TITOLOSixth Continentsixthcontinent

 

 

COSEFino ad un po’ di tempo fa si protestava contro il capitalismo e le multinazionali, possibilmente incatenandosi sotto la sede di un’azienda incriminata. Oggi lo si può fare iscrivendosi ad un social network: Sixth Continent. Il Sesto Continente è quello proposto da Fabrizio Politi, l’ideatore del sito, che si basa su un sistema diverso di commercio. In base ad un algoritmo, il Mo.Mo.Sy. (Moderate Monetary System), si dividono le aziende mondiali in verdi e in rosse, in virtuose e in dannose, in realizzatrici di ricchezza e in produttrici di impoverimento. Calcolando il rapporto tra l’utile netto e il numero dei dipendenti si scopre quali aziende producono un profitto che è in equilibrio con gli utili dei propri dipendenti e del resto della comunità. Le aziende che, invece, sono in rosso (ad esempio Google, Amazon o Ikea), producono un profitto troppo maggiore che genera una concorrenza sleale: in sostanza molta ricchezza nelle mani di pochi, contro ricchezza equamente distribuita.
Entrando a far parte del Sesto Continente si può interagire con il nuovo modello economico a vari livelli. Lo scopo, in ogni caso, è quello di consumare, agevolando, però, i produttori che rispettano un tipo di economia virtuosa.

 

 

COMESi può interagire con il social network a diversi livelli.
1) Semplice cittadino: al momento dell’iscrizione a Sixth Continent si diventa cittadini e si ha accesso all’app gratuita, in versione web e mobile, Mo.Mo.Sy., che permette di vedere quali imprese e quali prodotti sono verdi e quali rossi. Ogni cittadino riceve, inoltre, un Reddito di Cittadinanza assegnato in maniera progressiva e in base alla Nazione di residenza: si tratta di un reddito che deriva dagli acquisti fatti da tutti i cittadini. Il 3% dei proventi di imprese e negozi che aderiscono al Sesto Continente vengono ridistribuiti secondo una serie di regole spiegate a fondo nel sito. Tale reddito, se utilizzato, rientra nella categoria fiscale della Provvigione Indiretta e può essere speso nei negozi affiliati, coprendo fino al 50% dei costi. Inoltre, se si invitano altri amici si ha la possibilità di aumentare il proprio credito.
2) Manager: si può diventare Marketing Manager di Sixth Content promuovendo l’iniziativa e affiliando negozi e imprese, ottenendo un guadagno per provvigione. Si può anche ricoprire il ruolo di Store Manager che, rispetto al Marketing Manager, ha la possibilità di formulare proposte sulla piattaforma e-commerce.
3) Aziende e Imprese: imprenditori e commercianti (che devono rientrare in area “verde” secondo l’algoritmo Mo.Mo.Sy.) possono decidere di aderire al modello economico del Sesto Continente, pagando al momento dell’affiliazione, in cambio di vantaggi quali l’attrazione di nuovi clienti, la possibilità di rendere competitivi i propri prezzi e di avviare anche un vendita e-commerce tramite la piattaforma.

 

 

proSe il modello economico di Sixth Continent, magari ulteriormente affinato e implementato, dovesse prendere piede a livello globale, si tratterebbe davvero di una bella risposta, competitiva, alla voracità della multinazionali. In ogni caso è un buono strumento per fare acquisti in maniera più consapevole.

 

 

CONTROI meccanismi di Sixth Continent non sono immediati. Il social è abbastanza complesso e per sfruttarlo e capirlo al meglio bisogna esplorarlo, studiarlo e navigarci molto su.

 

 

SEGNI PARTICOLARIIn poco più di un mese il social ha totalizzato circa 10.000 cittadini e più di 110.000 like sulla pagina Facebook.

 

 

CONSIGLIATO AImprenditori, commercianti, aziende, consumatori, appassionati di finanza ed economia, promotori dello sviluppo sostenibile, detrattori delle multinazionali, idealisti, sognatori.

