statigeneralicultura13“La cultura è una scelta che resta da fare” afferma Giorgio Napolitano durante il discorso di chiusura della 1° edizione degli Stati Generali della Cultura ed è così che il direttore del gruppo Il Sole 24 Ore, Roberto Napoletano – artefice del “Manifesto della Cultura” – esordisce alla 2° edizione degli Stati Generali. Obiettivo dell’evento è creare un proficuo momento di dibattito sulle attività, strategie e azioni in materia culturale e sottolineare l’urgenza dell’adozione di misure legislativo-economiche capaci di porre la cultura al centro dell’agenda politica del nostro Paese. Il tutto nell’ottica dell’applicazione concreta del precetto dell’art. 9 della Costituzione: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.”

Molti sono gli interventi illustri per presentare lo status quo del sistema culturale e le possibili soluzioni partendo proprio dai cinque pilastri costitutivi del “Manifesto della Cultura”: costituente per la cultura; strategie di lungo periodo; cooperazione tra Ministeri; l’arte a scuola e la cultura scientifica; merito, complementarietà pubblico-privata, sgravi fiscali.

Le proposte non si fanno attendere a lungo e ad aprire le fila è Emmanuele Emanuele – Presidente della Fondazione Roma. Il suo intervento, dai tratti volutamente provocatori, riscuote ampio favore e prospetta soluzioni che richiedono l’intervento fattivo del Governo: modifica della Carta Costituzionale, ritenuta obsoleta rispetto alle reali esigenze del Paese soprattutto per ciò che concerne il ruolo dei privati a supporto della cultura; gestione privata di tutti quei luoghi culturali attualmente inaccessibili per creare occupazione, economia e sviluppo; intervento della normativa fiscale a favore del mecenatismo e delle sponsorizzazioni culturali capace di garantire la totale detraibilità degli importi a sostegno delle attività culturali; centralità della cultura nella manovra economica.

Il carattere economico della cultura è il fulcro del ragionamento di Marco Magnani – Senior Research Fellow Kennedy School of Economics-Harvard University, Presidente Intercultura / A.F.S. – che cerca di rispondere alla domanda “Esiste una relazione fra cultura ed economia?”. Ovviamente sì. La cultura crea un impatto sulla crescita economica grazie all’indotto che ne deriva (si pensi ad esempio al binomio turismo-cultura e cultura-tecnologia, alla nascita di nuove professioni nel settore culturale, etc.), ma deve essere considerata nella sua accezione materiale, contenutistica e patrimoniale, se si vuole attivare il “moltiplicatore”. Secondo Magnani la cultura ingloba in sé diversi ambiti e deve essere considerata nel suo insieme per funzionare correttamente giacché è fondata sulle qualità del capitale umano, costituito dalla conoscenza implicita ed esplicita alla base della formazione del vantaggio economico. Da sola, però, la cultura non può sostenersi visto che i ricavi non riescono a coprire i costi e, pertanto, sono necessari degli investimenti, siano essi pubblici o privati, e una sua corretta gestione. Solo così si possono avere dei ritorni elevati e può scattare il “moltiplicatore”.

A rafforzare la tesi della cattiva gestione delle risorse di Magnani, è l’intervento di Giuseppe De Rita – Presidente Censis – che evidenzia il problema nella volontà della classe dirigente di mantenere i propri privilegi provocando l’impoverimento della cultura e la sua banalizzazione. Ma allora come si potrebbe risolvere la questione? Attraverso la creazione di un Masterplan per l’industria culturale a medio-lungo termine? La soluzione è di far adattare la politica culturale al territorio attraverso una crescita orizzontale delle risorse. “Solo il territorio ridà alla cultura il rapporto con la dimensione orizzontale della comunità che le sta intorno”, afferma De Rita, e sostiene che è necessario essere consapevoli dello stato reale delle cose inglobando nel masterplan il “buco nero del Mezzogiorno” e l’attuale assenza della dimensione privata.

Anche l’intervento di Patrizio Bertelli – AM Gruppo Prada – evidenzia una deficienza nel sistema culturale italiano incapace allo stato attuale di creare risorse e sostiene che “la cultura non si potrà sviluppare se il nostro Paese non prende atto che si deve investire in questi settori.”

L’intervento della Senatrice a vita Elena Cattaneo – Docente e Direttore del centro di Ricerca sulle cellule staminali Unistem Università di Milano – sposta l’attenzione sulla “ricerca scientifica e tecnica” e sulle problematiche che gli scienziati devono quotidianamente affrontare sia per i continui tagli al settore sia per l’inadeguatezza della normativa in materia. Il suo discorso sottolinea come la realtà scientifica attuale sia solcata da paradossi e come, nonostante le avversità, l’Italia sia all’avanguardia nella sperimentazione scientifica a livello mondiale. La scienza viene paragonata a un grande e desolato deserto dove gli studiosi si trovano da soli di fronte all’ignoto. Ma in questo deserto si può e si deve entrare purché si abbia un’idea e il coraggio d’intraprendere per primi strade mai solcate, visto che quando i risultati arrivano si toccano le vette più alte. Le sue parole sono permeate dall’amore profondo per la sua professione, dall’orgoglio di essere una studiosa italiana e da un’inguaribile ottimismo quando afferma “la scienza può portare lontano e bisogna esserne consapevoli ogni volta che non si investe nello studio.”

Un ottimismo che condivide insieme con Giorgio Squinzi – Presidente Confindustria – proprio in occasione della XI Giornata della Ricerca e dell’Innovazione. L’accento posto all’esigenza di investimenti per la ricerca assume un carattere ancora più significativo per il Presidente, il quale dichiara “dobbiamo ritrovare le nostre potenzialità di crescita e dobbiamo credere nella ricerca e nell’eventualità di giocare un ruolo fondamentale nel mondo. Dobbiamo crederci e fare delle scelte.”

Una ventata di ottimismo e di cambiamento arriva direttamente dalle parole del premier Enrico Letta: “Con il Decreto Valore Cultura si è creata un’inversione di tendenza: rimettere la cultura al centro dell’attenzione perché, capovolgendo le parole di un mio collega, con la cultura si mangia.” Ascoltando il Presidente del Consiglio Enrico Letta si ha la sensazione che il Governo abbia compreso realmente il valore insito e le potenzialità della cultura nella crescita e competitività del nostro Paese, soprattutto quando espone i quattro punti chiave dell’agenda politica. In primis, sull’onda del successo riscosso dalla partecipazione di ben venti città italiane alla nomina di Capitale Europea della Cultura, il Governo intende istituire annualmente la Capitale Italiana della Cultura con l’obiettivo di valorizzare le realtà territoriali del nostro Paese, di creare un fermento creativo e progettuale stimolando sia l’intervento pubblico sia gli investimenti privati e di dare un nuovo impulso al turismo di qualità. Obiettivo di Letta è di avere la prima Capitale già nel 2014, inaugurando l’iniziativa il 27 maggio, data simbolo per ricordare l’attentato agli Uffizi del 1993 da un lato e, dall’altro, aprire una nuova era della politica culturale.
Secondo punto chiave è il credito d’imposta sulla ricerca che il premier dice di “voler estendere non solo al cinema e alla ricerca ma a tutta la cultura” e prosegue affermando che i tagli derivanti dalla spending review non “finiranno nel calderone”, giacché saranno ripartiti su tre obiettivi principali: riduzione delle tasse sul lavoro, finanziamenti specifici in ambito produttivo – come la cultura, la ricerca e l’educazione – e riduzione del deficit e del debito.
Sul tema degli investimenti pubblici in materia culturale il primo ministro pone grande accento dichiarando che è necessario “migliorare i finanziamenti culturali” perché la cultura, l’educazione e la ricerca sono stati oggetto “di tagli lineari”.

Ultimo punto chiave dell’intervento di Letta è l’Expo del 2015 dove “la cultura avrà un ruolo fondamentale” visto e considerato che “l’Italia per cinque mesi avrà la possibilità di mostrare tutte le sue eccellenze”.

Da qui parte la proposta per il futuro di Benito Benedini, Presidente del Gruppo 24 Ore: “l’Expo è Italia e ci si augura che la si visiti seguendo le piste della cultura. Allora perché non si individuano venti opere capaci di rappresentare l’Italia e magari inviarle nei Paesi che parteciperanno all’Expo?” Un’idea lungimirante in grado di rifondare e riformulare l’identità nazionale su principi culturali condivisi capaci, però, di inglobare le molteplici vie tracciate sulla strada della conoscenza che fanno parte del nostro DNA culturale. Un DNA che è ben rappresentato nella sua dicotomia dall’art. 9 della Costituzione dove per cultura non si intende solo l’aspetto materiale ma anche quello immateriale, ossia un sottofondo di conoscenza tecnico-scientifica, di ricerca, di creatività e di innovazione impalpabili che vanno di pari passo con le rivoluzioni artistiche e del sapere. Un “patrimonio” a volte ingombrante da dover gestire che urge risposte e una riorganizzazione fattiva affinché la cultura non resti “una scelta da fare”, ma “la scelta da fare” per apportare una ventata di cambiamento a un sistema antiquato e zoppicante.

Come afferma Emmanuele Emanuele – Presidente della Fondazione Roma – “la cultura per me è l’energia pulita di questo Paese e dal PIL dovremmo passare al PIC, Prodotto Interno Culturale. Noi possiamo farcela. L’Italia ha i mezzi per farlo.”

Ce lo auguriamo.

 

mannequin-barcelona-mannequin-1927 copiaNuova tecnologia non invasiva per valutare le condizioni di salute delle opere d’arte. E’ proprio così, girando la tela e analizzandola dal retro ricercatori e conservatori del settore hanno messo a punto un metodo diagnostico in grado di capire il massimo grado di sopportazione meccanica che l’opera possa subire. Essa verrebbe quindi sottoposta a questo metodo non invasivo, costituito da luce infrarossa attraverso fibre ottiche, per scoprire la sua fragilità e capire, di conseguenza, qual è il migliore trattamento di conservazione da adottare.

L’idea nasce da un team di specialisti provenienti dalla University Collage London e dalla University of Barcelona ed è frutto della collaborazione tra ricerca, scienza e conservazione. “Come per la diagnostica medica, solo la stretta collaborazione interdisciplinare tra curatori, conservatori e restauratori può portare ad uno sviluppo realmente utile. Questo controllo non invasivo permette di migliorare il livello di gestione delle opere e curarle in ogni galleria o museo”, dice Matija Strlic, Senior Lecturer dal Centro per i Beni sostenibili dell’ UCL.

Esso si basa sulla determinazione del PH, sul grado di polimerizzazione (DP) della cellulosa e sull‘identificazione delle fibre che costituiscono la tela ottenuti tramite spettroscopia nel vicino infrarosso (NIR); ossia una metodica analitica di tipo fisico, basata sull’assorbimento di radiazioni elettromagnetiche caratterizzate nella zona del vicino infrarosso da numeri d’onda compresi tra 12800 e 4000cm-1 (780-2500 nm). Il segnale analitico che si ottiene dipende dalle proprietà chimico-fisiche del campione che durante l’analisi viene colpito da radiazioni incidenti, le quali posso essere assorbite, in parte trasmesse ed in parte riflesse. Lo spettro ottenuto, ponendo l’intensità dell’assorbimento in funzione dei numeri d’onda, è caratterizzato da picchi riferibili a gruppi funzionali specifici presenti nel campione.
Ne risulta che la spettroscopia NIR è una tecnica molto efficiente e vantaggiosa rispetto alle metodiche analitiche convenzionali: è infatti veloce, non è distruttiva, non è invasiva (nel senso che le radiazioni usate hanno contenuto energetico molto basso che non provoca un trasferimento di energia al campione sotto forma di calore). Il passo successivo dell’analisi, consiste nella statistica multivariata per permettere di costituire un modello tale da prevedere le proprietà della tela. Tutto ciò porta ad avere dei valori e delle categorie sullo stato di salute dell’opera. Le categorie sono quattro e vanno dalla prima, molto fragile, secondo la quale l’opera d’arte potrebbe non riuscire a sopportare le vibrazioni che un trasporto comporta, all’ultima, tela in buone condizioni per cui può essere tranquillamente traslata.

