mibactUn’annotazione giornalistica preliminare, che sottoponiamo all’attenzione della comunità dei lettori di “Tafter”. Questa mattina (martedì 5 novembre), si tenevano a Roma in contemporanea 4 eventi, tutti di un qualche interesse per gli appassionati di cultura e gli operatori del settore: il convegno intitolato “Pubblico-privato. Patto per la cultura”, promosso da Civita nella fantastica sede di Piazza Venezia; la “Conferenza Nazionale sul Cinema”, presso il Centro Sperimentale di Cinematografia (e su questo evento, abbiamo manifestato il nostro dissenso metodologico sulle colonne di “Tafter”); l’incontro “Dialogando intorno ai beni, alle attività culturali e il turismo”, promosso dalla Direzione Generale per gli Archivi (retta ad interim da Rossana Rummo), presso il Collegio Romano; e, infine, presso la stessa storica sede del dicastero, la presentazione dei risultati della commissione di studio istituita dal Ministro Bray per la riforma del Ministero.

Seguire tutti gli eventi avrebbe implicato la disponibilità di uno stuolo di inviati, il mitico dono dell’ubiquità o comunque una capacità di teletrasporto di cui il modesto cronista che redige queste noterelle non dispone. Abbiamo quindi deciso di concentrarci sull’incontro che, almeno sulla carta, si annunciava essere l’iniziativa “strategica” più rilevante: la presentazione dei risultati della commissione di studio per la riforma del Ministero. Anche se crediamo che l’agenda odierna debba stimolare una riflessione su ricchezza e dispersioni, tipiche del nostro Paese e sintomatiche di alcune dinamiche: beltà del pluralismo e del policentrismo, oppure spreco di risorse e di intelligenze?!

Anzitutto, un’annotazione su stili di comunicazione del Ministero: il collega Luca Del Frà, eccellente firma de “l’Unità”, ha pubblicato uno “scoop”, e nell’edizione odierna del quotidiano ha anticipato il documento, che è stato illustrato oggi al Collegio Romano, ma che non è stato distribuito ai partecipanti all’incontro né ai giornalisti. La portavoce del Ministro, Caterina Perniconi, ha sostenuto che lei stessa non disponeva del documento, e già questo la dice lunga (sulle capacità di Del Frà, raro caso italico di appassionato giornalista specializzato – come Paolo Conti del “Corriere della Sera” – in politica culturale; sulla vocazione alla trasparenza del Ministero, anche se vogliamo sperare che quanto prima il segreto documento venga pubblicato sul sito web del Mibac)…

Si tratterebbe di una novantina di pagine (ma con molte centinaia di pagine nei suoi 4 “allegati”), frutto di 8 riunioni e di ben 29 audizioni sviluppatesi nel corso dei due mesi. L’elenco dell’eletta schiera degli auditi non è ancora noto, nemmeno questo.

La Commissione, istituita poco prima di Ferragosto (per l’esattezza, il 12 agosto), formata da oltre trenta persone, è stata presieduta da Marco D’Alberti (ordinario di diritto amministrativo presso l’Università di Roma “Sapienza”), che ha illustrato con chiarezza e piacevolmente il complesso lavoro della Commissione. Commissione che conclude la propria missione oggi, sciogliendosi ed affidando le sue proposte al Ministro.

La Commissione – si leggeva nel comunicato relativo alla sua istituzione – ha avuto “il compito di definire le metodologie più appropriate per armonizzare la tutela, la promozione della cultura e lo sviluppo del turismo, identificando le linee di modernizzazione del Ministero e di tutti gli enti vigilati, con riguardo alle competenze, all’articolazione delle strutture centrali e periferiche e alla innovazione delle procedure”.

Alla destra del professor D’Alberti, il Ministro Massimo Bray, alla sua sinistra Tomaso Montanari, storico dell’arte (professore associato dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”) prestato alla politica culturale, e noto anche per le sue polemiche contro Renzi per la chiusura, per una serata, di Ponte Vecchio, affittato alla Ferrari. Alla loro destra, altri tre componenti in rappresentanza della Commissione: Roberto Baratta (Presidente della Fondazione “La Biennale” di Venezia), Lorenzo Casini (professore di diritto amministrativo alla “Sapienza”) e Francesco Scoppola (Direttore regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Umbria).

D’Alberti ha anzitutto rivendicato come la scadenza temporale imposta dal Ministro (fine ottobre) sia stata scrupolosamente mantenuta. Ha voluto enfatizzare che la Commissione ha registrato una diffusa buona qualità del personale interno del dicastero (anzi ha parlato di “altissime professionalità”), sia a livello centrale sia a livello periferico, ed ha tenuto a rimarcare che sono stati ascoltati anche i rappresentanti del coordinamento dei precari. Uno degli obiettivi della Commissione è stata l’elaborazione di proposte per rilanciare la “valorizzazione” del patrimonio culturale, intesa “non come mercificazione”, ma come stimolazione di un “patrimonio più conoscibile e fruibile”.

La Commissione ha osservato sovrapposizione di competenze e quindi l’esigenza di una razionalizzazione della struttura del dicastero: in sostanza, si assegnerebbe alle direzioni regionali (da ridurre da 17 a 14, e quindi cambiando la denominazione da “regionali” a “territoriali”) un ruolo prevalente di gestione economico-amministrativa, rilanciando invece le funzioni scientifiche delle soprintendenze, ed assegnando autonomia gestionale ad istituti e musei (“almeno ai più grandi” è stato subito precisato; i musei verrebbero peraltro sganciati dalla direzione del patrimonio del Ministero).

Per quanto riguarda la riduzione delle direzioni generali, si ipotizza anzitutto la creazione di una nuova direzione del Patrimonio e del Paesaggio che assorbirebbe le funzioni svolte dall’attuale direzione per la Valorizzazione, voluta dal governo Berlusconi nel 2009.

Si ipotizza quindi una riorganizzazione strutturale basata su due o forse tre “direzioni centrali” ovvero generali: una direzione per l’innovazione ed i sistemi informativi (con particolare attenzione alla digitalizzazione del patrimonio), una per il personale (con particolare attenzione alla formazione), una per il bilancio (con particolare cura a processi contrattuali centralizzati). Ci sarebbero poi una direzione per il patrimonio culturale (una dg soltanto, rispetto alle due attuali), una per gli istituti culturali (biblioteche, archivi, musei), una per lo spettacolo (accorpando quindi cinema e spettacolo dal vivo), una per il turismo (“forse due”, è stato precisato), ed infine una direzione generale di staff del Ministro (che curerebbe anche la pianificazione). In particolare, per la direzione generale bilancio e contratti, si guarderebbe al modello della Banca d’Italia, che ha esperienza nella gestione centralizzata degli appalti.