 

 

INFO UTILIhttp://www.sixthcontinent.org/

unlearningLucio e Anna sono una coppia di Genova come tante altre, hanno un lavoro, una bambina di nome Gaia e una casa in città. Eppure un giorno si rendono conto che la loro vita, le loro giornate, hanno bisogno di qualcosa in più rispetto alle opportunità che ogni giorno offre la realtà urbana.
Decidono allora di intraprendere, tutti e tre, un progetto ambizioso e pionieristico: viaggiare alla scoperta di nuovi modi di vivere, di fare economia e di intendere il rapporto uomo-natura. Capire come si vive in una fattoria biologica, cosa comporta il cohousing, come effettivamente si svolgono le giornate in un villaggio ecosostenibile, provare in prima persona forme alternative di educazione e di apprendimento.

Anche il modo di spostarsi di Unlearning – così si chiama il loro progetto – avverrà in maniera originale e sostenibile, sfruttando le più avanguardistiche forme di baratto: WorkAway, Banca del tempo, Couch Surfing, scambi di ospitalità in cambio di lavori in fattorie biologiche, in strutture culturali indipendenti, baratto di conversazione per imparare le lingue, e così via. Da questa particolare avventura verrà fuori un documentario, un prodotto culturale che sarà il risultato di un’ulteriore forma di scambio e condivisione “dal basso”, basandosi sui finanziamenti del crowdsourcing.

Ma sentiamo dalla voce dei suoi stessi protagonisti i dettagli di questa esperienza, unica nel suo genere.

 

Come spiegate nel trailer di presentazione di “Unlearning”, l’idea del vostro progetto è nata da un pollo a quattro zampe, che è diventato il simbolo della vostra iniziativa. Potete raccontarci l’aneddoto che ha dato inizio a tutto e rivelarci i motivi che vi hanno spinto a intraprendere un’avventura del genere?

Viaggiare e curiosare ha sempre fatto parte del nostro DNA di coppia. L’arrivo di una figlia ha cambiato molti aspetti pratici della nostra quotidianità. Ma quando Gaia ha disegnato un pollo a quattro zampe si è riaccesa la scintilla e ci siamo detti “Perché non coinvolgere anche la bimba?” Meraviglioso… la nostra crescita individuale si è trasformata esponenzialmente a livello familiare. Il pollo a quattro zampe è diventato il simbolo della nostra epoca, dove i bambini di città conoscono gli animali al supermercato, guardano gli speciali in tv e, se va bene, vanno allo zoo.

 

Tutto il vostro viaggio si baserà sull’idea del baratto. Si tratterà di un’esperienza all’insegna dell’improvvisazione e della scoperta o potete già dare delle anticipazioni sull’itinerario, i tempi, le persone che incontrerete?

Viaggeremo con una bimba piccola, non possiamo pensare di fare come Indiana Jones!
Sarà un viaggio pianificato perché non è l’aspetto avventuroso che ci interessa.
Anticipazioni: vi possiamo dire che questi ultimi giorni sono fantastici perché abbiamo ricevuto numerosi inviti da parte di  persone che hanno trovato interessante il progetto, e li ringraziamo. È molto probabile che ci vedrete alle prese con un progetto educativo indipendente, una famiglia di “artisti del riciclo” e… un circo! Abbiamo sei mesi di viaggio e qualche mese per decidere le ulteriori tappe.

 

Quanto e come pensate che “Unlearning” possa essere importante per vostra figlia? E in generale, pensate che il vostro potrebbe o dovrebbe essere un esempio per altre famiglie, per altri bambini?

Noi non pensiamo di essere un esempio, ciascuna persona ha il diritto di vivere come preferisce, ma le famiglie che vogliono sperimentare differenti modi di vivere e di viaggiare troveranno in Unlearning un manuale pratico per affrontare con serenità questo tipo di esperienza.

Noi abitiamo a Genova e, come molte altre famiglie, siamo contenti della nostra vita e Gaia ha i suoi punti di riferimento: amici, giochi, casa. Certo, il confronto con altri stili di vita, non sarà indolore perché metterà a nudo aspetti di forza e di debolezza delle nostre convinzioni, della nostra routine. Come una sorta di depurazione, alla fine resteranno solo le cose più preziose.

