dove i bambini di città conoscono gli animali al supermercato, guardano gli speciali in tv e, se va bene, vanno allo zoo.
Tutto il vostro viaggio si baserà sull’idea del baratto. Si tratterà di un’esperienza all’insegna dell’improvvisazione e della scoperta o potete già dare delle anticipazioni sull’itinerario, i tempi, le persone che incontrerete?
Viaggeremo con una bimba piccola, non possiamo pensare di fare come Indiana Jones!
Sarà un viaggio pianificato perché non è l’aspetto avventuroso che ci interessa.
Anticipazioni: vi possiamo dire che questi ultimi giorni sono fantastici perché abbiamo ricevuto numerosi inviti da parte di persone che hanno trovato interessante il progetto, e li ringraziamo. È molto probabile che ci vedrete alle prese con un progetto educativo indipendente, una famiglia di “artisti del riciclo” e… un circo! Abbiamo sei mesi di viaggio e qualche mese per decidere le ulteriori tappe.
Quanto e come pensate che “Unlearning” possa essere importante per vostra figlia? E in generale, pensate che il vostro potrebbe o dovrebbe essere un esempio per altre famiglie, per altri bambini?
Noi non pensiamo di essere un esempio, ciascuna persona ha il diritto di vivere come preferisce, ma le famiglie che vogliono sperimentare differenti modi di vivere e di viaggiare troveranno in Unlearning un manuale pratico per affrontare con serenità questo tipo di esperienza.
Noi abitiamo a Genova e, come molte altre famiglie, siamo contenti della nostra vita e Gaia ha i suoi punti di riferimento: amici, giochi, casa. Certo, il confronto con altri stili di vita, non sarà indolore perché metterà a nudo aspetti di forza e di debolezza delle nostre convinzioni, della nostra routine. Come una sorta di depurazione, alla fine resteranno solo le cose più preziose.
I finanziamenti per compiere il vostro singolare viaggio si basano interamente sul crowdfunding. Perché un individuo, un’altra famiglia come la vostra, o una collettività dovrebbero finanziarvi?
Bella domanda! E ti ringrazio perché è molto importante spiegare questo passaggio, tanto delicato quanto importante.
Unlearning è un progetto di documentario indipendente. Ti piace il trailer? Puoi acquistare il film in prevendita qui: www.unlearning.it. È come comprare un biglietto del cinema ma vedere il film dopo sei mesi. Capiamo che può sembrare strano, ma il ricavato della prevendita ci permetterà di realizzare Unlearning al meglio! Non chiediamo soldi per organizzarci una vacanza, ma per creare un prodotto culturale a stretto contatto con i suoi fruitori. Il costo del download è di dieci euro ma se proprio vi siamo simpatici, potete richiederci i fantastici gadget creati appositamente per Unlearning: t-shirt per uomo, donna e bambino, fondini per il desktop, stampe e segnalibri magici.
In Francia, e in altri paesi europei il finanziamento da basso (crowdfounding) è un metodo molto utilizzato per progetti di tipo sociale, scientifico, musicale, letterario.
Ci è sembrata una buona idea adottare questa nuova formula di finanziamento anche da noi, in Italia. La nostra scelta è pioneristica ma, se compresa dalla collettività, potrebbe rivelarsi molto utile anche per altri progetti.
Intraprendere un percorso del genere non è un avvenimento di tutti i giorni. Cosa pensano le vostre famiglie e i vostri amici di “Unlearning”? C’è un territorio o una realtà che vi sostiene particolarmente?
Familiari e amici sono stati in nostri primi fans! Ma non solo, sono state le prime persone con le quali confrontarci e mettere a fuoco il progetto. Insomma, sono il nostro “territorio amico”.
Probabilmente la vostra vita sarà cambiata dopo aver portato a termine un’avventura come questa. Cosa vi aspettate per il futuro, dopo “Unlearning”? Il vostro proposito di sperimentare nuove forme di vita e di economia avrà un seguito?