Secondo le previsioni della “spending review”, le direzioni generali del Mibac debbono comunque scendere da 29 a 24: quindi si avrebbero 10 direzioni generali e 14 direzioni territoriali.

In dubbio il futuro del Segretariato Generale: la Dg del Segretariato resterebbe o potrebbe, in alternativa, essere sostituita da un comitato composto da tutti i direttori generali (in questo caso le direzioni generali sarebbero 9 e quelle regionali 15). Si ricorda che la legge 135/2012, cosiddetta “spending review”, all’art. 2, prevede nei ministeri nuovi organici di posti dirigenziali ridotti del 20 per cento.

La delicata questione del rapporto tra “pubblico” e “privato” è stata liquidata con alcune pillole di saggezza: al pubblico, la direzione scientifica e tecnica, ed al privato l’organizzazione e la gestione, ma comunque sempre subordinata alla supervisione del pubblico. Così sintetizzato, sembra quasi uno slogan ad effetto, un po’ semplicistico in verità, ma dalla presentazione odierna è emersa una rinnovata vocazione alla primazia (culturale e politica) della mano pubblica, con buona pace dei neo-liberisti. Il concetto è stato ribadito da Montanari (in sintonia con le tesi che espone su “il Fatto Quotidiano” e che ha ben rappresentato nel suo pamphlet “Le pietre e il popolo”, pubblicato da Minimum Fax): il Ministero ed in generale le politiche per la cultura debbono essere interpretate come “destinate alle persone e non alle cose”, come “diritti delle persone e non diritti delle cose”. Esiste un diritto dei cittadini-persone alla miglior fruizione delle cose culturali: lo Stato deve pensare prima alle persone, e poi alle cose (anche se, anche qui, il rischio di ricetta semplicistica c’è: le se le cose vanno in vacca, cioè il patrimonio deperisce per incuria, resta poi poco da dedicare alle persone…).

Lo spettro della “spending review” è stato evocato più volte, ma si è anche teorizzato di belle riforme “a costo zero”, ovvero a bilancio invariato, così come di interventi che non richiedono modificazioni dell’assetto normativo: per esempio, prevedendo delle corsie preferenziali (nello slang del diritto amministrativo, si chiamano “laboratori protetti”) nell’assegnazione di appalti, a favore di cooperative di giovani, storici dell’arte ed archeologi ed altri ricercatori (Montanari ha posto enfasi sulle cosiddette “cooperative della conoscenza”). La complessificazione e lentezza degli appalti dovrebbe essere risolta attraverso una centralizzazione in una soltanto “stazione appaltante” e centrale d’acquisti, a livello nazionale. Montanari, che è apparso come una neo-star di queste dinamiche (con la benedizione del Ministro evidentemente), una sorta di polemista anti-Sgarbi, ha addirittura scomodato Leon Battista Alberti, sostenendo che la relazione conclusiva della Commissione è, come per “la rappresentazione pittorica”, “una finestra sulla realtà”, ma il risultato finale è assimilabile, per profondità descrittiva, ad un’opera di Caravaggio (crepi la modestia!). Belle citazioni a parte, e retorica d’autocompiacimento a parte (sul web, molti hanno criticato che un cervello indipendente ed eterodosso come il suo si sia lasciato sedurre dall’invito ministeriale ed abbia accettato la cooptazione nella Commissione), Montanari ha anche sostenuto che il sistema italiano delle mostre deve essere affidato all’intelligenza ed alla scienza, e non alle scelte marketing-oriented dei privati: i sovrintendenti debbono essere “ricercatori e non amministratori”, così come i musei debbono essere “laboratori vivi per la ricerca”.

Tra le altre proposte, è stata evidenziata anche la possibile istituzione di una Scuola del Patrimonio, sul modello dell’Ecole du Patrimoine francese. Un’idea, questa, che sembra entusiasmare il ministro, ma che richiederebbe, a differenza delle altre proposte, una legge specifica.

Il Ministro Bray ha manifestato “sentitissimi ringraziamenti” alla Commissione, sostenendo che farà tesoro delle sue proposte. Ha anche lui voluto enfatizzare la qualità del personale del dicastero (questa enfasi può apparire come “captatio benevolentiae”: che si nasconda dietro un qualche perverso disegno, e si tratti di blandizie per imminenti tagli all’organico?! à la Andreotti, a pensar male si commette peccato, ma spesso si finisce per aver ragione…), ed ha sostenuto che lo “straordinario lavoro” delle sovrintendenze “ha salvato il Paese e le sue bellezze”. Sia consentito osservare che molte bellezze non sono state esattamente salvate, nel corso dei decenni. Ha ricordato che il Ministero “non ha nemmeno le risorse per conservare, altro che valorizzare!”. Ha sorriso amaramente – con la grazia che lo caratterizza, nel suo “understatement” molto “british” – nel ricordare che “la cifra che destiniamo alla formazione professionale è di 1 euro l’anno per dipendente”. Penoso e tragico ed intollerabile, ne conveniamo, egregio Ministro, ma non ha aggiunto… “e quindi, per coerenza, mi dimetto”, come avverrebbe in un Paese normale (quale il nostro continua a non essere).

L’intervento di Paolo Baratta è stato lungo e così generico da aver prodotto in noi un quesito che spesso emerge negli italici convegni (ma cosa diavolo avrà voluto dire?!): comunque interessante la sua riflessione sul ritardo con cui l’Italia (non) “ammoderna” il proprio apparato, se è vero che l’ultima riforma della pubblica amministrazione italiana risale a vent’anni fa. Minori anche gli interventi degli altri due rappresentanti della Commissione (Scoppola e Casini), così come quello della Segretaria Generale Antonia Pasqua Recchia, che brilla sempre per la sua pacata vocazione alla più estrema moderazione.

A fine conferenza, l’alacre Del Frà ha posto un quesito assolutamente normale (vedi supra) se vivessimo in Francia o nel Regno Unito: sarà possibile accedere alla documentazione di lavoro della Commissione e leggere la trascrizione delle audizioni?! Un qual certo imbarazzo della Segretaria Generale, e risposta elegante di D’Alberti: “io ho richiesto che tutte le audizioni venissero registrate, ed ho chiesto a tutti gli auditi se v’erano impedimenti in tal senso, e quindi non dovrebbero esservi problemi, ma la decisione spetta al Ministro…”.