 

I finanziamenti per compiere il vostro singolare viaggio si basano interamente sul crowdfunding. Perché un individuo, un’altra famiglia come la vostra, o una collettività dovrebbero finanziarvi?

Bella domanda! E ti ringrazio perché è molto importante spiegare questo passaggio, tanto delicato quanto importante.
Unlearning è un progetto di documentario indipendente. Ti piace il trailer? Puoi acquistare il film in prevendita qui: www.unlearning.it. È come comprare un biglietto del cinema ma vedere il film dopo sei mesi. Capiamo che può sembrare strano, ma il ricavato della prevendita ci permetterà di realizzare Unlearning al meglio! Non chiediamo soldi per organizzarci una vacanza, ma per creare un prodotto culturale a stretto contatto con i suoi fruitori. Il costo del download è di dieci euro ma se proprio vi siamo simpatici, potete richiederci i fantastici gadget creati appositamente per Unlearning: t-shirt per uomo, donna e bambino, fondini per il desktop, stampe e segnalibri magici.
In Francia, e in altri paesi europei il finanziamento da basso (crowdfounding) è un metodo molto utilizzato per progetti di tipo sociale, scientifico, musicale, letterario.
Ci è sembrata una buona idea adottare questa nuova formula di finanziamento anche da noi, in Italia. La nostra scelta è pioneristica ma, se compresa dalla collettività, potrebbe rivelarsi molto utile anche per altri progetti.

 

Intraprendere un percorso del genere non è un avvenimento di tutti i giorni. Cosa pensano le vostre famiglie e i vostri amici di “Unlearning”? C’è un territorio o una realtà che vi sostiene particolarmente?

Familiari e amici sono stati in nostri primi fans! Ma non solo, sono state le prime persone con le quali confrontarci e mettere a fuoco il progetto. Insomma, sono il nostro “territorio amico”.

 

Probabilmente la vostra vita sarà cambiata dopo aver portato a termine un’avventura come questa. Cosa vi aspettate per il futuro, dopo “Unlearning”? Il vostro proposito di sperimentare nuove forme di vita e di economia avrà un seguito?

In realtà i cambiamenti sono iniziati già da ora! “Imparare, disimparare per imparare nuovamente”. E quando rientreremo a casa dopo sei mesi, chissà! Magari saremo felici di ritornare alla nostra quotidianità, oppure… Questo sarà il finale del nostro documentario!

 

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artisti30Anche l’arte si mobilita per i 30 attivisti di Greenpeace detenuti in Russia da oltre 60 giorni. Per ognuno di loro, un artista, illustratore o fumettista ha realizzato un’opera volta a ricordare i motivi che hanno mosso l’azione di questi ambientalisti, scesi in campo per difendere l’Artico e combattere lo scioglimento dei ghiacci.

Ciascuno di voi è dunque invitato a visitare il sito del progetto A30XA30, per visionare ciascuna immagine, selezionare quella che preferite e poi condividerla sui social network, al fine di diffondere il messaggio per il rispetto di questa grande risorsa. Ma soprattutto speriamo vogliate firmare l’appello per la liberazione degli Artic30.

 

Consulta il sito

basilicatagirareIntervista al Direttore di Lucana Film Commission, Paride Leporace

 

Insieme alla Regione Basilicata avete promosso il bando per il finanziamento di produzioni sul vostro territorio, in scadenza l’11 novembre. Quali i principali punti di forza di tale opportunità?
Fino a duecentomila euro di finanziamento per ogni film da spendere sul nostro territorio. E una quota destinata a sperimentare la nascita di piccole imprese locali vocate all’audiovisivo. Si tratta della prima pietra per edificare un sistema di piccole e medie imprese che possano formare un distretto della creatività a supporto dell’industria cinematografica

 