In realtà i cambiamenti sono iniziati già da ora! “Imparare, disimparare per imparare nuovamente”. E quando rientreremo a casa dopo sei mesi, chissà! Magari saremo felici di ritornare alla nostra quotidianità, oppure… Questo sarà il finale del nostro documentario!
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Oggetti rimasti inutilizzati trovano nuova vita nelle mani di Bernard Pras, artista francese che riproduce soggetti noti come opere d’arte, fumetti e personaggi storici mixando colori, forme e consistenze di vario genere. Per le sue istallazioni il creativo ricorre anche ad intelligenti giochi di prospettive: dischi, scarpe, vecchi jeans e giocattoli diventano così elementi fondamentali di puzzle e mosaici colorati.
Come diceva del resto Oscar Wilde: “Non c’è nulla di più necessario del superfluo”.
Guardate qui!
Partendo dal concetto di consumo collaborativo, che implica pratiche di scambio e condivisione in antitesi con il dilagante consumismo, nasce Locloc, community on line volta a favorire tali modelli alternativi.
Il sito web si presenta infatti come piazza virtuale di incontro dove gli utenti potranno trovare tutto ciò di cui hanno bisogno, senza doverlo acquistare, ma semplicemente prendendo oggetti a noleggio, in un ottica peer-to-peer.
I vantaggi di tale tendenza sono molteplici: dal risparmio economico alla tutela dell’ambiente, fino all’incentivazione di rapporti interpersonali, sempre più complessi ai nostri giorni.
Su Loloc è possibile inserire annunci e incontrare gli aspiranti noleggianti cui affidare il proprio oggetto in piena tranquillità, perché supportati da una clausola assicurativa. E’ inoltre possibile recensire l’utente con cui si è entrati in contatto per il prestito. Per chi invece è alla ricerca di un’auto, un utensile da giardinaggio o qualsiasi altra cosa, il funzionamento è chiaramente inverso: si cerca tra le offerte e una volta trovato ciò di cui si ha bisogno sarà possibile inviare un messaggio al noleggiatore; una volta utilizzato e riconsegnato il tutto al proprietario, la recensione dell’esperienza sarà di aiuto agli altri.
Se invece voleste arricchire la vostra abitazione o il vostro ufficio con un’opera d’arte, senza doverla necessariamente acquistare a cifre astronomiche, c’è TurnigArt: è possibile scegliere tra le tele di tanti artisti che si esprimono attraverso generi e stili diversi. Una volta individuata la vostra preferenza, riceverete la tela corredata di cornice. Nel caso in cui aveste deciso di cambiare arredamento e la tela non facesse più al caso vostro, basterà rinviarla al mittente e sostituirla con una nuova opera più consona al nuovo ambiente.
Anche in questo caso i benefici sono evidenti: è possibile avere ogni volta che lo si desidera un’opera diversa, e più artisti gioveranno di tale visibilità.
Seguendo tale tendenza di condivisione e scambio, sempre più diffuso è il fenomeno del coworking: più professionisti che usufruiscono del medesimo spazio di lavoro, cogliendo così l’occasione per mettere al servizio gli uni degli altri le proprie diverse competenze, il tutto ammortizzando le spese relative ad affitto ed utenze.
Allo scopo di incentivare tale condivisione di luoghi e l’incontro fra professionalità affini è stato lanciato il motore di ricerca italiano Coworking for: indicando il luogo, specificando fascia di prezzo e servizi di cui si occorre è possibile trovare lo spazio desiderato; lo step successivo è prenotarlo on line. Chi desidera invece mettere a disposizione il proprio ufficio, sala riunioni o la propria scrivania, potrà pubblicare l’annuncio e trovare eventuali utenti interessati.
Questi sono solo alcuni esempi che testimoniano come ormai il consumo di beni e servizi stia cambiando: la domanda e l’offerta tendono infatti ad incontrarsi sempre più in maniera alternativa e, se vogliamo, anche in modalità più convenienti per ambo le parti.
Al Palazzo di Vetro di New York, le Nazioni Unite discutono per giungere allo storico accordo relativo alla compravendita internazionali di armi, volto a regolamentare tale mercato multimilionario nel rispetto dei diritti umani.