Per ora, il Mibac ha diramato uno scarno comunicato stampa, la gentile portavoce ha annunciato la disponibilità di una sintesi ancora non pubblicata, e le ottantotto “misteriose” pagine del rapporto di ricerca restano chiuse ben a chiave nei cassetti ministeriali. Una ragione – evidentemente – ci sarà: il Ministro ed i suoi consulenti temono forse che si scatenino i sindacati, leggendo il rapporto di ricerca?! Appena possibile, torneremo a scriverne su queste colonne, non appena il risultato della Commissione diverrà di pubblico dominio (stima e simpatia a parte, non ci va di chiedere “una cortesia” a Del Frà).

Impressione conclusiva sintetica: molte belle intenzioni, alcune un po’ generiche, altre quasi rivoluzionarie. Vediamo come il Ministro le tradurrà in atti concreti. La riforma del Ministero, di cui la conferenza stampa di oggi appare come un antipasto, dovrebbe essere portata a termine entro fine dicembre 2013, come previsto dalla succitata legge 135 (di “spending review” appunto).

 

 

 

Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult

 

macroromaFacciamo finta che il resto del mondo non esista, altrimenti ci mettiamo a singhiozzare subito. Glissiamo con eleganza su una serie di questioni che rivelano piccoli cervelli, grandi vigliaccherie e il consueto non detto ma sottinteso. Nella nostra sempre più triste provincia dell’impero tutto è un gioco di sotterfugi e allusioni, quando non di silenzi imbarazzati. Qualcuno prima o poi si arrabbia davvero.

Formalmente si tratta di un semplice passaggio di consegne di natura burocratica: il MACRO viene posto sotto le competenze del Dipartimento Cultura del Comune di Roma e sottratto alla giurisdizione della Soprintendenza che ne portava finora la responsabilità. Sostanzialmente siamo di fronte all’ennesimo gioco di prestigio all’italiana: una struttura molteplice, funzionale e bella, oggetto di interesse e di passione da parte di un’audience non soltanto romana, più volte al centro di ipotesi strategiche e gestionali cosmopolite e dinamiche, diventa ufficio periferico della pubblica amministrazione, rinunciando a qualsiasi orientamento culturale (le parole hanno un significato, e non è il caso di indulgere in attribuzioni improprie) e accettando di languire stancamente come spazio espositivo neutrale e asettico. Chi trova i fondi può organizzarci una mostra, o qualsiasi altra cosa che non comporti una spesa da parte dell’amministrazione municipale.

Non cadiamo nella trappola delle colpe: non tocca mai al cronista imbastire processi sommari. Usando un minimo di memoria e di ragionevolezza ci appaiono evidenti le patologie ormai incancrenite che attraversano l’Italia, basti pensare ai centri culturali aperti per ogni dove con spesa milionaria, resuscitando edifici industriali o palazzi pubblici senza un briciolo di indirizzo progettuale; benvenuti nelle nuove cattedrali nel deserto.

Limitando l’autopsia a Roma, troviamo una mappa costellata di spazi notevoli per valore e per estensione nei quali la regola è tirare avanti alla meno peggio, ospitando tutto quello che capita senza alcun costrutto, estendendo progressivamente il periodo silente tra una mostra e l’altra, confidando sul dinamismo di librerie e ristoranti. Come manca il reticolo di legami con il tessuto urbano, così manca del tutto l’imprescindibile connessione con il resto del mondo.

Ad aggravare un quadro davvero desolante sale una nebbia spiacevole fatta di questioni bizantine (fondazione o azienda? Pubblico o privato?), di brividi per il giro di nomine (architetto o storico dell’arte? Conservatore o progressista?) e di sussurri e grida connessi alle parrocchie, ai club o ai circoli cui si appartiene. Sul ponte del Titanic erano più seri.

 

Michele Trimarchi è Professore di Analisi Economica del Diritto all’Università di Catanzaro

 

 

Foto di LittleCloudyDreams

 

 

 

 

metapontosommersoNon sono solo naturali le cause che l’8 ottobre scorso, per la terza volta in cinque anni, hanno provocato l’inondazione del Parco archeologico dell’Area Urbana di Metaponto, sommersa da circa 80 mila metri cubi di acqua, fango e detriti. Coperti totalmente i templi di Apollo Lykaios, di Artemis e di Atena e i quartieri abitativi e produttivi; dalle acque melmose emergono solo parzialmente le sommità del Tempio di Hera e dell’Ekklesiasterion/Teatro.

Che il territorio tra le foci dei fiumi Bradano e Basento, fosse “fragile” lo avevano capito ante litteram gli stessi coloni greci che, provenienti dall’Acaia nel nord del Peloponneso, nella seconda metà del VII secolo a.C. fondarono la città di Metaponto. Per primi “modificarono” il paesaggio della piana metapontina e per rendere disponibile il territorio agricolo ai coloni, nel corso del V secolo a.C., intrapresero un’ importante opera di bonifica dell’area. Una fitta rete di canali, documentata archeologicamente tra il Bradano e il Cavone, permise di drenare le acque piovane dai terrazzi verso l’ampia vallata costiera e da quest’ultima verso i due fiumi e la linea di costa, ridimensionando l’endemico fenomeno degli impaludamenti e delle alluvioni.

Oggi, invece, l’uso del territorio metapontino è diventato una pratica incontrollata di disboscamenti, di espansioni di aree agricole e di occupazioni edilizie, dovuta non solo a mancate pianificazioni, ma anche a speculazioni che ne hanno determinato il dissesto idrogeologico rendendo, di conseguenza, ingestibile la tutela del Parco archeologico dell’Area Urbana, testimone dell’antica colonia greca.

Manca di fatto nella comunità e nell’amministrazione dei territori un’alfabetizzazione di base per poter tutelare e conservare il paesaggio, che come recita la Convenzione Europea del Paesaggio del 2000 “è una determinata parte del territorio, cosi come percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni” e che soprattutto “svolge funzioni di interesse generale, sul piano culturale, ecologico, ambientale e sociale” come dovrebbe disciplinare la Legge n. 14 del 9 Gennaio 2006!