Cosa consiglia alle PMI che si candideranno per ricevere i finanziamenti messi a disposizione? C’è magari qualche location particolare che vuole suggerire?
Consiglio innanzitutto di non pensare alla Basilicata come un bancomat da utilizzare nella forma usa e getta. Spero si ragioni tutti in modo virtuoso e mi auguro che qualche squalo che circola in questi ambienti venga demotivato dalla rigidità dei controlli che un bando europeo propone. Per chiarimenti abbiamo attivato un servizio FAQ consultabile dal nostro sito lucanafilmcommission.it. In merito ai set da proporre io preferisco chiamarli luoghi. La Basilicata è molto vasta, contrariamente a quello che restituisce il luogo comune. Si tratta di luoghi che a volte hanno visto l’alba dell’uomo. Sono poco abitati quindi molto cinematografici. Matera è un patrimonio dell’umanità e città del cinema. Ma abbiamo anche due mari, molti laghi, cime innevate e deserti brulli, paesini che sembrano presepi e nidi di vespe arrampicati sulle colline, cattedrali medioevali, palazzi barocchi, foreste, centri storici intatti, piccole savane, campi di grano, attrazioni con filo d’acciaio che imbracati vi conducono come un angelo da un paese all’altro a grande altezza. Un campionario di scenari naturali pronto a soddisfare ogni sceneggiatura da illuminare con una luce che ha già entusiasmato molti direttori della fotografia.

 

Che tipo di interazioni si attivano tra le produzioni che giungono da voi e le realtà locali, come imprese, associazioni, istituti culturali e amministrazioni?
C’è grande accoglienza e molta partecipazione. Le amministrazioni locali, a differenza dei luoghi metropolitani, non creano ostacoli burocratici, ma favoriscono permessi e mettono a disposizioni mezzi e risorse. Le relazioni corte lucane sono molto utili per risolvere i problemi di una produzione, dove ridurre i costi e i tempi è il primo risultato da raggiungere. Il mondo delle imprese deve attrezzarsi meglio, quello della cultura essere più propositivo.

 

Tra le produzioni che avete sostenuto in passato, quale a suo avviso ha meglio rappresentato e veicolato le bellezze della Basilicata?
“Basilicata coast to coast”, grazie ad un regista lucano come Rocco Papaleo e al racconto “on the road”, ha permesso di rendere riconoscibile la Basilicata e di renderla anche molto affascinante al visitatore che non cerca luoghi banali o scontati. Abbiamo favorito la distribuzione del film anche in Francia e  grazie a questo prodotto cinematografico abbiamo notato come  la nostra regione sia attraente anche all’estero. Tra l’altro molti studi indicano questa favorevole circostanza. Il film è nato grazie all’intuito del produttore che ha ricevuto attenzione e finanziamento dalla Regione Basilicata e dal ministero, godendo anche di un’ottima campagna pubblicitaria pagata da parte di alcune compagnie petrolifere operanti nella nostra regione. E’ stata un’ottima operazione di promozione territoriale, abbinata ad un prodotto di successo economico e artistico.

 

Che tipo di attività svolgete invece sul territorio per promuovere il cinema e la sua conoscenza? Che feedback riscontrate?
Siamo in stretto contatto con una rete di Centri della creatività, nati in Basilicata grazie alla Regione, che ha riqualificato delle vecchie cattedrali nel deserto inutilizzate affidandole a gruppi e cooperative che hanno partecipato ad un bando pubblico. In questi Centri abbiamo tenuto molti incontri con i territori e oltre ai lavoratori della creatività e del cinema abbiamo anche interagito con imprenditori, amministratori, banche e categorie produttive. La nostra narrazione dimostrativa convince sempre più persone. Siamo inoltre molto impegnati a difendere le sale cinematografiche esistenti e con un Apq tra governo e Regione speriamo di poter effettuare una sperimentazione sul nuovo cinema digitale nelle nuove sale del presente. Infine, e non da ultimo, dobbiamo formare dei cittadini spettatori che abbiano una buona cultura delle immagini, che le sappiano leggere e capire. Per questo è indispensabile partire dalle scuole e dall’Università.