Interessi economici e politici rendono tuttavia ancora difficile la conclusione di questo trattato, che avrebbe almeno il merito di impedire l’esportazione di armi verso Paesi in stato di guerra, dove sono in atto genocidi o vi sono attività terroristiche.
In attesa che l’ONU compia questo primo importante passo verso la limitazione dell’utilizzo di armi, c’è chi crede che lo scoppio dei fucili e le esplosioni dei vari strumenti di morte possano tramutarsi magicamente in musica.
Si tratta di otto visionari, grandi esperti delle sette note, che si fanno chiamare Post War Orchestra e realizzano strumenti musicali attraverso il riciclo di armamenti vari: il loro progetto nasce nel 2009 da un’idea dell’artista Hilary Champion e sta raccogliendo il plauso di un pubblico sempre più ampio, sorpreso nel vedere un’orchestra suonare chitarre costituite da fucili o bonghi ricavati da componenti di vario genere come elmi e parti di cingolati.
La loro prima esibizione si è tenuta all’UCA, University for Creative Arts, nel Surrey, in Inghilterra, riscontrando un grande successo e portandoli ad esibirsi più volte per diffondere il loro messaggio positivo.
Trattandosi tuttavia di un gruppo di volontari, il reperimento di armi, la lavorazione necessaria per modificarle e le altre attività volte a portare avanti il progetto costano loro, oltre che impegno, che sembrano mettere con grande entusiasmo, anche denaro.
Hanno dunque lanciato una raccolta fondi per sostenere l’iniziativa della Post War Orchestra attraverso Kickstarter, la più grande piattaforma on line di fundraising.
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La Post War Orchestra è del resto la dimostrazione che creatività, arte e, soprattutto, buon senso possono davvero cambiare il mondo e far suonare musica con i cannoni.
“Storie di cartone” è un laboratorio itinerante di editoria sorto con l’obiettivo di coinvolgere i partecipanti nella creazione artigianale di libri. L’idea editoriale che sta alla base di questo progetto è l’esperienza delle latinoamericane editoriales cartoneras, nate con la pioniera Eloísa Cartonera a Buenos Aires nel 2003, a seguito della disastrosa crisi economica argentina. L’attività di questa casa editrice è servita da modello per molte altre case editrici indipendenti, spuntate prima in tutta l’America Latina e più di recente anche in alcuni paesi europei, con l’intento comune di abbattere il prezzo di produzione dei libri e democratizzare la lettura, facilitando l’avvicinamento alla letteratura per il più ampio pubblico possibile, fuori dalle logiche di mercato dettate dalle multinazionali del libro.
I principi che regolano l’attività editoriale delle cartoneras si riflettono nelle semplici istruzioni di questo “laboratorio di editoria popolare” torinese, come si legge sulla pagina web dedicata: riusa, crea, leggi. Durante il laboratorio, aperto a tutti gli interessati e gratuito, ogni partecipante crea la copertina del libro con vari materiali di recupero come carta, cartone, fotocopie, tessuti colorati, ritagli di giornali e riviste. Terminata la copertina, si inseriscono le fotocopie all’interno della copertina e si assembla il libro con una semplice tecnica di rilegatura a mano. Il laboratorio prevede una piccola pausa caffè o aperitivo in cui viene letto il libro ad alta voce per tutti, perché possa servire da ispirazione per la creazione della copertina. A laboratorio finito, ogni partecipante può portarsi a casa il proprio pezzo unico d’arte e di letteratura.
La lettura del libro durante il laboratorio è possibile perché il genere letterario scelto dagli organizzatori per questa iniziativa è il racconto, molto spesso trascurato dall’editoria tradizionale. Fin’ora i libri tradotti e realizzati durante questi incontri sono due, entrambi inediti in Italia: Berkeley o Mariana dell’universo della scrittrice argentina Liliana Heker e Dochera, del boliviano Edmundo Paz Soldán. Gli autori sono latinoamericani e la scelta è vincolata al permesso dell’autore di pubblicare l’opera cedendo i propri diritti d’autore gratuitamente, uno dei principi fondanti dell’iniziativa cartonera. Questi libri, nelle intenzioni degli organizzatori, vogliono rappresentare il primo passo di un progetto editoriale più ampio e definito, pensato per tradurre e pubblicare molti altri racconti di autori ispanoamericani.