Per calibrare e validare questo metodo è stato usato inizialmente un campione di riferimento costituito da 199 tele appartenenti al XIX e XX secolo. Il campionario è stato ampiamente analizzato usando microscopi e metodi di analisi chimica. Una volta che il metodo ha raggiunto il giusto grado di validazione, 12 opere di Salvator Dalì sono state selezionate per essere analizzate. Ciò ha permesso di attestare il loro buono stato di conservazione scoprendo oltretutto l’uso di diversi tessuti di tela: in particolare, si è notato l’uso di un cotone di bassa qualità ed economico del giovane Dalì, quando ancora era studente, a fronte del lino di alta qualità iniziato ad usare in seguito al suo successo.

La vera innovazione viene ulteriormente sottolineata se si pensa ai metodi estremamente invasivi che finora vengono utilizzati, che prevedono il prelievo di campione, ossia l’asportazione di quantità minime di materia da sottoporre ai vari esami. Esempio sono la cromatografia, che permette di separare e dosare i componenti di un miscuglio, e le microanalisi che prevedono l’identificazione dei materiali attraverso l’osservazione al microscopio di formazioni di cristalli o di colorazioni caratteristiche a seguito di reazioni chimiche indotte.

 

 

fiatosospCostanza Quatriglio, ha la forza della determinazione dalla sua parte, è tenace, sorridente e non ha paura di dire quello che pensa.
La regista palermitana presenta Fuori Concorso a Venezia “Con il fiato sospeso”. Il film racconta la storia di Stella (Alba Rohrwacher), una studentessa della facoltà di chimica che si sente male a causa delle esposizioni a sostanze tossiche presenti nel laboratorio dove fa la ricercatrice. La sua vicenda si intreccia con il diario di Emanuele (Michele Riondino) un dottorando, morto di tumore, che ha seguito, qualche tempo prima, il suo stesso percorso universitario. La pellicola è un viaggio autentico intrapreso dalla regista dopo aver letto, alla fine del 2008, un articolo sulla chiusura del laboratorio di chimica della Facoltà di farmacia dell’Università di Catania per sospetto inquinamento ambientale. Contemporaneamente viene ritrovato un memoriale scritto da Emanuele in cui denuncia le condizioni insalubri del laboratorio di ricerca.
Oggi si attende la conclusione del processo che vede imputati i vertici della Facoltà. Anni di documentazioni e incontri, hanno dato vita a un suggestivo film, metafora di un paese che manda i suoi figli alla guerra.

 

 

Ci racconti il lavoro che avete fatto insieme?

Alba Rohrwacher: Quando Costanza mi ha coinvolto in questo progetto, ho detto subito di sì perché mi sembrava importante che questa storia venisse raccontata. Inizialmente ho sentito una grande responsabilità che nasce da un grande limite e in questo limite ha trovato una forma libera e nuova. Sentivo anche un pudore, un rispetto profondo, per chi quella storia l’aveva vissuta davvero. Abbiamo iniziato a lavorare e, in questi pochissimi giorni, abbiamo girato prima le scene nel laboratorio di ricerca e poi, quando siamo arrivati all’intervista, sapevo che c’era un’onestà, un rispetto vero e che quella intimità poteva uscire dal mio personaggio.

Costanza Quatriglio: Le ho parlato tante volte di quali potevano essere i sentimenti chiave di questa storia. Ho cercato di costruire un percorso insieme ad Alba che le permettesse di fare un’esperienza cui attingere per costruire al meglio il personaggio di Stella. Ti colpisce che questi ragazzi abbiano questa grande passione per lo studio e colpisce questo tradimento gigantesco che è sotto gli occhi di tutti. Quindi, da un lato abbiamo lavorato sui concetti e poi sull’esperienza in laboratorio. Questo esercizio ci ha permesso di creare quel cortocircuito che è alla base di quella relazione privata, intima di cui parlava Alba. Un film di finzione ma girato sulla base di un precipitato di realtà che sulla pellicola diventa potente.

 

Come attrice c’è una ricerca diversa. Come hai lavorato per interpretare questo ruolo?

A.R.: C’era un testo che aveva scritto Costanza e che poi è diventato nuovo nel momento in cui lei mi faceva le domande e si è arricchito poi di sensazioni, nate con le sequenze girate in laboratorio. Durante l’intervista e le giornate trascorse nei laboratori di ricerca, si è creato qualcosa di molto intimo, tra me, la direttrice della fotografia, Costanza, che era l’intervistatrice, e il fonico. Era come una confessione e non c’era la macchina del cinema a invadere uno spazio.

 

Si parla molto di Università per i tagli e per i tanti problemi di accesso allo studio. Quando vi siete accostate a questa storia, la morte attraverso lo studio, come vi siete sentite?

C. Q.: Ho considerato questa vicenda esemplare di uno stato dell’arte dell’Italia e del futuro dei ragazzi. Ho trovato ispirazione dal diario di Emanuele, dove denunciava le cose che non funzionavano in quel laboratorio. Non mi interessa più dire se è dimostrabile o no che la sua malattia sia connessa o no a quel laboratorio, quello che mi interessa dire è che, a volte, nell’Università si muore anche psicologicamente. Una morte come metafora del fatto che in questo paese, negli ultimi anni, si è persa completamente l’idea di progettualità del futuro. C’è troppo cinismo, si è persa l’idea di passione e di pietas, perché in questo film c’è anche l’amore per quello che fai e per il prossimo. In Italia oggi esiste solo un’Università verticistica che pubblica, pubblica, pubblica e basta.

A. R.: Questo film racconta anche un altro punto di vista, quello di chi va alla guerra e va verso la morte per una passione. Si, è vero che ci sono dei vertici che ti tradiscono, che ti vogliono schiacciare e ti portano nel baratro della morte, ma c’è anche un esercito che, dalla mattina alla sera, fa della loro vita universitaria una ragione di esistere. Queste generazioni spesso vengono rappresentate come perse, in un luogo smarrito. Invece, nel film, c’è una generazione cosciente e consapevole che cerca di modificare le cose e qualcuno che non permette di cambiarle.

 

Il film ha un linguaggio diverso, come ti sei trovata?

A. R.: Il film è nato mentre lo facevamo, eravamo coerenti con un sentimento e, per questo motivo, tutto poteva funzionare. Poteva funzionare che io venissi catapultata dentro un gruppo di ricerca vero che mi ha accolta, anche se non aveva mai avuto a che fare con il mezzo cinematografico e, in questo modo, anche l’intervista, prima approcciata con pudore, è diventata naturale. Dicevo sempre a Costanza che questo limite sarebbe diventato la forza del film.

C. Q.: Questa bellissima frase di Alba, mi è stata detta anche dai mie collaboratori che hanno sposato il progetto e lavorato in modo volontario. Ci sono tre cose di cui si parla sempre: la libertà, l’indipendenza e la solitudine. Questo film aveva il pregio della libertà, il privilegio dell’indipendenza, ma ha rischiato il dispiacere della solitudine. Per fortuna non è così: è bastato farlo vedere, le persone se ne sono innamorate e la Mostra del Cinema di Venezia lo ha voluto.

 

Quale reazione ti aspetti da Venezia?

C. Q.: Mi aspetto rispetto. Non è un “J’accuse” nei confronti dell’Università di Catania, non è un film a tesi, ma pone delle questioni e la principale si racchiude nella frase che il professore dice alla propria allieva: “Quando noi abbiamo incominciato a lavorare in laboratorio non sapevamo che l’amianto e il benzene erano cancerogeni”. Questa è il tema del film, noi viviamo in un paese che non si è mai addestrato al progresso. In Italia c’è la classe dirigente più vecchia d’Europa e se tu lavori e studi con delle categorie concettuali vecchie di sessanta anni, è chiaro che sei sempre ancorato al passato e non pensi mai al futuro. Questa è la vera riflessione.”

 

senatosedEra stato facile l’esordio del Cavaliere Aimone Chevalley di Monterzuolo: “ … si è subito pensato al suo nome, Principe: un nome illustre per antichità, per il prestigio personale di chi lo porta, per i meriti scientifici; per l’attitudine dignitosa e liberale, anche, assunta durante i recenti avvenimenti”. Erano tempi in cui l’italiano era una lingua ricca ed elegante, la House of Lords a Londra era solo dinastica, le schifezze (che non sono mai mancate nella storia) non erano fonte di vanteria tamarra e di invidia dei mentecatti.

Fabrizio Salina declinerà elegantemente, ricordando il monito di Padre Pirrone: “Senatores boni viri, senatus autem mala bestia”. Era un consesso di anziani (chi ricorda più che “senex” vuol dire “vecchio”?) che controbilanciava lo strapotere dell’imperatore: anche nella Roma potenza mondiale c’era un sistema di checks-and-balances. Quando Catone il censore martellava i colleghi ripetendo “Ceterum censeo Carthaginem esse delenda” alla fine lo ascoltarono.

Le cose sono cambiate, certo. Qualcuno azzarda sulla stampa o in televisione (il Senato, così come la Camera, hanno molteplici succursali di fatto): “Porcellum delendum”, magari si guadagna un titoletto sui giornali ma i colleghi se ne fottono. Quando le scrissero sulla Costituzione le Camere erano state concepite come asimmetriche per poter fertilizzare la visione dei Deputati con l’esperienza dei Senatori. Oggi ci si candida all’una o all’altra sulla base di ubbìe atmosferiche o di calcoli machiavellici. Che peccato.

Rimangono i Senatori a vita, che i tanti villan rifatti della politica temono e perciò disprezzano. Persone che invece di strillare luoghi comuni nei salotti televisivi lavorano davvero, costruiscono mondi significativi e utili, “hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”. Abbiamo qualcosa da ridire su Montale, Bo, De Filippo, Bobbio, Levi-Montalcini? O su Abbado, Cattaneo, Piano, Rubbia? Il fatto che siano intensamente alfabetizzati non implica che non sappiano ragionare, anzi: la finta logica che vuole contrapporre poesia e azione nasce solo dal terrore degli ignoranti

Ovvio che nel clima da ultimi giorni di Pompei che stiamo attraversando in questi mesi (anni? decenni?) qualcuno si diletti a far il dietrologo. L’ombra del complotto aleggia sempre sulla nostra disastrata Repubblica, così finisce per fare più notizia un legittimo parere soggettivo che non l’interpretazione analitica degli spartiti, la ricerca sui materia-li da costruzione del corpo umano, la visione dinamica e ironica delle armonie proget-tuali, l’investigazione sui moti dell’universo.

E’ arrivato il tempo di imparare la lezione, deponendo finalmente la fede da ultras nello stellone che laverebbe le nostre indefinite onte. In un Paese sorretto dalla logica elemen-tare i prossimi candidati al Senato dovrebbero venire dalle numerose e multiformi schiere di chi sa immaginare il futuro costruendo il presente, investendo fiducia e risorse per migliorare le cose, facendo prevalere la passione sull’interesse e il sogno sulla volgarità. Buon lavoro ai Senatori a vita.

 

Michele Trimarchi è Professore di Analisi Economica del Diritto all’Università di Catanzaro

MUSEChe il museo dovesse rinnovarsi per superare una crisi considerata ormai endemica da più parti non è cosa nuova. Dagli anni Novanta sono state diverse le proposte avanzate per dare alla geografia museale una collocazione più sensibile ai cambiamenti in atto. La struttura del museo di ultima generazione si è così aperta ad una forma e a un contenuto che respirassero lo spirito del tempo. Spazi interattivi, dialogo con il territorio circostante, riqualificazione di aree abbandonate o in stato di degrado urbanistico, appeal della forma architettonica, affidata spesso ad un progettista di fama internazionale. Due i modelli che si sono affermati a larga maggioranza: la costruzione ex novo di un’area espositiva, oppure il recupero di una struttura precedente, riconfigurata ad hoc per un uso migliore. In entrambe i casi, il medesimo obiettivo: ridare alla città o a un suo quartiere una nuova vita.

Così, dal Piece One di New York all’Hangar Bicocca di Milano, dal Museu da Electricidade di Lisbona alla Città delle Arti e delle Scienze di Valencia, passando per la tappa necessaria e imprescindibile del Guggenheim di Bilbao, il museo ha assunto un nuovo volto. Il MUSE, il Museo delle Scienze di Trento, che inaugurerà il 27 luglio, si inserisce nel solco di questa tradizione. Con uno sguardo che tiene conto, su tutto, della geografia del luogo, del contesto locale e, soprattutto, delle esigenze del territorio.