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=MXhtveWO2w4]

La Basilicata ha un lungo trascorso cinematografico: come spiega questa particolare vocazione?
Le inchieste sociali e i documentari aprirono la strada. Girare in Lucania era come andare in un posto esotico. Poi la spedizione di De Martino apri’ la vocazione antropologica che continua ancora oggi ad un cinema che indaga e prende a pretesto riti e costumi ancestrali. Poi la decisione di Pasolini di ritrovare la Palestina di Cristo a Matera e Barile per alcune scene monumentali del Vangelo segnerà per sempre la storia del Cinema. Da allora Matera in particolar modo, ma non solo, diventa set privilegiato per film legati alla vicenda di Gesù. Quasi un genere compresa qualche parodia, metacinema e qualche flop americano. Poi si gira “The Passion” di Mel Gibson che, grazie ai suoi incassi stratosferici e alle polemiche globali suscitate, ha fatto diventare Matera una delle mete di cineturismo più conosciute al mondo. A Pasqua il turista trova le croci sulla Murgia ormai diventato Golgota nell’immaginario collettivo. Poi c’è tutto il resto. L’esordio della Wertmuller, la trilogia di Francesco Rosi che riesce a impossessarsi dell’epopea contadina di Carlo Levi negli anni Settanta, la finta Sicilia di Tornatore. La Basilicata è un set naturale che ispira il cinema d’autore per contaminazione culturale di alcuni testi e per forza dei luoghi. Grandi documentari pure. Oggi il nuovo snodo. Mettere a sistema questo grande patrimonio.

Guarda l‘infografica che in 2 minuti ti spiega come partecipare al bando, che trovi in versione integrale qui

terrafuochiLa terra dei fuochi: sull’argomento si è già detto tanto. Il tema è stato ampiamente trattato, in tutti i suoi aspetti più inquietanti ed angoscianti, dalle più eminenti fonti di informazione e di approfondimento di fenomeni sociali e di degrado sociale.
Ci troviamo, senza dubbio, di fronte ad uno dei casi di disprezzo per il territorio più grave che si possa ricordare da sempre.
Cosa può scrivere, su tale argomento un giovane, campano, che si è formato credendo che la cultura e la valorizzazione della cultura, legata al territorio e all’amore per quest’ultimo, possano essere la chiave di lettura del nostro futuro? Cosa può pubblicare una testata che segue i tempi della cultura e dell’economia della cultura, che vada oltre l’accusa o la retorica?

Parlare della Terra dei Fuochi è difficile, soprattutto se si vuole andare “oltre”, se si vuole guardare al futuro e, necessariamente, trovare una via di uscita.
La consapevolezza di trovarsi di fronte ad una situazione disastrosa, non da ieri, ma da anni, rende l’approccio difficile, soprattutto nel superare la rabbia istintiva e la sensazione di impotenza per i danni provocati alla propria terra, o… alla terra degli altri!

Ora, però, è tempo di trovare soluzioni. Vanno cercate, attuate e perpetuate.
Difficile intravedere spiragli, note positive o anche barlumi di luce in fondo a questo tunnel grigio scuro e nero, come i fumi che si alzano da anni tra le terre fertili della Campania.
Ma, da qualcosa bisogna iniziare. Parlavamo di “cultura”, proviamo a declinare il termine e a farne la nostra chiave di lettura.


Cultura è consapevolezza e conoscenza.
Finalmente se ne parla, finalmente ci si rende conto che la terra non ingoia tutto senza “protestare”, ma che prima o poi presenta il conto. Ed il conto è salato.

 

Cultura è partecipazione.
Le Istituzioni devono a tutti delle risposte e tutti le aspettano; i segnali arrivano ed è necessario seguirli – senza mollare – perché è un diritto sacrosanto aspettarsi soluzioni e fatti concreti: leggi speciali, iniziative, ascolto dei cittadini e dei primi cittadini delle città coinvolte, individuazione di case history d’eccellenza in tema rifiuti del mondo, e tanto altro, la politica può!