La prima edizione di “Storie di cartone” si è conclusa e ha all’attivo cinque incontri in diverse associazioni culturali di Torino e del cuneese, due libri e moltissime fotografie colorate, che mostrano le copertine dei libri realizzate dai partecipanti e gli incontri nei vari centri culturali.
Per vedere i risultati dei laboratori e per tenersi aggiornati su nuove iniziative consigliamo di tenere d’occhio la pagina web dell’iniziativa.
A prima vista, guardando queste opere, non riuscirete a capire in quale materiale sono state realizzate. Talmente ben composte e lavorate, le sculture dell’artista giapponese Haroshi, con i loro colori sgargianti, non fanno risalire alla materia grezza riciclata di cui si serve l’artista. Se vi soffermate sull’ultima immagine della galleria lo scoprirete. Si tratta di un oggetto molto lontano dalla tradizione giapponese, ma tipico della società americana: lo skateboard, riconoscibile con un po’ di fantasia.
Quanti tra voi si sentono in colpa ogni qual volta gettate nella spazzatura il cibo avanzato o la spesa dimenticata nel frigo? Certo in questi tempi di crisi, oltre alle critiche e agli sguardi di disapprovazione nel vederci compiere un gesto del genere, si aggiunge anche il rimprovero da parte di noi stessi per non aver saputo razionalizzare i cibi comprati e di conseguenza i soldi impiegati. Una delle lezioni positive che stiamo imparando dalla crisi che imperversa in Europa è proprio quella di cambiare le nostre abitudini e atteggiamenti, abbandonando soprattutto quella tendenza allo spreco e al consumismo a cui eravamo ormai troppo avvezzi. Ogni giorno, infatti, in Europa tonnellate di cibo vengono destinate alla spazzatura, eppure per buona parte degli alimenti in scadenza questo triste destino potrebbe essere evitato. A volte con il passaparola dei vicini o dagli amici è possibile riuscire a non sprecare alimenti e bevande, ma se riuscissimo a trasformarlo in un autentico stile di vita? La stessa domanda se la sono posta Valentin Thurn e Stefan Kreutzberger, un regista e un giornalista che hanno creato la piattaforma web foodsharing.de. Dal titolo esplicativo, è chiaro il fine dell’iniziativa: mettere in contatto, sfruttando internet, produttori, privati cittadini e chiunque voglia condividere la propria spesa con gli utenti del sito. Un autentico social della spesa dove trovare gli utenti per vedere cosa mettono a disposizione gratuitamente nella loro lista e scoprire gli indirizzi e i recapiti presso cui ritirarli. Conoscendosi nel sito, inoltre, è facile mettersi d’accordo per organizzare una cena o un pranzo assieme agli altri utenti, usufruendo proprio dei prodotti provenienti dal paniere online.
Il progetto è nato in Germania e per adesso infatti la totalità degli utenti si trovano in territorio tedesco. Inoltre il sito è accessibile esclusivamente in lingua tedesca, ma l’idea sta riscuotendo un notevole successo e ogni giorno c’è sempre un nuovo utente che decide di unirsi all’iniziativa.
Una delle sezioni del sito inoltre è dedicata ai consigli su come riconoscere gli alimenti freschi e in che modo conservarli correttamente all’interno del proprio frigo. Lo scopo non è quindi solo quello di riciclare i prodotti prima che scadano definitivamente evitando lo spreco, ma anche quello di educare l’utente per prestare maggiore attenzione alla propria alimentazione e alla qualità del cibo che viene ingerito.