 

Ada Preite, archeologa, dottoranda EPHE – Paris, segretario sezione Basilicata Associazione Nazionale Archeologi – ANA

 

 

dalimontremolleSettembre alle porte segna la ripresa delle quotidiane attività, anche nel settore dei beni culturali: si prospetta un autunno caldo per Bray e il suo staff.

Dal Ministero giungono infatti notizie di scadenze serrate dopo l’approvazione del Decreto legge “Valore Cultura”, che dovrà essere convertito in legge entro e non oltre l’8 ottobre.

In primis ci sono le tante attese nomine.

A cominciare dal Soprintendente Speciale per Pompei e dall’incaricato a rivestire il ruolo di Direttore Generale di Progetto, per proseguire con il Comitato di Pilotaggio e il Comitato di Gestione. Questo per quel che riguarda il solo sito archeologico partenopeo, dove nel frattempo sono in corso i primi interventi di restauro.

Per quel che attiene la Reggia di Caserta, sempre secondo il sopra citato decreto legge, il sito andrebbe a confluire nel Polo Museale di Napoli, generando una Soprintendenza Speciale del Polo Museale di Napoli e Caserta: anche in tal caso è necessaria la nomina di colei o colui che vi sarà posto alla guida.

In Calabria invece si attende entro gennaio, come promesso, l’apertura del Museo volto ad ospitare il simbolo della Regione: i Bronzi di Riace.

Nel settore dello spettacolo, dopo l’erogazione anticipata dei fondi fus, rimane ancora da risolvere la faccenda delle fondazioni lirico-sinfoniche in perdita, mente il cinema si chiede se potrà effettivamente tirare un sospiro di sollievo con il ripristino dei 90 milioni di tax credit, così come sostenuto nel decreto “Valore cultura”.

Il Collegio Romano è del resto chiamato a dar seguito a molte delle promesse fatte negli scorsi mesi: si aspettano intanto i risultati delle due Commissioni neonate, quali quella per la revisione del Codice dei beni culturali e del Paesaggio e quella per il rilancio dei beni culturali ed il turismo e per la riforma del Ministero in base alla disciplina sulla revisione della spesa.

Non ultimo l’annuncio dell’assunzione di oltre 150 dipendenti da inserire nell’organico del dicastero.

Si avvicinano inoltre altre due importanti ricorrenze che coinvolgeranno il Ministero dei beni e delle attività culturali: si tratta della scadenza della prima fase per le città italiane candidate a divenire Capitale della Cultura europea 2019 (il 20 settembre) e della rincorsa ai preparativi per l’Expo 2015.

 

 

 

panarelliIl 28 e 29 agosto si ripeterà a L’Aquila, come ogni anno, il rito della Perdonanza, indetto da Papa Clestino V per la remissione dei peccati: l’indulgenza verrà concessa a tutti coloro che attraverseranno la Porta Santa della Basilica di Santa Maria di Collemaggio.
Solo qualche giorno fa, tuttavia, il sindaco Massimo Cialente aveva annunciato ai cittadini che la splendida chiesa sarebbe rimasta chiusa fino al 2016 per motivi di sicurezza. In questi giorni di festa sarà straordinariamente possibile attraversare solamente la porta consacrata.

La città è costretta dunque a festeggiare la Perdonanza a metà, come del resto sta facendo ormai da quattro anni, dopo il drammatico sisma del 2009.

Il Ministero dei Beni e delle Attività culturali, lo scorso 6 agosto, ha diramato in un comunicato lo stato di avanzamento dei restauri che stanno interessando il centro storico della provincia.
Nella nota si legge: “A poco più di un anno dall’inizio dei primi lavori sono oggi più di sessanta gli aggregati che includono edifici vincolati, nei quali sono stati avviati i cantieri di restauro, su progetti autorizzati dalla Soprintendenza. Ai 37 cantieri già partiti, che procedono a ritmo spedito, si aggiungono quelli appena consegnati o avviati da poco – in particolare tra giugno e luglio, anche a seguito delle ultime approvazioni di contributi disposte dal Comune – per un totale di oltre sessanta cantieri già aperti, corrispondenti alla metà di tutti i progetti finora presentati. Lavori in corso da diversi mesi si incontrano lungo il Corso Vittorio Emanuele e Corso Federico II, dal Castello ai Quattro Cantoni e a S. Bernardino, nelle aree di via Garibaldi, S. Maria Paganica e S. Pietro Coppito, nella zona di piazza Prefettura e del Duomo, fino alla Villa Comunale e a Porta Napoli”.

Passeggiando tra le poche vie percorribili del centro storico si ha infatti l’impressione di trovarsi ancora in un grande cantiere, con gli splendidi palazzi puntellati da un fitto reticolo di impalcature.

Dei 129 progetti presentati, sono 101 quelli autorizzati dalla Soprintendenza, per un contributo pari a 500 milioni di euro. I cantieri avviati sono però 63, di cui 56 nel centro storico. In considerazione di tali dati si comprende come sia per ora in atto solo la metà di quanto promesso e atteso. Resta la speranza che l’attività di restauro non incontri intoppi e che proceda secondo quanto predisposto.

In questi giorni così particolari per L’Aquila, la città sembra vivere sentimenti contrastanti: da un lato c’è la ferita ancora aperta e indelebile di quanto accaduto il 6 aprile del 2009, dall’altro canto si sente forte un desiderio di rinascita e di ritorno alla spensieratezza di un tempo.

Va in questo senso la presentazione della candidatura a patrimonio immateriale UNESCO proprio della  Perdonanza Celestiniana, i cui dossier sono stati inoltrati alla Conferenza internazionale lo scorso anno. Per la sua unicità, la consapevolezza del suo valore e l’identificazione della comunità in questa tradizione, ha spiegato Giovanni Puglisi, presidente della Commissione italiana dell’UNESCO, la Perdonanza entrerà a pieno titolo nell’ambita lista nel 2015.

Questo importante traguardo è di certo un segnale importante per gli aquilani, che dimostrano grande voglia di riscatto anche con la candidatura della città a Capitale europea della cultura 2019. Non sappiamo se riusciranno a centrare anche questo secondo ambizioso obiettivo, ma senza dubbio hanno colto l’importanza della cultura per riemergere.