 

Cultura è informazione e sensibilizzazione.
La stampa, gli intellettuali, gli scrittori, i registi, possono fare qualcosa? La risposta è certamente affermativa. Continuare a parlarne, più possibile, raccontare le storie, la realtà, quello che si vede camminando lungo quelle strade distrutte, stuprate, martoriate da rifiuti di ogni genere provenienti da ogni parte d’Italia e d’Europa. Sensibilizzare non solo chi vive questa realtà, ma soprattutto chi non la vive e ha bisogno di capire.

 

Cultura è amore, appartenenza e rispetto.
Ed infine, i cittadini, possono fare qualcosa? Sì, possono fare la cosa più importante, che forse oggi non sarà “visibile” ad occhio nudo, ma nel tempo sarà la cosa più importante. Possono riappropriarsi delle loro terre, possono amare di più tutto ciò che li circonda, sentirsi appartenenti al territorio ed essere consapevoli e coscienti della ricchezza della terra ed i suoi frutti e farne “bene” e “valore” comune.

Prendendo in prestito le parole di una grande persona del nostro tempo:
“La Terra non appartiene a nessuno o non dovrebbe appartenere a nessuno; i suoi frutti appartengono a tutti o dovrebbero appartenere a tutti. Eppure l’avidità di pochi prende possesso di immensi spazi, estromette intere comunità, distrugge la bellezza del paesaggio e la fertilità dei suoli, gli arroganti prevalgono sugli umili. Umile, da humus, colui che è vicino alla terra. Da sempre amo quella parte di umanità che si prende cura della Terra.”
Carlo Petrini

Ecco, cultura è consapevolezza, conoscenza, partecipazione, informazione, sensibilizzazione, amore, appartenenza, rispetto

E’ una questione di cultura: ripartiamo da qui, tutti, insieme.

 

 

 

sieIntervista al Professore Pier Luigi Sacco, direttore della candidatura di Siena a Capitale europea della Cultura 2019.

Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono le strategia e il progetto del 2019?

Siena ha un’identità territoriale molto forte, legata ad un patrimonio tangibile e intangibile conosciuto in tutto il mondo. In realtà, non è tanto la presentazione di questa identità che ci interessa ai fini della candidatura, quanto le modalità con le quali questa identità permette di affrontare e risolvere le problematiche che il territorio si trova oggi a fronteggiare.

Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?

Non è ancora possibile, in questa fase, parlare in maniera esaustiva dei temi del dossier di candidatura, perché al momento devono restare riservati. Il tema principale sul quale lavoriamo, però, è il rapporto tra patrimonio, soprattutto intangibile, e innovazione sociale. Vogliamo dimostrare che il patrimonio intangibile può divenire un grandissimo asset competitivo per ridefinire in senso positivo l’economia del territorio.

Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?

Il fatto che in questo momento il territorio sia in uno stato di profonda crisi economica e la situazione di forte instabilità politica, a causa della quale il comune è stato commissionato per una anno, sono sicuramente le principali difficoltà che dobbiamo affrontare. A nostro vantaggio, però, devo dire che il territorio, da questo punto di vista, ha reagito molto bene, si è stretto intorno alla candidatura, aiutandoci a superare queste difficoltà.

I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?

Assolutamente sì. Il programma coinvolge tutte le categorie di operatori della città, da quelli culturali, a quelli economici, a quelli sociali, al volontariato, agli ospedali, alle prigioni. C’è posto per tutti.

Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?

Rimarrà una parte economica assolutamente trasformata rispetto a quella di oggi, rimarranno un paio di istituzioni nuove che, credo, aiuteranno la città ad avere un grande peso nel quadro internazionale. Ma soprattutto rimarranno un’energia e una mentalità nuove per utilizzare la cultura come volano per lo sviluppo economico.

 

Le altre candidature a Capitale europea della Cultura 2019

percdceIntervista al Prof. Lucio Argano, della Fondazione “Perugiassisi 2019”.