Un’iniziativa volta al risparmio e alla prevenzione dello sperpero delle risorse, nel rispetto dell’antico detto dei nostri nonni secondo il quale il cibo non si butta mai, perché un bene prezioso, come sanno bene coloro che vivono in quei paesi in cui la fame è la prima causa di mortalità. E se il progetto è partito dalla Germania, paese in cui la crisi di certo non è diffusa come da noi, è auspicabile che possa presto anche diffondersi nel Belpaese, sia per arginare la crisi dei consumi che per riscoprire il valore vero e proprio di quello che mangiamo.
Le nostre nonne lo dicevano: “non si butta via niente”.
Ecco fatto, nell’era del consumismo sfrenato c’è ancora una possibilità per i nostri scarti.
La fantasia fa la sua parte e, seppur a volte in maniera bizzarra, ridona vita ai rifiuti trasformandoli in vere e proprie opere d’arte o in nuovi oggetti d’uso comune.
Con il pretesto di sensibilizzare la gente sul tema del riciclo il Consorzio Ecolight, che gestisce i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) a livello nazionale, apre il Museo del Riciclo, la prima vetrina virtuale in cui vari “artisti del recupero” si sbizzarriscono tra creatività e ecosostenibilità.
Il progetto educativo, che sta alla base di questo museo virtuale, permette un dialogo tra produttore e consumatore promuovendo uno stile di vita critico al consumo e ambientalmente sostenibile.
La filosofia del consumismo è quella di realizzare prodotti la cui durata non dipende dalla loro qualità ma dalla rapidità con cui il mercato li sostituisce con altri. Questo usa e getta crea accumulo di scarti che contaminano il pianeta.
Produrre meno rifiuti, saperli trasformare e rimetterli in circolo significa avere più cura del nostro territorio.
Leggi l’articolo completo su Culture in Social Responsibility
Come ogni anno il 2 novembre è il giorno dedicato alla commemorazione dei defunti ma, con il passare degli anni, cambia il modo con cui ci si approccia alla morte e al ricordo dei propri cari scomparsi.
Sembra ad esempio che l’aldilà non venga risparmiato dalle tendenze social che spopolano ormai di questi tempi: se da un lato ci si continua a chiedere come gestire i profili virtuali di persone decedute, dall’altro c’è chi ha ideato un vero e proprio social network dedicato a coloro che non sono più in vita.
Si chiama Sepolcrie si propone di mantenere vivo il ricordo di persone care che non ci sono più: è possibile attivare un profilo del defunto in cui inserire una biografia e delle foto; chi vuole può poi lasciare un messaggio di cordoglio o un semplice saluto.
Facebook ha invece ideato l’applicazione “If I die”, che consente di lasciare un video o un messaggio agli amici che sarà pubblicato solo al momento della propria dipartita.
Ideata dalla start up israeliana Wilook lo scorso anno, “If I die” ha già visto l’adesione di oltre 200 mila utenti. Il suo funzionamento è semplice: una volta scaricata l’app è necessario indicare tre persone fidate che lanceranno il nostro ultimo messaggio nel caso di decesso.
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Anche la sensibilità alle problematiche ambientali tocca questo ambito, soprattutto per quel che concerne le pratiche di sepoltura. E’ stata perciò ideata la Bios Urn, un’urna biodegradabile al cui interno, insieme alle ceneri del defunto, è riposto un seme: deponendola nel terreno, consentirà la nascita di un arbusto. L’idea è del designer spagnolo Martìn Azùa.
Seguendo sempre la tematica “green”, esistono poi diverse agenzie funebri specializzate nella realizzazione di bare ecologiche, prodotte in materiali biodegradabili. C’è poi chi, come l’olandese Ibis, propone invece di equipaggiarsi per tempo: l’azienda produce infatti librerie e fioriere che, in caso di necessità, si convertono facilmente in bare. Un modo forse non troppo ortodosso, ma certamente pratico per non trovarsi impreparati.
Insomma, sembra proprio che anche la morte, questa eterna presenza, sia sempre al passo con i tempi.