L’Aquila sta tentando del resto di metabolizzare il dramma che ha vissuto, come dimostra anche il progetto “Il Mercato degli Spiriti”, parte del più ampio programma “I Cantieri dell’Immaginario” del MiBac. Le vetrine abbandonate del centro storico, dove purtroppo ancora dominano le crepe e le macerie, sono state utilizzate per mostrare opere d’arte contemporanea realizzate da creativi di provenienze diverse, tutte volte ad indurre gli spettatori a riflettere sul concetto di città, sulla sua importanza ed evoluzione, tanto architettonica, quanto sociale.
L’Associazione Fuoriscala, organizzatrice della rassegna, e il curatore Carlo Mangiolini, invitano perciò ad interrogarsi, a guardare il contesto circostante come un luogo di nuove possibilità, partendo dall’esorcizzare il dolore.

La devastazione di tanti luoghi cari e preziosi ha indotto a riscoprire l’importanza di un patrimonio identitario, attorno a cui ora ci si stringe con dignità per risorgere e tornare a sperare nel futuro.

 

Da maggio 2005 ?Stéphane Lissner è il Sovrintendente e Direttore Artistico del Teatro alla Scala di Milano e dopo l’estate qualcuno lo dovrà affiancare in modo da subentrargli pienamente nel 2015, quando lui andrà all’Opera di Parigi.
Normale avvicendamento ai vertici? Certo, ma l’individuazione di questo “qualcuno” sta scatenando parecchie controversie, che toccano, per la verità, più temi di tipo economico che questioni artistiche. Non è tanto intorno al nome migliore che per ora si accendono gli animi e le polemiche, quanto piuttosto sull’occasione che questa circostanza pone rispetto al fatto che i dati di bilancio non sono ancora noti, i conti faticano a tornare, servono risparmi, l’integrativo dei lavoratori viene decurtato, lo stipendio del nuovo sovrintendente va ridotto rispetto a quello attuale, anche se non si sa di quanto e per chi.
Quando nel 1996 proprio dal Teatro alla Scala partì la proposta di trasformazione degli ex enti lirici in fondazioni, la situazione degli enti lirici richiedeva certamente una riforma che desse in primo luogo maggiore autonomia ai teatri. L’obbligo di avviare il processo di trasformazione introdotto dal D.Lgs. 29 giugno 1996 n. 367 fu rispettato solo dalla Scala e fu poi invece una trasformazione ope legis quella con cui nel 1998 nacquero le Fondazioni Liriche. Esse sono ora quindi degli enti di diritto privato, che però, per l’assenza di un patrimonio (le fondazioni, tutte, sono – dovrebbero essere – “un patrimonio per uno scopo” al fine di ottemperare alle proprie finalità istituzionali con i frutti del proprio patrimonio) rimangono nella necessità di continuare a ricevere cospicui contributi pubblici per poter coprire i costi di gestione.
E così il presidente della Fondazione Teatro alla Scala è Giuliano Pisapia, in quanto sindaco della città, e certamente non ha un compito facile nel proporre al cda il nome del sovrintendente, partendo dalla estrema difficoltà di individuare una procedura adatta per individuarlo (sembra, un bando pubblico). Un politico ha dunque il compito di trovare un manager che, accettando uno stipendio ragionevole, gestisca secondo una logica privatistica una fondazione e, soprattutto, i suoi dipendenti, la quale però per funzionare ha bisogno dei trasferimenti pubblici del FUS, e che sia all’altezza di mantenere il profilo eccezionale della tradizione dell’opera lirica italiana. Il tutto in un momento di crisi della finanza pubblica e privata.
Sarà capace di fare da apripista anche su questo il Teatro alla Scala?

Giovanna Segre è Professoressa di Politica Economica all’Università Iuav di Venezia

Per la vulgata l’Italia è la patria dell’opera lirica; sarà vero, ma usare la cosa come una corona d’alloro rientra nel consueto sciovinismo del nostro paludoso sistema culturale. Anni di strafottenza, connivenze e autocertificazioni collocano la lirica italiana nella fase discendente di una parabola ormai irreversibile: regole sbagliate, negoziati opachi, strapotere delle agenzie, tappi sindacali rendono più vicina la campanella di fine ricreazione, mentre oltre confine (praticamente dovunque) l’opera produce, dialoga, rappresenta un mondo in rapida evoluzione. Nel Bel Paese si è già trasformata in operetta, come diceva acutamente Ennio Flajano: la situazione è grave ma non è seria.
Pur nella gabbia di norme dissennate e antiquate il Teatro Massimo di Palermo ha dimo-strato negli ultimi anni che la correttezza gestionale e la responsabilità finanziaria possono condurre a dinamiche fisiologiche e soprattutto a una sostanziale autonomia progettuale. Liberatosi in modo faticoso e caparbio da una dipendenza finanziaria che segna tutta la lirica italiana il Sovrintendente Antonio Cognata ha portato il Massimo su un percorso rispettoso dell’interesse pubblico cui la lirica deve rispondere, delle aspettative di un pubblico sempre più cosmopolita, della mescolanza fertile fra tradizione e innovazione, cifra da sempre forte del teatro palermitano.
Che succede tra le magnifiche sale di Ernesto Basile? Alessandro Manzoni, altro lettore profondo delle non poche derive italiane, direbbe: “error, conditio, votum, cognatio, cri-men, cultus disparitas, vis, ordo, ligamen …”, in sintesi cavilli capziosi per bloccare quello che sta avvenendo. La dimostrazione con i fatti che si può produrre in modo de-cente ed efficace dà fastidio a molti, con tutta evidenza. In un Paese avvezzo a bandi che coprono accordi, a formalismi che occultano favoritismi un pretesto bizantino si trova facilmente. Le imperfezioni meramente formali si possono affrontare con poco sforzo, purché se ne abbia la volontà.
La gestione del Teatro Massimo, i suoi indiscutibili risultati e le indicazioni strategiche che se ne dovrebbero trarre rischiano di fare smottare la palude dell’opera verso una indesiderata normalità. La cosa non piace a Palermo e piace ancor meno al Collegio Ro-mano dove l’idea stessa di ridisegnare l’assetto istituzionale della cultura fa venire l’orticaria a molti. E addolora vedere che anche le risorse del Massimo, che furono in buona parte alleate di Cognata e sostenitrici del suo approccio gestionale, si dichiarano dissenzienti e scommettono dunque sulla ventura normalizzazione. Anche questo era stato scolpito nel bronzo da Flajano: “Gli italiani corrono in soccorso del vincitore”.