Realizzato in tempi record dallo studio di Renzo Piano, l’edificio porta a compimento lo sforzo di inserirsi nel paesaggio trentino in modo disinvolto, assottigliando quel protagonismo fine a sé stesso che i progetti delle archi-star spesso recano con sé, e coniuga, attraverso la sua struttura architettonica leggera e quasi trasparente, la vocazione naturalistica del contenuto e quella tecnologica del contenitore. Situata in una valle ai piedi dalle Dolomiti, l’architettura di Piano si propone come metafora del paesaggio circostante: i suoi quattro piani di vetro, legno e metallo convergono come a ricordare una vetta montuosa, la luce naturale irradia l’edificio e una piscina che sfrutta l’idrografia dell’Adige e le acque piovane fa specchiare la costruzione nel cielo. Non solo, al dialogo con la morfologia del territorio, il museo aggiunge un’impronta ambientalista: l’uso di sistemi di tri-generazione sfruttano le risorse rinnovabili e consentono l’efficienza dei consumi e una riduzione della dispersione energetica, con una eccellente performance a livello di sostenibilità.

I quasi tredicimila metri quadrati sono stati inoltre ricavati dalla bonifica dei vecchi stabilimenti Michelin su cui il quartiere un tempo vantava la propria ricchezza, in un’area che, pur a due passi dal centro storico, ha subito sin dall’epoca asburgica stravolgimenti urbanistici. Ora i collegamenti per rendere il nuovo spazio un luogo di transito e di percorrenza da parte dei cittadini saranno più solidi, grazie alla costruzione di un tunnel ciclopedonale, di un parco pubblico e di una piazza per accogliere visitatori e passanti. Sulla scorta dei musei di nuova generazione, sensibili al contatto con il tessuto urbano, il MUSE vuole dunque proporsi come agorà, come punto di incontro per il territorio. Lo dimostra il fatto che la campagna di promozione si è aperta coniniziative social che hanno in primo luogo coinvolto gli abitanti nei luoghi storici della città e sulla rete, per esempio fotografando i passanti in posa davanti al manifesto promozionale della struttura o lanciando con una open call rivolta a cittadini, scienziati, artisti e appassionati l’invito a partecipare attivamente all’inaugurazione.

Ma se il rapporto con la città e i suoi abitanti rimane privilegiato, il museo non dimentica la destinazione internazionale e tecnologica dello Science Centre, con spazi di visita immersivi, con una forte impronta alla multimedialità dell’apparato informativo e infografico, specie negli spazi preposti alla didattica e al gioco, e con una vena sperimentale e creativa nella scelta del contenuto espositivo. Le informazioni in tre lingue, in italiano, tedesco e inglese, fanno da spalla alla posizione geografica della città, porta tra l’Italia e l’Europa, e destinano il MUSE a un dialogo con un contesto geopolitico più ampio.

La museologia italiana ha insomma tutto da imparare dall’esperienza che sta per nascere a Trento. La nostra troppa sfiducia, da un lato incoraggiata dalla crisi, dall’altro incrementata da un’inestinguibile vocazione all’immobilismo e alla mera constatazione dello status quo, rischia infatti di annichilire le forze che potrebbero dare un nuovo volto alla forma-museo. Il MUSE, non ancora un’eccellenza, ha tutte le carte in regola per essere da esempio all’identità nazionale. Per guardare all’esterno con un occhio vigile al territorio. Per essere globale, rispondendo però a una domanda locale. Per creare un legame interno e aprirsi, contemporaneamente, al di fuori. Come la sua collezione, immersa nelle Alpi e allo stesso tempo narrazione della storia dell’umanità e del rapporto millenario dell’uomo con l’ambiente. Come a dire, visitatori di tutto il mondo, accorrete!

 

archimederomaMostra sui generis ideata dal Museo Galileo – Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze, in collaborazione con il Max-Planck-Institut für Wissenschaftsgeschichte di Berlino e con il contributo dell’Assessorato Regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana e della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei. L’esposizione è divisa in due filoni principali: il contributo di Archimede allo sviluppo delle scienze in età ellenistica e i codici manoscritti contenenti le opere dello scienziato, che proprio nel 1400, grazie alla riscoperta di dotti umanisti, furono tradotti in latino e ripresero a circolare.

Il percorso espositivo, suddiviso in otto sezioni, inizia con un nucleo di reperti archeologici, ricostruzioni e applicazioni multimediali che servono a ripercorrere la grandiosità e lo splendore di Siracusa nel III a.C. e la sua importanza nel bacino Mediterraneo, il cui contraltare, sulla sponda opposta, era la mitica Alessandria d’Egitto.
Siracusa possedeva già nel V secolo a.C. uno dei più grandi teatri del mondo greco, con 67 ordini di gradini. Ierone II donò a Tolomeo la splendida Syrakousia, nave del 235 a.C. lunga 87 m. e larga 18 m., straordinariamente sfarzosa, con pavimenti in mosaico. Continui sono gli scambi scientifici con Alessandria, per esempio con il responsabile della sua straordinaria Biblioteca, Eratostene di Cirene, cui si deve il calcolo della circonferenza della terra, mentre Aristarco elaborò, nella metà del III a.C., un’ipotesi eliocentrica.

In mostra è esposto l’orologio solare e la vasca da bagno in terracotta dell’epoca. Sono presenti molti reperti del Museo Archeologico Regionale Paolo Orsi, tra cui alcuni gioielli di straordinaria lavorazione. In particolare un video ci consente di ammirare l’ingrandimento di un orecchino con pendente ad aquila, esposto alla mostra, di cui solo in tal modo è possibile vederne la fitta e delicatissima trama. Molti i busti con ritratti di personaggi famosi, filosofi e oratori.

Alla morte di Ierone II, Siracusa si alleò con Cartagine e Archimede perse la vita a causa di un soldato romano durante l’assedio della città siciliana. Anche la civiltà islamica gli tributò onori e commentò alcune sue opere, per non parlare di grandi scienziati come Leonardo e Galileo.
In mostra sono esposti i modelli delle opere a lui attribuite, come la vite senza fine con cui era facile tirare in secca le navi (da cui la frase: “datemi un punto d’appoggio e solleverò la Terra”), le macchine da difesa – specchi ustori per incendiare le navi nemiche e ganci con cui arpionarle-, orologi ad acqua, l’abaco con cui effettuare i calcoli con i grandi numeri,  fino alla dimostrazione dello spostamento di una quantità di acqua proporzionale al peso della massa immersa, scoperta a cui la leggenda riferisce l’esclamazione: “Eureka!”.

Molti sono gli aneddoti riferiti alla concentrazione assoluta con cui Archimede lavorava, tanto da dimenticarsi di mangiare, curare la propria persona, fino a rifiutarsi, perché impegnato nello studio della geometria, di seguire il soldato romano che lo uccise nel 212 a.C.
Al piano più alto della mostra troviamo la sezione didattica, dove l’acqua inserita nei contenitori in vetro rende evidente come il volume di un cilindro con base uguale a quella di un cono e al diametro di una sfera è la somma di quello della sfera (2/3) più quello del cono (1/3). Istruttivi i modelli delle leve: è visibile che una leva è in equilibrio quando i pesi sono inversamente proporzionali alla distanze dal fulcro.
L’allestimento multimediale della mostra si rivela un arricchimento importante e integra le opere esposte, mentre la disposizione dei reperti, soprattutto nella prima parte, in vetrine cui è possibile girare intorno, ma in spazi ristretti, spesso crea difficoltà ai visitatori.

 

L’incendio che ha distrutto la Città della Scienza di Napoli ha lasciato tutti di sasso. Dopo ormai più di tre mesi, si parla di un piano per ricostruire questo importante spazio culturale, ma i punti interrogativi sono molti per una vicenda che appare davvero complessa. Ci spiega il suo punto di vista Daniele Pitteri, giornalista e docente napoletano, che di tale questione parla da cittadino ed esperto culturale.

 

La Città della Scienza è caduta tra le fiamme di un rogo doloso. Che idea si è fatto riguardo il movente di tale azione?
Questo sinceramente proprio non lo so. Mi pare appurato il fatto che l’incendio sia stato doloso, anche a quanto si apprende dalle cronache. Quella di Bagnoli è una zona particolare dove sono accaduti già in passato episodi strani, ma mai a questo livello. Non saprei dire se si tratta di malavita organizzata, di qualche piccolo gruppo locale con interessi particolari, come lo sfruttamento della spiaggia. Ma non mi posso sbilanciare.

Quale valore ha per Napoli la Città della Scienza?
Non c’è dubbio che la Città della Scienza abbia rappresentato sin dagli inizi, quando nacque l’evento Futuro Remoto, da cui poi è scaturita l’idea di una Città della Scienza come luogo permanente, l’intrusione positiva della tecnologia e delle scienze nel contesto napoletano, aperto ad un pubblico vasto. I cittadini si sono poco alla volta abituati, attraverso Futuro Remoto prima e la Città della Scienza poi, ad avere un rapporto con queste tematiche sicuramente diverso rispetto al passato. Testimoni di ciò sono soprattutto le scolaresche e i bambini, essendosi formati attraverso la Città della Scienza, divenuto elemento fondamentale della loro crescita e sviluppo.
Questo spazio ha dunque un grande valore simbolico, poiché ha contribuito ad educare le generazioni future che tra qualche anno entreranno nel mondo del lavoro e si assumeranno determinate responsabilità.
C’è da dire che Napoli vanta in realtà una presenza cospicua di scienza, ma non è mai stata percepita: abbiamo il MARS, la stazione zoologica Anton Dohrn, c’è una forte tradizione di ricerca, ma trattandosi di laboratori specialistici e avanzati, sono sempre risultati poco noti. Con la Città della Scienza c’è stata invece una volontà di comunicare e far incontrare tale tematiche alla cittadinanza.

Come giudica le iniziative volte a raccogliere fondi per la ricostruzione?
Sicuramente c’è stata una corsa alla solidarietà. Sono state molte le iniziative e tante sono ancora in corso, attivate da molte parti. Devo dire che, essendo stata una ferita per il cuore di Napoli, i cittadini hanno per primi organizzato manifestazioni sul luogo del rogo, da cui hanno preso via diverse raccolte fondi. C’è stato un grande impegno da parte di tanti soggetti anche diversi tra loro. Sinceramente però ritengo che un luogo come la Città della Scienza non debba essere ricostruito attraverso finanziamenti volontari, ma deve essere una priorità dell’ente di governo, e non tanto di quelli locali, ma di quello nazionale.
Va bene che cominci a diffondersi nel nostro Paese l’idea che si possa sostenere dal basso, attraverso il proprio contributo, anche economico, la costruzione e il mantenimento di luoghi di cultura, ma non è questo il caso. Qui è evidente che la raccolta fondi è tutto basata sulla spinta solidaristica ed emozionale, e non può essere l’unica soluzione.

La commissione interistituzionale preposta ha avanzato l’ipotesi di una ricostruzione mista per questo spazio, edificando in parte su aree già presenti e in parte su nuove mai edificate, al fianco del Museo Corporea. Ritiene che sia effettivamente la soluzione da preferire? Che ne sarà dello spazio delle ex acciaierie?
La questione è molto complessa perché la Città della Scienza è indubbiamente legata a quel luogo di Napoli, e dunque ha una forte localizzazione: è l’unica testimonianza di trasformazione da 25 anni, avendo visto la conversione di quella che era un’area industriale di Bagnoli, dove risiedevano le fabbriche dell’Italsider, in una realtà culturale.
In realtà la Città della Scienza non doveva trovarsi lì perché non previsto dal Piano Regolatore, tanto che inizialmente si parlava di una collocazione provvisoria.
Nella zona di Bagnoli persiste poi un problema di bonifica, sul lato mare, andando verso nord. C’è inoltre una società di gestione che è Bagnoli Futura, ora in dismissione, con buchi di bilancio gravi, la quale ha seguito attività di recupero sulle ex-aree industriali, che tuttavia non sono andate in porto. C’è un grande auditorium mai entrato in funzione, come del resto la spa; si è conclusa la ristrutturazione di grandi settori che dovrebbero essere adibiti ad acquario per specie marine, ma è rimasto tutto fermo: la gara è andata deserta perché è folle la cifra richiesta per dare in concessione gli spazi, per di più per un tempo brevissimo.
C’è un sistema complessivo della zona che va ripensato, prendendosi responsabilità serie: basti pensare che alcune bonifiche sono state interrotte perché gli operatori locali dovevano aprire gli stabilimenti balneari, lì dove non era possibile a causa delle sabbie inquinate.
E’ fuor di dubbio che un pensiero strategico su quell’area comprenda anche decisioni inerenti la Città della Scienza: è bene dunque seguire vie coordinate. Non ha senso scindere il destino del museo con quello dell’area. Alcuni errori fatti nel passato dovrebbero essere ora, in queste circostanze sfortunate, corretti.