Se siete amanti del riciclo e non buttate davvero via niente, sicuramente apprezzerete queste singolari opere d’arte dell’artista francese Bernard Pras. Riuscite a rintracciate tutti gli oggetti riutilizzati?
Consultate il suo sito
Il vinile sta tornando alla ribalta, come dimostrano le molteplici edizioni speciali su 45 giri che artisti di ogni genere hanno voluto per i loro album.
Il disco di una volta ha trovato così nuova vita, anche attraverso l’arte: c’è chi infatti ne ha scolpito i profili ottenendo immagini esplicative. L’autore di questa idea è Carlos Aires, artista spagnolo che nella serie “Love is in the Air” ha presentato molte opere che utilizzano il vinile come sostanza materica principale, per un effetto vintage, pop e molto ecologico!
Ecco il sito di Carlos Aires
Il libro di Guido Viale “La civiltà del riuso” edito da Laterza è un saggio sulla cultura del “rifare, riutilizzare, ridurre”, sulle modalità che la società contemporanea adotta nei confronti delle merci e dell’industria che le produce.
La narrazione si muove essenzialmente lungo tre direttrici discorsive fondamentali: l’individuazione di una fenomenologia dei rapporti che gli individui intrattengono con gli oggetti della propria esistenza; l’analisi della velocità e della fretta con cui ogni cosa viene trasformata in rifiuto, in immondizia; l’indagine sul culto per oggetti che hanno un senso, un loro intrinseco valore, un’importanza affettiva che li lega a chi li possiede.
Il saggio è costantemente sostenuto da un’intelaiatura di citazioni letterarie che aiutano lo scrittore nell’elaborazione della sua enunciazione e il lettore nella comprensione dei concetti sviluppati, favorendo la circolazione dei contenuti nella loro discorsività.
Gli oggetti, dice Viale, si muovono su un’asse fatto di attrazione e repulsione. Se da una parte infatti, l’innovazione tecnologica, la pubblicità, i media e le leggi della moda spingono ad una continua “renovatio” dei canoni estetico-funzionali delle cose, rendendole subito vuote e obsolete, dall’altra quest’ultime possiedono un valore affettivo che ci lega indissolubilmente ad esse.
Gli oggetti parlano della nostra esistenza e comunicano senso e ricordi; sono simboli e tracce mnemoniche della vita delle persone: “i sentimenti che gli oggetti evocano sono del tutto slegati dalla loro funzione e dal loro pregio, per non parlare del loro valore economico o della loro utilità per chi li raccoglie”.
Lo scrittore prosegue la sua riflessione attraverso la presa in esame l’azione di alcuni movimenti artistici e letterari del Novecento che hanno fatto della cultura degli scarti e dei rifiuti la propria ontologia. Prelevare dal contesto originario l’oggetto, reintrodurlo, decontestualizzandolo, in un’altra dimensione, quella artistico-letteraria, per valorizzarlo e restituirgli dignità.
Dove vanno e come vengono smaltiti gli oggetti nella loro sovraproduzione? Qual è il valore degli oggetti nella macro società? Quale la loro dimensione sociale? Come sono catalogabili?
Questi gli interrogativi che l’autore pone al lettore, analizzando il problema da un punto di vista più generale e collettivo. Mercati, soffitte, cantine, antiquari e ultimamente anche il web, sono bacini di raccolta merci inutilizzate, che attraverso la cultura dell’usato vengono rimesse in circolazione per essere riutilizzate in maniera condivisa.
Per concludere, Guido Viale elabora un modello, propone ai lettori un’utopia del riciclo: un “ecocentro”, una stazione ecologica per promuovere, sulla base delle considerazioni fatte in precedenza, la cultura dell’usato: “la nostra ricicleria ideale è stata progettata per concorrere a rovesciare il rapporto che ciascuno di noi e la nostra società nel suo insieme hannonei confronti del rifiuti che producono, e in particolare – ma non solo – di quella specifica classe di rifiuti che sono recuperabili e suscettibili di avere una seconda vita entrando nel mondo dell’usato.