Michele Trimarchi è Professore di Analisi Economica del Diritto all’Università di Catanzaro

Da una mappa interattiva pubblicata su Sightsmap sembra che l’Italia sia uno dei paesi più fotografati al mondo. Sicuramente anche grazie alle innumerevoli bellezze artistiche e archeologiche che abbiamo avuto la fortuna di ereditare. L’unica pecca è che l’apparato chiamato a gestire tutta questa immensa meraviglia manca di fondi e personale. Gli effetti di questa insufficienza si fanno sentire ogni giorno e alcuni, come i crolli a Pompei a al Colosseo, hanno spesso una risonanza a livello internazionale. Qualche altro episodio, sebbene ugualmente rilevante, non supera i confini della cronaca locale: si tratta ad esempio della situazione dei lavoratori che il nostro patrimonio archeologico non solo lo riportano alla luce, ma lo curano e lo amministrano. Gli archeologi, una professione indispensabile per l’industria dei beni culturali, rappresentano una delle categorie più disagiate d’Italia. Sembra quasi un paradosso: il paese con il più alto numero di beni archeologici da indagare e da tutelare, con le università invase da studenti appassionati e volenterosi, è lo stesso in cui chi sceglie questa carriera è condannato al precariato e incertezza a vita. Sono tanti i ragazzi che scelgono questa strada pur consapevoli del destino a cui vanno incontro.
“ La soluzione? Chiaramente non vivere di questo” ci racconta Rosanna, archeologa specializzata in antichità egizie, laureata, come tanti altri studenti come lei, con il massimo dei voti e adesso iscritta alla scuola di specializzazione “Fai tutti i lavori part-time possibili per tirare avanti, come la commessa, la hostess, impartire lezioni private e poi i soldi che guadagni li investi per la tua formazione: dottorati, master e scuole di specializzazioni. Se tutto va bene sono almeno otto anni di studi”. Anni di formazione e passione che poi si scontrano con l’assenza di futuro. “Scavi della soprintendenza ormai non esistono più. Mancano i fondi e quindi gli scavi vengono avviati dalle ditte che vincono gli appalti per i lavori pubblici: la chiamano “archeologia preventiva” e serve ad indagare il sito prima che vengano avviati eventuali lavori invasivi”. Archeologia come prevenzione, dunque, e non più come ricerca fine a sé stessa “Certo gli scavi finalizzati alla ricerca esistono ma sono solo quelli gestiti all’università, dove gli studenti ovviamente non vengono pagati perché si tratta di scavi didattici per acquisire esperienza e crediti formativi”. Quindi l’archeologo come lavoro sembra non esistere più perché poi negli scavi post laurea, quelli definiti preventivi, si rischia di non essere pagati. “Il cantiere archeologico viene affidato dalla ditta vincitrice dell’appalto ad una delle tante cooperative archeologiche private sparse per l’Italia. Sta poi alla cooperativa decidere quanto e quando pagarti. Nel mio caso non ho mai superato i 35 euro al giorno”. Sono queste le tariffe che possono arrivare ad un massimo di ottanta/ cento euro, per la presenza nello scavo che va dalle prime ore del mattino sino all’imbrunire. Non si riesce a lavorare tutti i giorni a causa delle condizioni atmosferiche e lo scavo lo si raggiunge con mezzi propri. I tipi di contratto previsti sono o a partita Iva o a collaborazione.
Si tratta delle condizioni lavorative di un esercito invisibile di tanti ragazzi mossi dalla sola passione per il proprio lavoro, perché consapevoli che difficilmente riusciranno a trovare una collocazione nel settore pubblico. La soprintendenza archeologica ha spesso solo una funzione di controllo degli scavi gestiti dalle cooperative, perché all’interno manca il personale. L’ultimo concorso bandito dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali risale al 2008 (dopo dieci anni di attesa) e le domande per partecipare sono state più di 5 mila. E spesso si fa fatica a trovare anche chi gli uffici amministrativi li dirige: è il caso scoppiato oggi a Roma, dove i 600 archeologi della Soprintendenza hanno scritto una lettera appello al ministro Lorenzo Ornaghi per sbloccare al più presto la paralisi dell’amministrazione dovuta alla “vacatio” della nomina del soprintendente dopo che Anna Maria Moretti, il cui incarico era ad interim, ha lasciato. Una protesta legittima, perché rischiano di rimanere scoperti siti con i più importanti monumenti, ma che tuttavia solleva un interrogativo: se la situazione è atrofizzata all’interno degli uffici, quando si aprirà uno spiraglio per l’esercito degli archeologi precari?

Romaexhibit

 

 

 si tratta del nuovo portale del Comune di Roma e del Ministero dei Beni Culturali dedicato a tutti gli eventi, le gallerie, musei e manifestazioni culturali che si svolgono nella capitale durante l’anno.

 il sito è suddiviso in diverse sezioni. Una intitolata “Eventi” contiene tutti gli eventi espositivi in corso, quelli in programma durante l’anno, e quelli passati in archivio. Quella che porta il titolo “Luoghi” invece riporta tutte le sedi tra musei, palazzi, gallerie e monumenti più visitati della città. In entrambe le sezioni è riportata una breve descrizione delle manifestazioni o del luogo accompagnati da informazioni pratiche, tra cui gli orari e il costo del biglietto. Un’ ulteriore sezione dedicata alle “News” riporta le ultimissime notizie accompagnate da foto molto suggestive dei fori romani, delle piazze più famose degli scorci e vedute particolari della città.

 Risulta estremamente utile inoltre la cartina della città dove è possibile ritrovare con un semplice click tutti i luoghi di interesse, il loro indirizzo e il sito di riferimento. In alto si trova anche un semplice e immediato motore di ricerca per le mostre in corso.

merito del sito è riunire all’interno di un unico schema l’intero sistema espositivo della città di Roma sino ad oggi piuttosto dispersivo nell’organizzazione. L’obiettivo, come spiega la presentazione iniziale, è quello di veicolare sotto un unico logo istituzionale anche e soprattutto all’estero le manifestazioni culturali più importanti.

l’idea base del progetto è ammirevole ma sicuramente non sufficiente per regolamentare l’immensa offerta culturale della capitale. In chiusura della pagina dove viene presentato il progetto si accenna agli obiettivi prefissati nel 2012: anticipare gli appuntamenti più rilevanti dei tre anni successivi ed inserire all’interno del sito un sistema di navette e trasporti per collegare tra loro i diversi musei e monumenti. Anche in questo caso l’intento è positivo ma bisogna aspettare ancora qualche mese per vedere se effettivamente il progetto verrà realizzato completamente.

 a prima vista potrebbe sembrare un sito utile per programmare itinerari turistici. In realtà il progetto risulta più fruibile proprio per coloro che nella capitale ci vivono o che ci vengono abitualmente: per coloro che non visitano la città in pochi giorni come in genere accade per il turismo di massa. È come avere una piccola guida sempre aggiornata per chi ama esplorare la città non solo in ogni suo angolo più nascosto ma anche non perdersi nessuno dei numerosi eventi che questa offre quotidianamente.

http://www.romaexhibit.it/
Tra i promotori dell’iniziativa ci sono il Ministero dei Beni Culturali, la Sovrintendenza ai Beni Culturali di Roma Capitale, l’Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico di Roma Capitale, Azienda Speciale Palaexpo, la Fondazione MAXXI, Fondazione Roma Museo. Eur Spa e  Zètema Progetto Cultura Srl.