 

Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono le strategia e il progetto del 2019?
La candidatura di Perugia deriva dalla costituzione di una apposita Fondazione per gestire l’iter, formata dalle istituzioni della città, ma anche dalla Regione Umbria e dal Comune di Assisi – tanto che è nato l’equivoco della candidatura Perugia-Assisi.
Questa proposta è in effetti volta a far sì che quel che verrà fatto in tale ambito, si riverberi su tutto il territorio regionale, con una sponda valoriale su Assisi, con i luoghi di San Francesco.
L’identità del progetto intende valorizzare l’esistente, la storia di Perugia, la sua internazionalità, in quanto sede di quattro strutture accademiche e alcuni centri di eccellenza formativa.
Perugia e l’Umbria, soffrendo della crisi economica e della mancanza di un obiettivo forte che rivitalizzi il territorio, ha trovato nella candidatura motivo di rilancio. La Regione ha infatti goduto di un certo benessere, ma dal 2001 sta registrando la caduta di produzione, con la chiusura di centri dell’industria pesante, come le acciaierie di Terni, e la perdita di alcune produzioni alimentari. L’Umbria rimane però una meta molto attrattiva, come dimostrano i dati sulle migrazioni: il territorio continua ad essere ospitale, assicurando un buon livello di welfare a tutti.
Il progetto di candidature vuole cercare di valorizzare gli aspetti migliori di Perugia e dell’Umbria, correggendone quelli più negativi.

 

Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?
Perugia si candida coinvolgendo il territorio come riverbero della città e con grande attenzione rispetto agli elementi valoriali della Regione, per rilanciare le sue peculiarità e uscire da una crisi che sta patendo e che rischia di condurre al declino.
L’Umbria sta cercando una nuova spinta e crediamo che la cultura sia la leva giusta e necessaria cui far riferimento.
Tra gli asset che intendiamo mettere in campo c’è l’internazionalità di Perugia, con l’Università per Stranieri in primis, il patrimonio materiale umbro, come quello paesaggistico, artistico e architettonico, ma anche quello immateriale, costituito da appuntamenti ed eventi culturali come il Festival di Spoleto, l’Umbria Jazz, senza dimenticare attività e imprese che si muovono sulle industrie creative, come l’azienda Cucinelli, conosciuta in tutto il mondo.
Queste sono le basi da cui partire per sviluppare una serie di progetti che si muovano su direttrici di cambiamento e crescita. E’ in campo, ad esempio il recupero dell’ex carcere di Perugia, ad ora dismesso.

 

Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?
Facendo una disamina obiettiva, abbiamo molti punti di forza, mentre quelli di debolezza, quando lavori su progetti a larga scala, si concentrano sulla difficoltà di costruire un consenso diffuso, anche ad alti livelli. Speriamo ad esempio nella possibilità di interloquire con le istituzioni statali, affinché ci consentano di impiegare spazi di proprietà pubblica per svolgere attività e realizzare progetti. Oltre al consenso e alla ricerca degli appoggi statali, rimane comunque il grande impegno a trovare finanziamenti e sponsor che rendano il tutto sostenibile.

 

I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?
Le candidature per il titolo di Capitale europea della Cultura 2019 rappresentano, al di là di tutto, uno stimolo importante per tutte le città in lizza, un’occasione grande per tornare a progettare, dopo che la crisi e la situazione politica italiana ha giustificato una situazione di stasi generale. E’ stato costituito inoltre un tavolo tra alcune delle città candidate, chiamato Italia 2019, attorno al quale ci si è impegnati a scambiare informazioni, fare un sito web, un logo condiviso, con l’idea che la Capitale europea della Cultura 2019 rappresenti una crescita diffusa.
In tal senso la candidatura di Perugia, diversamente dalle altre in lizza, oltre a coinvolgere le istituzioni locali, ha costituito una fondazione di partecipazione. Il soggetto che gestisce tutto il progetto è dunque una fondazione che al suo interno raccoglie al momento quasi 100 soggetti, in rappresentanza quasi dell’intera società civile: oltre alla Regione, alle amministrazioni di Perugia e Assisi, ci sono anche i Comuni, compresi quelli più piccoli, gli artigiani, le imprese, la Camera di Commercio, le associazioni culturali, ecc. Quel che è stato fatto fino ad ora è il frutto di un lavoro comune, emerso dall’ascolto di tante componenti, con oltre 120 incontri sul territorio, che hanno avuto modo di esprimersi all’interno della fondazione, designata inoltre di verificare il lavoro via via svolto.