La ricostruzione sarà un grande banco di prova per Napoli, per gli enti locali e le istituzioni preposte. Pensa che saranno in grado di cogliere la sfida?
La ricostruzione della Città della Scienza, anche per come è stata distrutta, deve essere una priorità nazionale dello Stato italiano, sebbene sicuramente in collaborazione con gli enti locali.
Purtroppo però così non sarà, perché sappiamo che l’attenzione degli ultimi governi, e questo nuovo non mi sembra distanziarsene troppo, è bassa nei confronti della cultura: continueremo ad avere quello 0,2% del PIL rivolto al settore. Questo mi lascia poco speranzoso che una ricostruzione della Città della Scienza avverrà presto e in modo corretto.
Gli enti locali poi non hanno un’idea di politica culturale: il Comune di Napoli e la Regione Campania seguono indirizzi anche conflittuali tra loro. Il sindaco De Magistris ha dimostrato di non avere una visione al riguardo perché di fatto ci troviamo con un’amministrazione comunale schizzofrenica che punta tutto in maniera non programmatica, su eventi singoli come l’America’s Cup, il Giro d’Italia, facendo investimenti che non rimangono a livello infrastrutturale sul territorio. Dall’altra parte c’è un assessore alla cultura, con ben poca voce in capitolo, che invece pensa ad un’azione di coinvolgimento della cittadinanza dal basso, interpellando direttamente gli operatori, ma che si scontra con il sindaco.
Temo dunque che le istituzioni non saranno in grado di ricostruire la Città della Scienza, la quale si rivelerà l’ennesimo fallimento. Le estreme difficoltà economiche inducono inoltre a non prospettarsi nulla di buono.

Non c’è il pericolo che avvenga un’intromissione della malavita organizzata nella ricostruzione della Città della Scienza?
Questo è un rischio costante. La camorra bada soprattutto a fare business, piuttosto che a controllare il territorio, perciò un’operazione del genere, se mai ci fossero soldi, farà gola.
Il motivo del rogo non lo conosco, ma molti sono i punti interrogativi, alcuni davvero assurdi: c’è chi persino parla che possa essere stato qualcuno dall’interno, visto che il personale non percepiva da tempo gli stipendi e c’erano malcontenti. La situazione è davvero ingarbugliata. Non sto manifestando alcun sospetto, ma sto dicendo che sul nostro territorio si sono verificate strane connivenze tra diverse componenti, di tipo sociale, politico, ecc, teoricamente lontanissime dalla matrice malavitosa, in cui però si sono manifestate intrusioni e collaborazioni. Purtroppo siamo dinnanzi ad una serie di scenari molto aperti e variegati.
Dal punto di vista civico è dilaniante, perché non ci si può affidare alle iniziative dei singoli.
La Città della Scienza ha avuto come promotore principale un uomo, lo scienziato Silvestrini, da molti ritenuto ingombrante, che però, grazie alla sua capacità di relazione, ha saputo mettere a tavolino diverse parti istituzionali, contribuendo alla nascita di questo spazio. Le capacità di dialogo che questa organizzazione, con il tempo, è riuscita a creare, sono l’unica speranza che possa rinascere qualcosa di buono con un minimo di senso. Da un punto di vista istituzionale sarebbe però un altro fallimento, perché vorrebbe dire che gli organismi di governo sono incapaci di agire da sé.

 

Sociale, digitale: trasformazioni della cultura e delle reti

 

 

 un e book che, in sole sessanta densissime pagine, raccoglie sette saggi, che delineano il modo in cui si è trasformata e sta tuttora cambiando la comunicazione, sia per quanto attiene il mezzo, il messaggio e i destinatari, che per la sua sostenibilità economica e integrazione etica. Chiave di volta di questi mutamenti è l’avvento dei social network, che hanno radicalmente influenzato la trasmissione del sapere e la diffusione di notizie, nel campo giornalistico e scientifico.

curato da Bertram Niessen, autore anche di uno dei saggi, il testo si presenta come una silloge realizzata da diversi scrittori e differenti tematiche, le quali rimandano tutte in ogni caso al tema centrale della comunicazione: Adam Arvidsson introduce l’argomento, affrontando il tema della sostenibilità economica dei social network, concentrandosi sulle potenzialità di Facebook; Nicola Bruno dedica il suo discorso al cambiamento della professione giornalistica, in particolar modo riferendosi alla velocità di Twitter contrapposta alla necessità di approfondimento ancora vincente per alcune riviste come l’Economist e il New Yorker; Tiziano Bonini sposta il baricentro della discussione non sul mittente bensì sul destinatario, analizzando come è cambiato il pubblico raggiunto dall’informazione; Vito Campanelli riprende invece il dibattito sulla libertà della rete e il diritto di privacy; Alessandro Delfanti descrive il rapporto tra internet e la comunicazione scientifica; Maurizio Teli riporta infine il discorso sul diritto e la proprietà dei beni digitali condivisi sul web.

Un testo ricco di contenuti interessanti, che spaziano tra diversi argomenti legati alla comunicazione sul web, ai suoi diversi strumenti ed implicazioni in ogni campo. Una raccolta che in poche pagine riporta le nozioni fondamentali, con uno stile scorrevole e poco accademico, veicolando tuttavia le informazioni e i concetti cardine del mondo dell’informazione social e non.

nel libro sono assenti le immagini. Forse all’interno di alcuni capitoli grafici o foto sarebbero stati utili per intervallare la colonna di testo scritto.

 

 dei saggi sopra citati è stato tralasciato quello del curatore Niessen per dedicargli una riflessione, rappresentando l’argomento prescelto un segno particolare del libro: protagonista di questo capitolo è la capacità dei social network di aver ampliato il concetto di autonomia e indipendenza del “Do it Yourself”. Attraverso una digressione storica l’autore approfondisce il vero significato sociale di questa locuzione e come questo concetto sia diventato parte integrante della nostra quotidianità, evolvendosi dal campo musicale a quello sociale.

il libro può essere una fonte inesauribile per acquisire strumenti indispensabili nella gestione del proprio lavoro e rivolto a diverse categorie di persone: dagli esperti del settore web ai giornalisti o medici. Tuttavia, dal momento che ormai ognuno ha facilmente accesso alla rete e gli utenti dei social network stanno crescendo costantemente, questi capitoli sono utili anche per gli utenti comuni di Facebook e Twitter, al fine di comprendere non solo il proprio ruolo all’interno della community ma anche le potenzialità della rete.

Sociale, digitale: trasformazioni della cultura e delle reti è disponibile in ebook ed è edito da Doppio Zero

 

 

 

VANITAS VS VERITAS. CARAVAGGIO, IL LIUTO, LA CARAFFA E ALTRI DISINCANTI
di Alessandra Ruffino
pp. 144
Allemandi, € 15,00
ISBN: 978-8842222200

Nel segno della riflessione sui rapporti tra verità e vanità, tra incanto pittorico e disincanto filosofico, i due saggi in volume indagano il sentimento delle immagini che tra Cinque e Seicento originò una vera e propria cultura della vanitas. Le inquietudini e gli equivoci di questa cultura si espressero al meglio nel linguaggio della pittura en trompe-l’oeil e della natura morta, un genere, questo, della cui nascita moderna Caravaggio fu protagonista. Nello specifico, il primo studio analizza l’iconologia di alcuni elementi ricorrenti nei dipinti eseguiti da Caravaggio tra il 1592 e il 1596 circa (liuto, caraffa di vetro, fiori…: tutte voci nel dizionario della vanità); il secondo delinea un percorso volto a metter in luce le ambigue meraviglie del trompe-l’oeil (considerato come una variante della Vanitas).

 

TRANSMEDIA. STORYTELLING E COMUNICAZIONE
di Max Giovagnoli
pp. 223
Apogeo, € 15,00
ISBN: 978-8850332106

Il 2012 è stato l’anno del transmedia in tutto il mondo. Nove blockbuster su dieci tra i maggiori successi internazionali delle ultime stagioni sono opere transmediali (Harry Potter, Twilight, The Hobbit, Assassin’s Creed, Il Cavaliere Oscuro, Spiderman, Star Wars, Lost, The Avengers). Questo libro è un saggio e un manuale insieme, scritto da un producer che lavora con le major e gli autori delle più importanti narrazioni mondiali. Il testo esplora per intero la catena della creazione di progetti transmediali: dalla costruzione della storia alle tecniche di storytelling, dalla scelta delle piattaforme alla promozione e distribuzione di contenuti. Le tecniche e gli standard internazionali vengono presentati in Italia per la prima volta, in un’opera arricchita da numerosi esempi di successo.

 

 

ESPERIMENTI DI NUOVA DEMOCRAZIA. TRA GLOBALIZZAZIONE E LOCALIZZAZIONE
di Charles F. Sabel, a cura di R. Prandini
pp. 388
Armando, € 24,00
ISBN: 978-8866770367

Come possiamo mantenere l’idea di democrazia, quando sta diventando la giustificazione per centri decisionali globali? Come possiamo uscire dal disagio della democrazia contemporanea che richiama pericolosamente soluzioni non democratiche dei problemi? Questo libro affronta questo passaggio epocale, analizzandone le manifestazioni e le cause, per poi proporre un nuovo modo di pensare la democrazia. Con esempi empirici, tratti dalle riforme in atto in Europa e negli Stati Uniti, Sabel ci introduce alla rivoluzione dello “sperimentalismo democratico” e delle sue nuove forme di governance.

 

 

 

LIBERI DI COSTRUIRE
di Marco Romano
pp. 171
Bollati Boringhieri, € 15,00
ISBN: 978-8833923857

La città è stata fin dal Medioevo il luogo della socialità per eccellenza, il contesto nel quale si sviluppano le dinamiche che determinano l’identità individuale, la dignità e i sentimenti dei “cittadini”. La civitas europea ha trovato storicamente la sua manifestazione esteriore nell’urbs, la cornice quotidiana fatta di strade e case in cui le persone ambientano le proprie vite, in un confronto interpersonale che è la base stessa della libertà. Per secoli le città hanno visivamente “mostrato” le tensioni, i conflitti e le diverse istanze di chi le aveva abitate, lasciandole scolpite nella tessitura delle strade e nell’architettura delle abitazioni. Nell’ultimo secolo ha invece preso il sopravvento il concetto di pianificazione.

 

 

CAPITALESIMO: IL RITORNO DEL FEUDALESIMO NELL’ECONOMIA MONDIALE
di Paolo Gila
pp. 273
Bollati Boringhieri, € 16,50
ISBN: 978-8833924106

Il capitalismo è come un aereo entrato in un vuoto d’aria. Le sue ali hanno perso portanza e non si trova un sistema per tenere in volo l’apparecchio. In quindici anni, con il il tracollo delle borse asiatiche del 1998, lo scoppio della bolla della new economy del 2001 e la crisi dei mutui sub-prime del 2008, sembra proprio che il sistema economico globale sia stato messo in ginocchio. Ma quello che è successo è forse ancora più grave: il capitalismo non è finito, si sta trasformando in qualcosa di diverso, che ricorda da vicino l’avvento del Feudalesimo dopo il collasso del mondo antico. Il capitalismo sta diventando “Capitalesimo”, un sistema capillare e inesorabile di controllo assoluto su un territorio frammentato, una sorta di Sacro Romano Impero della finanza.

 

 

USA E GETTA. LE FOLLIE DELL’OBSOLESCENZA PROGRAMMATA
di Serge Latouche
pp. 114
Bollati Boringhieri, € 14,50
ISBN: 978-8833924373

Stampanti bloccate a orologeria, dopo diciottomila copie, o computer fuori uso allo scadere dei due anni: non siamo di fronte a una strana moria elettronica degna della fantascienza, bensì alla manifestazione più recente di un fenomeno che è parte integrante della società della crescita. Si chiama “obsolescenza programmata” e fa sistema con il nostro modo di produrre, di consumare, di pensare, di vivere. Significa che gli oggetti messi in vendita hanno una fragilità calcolata, tanto che la durata della garanzia coincide spesso con la loro vita effettiva. Impossibile ripararli. Vanno gettati e subito sostituiti con altri, ancora e ancora.