In questi mesi Pompei è al centro di una vorticosa serie di tensioni: nuovi crolli, walzer di nomine e supercommissioni, scarico di responsabilità tra politica e amministrazione del sito, promesse di imminenti finanziamenti europei , conflitti per assicurarsene la gestione, promesse di nuove assunzioni,  e l’inarrestabile emorragia di risorse umane prodotta dai quotidiani pensionamenti. Non mancano infine le spinte alle privatizzazioni dei servizi e su di essi l’ombra delle grandi lobbies economiche pronte a sostituirsi a uno Stato che si presume non possa farcela da solo o che è stato deliberatamente ridotto a non farcela da solo per un profitto sicuro e a basso rischio.
E’ in un simile panorama che nascono pasticci come il bando emanato nel 2010 dall’allora Soprintendente Giuseppe Proietti, con il quale la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei intende affidare ad un unico gestore privato tutti i cosiddetti “servizi aggiuntivi” presso gli scavi di Pompei: marketing, accoglienza, informazione, orientamento, biglietteria, controllo accessi, guardaroba, prenotazione, prevendita, audioguide, whisper, didattica per le scuole, gestione sito internet e “visite guidate”, inserito nel bando in virgolettato e tra parentesi ad esplicare la curiosa ufficiale dicitura di “accompagnamento didattico per singoli e/o gruppi”, palesemente creata ad arte per aggirare le normative regionali e nazionali sul turismo e sulle professioni turistiche. Un bando su cui oggi piomba un’interrogazione parlamentare, presentata al Ministro Giancarlo Galan dalla Sen. Diana De Feo. E non a caso.
Attualmente a Pompei le visite guidate vengono effettuate da Guide Turistiche abilitate dalla Regione Campania, e riorganizzate in presidi, presso l’area archeologica, istituiti dal Commissario straordinario Fiori,  soltanto nel 2010.  Un’indagine statistica dello scorso settembre curata dall’Associazione Nazionale Archeologi insieme all’Associazione Guide Turistiche Campane sulle guide turistiche operanti a Pompei ha rilevato che in maggioranza si tratta di professionisti laureati in lingue o archeologia. Elevata è, in particolare, la presenza degli archeologi: il 54% laureati in Archeologia, e di queste oltre la metà (57%) in possesso di un titolo di studio superiore alla laurea. Si tratta in gran parte di giovani entrati in questo settore lavorativo grazie al cosiddetto Decreto Bersani che nel 2008 ha dato ai laureati in archeologia e in storia dell’arte l’opportunità di conseguire l’abilitazione allo svolgimento della professione di guida turistica e che di recente è stato abolito. Dunque con un provvedimento profondamente illiberale e travalicando le sue stesse tradizionali competenze, la Soprintendenza, con questo Bando, offre in blocco ad un monopolista privato un servizio sinora in regime di libera concorrenza, seppur coordinato da un regolamento emanato dalla stessa Soprintendenza. Il rischio è quello che questi liberi professionisti iperqualificati e con diversi anni di esperienza vengano sostituiti con giovani con contratti precari, insomma con lavoratori “usa e getta”, come avviene già in moltissimi musei e luoghi di cultura statali italiani, che si reggono sul lavoro precario e sottopagato dei co.co.pro o addirittura gratuito degli stagisti.
Pompei è solo la punta dell’iceberg di un mondo dei beni culturali in cui è in atto silenziosamente da anni un processo di privatizzazione sui generis. In questo caso, c’è in ballo un sito archeologico che ha circa 2 milioni e mezzo di visitatori e incassa circa 25 milioni di euro ogni anno. Un sito che non ha nemmeno bisogno di farsi pubblicità per raggiungere questi risultati, gli basta già la sua fama nel mondo. Pompei è insomma, per qualsiasi privato, un investimento a basso costo e a basso rischio, con profitti elevati, facili e sicuri.

Tsao Cevoli è presidente dell’Associazione Nazionale Archeologi

Intervista alla Sovrintendente di Napoli e Pompei Dott.ssa Teresa Elena Ciquantaquattro

Nuovi crolli negli scavi archeologici di Pompei: prima il cedimento della cinta muraria all’esterno e poi delle due murature di epoca moderna nell’area fuori Porta Ercolano e nella zona occidentale. Alla luce dei sopralluoghi che avete effettuato, quali sono le cause che imputate a questi danni? Quale la gravità?
Il cedimento di un tratto del paramento esterno delle fortificazioni presso Porta Nola ha dimensioni limitate, ed è dovuto con ogni probabilità ad infiltrazioni di acqua piovana, difficilmente monitorabili su un circuito murario che è lungo complessivamente ca. 3,5 chilometri. I crolli delle strutture moderne, per nulla rilevanti, costituscono in ogni caso un segnale che non va sottovalutato.

A seguito di quanto accaduto, come intendete procedere per risolvere l’emergenza?
Mettendo in atto quanto previsto dal Programma Straordinario per Pompei: monitoraggio complessivo dell’area archeologica; individuazione delle priorità; opere di mitigazione del rischio idrogeologico; interventi puntuali su singole domus e su comparti urbani  strutturalmente omogenei.