Il saggio risulta essere una piacevole lettura, un piccolo approfondimento su uno degli aspetti più “caldi” della nostra società, la sovrabbondanza di merci e il suo smaltimento, che viene affrontato dall’autore senza troppi allarmismi e visioni apocalittiche, ma in maniera attenta, propositiva e avveniristica.
La civiltà del riuso
Rifare, riutilizzare, ridurre
Guido Viale
Laterza, € 8,50
ISBN 978 -88-420-9633-7
Arte, ambiente, creatività, artigianato italiano e partecipazione: è tutto racchiuso in una borsa. Accade a Pisa, dove gli architetti Monica Deri e Roberto Pasqualetti hanno ideato un progetto davvero originale: vendere borse per raccogliere fondi volti al restauro delle Logge di Banchi.
L’iniziativa, promossa dal Comune in collaborazione con l’Associazione Casa della Città Leopolda, è tesa a coinvolgere i cittadini nella realizzazione di un’opera di grande importanza per Pisa, che tornerà così a godere appieno della bellezza di un edificio, cuore pulsante della sua vita pubblica, sfondo di eventi e iniziative.
Le Logge dei Banchi, un tempo sede del mercato della lana e della seta, risalgono ai primi anni del 1600 e il loro restauro s’inserisce in un progetto di recupero più ampio che interessa l’intera area, da Via degli Uffizi alla facciata di Palazzo Gambacorti su Via Toselli, fino al piano superiore delle Logge, che verrà convertito a spazio espositivo e per convegni. Il progetto dei lavori è seguito dall’Arch. Pasqualetti, ideatore anche dell’iniziativa “La borsa con le Logge”, e i finanziamenti giungeranno in parte dal Comune ed in parte dal Cipe ed erogati dalla Regione Toscana.
I cittadini potranno invece dare il loro contributo acquistando le borse disponibili in cinque modelli, sia per signore che per signori, e in due versioni: classica, con un tessuto stampato che raffigura la facciata storica delle Logge, o artistica, con un immagine stilizzata e colorata del palazzo firmata dall’Arch. Agnese Bramanti, vincitrice del concorso “Sopra le Logge” indetto per l’occasione. Il costo, che varia dai 19 ai 39 euro, è davvero per tutte le tasche e consente a tutti di sfoggiare borse griffate. La loro realizzazione è affidata alla ditta conciaria Marco Buggiani s.r.l di Firenze, che produce borse interamente made in Italy dal 1980, il che è apprezzabile in un periodo caratterizzato dalla crisi del settore artigiano.
Per le borse con le Logge sono inoltre stati utilizzati materiali derivanti dai teli impiegati nel cantiere del restauro, così da caratterizzarsi anche per l’attenzione all’ambiente e al riciclo, a dimostrazione che ciò non toglie certo qualità e cura al prodotto.
Insieme alle borse, gli acquirenti riceveranno poi un libretto illustrativo che ripercorre la storia delle Logge dei Banchi, così da conferire all’iniziativa anche il merito di rivelarsi istruttiva per i tanti che magari ammirano ogni giorno questo spazio cittadino, senza tuttavia conoscerne la valenza architettonica e artistica.
In segno di riconoscenza infine, coloro che sosterranno il restauro con le borse delle Logge, potranno vantare una targa con inciso il loro nome, che verrà esposta a termine dei lavori all’interno del colonnato. In questo modo viene stimolato il senso di appartenenza alla città e il rispetto per i suoi monumenti, della cui bellezza e salute i cittadini si sentiranno più partecipi e responsabili.
Quella de “La borsa con le Logge” è insomma un’iniziativa intelligente e utile, che mira a raccogliere fondi al fine di realizzare opere altrimenti gravose per le consunte casse comunali. In cambio si ottiene un prodotto di qualità, ma allo stesso tempo ecologico, capace di ravvivare l’amore per la città e trasformarla in un ‘brand’ di tendenza: non possiamo che augurarlo, perché se così fosse, le Logge dei Banchi risplenderanno in tutta la loro maestà, non solo sulle borse.