 

 

LA FORMAZIONE DEI DOCENTI IN EUROPA
M. Baldacci (a cura di)
pp. 229
Bruno Mondadori, € 16,00
ISBN: 978-8861596764

La questione della formazione iniziale dei docenti ha un profilo tormentato. Il dibattito che la riguarda è stato spesso conflittuale e, talvolta, è apparso più guidato da interessi di parte che dalla ricerca di soluzioni adeguate. Per sganciare tale questione da un quadro di riferimento troppo angusto, come quello fornito dai singoli sistemi nazionali, è opportuno allargare lo sguardo all’Europa. Quest’ampliamento di prospettiva, infatti, permette di cogliere una più vasta trama di soluzioni per la formazione dei docenti. Il presente volume è stato concepito in funzione di tale preoccupazione, e mira dunque ad allargare le prospettive della formazione dei docenti attraverso una ricognizione su alcuni dei principali Paesi continentali.

 

 

L’ARCHITETTURA COLONIALE IN TUNISIA. DALL’ORIENTALISMO ALL’ART DÉCO, 1881-1942
di Luca Quattrocchi
pp. 158
Bruno Mondadori, € 17,00
ISBN: 978-8861598140

Sulla base di una cospicua documentazione archivistica in gran parte inedita, il volume ricostruisce le vicende dell’architettura coloniale in Tunisia dall’istituzione del Protettorato francese, nel 1881, alla Seconda Guerra Mondiale. Un’architettura “d’importazione” che, se per un verso riflette l’evoluzione dei linguaggi europei (eclettismo, Art Nouveau, Art Déco, Movimento Moderno), dall’altro è in grado di elaborare originali declinazioni che ricercano un colloquio con la cultura locale: dalla pittoresca architettura “arabisance” nei due decenni a cavallo del secolo alla grande stagione dell’Art Déco, tra fine anni Venti e primi Quaranta, che conosce una straordinaria fioritura grazie principalmente al contributo di una nutrita schiera di architetti italiani. I

 

 

15 GRANDI IDEE MATEMATICHE CHE HANNO CAMBIATO LA STORIA
di Angelo Guerraggio
pp. 307
Bruno Mondadori, € 20,00
ISBN: 978-8861596986

Come nascono le grandi idee matematiche? Cosa si nasconde dietro un’intuizione in grado di cambiare per sempre la storia della scienza e della civiltà? Quale distanza separa un’illuminazione geniale dalla dimostrazione della sua effettiva correttezza? Dal pensiero euclideo alla teoria del caos, dalla geometria analitica cartesiana alla “macchina universale” di Turing, le grandi idee delta matematica non solo hanno rivoluzionato la disciplina ma anche contribuito a plasmare e modellare l’intero pensiero occidentale. Angelo Guerraggio individua quindici di queste dirompenti scoperte e, anche attraverso le vite dei grandi uomini che le hanno portate alla luce, racconta la storia della matematica come un vivacissimo puzzle di invenzioni, rivoluzioni e lampi di genio.

 

 

CHE COS’È IL RELATIVISMO COGNITIVO
di Elisabetta Lalumera
pp. 1110
Carocci, € 11,00
ISBN: 978-8843067947

La lingua che parliamo influenza il modo in cui pensiamo? Che cosa vuol dire avere concetti relativi alla propria lingua madre? Si può fare matematica senza termini numerali, e si possono percepire i colori per cui non abbiamo parole? Il volume, nel rispondere a queste e altre domande, traccia una breve storia del relativismo cognitivo, passando in rassegna le varie ipotesi alla base dei nuovi programmi di ricerca. Presenta inoltre un’analisi critica della letteratura sperimentale nel campo dei concetti di colore, spazio e tempo, oggetti e numeri, fornendo una chiave di lettura del dibattito contemporaneo sul relativismo in filosofia della mente e psicologia.

 

 

COMPLESSITÀ SOCIALE E LAVORO. LA MODERNITÀ DI FRONTE AL «JUST IN TIME»
di Fontana Renato
pp. 223
Carocci, € 19,00
ISBN: 978-8843068043

I recenti mutamenti sociali ed economici hanno dato vita a una società più turbolenta di quella di ieri, più frammentata e difficile da interpretare. Il libro affronta il tema della complessità sociale e del lavoro organizzato, dedicando una particolare attenzione al rapporto di soggetti, gruppi e imprese con la modernità. È una modernità piena di insidie, in cui la qualità della vita peggiora, la disoccupazione aumenta e i mercati si fanno sempre più aggressivi. Che cosa succede allora quando il “just in time” prende il sopravvento? È quello che spiega il volume, rivolto soprattutto agli studenti di Scienze della comunicazione, Sociologia e Scienze politiche, a cui offre strumenti utili per capire i fondamenti essenziali delle dinamiche sociali.

 

 

DIDATTICA E CONOSCENZA. RIFLESSIONI E PROPOSTE SULL’APPRENDERE E L’INSEGNARE
P. Lucisano, A. Salerni, P. Sposetti (a cura di)
pp. 278
Carocci, € 27,00
ISBN: 978-8843068029

Il libro traccia un percorso attraverso i temi e i problemi dell’apprendimento-insegnamento, a partire dall’analisi del senso e significato della didattica e di come costruire, programmare, realizzare, valutare e documentare esperienze educative, anche alla luce delle diverse strategie di apprendimento. La parte teorica si conclude con due interventi esemplificativi, che raccontano esperienze attivate in ambito museale e illustrano come sia possibile fare degli allievi i protagonisti di un processo di apprendimento spontaneo, autonomo e gratificante. Il volume si rivolge agli studenti dei corsi di laurea in Scienze dell’educazione, ma può essere utile anche a quanti operano nei diversi campi educativi e sono interessati all’analisi della relazione tra apprendimento, insegnamento ed esperienza.

 

 

FRONTIERE. L’IMPERO BRITANNICO E LA COSTRUZIONE DEL MEDIO ORIENTE CONTEMPORANEO
di Pinella Di Gregorio
pp. 208
Carocci, € 21,00
ISBN: 978-8843067701

Nell’ambito di una consolidata tradizione di studi, utilizzando fonti d’archivio inglesi e una vastissima letteratura, il volume affronta la connessione tra storia europea e storia del mondo arabo, in particolar modo il ruolo giocato dall’impero britannico nella regione mediorientale, a cavallo della Prima guerra mondiale. L’autrice analizza l’intreccio tra strategie imperiali, contesti geopolitici e movimenti nazionalisti che ha contribuito a comporre l’assetto del Medio Oriente contemporaneo (soffermandosi su due case studies: Iraq e Arabia Saudita).

 

 

 

FILOSOFIA DELLA LETTERATURA
di Carola Barbero
pp. 127
Carocci, € 12,00
ISBN: 978-8843067909

I romanzi sono collezioni di falsità? Che differenza c’è tra uno scritto qualsiasi e un’opera letteraria? La letteratura deve comunicare valori morali? Possiamo imparare dai romanzi? Queste sono alcune delle domande alle quali la filosofia della letteratura cerca di dare una risposta. A partire da una serrata analisi dei principi e degli assunti che sono a fondamento delle opere letterarie – quelli grazie ai quali siamo in grado di riconoscerle, apprezzarle e forse anche di perderle per sempre – il libro propone analisi e spunti di discussione interessanti per chiunque sia appassionato di letteratura e delle questioni a essa correlate.

 

 

L’ ARTE NEL DUECENTO
di Monciatti Alessio
pp. 379
Einaudi, € 34,00
ISBN: 978-8806202200

Nel Duecento, il secolo anticipato da Nicolas de Verdun e chiuso dalla maturità celebrata di Giotto, il secolo dell’apogeo gotico e della “maniera greca”, l’arte conosce i cambiamenti che collegano il mondo romanico al primo manifestarsi dei principi dell’Umanesimo, ovvero discute e rinnega le forme, le valenze e le gerarchie che erano valse per tutto il Medioevo. L’arte inizia a rappresentare i significati e il mondo sensibile con mezzi propri e autonomi, per nulla ancillari della parola o dei testi; pone l’uomo al centro dei suoi interessi come oggetto della figurazione e quindi si avvale delle sue facoltà di osservatore individuale; diviene uno strumento di conoscenza e di ricerca, unitamente all’affermarsi di una nuova valenza del disegno.

 

 

 

LA MIA FOTOGRAFIA
di Grazia Neri
pp. 468
Feltrinelli, € 25,00
ISBN: 978-8807491375

L’agenzia Grazia Neri è stata una delle più importanti agenzie fotografiche d’Italia e del mondo. Questo molti lo sanno, e sanno che in quella agenzia sono passati i più grandi nomi della fotografia. Eppure sono pochi a sapere che Grazia Neri non è una fotografa. Forse è anche per questa confusione che Grazia Neri ha deciso di raccontare in cosa consiste il suo lavoro, quanta passione e quanta esperienza ha macinato nel costruire un archivio che per più di quarant’anni ha servito con eleganza, efficacia e tempestività la stampa italiana. In questo volume, Grazia Neri racconta come si è mossa, con autorevolezza e levità, nell’ambiente dell’arte e della cultura; racconta gli incontri eccellenti, le amicizie professionali, l’amore per la fotografia di attualità, la lettura dei ritratti, le sue passioni letterarie.

 

 

CONTEMPORANEA (2013)
pp. 172
Il Mulino, € 22,50
ISBN: 978-8815242501

“Contemporanea” promuove l’incontro tra studiosi di diverse generazioni, il confronto con la storiografia internazionale e il dialogo tra gli storici di professione e gli appassionati di storia, gli insegnanti e gli studenti, per discutere di ricerca, ma anche di formazione e didattica, di documenti e di attualità. “Contemporanea”, avvalendosi di un metodo di peer-review anonima, propone i risultati di ricerche originali e innovative di studiosi italiani e stranieri su aspetti politici, sociali e culturali della storia italiana, europea e mondiale dal tardo Settecento ad oggi. Informa sulle tendenze e i temi più significativi del dibattito internazionale, affrontando argomenti e problemi storici di particolare rilievo, in una discussione “scritta” tra studiosi italiani e stranieri e nel dialogo tra la storia e le altre scienze sociali.

 

 

DOPO LA MORTE DELL’ARTE
di Federico Vercellone
pp. 157
Il Mulino, € 16,00
ISBN: 978-8815244260

La questione della morte dell’arte appassiona la riflessione filosofica e le pratiche artistiche da quasi due secoli. Fu Hegel il primo a rilevare che l’arte non costituisce e nemmeno può più rappresentare la verità e il centro di una cultura. La dichiarazione dell’ultimo dei filosofi ha suscitato un incendio indomabile, le cui fiamme divampano nel Novecento e lambiscono ancora il nostro tempo. Ma è davvero morta l’arte? Sì, ma solo se si danno per buoni i presupposti hegeliani, come fece anche Benedetto Croce dando avvio al dibattito novecentesco. Da allora il tema non ha smesso di impegnare artisti e pensatori, a partire dall’avanguardia storica per giungere sino alle teorie dell’arte contemporanee.

 

 

IMMAGINE
di Voltolini Alberto
pp. 187
Il Mulino, € 14,00
ISBN: 978-8815244369

Che cosa fa di un’immagine un’immagine, ossia una rappresentazione pittorica? Che cosa rende un’immagine del tutto diversa da altre rappresentazioni, per esempio dai segni verbali? Sono interrogativi che risalgono alle origini della riflessione occidentale e sono variamente diffusi in molte tradizioni di pensiero. Ma in filosofia sono stati affrontati in modo sistematico soltanto di recente, a partire dal Novecento, per essere poi oggi discussi in una vera e propria esplosione di teorie. Al punto di vista più tradizionale, che lega la pittorialità dell’immagine a fattori di ordine percettivo o esperienziale, si è affiancato una concezione semiotica o strutturalista, che inscrive l’immagine in un particolare tipo di sistema di segni.

 

 

INTRODUZIONE AI MEDIA DIGITALI
di Adam Arvidsson e Alessandro Delfanti
pp. 169
Il Mulino, € 14,00
ISBN: 978-8815241733

Nella nostra società la rete e i media digitali sono una presenza pervasiva, densa di importanti implicazioni sociali, economiche e politiche. Nel fornire una aggiornata, introduzione alla sociologia dei media digitali il manuale offre una serie di strumenti critici con cui leggere le trasformazioni della società dell’informazione e più in generale del mondo contemporaneo. Un percorso che tocca l’economia dei media, la cooperazione online, l’open source, i media sociali, la produzione di software, la globalizzazione, i brand, il marketing, l’industria culturale, il lavoro e il consumo.