L’Unione Europea ha stanziato 105 milioni di euro per il restauro e la valorizzazione del sito archeologico, lanciando ufficialmente il Progetto Pompei 2011/2015. Quali sono i punti fondamentali del progetto? Come si inserisce nel piano di manutenzione programmata avviato in precedenza?
La riconferma della disponibilità delle risorse europee da parte del commissario Hahn, che il 7 novembre ha visitato insieme ai ministri Galan e Fitto il sito di Pompei, è di fatto una implicita approvazione del Programma Straordinario per Pompei, già sottoposto alle valutazioni del Consiglio superiore del Ministero nel giugno del 2011. La finalità principale del programma, che seguirà il percoso logico su descritto, è quella di superare la fase di emergenza che la conservazione del sito vive attualmente, per passare ad attività di ordinaria manutenzione programmata. Manutenzione, i cui effetti saranno duraturi se si potrà svolgere in maniera continuativa e diffusa sull’intero tessuto urbano antico.

Ritiene che la distribuzione delle risorse per i diversi obiettivi di restauro e valorizzazione sia equilibrata?
Ritengo che in questo momento si debba dare la precedenza alla tutela e alla salvaguardia del sito. Senza conservazione, non è possibile alcuna attività di valorizzazione.

Che figure professionali saranno coinvolte nei lavori di restauro? Da chi saranno selezionate, e come?
Le figure professionali coinvolte saranno quelle definite dalla normativa vigente in materia di pubblici appalti e sarà la Soprintendenza a gestire il Programma Straordinario, in sintonia con la Direzione Generale alle Antichità e il Segretariato Generale del Ministero.

E’ ipotizzabile la creazione di una fondazione con privati ed enti locali per la gestione degli scavi, così come propose l’ex ministro Sandro Bondi?
Non credo che in questo momento Pompei abbia bisogno di nuove sperimentazioni gestionali. Piuttosto, c’è da rinforzare gli uffici interni, con personale qualificato (archeologi e architetti) e con personale di vigilanza che possa assicurare la piena fruibilità del sito. E credo che questo sia il miglior investimento che si possa fare sul nostro patrimonio culturale.

La Loggia dei Mercanti a Milano ospiterà fino all’Expo 2015 una struttura a vetri, il City Center.
Dopo aver convocato una serie di noti studi di architettura, il Comune di Milano ha scelto il progetto di Italo Rota, autore del Museo del Novecento inaugurato a dicembre all’Arengario, in quanto, meglio di ogni altro, ha saputo conciliare le esigenze dell’amministrazione con il rispetto dello stile architettonico della Loggia. E’ stata quindi affidata all’architetto milanese la trasformazione di un altro luogo simbolo della città di fronte al quale passano cento milioni di persone ogni anno.
Il progetto prevede la realizzazione di una “scatola” trasparente con vetrate e giochi di luce che si chiamerà “Dimmi”. Lo spazio sarà tripartito: l’area che si affaccia su via dei Mercanti ospiterà il centro informativo classico, con degli operatori multilingue in grado di fornire le indicazioni e le informazioni a turisti e cittadini. La seconda area, concepita come “fai da te” elettronico, sarà tecnologicamente all’avanguardia, con schermi tridimensionali, computer touch screen e presenterà una sorta di nastro trasportatore di notizie sulla città, cliccabili e da scaricare sul proprio palmare. Infine la terza area è quella che, ricollegandosi all’antica funzione sociale del Broletto quale luogo dove si svolgeva gran parte della vita pubblica della città, farà da cerniera tra il nuovo e l’antico. Pensato come agorà, questo spazio sarà un luogo di incontro e di intrattenimento che ospiterà dibattiti, spettacoli, e presentazioni di libri. In questa area saranno inoltre allestite esposizioni temporanee ed un temporary store per commercializzare i prodotti del marchio Milano quali la serie di tazze, biciclette, orologi, ombrelli, etc. che, ad oggi, vengono venduti in un camion modello truck posto sul fianco del Duomo.
Per l’avvio dei lavori del City Center manca però il via libera della Soprintendenza, disponibile ad accettare il nuovo “punto informativo multifunzionale” solo se si tratterà di un allestimento temporaneo in vista dell’Expo 2015. Il soprintendente Alberto Artioli ha inoltre sottolineato la vera priorità della Loggia: l’accesso al piano superiore del Palazzo della Ragione. Servirebbe infatti un ascensore esterno per poter sfruttare il primo piano dal momento che la scala realizzata dall’architetto Dezzi Bardeschi, che si occupò tra il 1978 e l’86 del progetto di restauro conservativo della Loggia dei Mercanti, è ancora chiusa dopo tanti anni.
Nel frattempo molti critici d’arte e studiosi stanno bocciando non solo il progetto ma l’idea della scatola trasparente di Rota accusandolo di non tenere conto del concetto di libera fruizione; l’architetto Marco Dezzi Bardeschi, sostiene che gli spazi aperti del portico non debbano essere occlusi da una struttura che è avversa al concetto di permeabilità, sarebbe come chiudere la Loggia dei Lanzi a Firenze, di fronte agli Uffizi. Dello stesso parere è il critico Vittorio Sgarbi che ha dichiarato l’intenzione di scrivere al ministro Bondi e chiamare il sovrintendente regionale Bon Valsassina per impedire la realizzazione del progetto. Come il critico anche l’assessore alla Cultura Massimiliano Finazzer Flory è contrario all’idea di Rota, ponendo l’attenzione sull’importanza di non intaccare l’equilibrio tra la Loggia e lo spazio circostante, e soprattutto di non rendere strutturale un’iniziativa temporanea. L’assessore milanese si è inoltre candidato a vigilare sul rapporto con gli sponsor affinchè mantengano il loro ruolo al servizio del recupero della Loggia e non il contrario.
Il Comune sta infatti procedendo nella ricerca di investitori privati: saranno al massimo due quelli principali, che si divideranno una quota di 500 mila euro, ai quali si aggiungeranno altri minori in base alle domande che arriveranno entro il 28 di questo mese. Le sponsorizzazioni potranno essere di natura tecnica (materiale per l’allestimento, arredi, impiantistica da ufficio, sistemi digitali e telematici, luci, computer), di produzione di contenuti editoriali, promozionali ed economiche. I marchi selezionati avranno l’opportunità di utilizzare lo status di sponsor per tre anni e, in alcuni casi, potranno usufruire degli spazi come vetrina dei loro prodotti, o per eventi legati alla loro attività. E’ inoltre quasi certo un accordo economico con la Fondazione Aem, che già ha finanziato le nuove illuminazioni per le vetrate del Duomo, e che si occuperebbe dell’allestimento delle luci, aspetto fondamentale per la riuscita realizzazione del progetto di Rota.
Sempre se questo riesca ad andare in porto…