 

 

DESIGN. PROGETTARE GLI OGGETTI QUOTIDIANI
di Alberto Bassi
pp. 128
Il Mulino, € 9,80
ISBN: 978-8815244734

Una lampada, una bicicletta, un computer, ma anche libri, siti web, sistemi e servizi. All’origine delle “cose”, fìsiche o immateriali, che ogni giorno entrano nelle nostre vite, esiste un processo globale di progettazione nel quale convergono ideazione, produzione, comunicazione, utilizzo, consumo e riuso: è il design. Dopo averne descritto le caratteristiche e il campo d’azione, l’autore ci guida nelle sue diverse declinazioni nel contesto internazionale, ed in quello italiano, dove il design ha trovato un terreno fertile per esprimersi ai massimi livelli trasformando alcuni oggetti in icone del vivere quotidiano. E domani? Quali sfide per il design del terzo millennio?

 

 

CONSERVARE IL DIGITALE. PRINCIPI, METODI E PROCEDURE PER LA CONSERVAZIONE A LUNGO TERMINE DI DOCUMENTI DIGITALI
di Maria Guercio
pp. 232
Laterza, € 28,00
ISBN: 978-8859300090

I nodi concettuali e organizzativi della conservazione dei documenti digitali, i suoi metodi, i formati e i metadati, le nuove forme della custodia e gli strumenti per la loro certificazione e verifica, il quadro normativo italiano, le nuove frontiere e le sfide che ciascuna area di intervento riserva nel prossimo futuro, in una sintesi completa ed esauriente.

 

 

 

 

ROMA. IL TRAMONTO DELLA CITTÀ PUBBLICA
di Francesco Erbani
pp. 185
Laterza, € 12,00
ISBN: 978-8858105580

Roma è un caso esemplare di una condizione urbana le cui patologie affliggono la qualità del vivere e l’esistenza materiale delle persone. Le trasformazioni che ha vissuto o subito negli ultimi decenni sono quasi tutte riconducibili a un vorticoso aumento dell’edificato. È proprio dietro, accanto, sotto le trasformazioni fisiche che si è delineato il progressivo impoverimento della città pubblica, mentre è andata lievitando l’idea che soltanto l’estendersi di un controllo privato su parti crescenti della città possa contribuire a diffondere quel generale benessere e a fronteggiare la crisi che si è abbattuta su Roma.

 

 

 

LE PIETRE E IL POPOLO. RESTITUIRE AI CITTADINI L’ARTE E LA STORIA DELLE CITTÀ ITALIANE
di Montanari Tomaso
pp. 164
Minimum fax, € 12,00
ISBN: 978-8875214906

Perché il valore civico dei monumenti è stato negato in favore del loro potenziale turistico, e quindi economico? Perché la “valorizzazione” del patrimonio culturale ci ha indotti a trasformare le nostre città storiche in “luna park” gestiti da avidi usufruttuari? Lo storico dell’arte Tomaso Montanari ci accompagna in una visita critica del nostro paese: dallo showroom Venezia, a una Firenze dove si affittano gli Uffizi per sfilate di moda e si traforano gli affreschi di Vasari alla ricerca di un Leonardo inesistente, a una Napoli dove si progettano megaeventi mentre le chiese crollano, all’Aquila che giace ancora in rovina mentre i cittadini sono deportati nelle new town, l’idea di comunità è stata corrotta da una nuova politica che ci vuole non cittadini partecipi, ma consumatori passivi.

 

 

PIERO DELLA FRANCESCA. L’OPERA
A. M. Maetzke (a cura di)
pp. 239
Silvana, € 29,00
ISBN: 978-8836624621

“In queste pagine si è inteso fornire al lettore che voglia avvicinarsi a un artista che fu tra i più grandi geni dell’arte di tutti i tempi, come fu Piero della Francesca, complessa personalità di non facile e immediata comprensione neppure per chi si dedica a questi studi, uno strumento agile per un primo approfondimento della sua straordinaria figura di artista che fu, più di ogni altro, protagonista e interprete degli ideali più alti dell’età dell’Umanesimo e del primo Rinascimento italiano”. (Anna Maria Maetzke)

 

 

 

ALBERTO BIASI
M. Meneguzzo (a cura di)
pp. 391
Silvana, € 45,00
ISBN: 978-8836625697

Alberto Biasi (Padova, 1937) è un protagonista assoluto della storia dell’arte italiana del dopoguerra. La sua figura è una delle più coerenti e autorevoli a livello internazionale nel campo di quella che in Italia è stata definita “arte programmata”, o anche “arte cinetica”, e altrove “optical art”. Dal 1959, quando il giovanissimo Biasi formava il Gruppo Enne a Padova con alcuni suoi coetanei, a oggi, la sua attività si è mossa costantemente all’insegna dell’indagine percettiva, attraverso diversi cicli di lavori: dalle prime Trame alle famosissime Torsioni, dai Light Prisms agli Ottico-dinamici.

 

 

Trovare idee e spunti per realizzare gioielli sempre più intriganti e innovati non è certo facile. Indossereste mai dei gioielli che abbiano la forma dei vostri organi interni? Polmoni, stomaco e reni in puro oro da portare nelle occasioni importanti e durante le serate di gala. Guardate queste creazioni di LouPiotte!

“Se tutto il mondo è un palcoscenico”, come scriveva Shakespeare, l’Italia , teatro in cui si trova il patrimonio artistico più ricco del mondo, in questo periodo di crisi dovrebbe provare a  riaccendere i riflettori sulla cultura.

Promuovere un rinnovato interesse per la tutela e lo sviluppo della cultura significa riscrivere un copione che porti di nuovo alla ribalta l’arte, attrice dimenticata e messa da parte dal ben più attraente mondo della tecnologia. Perciò tra le iniziative volte a riportare in scena la cultura non possono che esserci le nuove tecnologie. Arte e scienza, considerate discipline antitetiche, sono in realtà da sempre strettamente legate l’una all’altra, le loro strade hanno proseguito parallelamente, incrociandosi più spesso di quanto si immagini.

Nel panorama contemporaneo sono molteplici i campi e le aree di interesse dei beni culturali che possono trarre vantaggio dall’utilizzo delle nuove tecnologie: dalla salvaguardia alla sicurezza; dalla documentazione all’archiviazione; dalla fruizione alla valorizzazione. La tecnologia va intesa come chiave d’accesso alle opere d’arte e alla cultura in genere. L’utilizzo delle nuove tecnologie può dare la possibilità al pubblico di approcciarsi in maniera nuova e diversa alla cultura, permettendo un approccio personalizzato dal punto di vista dello spazio, del tempo e dei contenuti che possono essere gestiti in modo del tutto originale. Le tecnologie vanno impiegate sia per valorizzare gli spazi, creando percorsi dinamici e multisensoriali, sia come strumento di informazione che permette allo spettatore di interagire, in modo da comprendere meglio il significato e interpretarlo. I sistemi multimediali interattivi devono essere strumentali e non protagonisti, devono trovarsi dietro le quinte insomma.

La cultura non deve aspettare i suoi spettatori ma attrarli a sé adottando e adattando modelli appartenenti a  diversi settori, come la scienza appunto o come il marketing. La contaminazione, che è un elemento insito nell’arte e nella cultura, deve prendere parte alla sua gestione. Allora ecco che accanto agli scopi conservativi ed educativi si affianca  l’idea che la cultura possa essere considerata anche fonte di esperienze interessanti e indimenticabili, come ad esempio potrebbe esserlo un viaggio.

Dunque perché non adottare la formula dei last minute nei musei, nei teatri o in qualsiasi altra istituzione culturale? Variare i prezzi dei biglietti e quindi ottimizzare la tariffazione a seconda delle capacità disponibili, creare prezzi in relazione al periodo e alla domanda.
Ma forse l’unico modo per tutelare e sviluppare la cultura è guardare all’arte con occhi nuovi, curiosi, desiderosi, occhi in grado di scrutare al di là della crisi. In un momento in cui il futuro è incerto e velato da una fitta nebbia la cultura può e deve rappresentare la luce, il faro che indica la direzione da seguire, perché è lì che sono racchiusi anni, decenni, secoli di splendore, ma anche di oscurità, che se ha avuto dentro di sé una sola scintilla di luce, quella è rappresentata proprio dalla cultura. L’arte, e quindi la bellezza, costituisce la parte migliore dell’uomo, e forse è per questo che Dostoevskij, che tanto ha scavato nell’animo umano, gli attribuiva un ruolo da protagonista nella salvezza del mondo.

La rivoluzione deve stare nello sguardo che rivolgiamo all’arte, uno sguardo amorevole come quello di una madre verso il suo bambino, perché la cultura altro non è che una figlia dell’umanità intera, è l’uomo a crearla, a metterla al mondo, e deve essere l’uomo a proteggerla da sé stesso, dalla noncuranza e a regalarla nel massimo del suo splendore alle nuove generazioni.
Accendiamo i riflettori sulla cultura e prestiamole attenzione, ha tanto da mostrarci e svelarci.

Che l’arte di cucinare non fosse solo una questione di puro caso e libera fantasia, l’aveva già compreso nel 1891 il gastronomo romagnolo Pellegrino Artusi, che pubblicò a sue spese il libro “La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene”. Dopo più di un milione di copie vendute il manuale di cucina è arrivato alla centoundicesima edizione: il concetto che l’arte enogastronomica sia governata da leggi e norme fisico-matematiche ormai è assodato e accertato. Tuttavia se ad accreditare tale teoria è una delle più antiche istituzioni accademiche nel mondo, la prestigiosa università di Harvard, allora la questione si fa seria, come una autorevole lezione accademica. È proprio quello che è avvenuto all’interno dell’università americana: i professori di matematica e fisica hanno tenuto dei seminari culinari, che si sono susseguiti in diverse serate, durante le quali accompagnati da chef d’eccezione, hanno spiegato la chimica degli alimenti, la fisica degli ingredienti, la matematica delle ricette. Dopo una breve introduzione teorica, davanti ad una folla copiosa di studenti accorsi con taccuini per prendere appunti, ogni serata prevede spiegazioni dettagliate dei procedimenti e delle formule grazie all’ausilio di slide, seguiti da dimostrazioni pratiche, con gli chef che improvvisano la ricetta.

Un autentico corso di cucina accademica, condito con la teoria dei numeri e della scienza. Tutte le lezioni sono state registrate e caricate online sul canale Youtube dell’università, dove sono fruibili gratuitamente non solo dagli studenti ma da tutti gli utenti del web. Un esempio di scuola di cucina online di alto livello, che forse dovrebbe essere seguito e sperimentato anche dalle nostre accademie di cucina nostrane, che spesso a causa dei prezzi inaccessibili, sono davvero appannaggio di pochi. Se la cucina è un’arte che dipende dal talento e dalla passione, perché non renderla accessibile a tutti, sfruttando i canali social network e video? Per quanti di voi amano la sicurezza dei numeri e i piaceri del palato, non potete perdervi il canale universitario. Le lezioni caricate sono molte, complete ed interessanti. Scienziati dei fornelli, buon appetito!

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=dp_ye3sTE_c?rel=0]

L’ambiente che ci circonda e la partecipazione sociale, si sa, influenzano inevitabilmente la nostra vita. Un contesto ricco e stimolante non solo ci permette di vivere meglio ma agisce in maniera positiva sul nostro stato psico-fisico. E cosa più della cultura può rendere il nostro ambiente interessante e soddisfacente? Cosa meglio delle attività culturali può nutrire le nostre menti, mantenendole giovani e in salute?
È cosa certa che negli ultimi decenni la percezione del benessere individuale si sia sempre più legata ad un’idea complessiva, un’idea che tiene conto non solo di elementi materiali e fisici ma anche di una dimensione puramente emotiva, psicologica e sociale. Per questo si è cominciato ad osservare quanto, chi usufruisce delle bellezze artistiche e culturali che ci circondano vive non solo una vita più felice ma corre anche meno rischi di soffrire di ansia o di disturbi depressivi. Infatti, è stato provato che la cultura regala emozioni e sentimenti positivi che si ripercuotono su tutto il nostro essere. Ed è proprio questa la novità riportata dalla ultime ricerche: non solo la mente ma anche il corpo trae beneficio dagli stimoli culturali presenti intorno a noi.
Il Journal of Epidemiology and Community Health, ad esempio, ha pubblicato uno studio realizzato da un’Università norvegese che, dopo avere seguito le attività e lo stile di vita di più di cinquantamila persone, ha dimostrato quanto le arti abbiano un effetto benefico sulla salute sia mentale che fisica. Un’altra ricerca, questa volta tutta italiana, realizzata da Doxa per la Fondazione Bracco, sostiene che, proprio l’impegno nelle attività culturali incida in maniera significativa sia sul benessere generale che sull’aspettativa di vita di ciascuno. Addirittura, su una scala di fattori che influenzano la nostra salute, la fruizione di stimoli culturali sarebbe più importante della condizione economica.
La soluzione per l’eterna giovinezza è dunque sempre stata davanti ai nostri occhi. E la risposta non è arrivata da un farmaco o da una qualche innovativa scoperta biomedica. Tutto quello che occorre fare è non dimenticare le nostre tradizioni, la nostra storia e la nostra identità e dare la giusta importanza ai corretti stili di vita.
Insomma, visitare un museo, leggere un libro, andare a teatro o a un concerto è un vero toccasana e noi abbiamo la possibilità di migliorare la qualità della nostra salute impegnandoci in un appuntamento costante con la cultura.
Dimentichiamoci delle equazioni cultura/intrattenimento, cultura/piacevole passatempo: la cultura non è qualcosa di superfluo, al contrario migliora e allunga la vita e può essere medicina ed efficace prevenzione. Non a caso, in molti paesi si stanno studiando vere e proprie politiche di cultural welfare, basate sulla consapevolezza che, proprio la fruizione culturale, può rappresentare una leva per lo sviluppo e per il benessere. Specialmente in un periodo di crisi la cultura rappresenta una vera e propria risorsa per la crescita dell’intera società.

La città di Modica, tra le città più a su dell’Italia, è un luogo dalle antiche origini, punto di incontro tra culture diverse. Il nome deriverebbe non a caso dal fenicio “Mùtika”, che vuol dire “dimora”. Non tutti sanno che proprio in questo Comune ragusano nacque Tommaso Campailla, scienziato e medico, che mise a punto un’efficace cura contro il male della sua epoca: la sifilide. Il Museo, che prende il nome da questo illustre uomo del ‘700, ha trovato nuova vita grazie all’Associazione “IngegniCulturaModica”. Il presidente Mario Incatasciato ci spiega come.

 

Quando e come nasce il Museo “Tommaso Campailla” di Modica?
Fino ai primi decenni del Novecento, nei principali nodi ferroviari delle più importanti stazioni climatiche europee, grandi cartelli annunciavano: “A Modica le botti di Campailla per la cura della lue”. La Città della Contea rappresentava, infatti, un centro di primaria importanza, unico nel suo genere, per la cura della lue, meglio nota come sifilide.
È pertanto inestimabile il valore custodito dal Museo “Tommaso Campailla” di Modica, restituito alla città grazie all’impegno profuso dall’Associazione Culturale “IngegniCulturaModica”, della quale sono presidente.
Una qualità comprovata anche dall’ encomio ricevuto lo scorso anno alla GAM di Palermo dalla commissione scientifica dell’associazione “I world” che, in coerenza con l’art. 2 della Convenzione UNESCO per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale, ha inserito la “Scuola Medica Modicana e Le Botti di Tommaso Campailla” all’interno del “Libro dei saperi” del R.E.I.L., il Registro delle Eredità Immateriali di Interesse Locale.
Il museo sorge all’interno di un antico stabile del XVII sec. edificato per accogliere il primo ospedale della città, il “Santa Maria della Pietà”, poi divenuto “Sifilicomio Campailla” e, infine, “Ospedale Campailla”. Centro di primaria importanza per il trattamento della sifilide sino agli anni Quaranta del secolo scorso, la gente accorreva da ogni dove per beneficiare delle preziose terapie. In seguito alla scoperta della penicillina e al suo impiego per la cura della malattia, subì di conseguenza un progressivo declino fino alla definitiva chiusura.

 

Quali sono le principali attrazioni del Museo?
L’itinerario all’interno della struttura si snoda lungo quattro sale espositive: la Stanza delle “Botti”, lo Studio Medico, il Teatro Anatomico e il Museo della Medicina.
La Stanza delle “Botti” è la parte più antica e preziosa di tutto il percorso, ove l’angoscia lasciava spazio alla speranza. Qui venivano sottoposti ai benefici della cura i sifilitici. Entrando, la sala appare subito lugubre e plumbea. A sinistra, coperte da un’intelaiatura di legno provvista di tre porte e risalente a un periodo successivo, emergono le tre stufe mercuriali, chiamate comunemente “botti”. Piccolissime, (appena 0,80 m base x 1,34 m altezza), il malato doveva entrarvi sedendosi su uno sgabello. Dopodichè veniva chiusa la piccola porticina che serviva per accedervi.
Costruite con una varietà di legname ignoto dello spessore di 2 cm, le Botti sono ricoperte all’esterno da un impasto, anch’esso sconosciuto, spesso 20 cm.
Due piccoli fori, in alto e alla base, permettevano, rispettivamente, di monitorare il processo e il paziente durante la permanenza all’interno della “stufa”, e inserire la dose di cinabro e incenso dentro il braciere ardente contenuto nella botte, cosicché le fumigazioni esalassero nell’aria la sostanza curativa.
Oltrepassando un corridoio si giunge nello Studio Medico. Arredato in stile ottocentesco, è un vero e proprio cimelio che, grazie ai preziosi arredamenti e agli arnesi custoditi al suo interno, offre uno spaccato di ciò che doveva essere l’ambiente e le consuetudini mediche di allora. Inoltre, merita un cenno a parte, la preziosa libreria custodente una serie di volumi medici del ‘700 e ‘800.
Al piano inferiore, attraversando il cortile interno in cui è posto il busto del Campailla, si trova il Teatro Anatomico, uno dei pochi esempi in Italia. Situato in una stanza dalle volte a botte, è collocato ai piedi di due scalini che portano su un piano rialzato ove presumibilmente trovavano posizione gli studenti o i medici intenti a veder dissecare il cadavere di turno.
Chiude la visita il Museo della Medicina, una preziosa collezione di strumenti medici e chirurgici dell’Otto e Novecento, tra cui si menzionano un apparecchio per pneumotorace del prof. Morelli, un elettrocardiografo, un’apparecchiatura per Marconiterapia, un antico apparato “Gilardoni” per radioscopie, oltre ad altri importanti dispositivi e a svariati attrezzi medici.
Impreziosiscono il percorso alcune testimonianze fotografiche della malattia, scatti d’epoca che riprendono i danni inflitti dalla sifilide sui corpi dei malcapitati “amanti profani”.

 

Quali sono le principali attività svolte dall’associazione IngegniCulturaModica, che ha in gestione il “Museo Tommaso Campailla”?
L’associazione IngegniCulturaModica si sta muovendo su diversi fronti, museografico, museologico e divulgativo, al fine di migliorare, ampliare e diffondere l’offerta museale.
Sotto il profilo museografico, molteplici sono le migliorie apportate agli allestimenti e all’illuminazione, e altre ne sono in progetto. Per quanto riguarda l’aspetto museologico, si sta procedendo al lungo e complesso processo di catalogazione degli strumenti e a implementarne il nucleo originario per mezzo di donazioni, lasciti e acquisizioni.
Infine, la divulgazione e la promozione è svolta attraverso una serie di attività collaterali a carattere formativo, culturale, turistico ed editoriale che vanno ad inserirsi nel più ampio progetto di promozione e valorizzazione dell’intero territorio del Val di Noto operata da IngegniCultura, laboratorio di progettazione e servizi per l’ingegneria e i beni culturali.
IngegniCulturaModica, oltre alla gestione del Museo, svolge infatti opera di sensibilizzazione e di informazione sulle tradizioni e gli avvenimenti che interessano la Sicilia, facendo conoscere i miti, la storia, i siti archeologici, i lidi, le aree naturali e i luoghi più incantevoli del Val di Noto. In ciò avvalendosi anche di una piattaforma informatica interattiva, tipo social network, che fornisce una selezione ragionata di articoli, interventi e discussioni che hanno come tematiche il mondo dei Beni e delle Attività Culturali, esplorato e percorso nella sua relazione con le nuove tecnologie informatiche.
Di rilievo le rassegne culturali ,curate dal direttore artistico Simona Incatasciato . Nel 2011 “Museo d’estate” e nel 2012 “Arte e Cultura tra Museo & Territorio” che hanno colto l’obiettivo di far vivere la struttura non soltanto come contenitore di eccellenza del passato, ma in maniera contemporanea, con gli “Aperitivi ad arte”, degustazioni di prodotti enogastronomici tipici accoppiate a mostre d’arte, performance di danza e teatro, conversazioni culturali. Grande successo hanno avuto le visite guidate, animate e teatralizzate.

 

Informazioni utili:
Museo “Tommaso Campailla” Modica
Ex Ospedale Campailla – Piazza Campailla – Modica (RG)

Visite per appuntamento:
Ass. Cult. IngegniCulturaModica
Tel/Fax: 0932 763990
Mob: 338 4873360
Mob: 333 3301656
cultura@ingegnicultura.it

Ufficio turistico
Tel: 0932 759634
http:// ingegniculturamodica.ning.com
http://www.ingegnicultura.it

Biglietto: Intero € 2 – Ridotto € 1

Gestione a cura dell’Associazione Culturale “IngegniCulturaModica”.

 

Anche se inserita nella categoria “mostre ed exhibit” sul programma del Festival della Scienza, “A tavola! Scienza e cucina sulle tavole d’Europa” si è rivelata molto di più di una semplice mostra dedicata alla gastronomia dei vari paesi europei. Infatti, in linea con moltissimi eventi della manifestazione genovese, la visita mirava a coinvolgere un pubblico eterogeneo in una serie di piccoli esperimenti scientifici per scoprire il legame tra scienza e cucina tramite l’interazione, il gioco e le attività di gruppo.
La mostra si è tenuta nella suggestiva sala su colonne delle antiche cantine di Palazzo Ducale, le chiamate Cisterne. Ha previsto quattro diverse postazioni per gli esperimenti e l’approfondimento poste agli angoli del salone, un piccolo palco su cui è stata disposta una tavola imbandita e grossi pannelli colorati dedicati ai piatti tipici di ogni paese europeo. Avvicinandosi ad alcuni di questi pannelli è stato possibile sin dall’inizio della visita cercare di carpire la ricetta dei tradizionali bolinhos portoghesi, del salmone marinato svedese o del promettente cavolo rosso con gelatina di ribes rosso, piatto tipico danese.
I giovani animatori della mostra, molto gentili e preparati, hanno accolto i visitatori e, raggiunto un certo numero di interessati, davano inizio alla visita guidata con una piccola riflessione sui processi chimici nella produzione dell’impasto per pasta e pane e con alcuni esperimenti dedicati al riconoscimento dell’amido e del glutine. La visita si spostava poi ad un’altra postazione, dove protagoniste erano gelatine e gelificanti: la tradizionale colla di pesce, oggi spesso preparata con ingredienti di origine suina o bovina, e le alternative vegetariane, come la pectina o l’agar-agar, discussione accompagnata dalla preparazione di una piccola gelatina di agar-agar, menta e acqua. La terza postazione era dedicata all’”uovo ubriaco”, in cui si mostrava il processo di denaturazione che interessa le proteine dell’albume di un uovo a contatto con l’alcool etilico, capace di trasformarlo in un perfetto uovo al tegamino. Prima di arrivare all’ultima postazione, si è toccato con mano l’effetto del sale come conservante di cibi e si è riflettuto insieme su alcune tecniche tradizionali e moderne di conservazione del pesce. L’ultimo esperimento era dedicato a un fluido non newtoniano, in questo caso l’amido di mais mescolato con acqua: ogni visitatore è stato invitato prima a tastare la sua solidità colpendolo con forza e poi a immergere lentamente le mani in esso, con divertenti risultati.
Questo “tour scientifico gastronomico attraverso le tavole d’Europa” attraverso le sue postazioni e i diversi pannelli è stato un’occasione di apprendimento scientifico attraverso i sapori e le ricette italiane e straniere, tanto per i bambini come per gli adulti. Ugualmente ha rappresentato l’opportunità per avvicinarsi alla cucina internazionale e per scoprire insieme i suoi ingredienti e i suoi piatti più tipici.

Approfondimenti:
www.festivalscienza.it

 

Mostre interattive, laboratori, convegni, bookshop e molto altro ancora a Genova per il Festival della Scienza 2012! L’inviata di Tafter, Giulia Sica, è andata per voi a curiosare tra le vie della città, che pullula di stimolanti eventi da non perdere. “Immaginazione” è il tema di questa decima edizione che ha sempre come intento quello di rendere la scienza accessibile a tutti, trasformandola in un gioco. Questi sono alcuni scatti direttamente dal Festival.

 

A Genova, dal 25 ottobre al 3 novembre, si tiene il Festival della Scienza, un appuntamento dedicato a grandi e piccini che invita alla scoperta del fantastico mondo della scienza proponendo un approccio orginale e innovativo. Non a caso, l’edizione di quest’anno è dedicata all’Immaginazione. Vediamo quali sono le principali novità di questa edizione e i dietro le quinte dell’evento grazie al presidente Manuela Arata.

Presidente, il festival della Scienza giunge quest’anno alla sua decima edizione. Quali sono le principali novità e quali gli obiettivi che vi proponete?
Quest’anno abbiamo voluto fare un po’ di “tradizione” richiamando scienziati che sono venuti nelle varie edizioni e sono stati particolarmente amati dal nostro pubblico: i nostri “fondatori” Luca Cavalli Sforza (che quest’anno ha compiuto novant’anni), Giulio Giorello e Piergiorgio Odifreddi, ma anche Giacomo Rizzolatti, Lisa Randall, Martin Rees, Ian Tattersal e Catherine Vidal. Cosi’ come riportiamo al Festival la mostra interattiva che ha avuto maggior successo al Festival e nelle tante sedi in cui l’abbiamo portata: Semplice e Complesso, premiata a Shanghai come “best exhibition” e inauguratrice del nuovo spazio culturale dell’Aquila dopo il terremoto.
La novità c’è sempre, perché è intrinseca nella scienza stessa: ogni anno invitiamo chi ha fatto nuove scoperte, sviluppato nuove conoscenze, esplorato nuovi mondi. Avremo come sempre tanti nuovi relatori, molti giovani ricercatori che aiutiamo a farsi conoscere e apprezzare il dialogo con il pubblico.
La novità principale sta nel fatto che il Festival sempre più diventa un sistema educativo: dal successo dello scorso anno del progetto “A scuola con Galileo”, che ha visto 120 studenti provenienti da tutta Italia confrontarsi per una settimana con scienziati di varie discipline, quest’anno è nata l’iniziativa “Futuro prossimo” in cui i ragazzi avranno modo di confrontarsi con ricercatori e esperti del mondo del lavoro che li informeranno sulle opportunità offerte da tante diverse professioni in settori avanzati.

Come mai avete deciso di dedicare questa edizione al tema “Immaginazione”?
In tempi di crisi l’innovazione è secondo noi l’unica vera via per la ripresa. E l’innovazione nasce da nuove idee, nuovi approcci, nuove tecnologie. Sono gli scienziati quelli che immaginano continuamente di poter andare oltre le conoscenze acquisite, di poter appunto immaginare nuovi scenari. Pensiamo com’è stato immaginifico Higgs, che dopo decenni ha finalmente visto che il “suo” bosone esiste, come ci racconterà Fabiola Gianotti che al CERN ha fatto l’esperimento che lo ha rivelato.
E poi la parola immaginazione ci riporta alla fantasia, alla creatività, al messaggio che sempre vogliamo dare e cioè che l’intelligenza paga, è fondamentale per avere un mondo migliore.

Oltre 500 ragazzi e ragazze, selezionati tra più di 1000 candidati, arriveranno al Festival come animatori dopo aver affrontato un corso di formazione teorico e pratico. Quale il loro ruolo, all’interno del Festival?
Gli animatori sono il cuore pulsante del Festival, gli ambasciatori della scienza, quelli che la spiegano in maniera accattivante e sanno farsi apprezzare da grandi e piccini. Quest’anno alcuni di loro terranno i laboratori in lingue straniere in omaggio al fatto che la decima edizione del Festival è dedicata all’Europa.
Ma il loro ruolo di ambasciatori non si dovrà fermare qui: i tanti studenti, dottorandi, giovani ricercatori che fanno l’esperienza del Festival acquisiscono capacità di comunicazione che li aiuteranno nella loro futura carriera a diffondere le nuove conoscenze fuori dai laboratori di ricerca.
Facendo questa esperienza molti hanno imparato nuovi modi di comunicare con semplicità concetti anche molto difficili e sono diventati progettisti di laboratori e eventi di vario tipo: nasce da questa constatazione il progetto “Orientascienza”, che con il supporto della Regione Liguria e del Fondo Sociale Europeo addestra i giovani animatori-progettisti per orientare i più  giovani verso gli studi e le professioni tecnico-scientifiche.

Come si sostiene il festival? Quali sono le modalità di partecipazione e di supporto da parte di aziende e privati al vostro progetto?
Da sempre il Festival si caratterizza per la sua capacità di attrarre fondi da privati. In dieci edizioni accanto ai nostri partner fondatori Telecom Italia e Compagnia di San Paolo si sono affiancate tante altre aziende nel corso degli anni.
Naturalmente la crisi ha messo in difficoltà molte imprese che hanno dovuto ridurre i loro apporti economici, ma siamo contenti del fatto che comunque restano con noi sostenendo mostre e laboratori, a confermare che lo strumento della comunicazione scientifica è utile anche per il mondo produttivo.
Sul fronte istituzionale c’è un grande sforzo per aiutarci da parte della Regione Liguria, che con progetti mirati ci dà la possibilità di mantenere una dimensione adeguata e innovativa, del Comune che ci dà gli spazi e veicola sponsor, mentre il MIUR contribuisce oltre che con la collaborazione della Direzione Regionale per la Scuola anche con un finanziamento significativo sulla legge per la divulgazione. Circa il 16% del budget poi viene dalla bigliettazione, che naturalmente speriamo aumenti sempre più soprattutto con l’arrivo di tanto pubblico da tutta Italia: abbiamo migliorato i sistemi di e-commerce e facciamo offerte speciali perché le famiglie passino il ponte dei Santi a Genova, che proprio grazie al Festival l’anno scorso è stata la città di maggior afflusso turistico in quel periodo.

Per approfondimenti:
http://www.festivalscienza.it/

Una scommessa tecnologica molto interessante quella della possibilità di misurare così da lontano, dai satelliti, piccoli movimenti sulla superficie terrestre che fino a ieri erano misurabili solo con strumenti raffinati su complesse installazioni.

Una possibilità che ci viene da una tecnologia anche abbastanza vecchia, quella del radar, che coniugata con altre tecniche pluri-sperimentate, tra le quali l’utilizzo dei principi fotogrammetrici tridimensionali, consente di ricavare movimenti dell’ordine del centimetro dall’analisi di una immagine radar sintetica.

E’ questo l’obiettivo di alcune costellazioni di satelliti, messe in orbita di recente, i cui risultati si stanno scontrando con le tradizionali procedure dell’ingegneria, mirate ad ottenere risultanze pratiche ed inconfutabili, con quella della fisica, spesso troppo legata alla ricerca e alla sperimentalità per fornire risultati certi, appunto utilizzabili nel campo dell’ingegneria. Il caso del progetto PanGeo sembra proprio inserirsi all’interno di questa scommessa.

Nel campo geologico le prime vere risultanze di possibilità di monitoraggio di alta precisione sono state dimostrate finora in campi molto particolari, quali ad esempio quello per il controllo dello sprofondamento dei terreni al di sopra delle estrazioni petrolifere, comune effettuato da parte delle società petrolifere statunitensi. L’efficacia dell’utilizzo per il controllo di interi agglomerati urbani è stato dimostrato da tempo, e in Italia annoveriamo lo spin-off universitario che in questo campo ha ottenuto un vero successo dell’applicazione della ricerca scientifica al campo industriale.

L’inserimento di questa tecnologia nel grande progetto di monitoraggio globale della Terra, il GMES, ci conferma la possibilità di controllare il territorio con grande precisione. La scommessa vera però sarà quella di vedere se gli eventuali “alert” del sistema verranno presi in considerazione e se si attueranno tutte le misure atte alla prevenzione dei particolari rischi che il sistema PanGeo potrà segnalarci.

Renzo Carlucci è direttore editoriale della rivista Archeomatica

Si ripete una volta ogni 2,7 anni, 7 volte ogni 19 anni. Eppure il suo nome è un po’ fuorviante: la luna blu, infatti, non è propriamente la luna colorata che tutti noi ci potremmo aspettare. The blue moon è un soprannome romantico per indicare il secondo plenilunio del mese. In genere la luna mostra la sua rotondità solo una volta al mese. Tuttavia, dal momento che il nostro calendario non è perfettamente allineato con le fasi lunari, una volta ogni tre anni il fenomeno si ripete due notti differenti nell’arco dello stesso mese.

 

 

 

Forse non sarà un caso che gli inglesi usino l’espressione “once in a blue Moon” per indicare qualcosa che avviene sporadicamente. È una luna rara quindi che raggiungerà il suo massimo oggi alle 15.58 ora italiana, sempre ammesso che le nuvole che attraversano il cielo in queste ore ne permettano la visibilità. Nel 1883 è accaduto realmente che il nostro satellite si è tinto del colore bluastro, ma le sfumature erano dovute all’eruzione del vulcano Krakatoa, in Indonesia. Non sarà lo stesso spettacolo di allora ma la sporadicità dell’evento merita davvero di passare qualche minuto stasera con il naso all’insù.

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Se vi sentite stanchi, assonnati e provati dall’afa di questi giorni ma, allo stesso tempo, quando finalmente vi sdraiate non riuscite a chiudere occhio, sappiate che non siete i soli a soffrire di disturbi del sonno di questo genere!

Un neurologo dell’Hospital Clinic Barcelona in Spagna, il dottor Alex Iranzo, guardando un cartone animato Disney con la sua nipotina cinquenne ha infatti osservato come gran parte degli animali presenti nelle pellicole del celebre disegnatore americano soffrissero di un disturbo della fase REM chiamato RBD (Rem Behavior Disorder), che è tipico degli umani e che consiste nel “trasportare nella realtà” il sogno attraverso il proprio corpo parlando, sobbalzando, scalciando, urlando, gesticolando.

Incuriosito, ha quindi portato avanti la sua ricerca su diversi cartoni animati firmati Walt Disney scoprendo che quello che veniva presentato come un atteggiamento comico e buffo per rappresentare il sonno divertendo i più piccoli, fosse in realtà esattamente ciò che accadeva agli uomini adulti affetti dall’RBD.

I risultati di tali osservazioni sono stati quindi raccolti in un saggio, pubblicato sulla rivista Sleep Medicine nel 2007 in cui appare evidente come Sir Walt Disney fosse un acuto osservatore del fenomeno, che inseriva in moltissimi film, nonché un probabile soggetto affetto dalla patologia.

L’Huffington Post ha quindi deciso di dare spazio a questo inconsueto studio, riproponendo gran parte delle scene dei cartoni animati presi a campione nella ricerca ed estendendo l’invito ai lettori a scovarne degli altri…

 

Voi, ci avevate mai fatto caso?

 

CENERENTOLA E IL CANE TOBIA (la scena del sonno disturbato è al minuto 11.20)

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Tobia rappresenta qui il famoso RBD, cioè il disturbo della fase REM in cui, nonostante tutti i muscoli debbano essere bloccati e paralizzati, riusciamo comunque a “trasportarli fuori”, muovendoci.

 

LILLI E IL VAGABONDO  E TRUSTY (la scena del sonno disturbato è al minuto 12.00)

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Trusty è un cane poliziotto che ha perso l’olfatto e che Lilly incontra sul portico mentre si agita durante il sonno. Alla fine della scena percepiamo inoltre che Trusty sta perdendo la memoria, che è uno dei primi segnali che, secondo Iranzo e i suoi colleghi, collegano l’RBD ad altri disordini di tipo neurologico

L’INCUBO DI TOPOLINO

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In questo episodio Topolino sta avendo un incubo, cosa che Iranzo sostiene avvenga molto di frequente con questo personaggio.

 

PAPERINO SONNAMBULO

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In questo cartone, Paperino soffre di sonnambulismo che lo porta ad avventurarsi nella città e a costringere Paperina a seguirlo per proteggerlo ma facendo attenzione a non svegliarlo.

I SETTE NANI CHE RUSSANO

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La maggiorparte dei sette nani di Biancaneve russano così tanto che Brontolo non riesce a dormire, come vediamo in questa scena.
Iranzo sostiene che anche la roncopatia sia un disturbo che Disney inserisce con frequenza nei suoi cartoni animati e che può causare negli uomini, nelle forme più acute, disturbi di cuore