 

Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?
Alla città rimarrà un metodo di lavoro e potrebbe sopravvivere la fondazione che magari sarà convertita in uno strumento per il territorio e le istituzioni, qualora lo decidano le diverse componenti. Naturalmente, se Perugia vincesse il titolo, godrebbe anche di utili infrastrutture e di importanti spazi recuperati.

 

Le altre candidature a Capitale europea della Cultura 2019

 

 

 

 

 

greendropGreen carpet per la Biennale, dove anche quest’anno verrà assegnato il premio collaterale Green Drop Award (promosso da Green Cross Italia e dal Comune di Venezia) al film, tra i 20 della selezione ufficiale, che abbia meglio “interpretato i valori dell’ecologia e dello sviluppo sostenibile, con particolare attenzione alla conservazione del Pianeta e dei suoi ecosistemi per le generazioni future, agli stili di vita e alla cooperazione fra i popoli”.

Il fondatore di Green Cross International è il premio Nobel per la Pace Mikhail Gorbaciov ricorda: “Stiamo vivendo una crisi ecologica senza precedenti. Secondo i calcoli degli scienziati, la nostra domanda di risorse ecologiche rinnovabili e dei servizi che esse forniscono ora equivale a quella di più di una Terra e mezzo. Siamo sulla strada per aver bisogno di due pianeti molto prima di metà secolo. Quando la scienza e la ragione non ci possono aiutare, solo una cosa può salvarci: la nostra coscienza, e i film posso contribuire a stimolarla”.

In occasione del Festival si terranno alcuni incontri, tra cui, il 6 settembre, uno sul tema: “cinema e green economy”.

La giuria, presieduta dal regista Mimmo Calopresti, ha tra i suoi componenti il climatologo Vincenzo Ferrara e l’attrice Ottavia Piccolo.

Una notizia per i collezionisti di premi: il trofeo consiste in un elegante vaso a forma di goccia, realizzato da un maestro di Murano, che contiene un campione di terra proveniente ogni anno da un paese diverso. Un prezioso oggetto dal contenuto fortemente simbolico: rappresenta Venezia (sintesi armoniosa tra terra e acqua) e le gocce con cui è possibile stimolare comportamenti virtuosi nel rispetto dell’ambiente.

Sarà invece l’ex ministra per le pari opportunità, la senatrice Josefa Idem, a consegnare l’ambito Leone d’oro, Queer Lion Award, al miglior film di contenuto omosessuale. Questo premio è alla sua settima edizione a Venezia.

Tra i nove film sul tema sarà selezionato il vincitore: due italiani, Via Castellana Bandiera di Emma Dante, che ha già riscosso il plauso della critica, Piccola Patria di Alessandro Rossetto; sette gli stranieri, Gerontophilia di Bruce Labruce (destinato a fare scandalo: la storia di un diciottenne che si innamora di vecchio ottantenne ricoverato in ospedale), per le tematiche trans: L’armée du salut del primo scrittore arabo che ha fatto outing, Abdellah Taïa, Tom à la ferme del giovane canadese, Xavier Dolan, Kill Your Darlings di John Krokidas, Eastern Boys di Robin Campillo, Julia, un documentario sulla vita di una transessuale, di Jackie Baier e 3 bodas de mas di Javier Ruiz Caldera.

Il 7 settembre, alle ore 16, al cinema Astra del Lido, sarà proiettato Il rosa nudo di Giovanni Coda, ispirato alla vita di Pierre Seel, deportato nel campo di Schimerck. Alle 17.30 è prevista la consegna del Queer Lion. Dopo la premiazione ci sarà un incontro con il pubblico sul tema “La lotta all’omofobia: quali strumenti?”, a cui parteciperanno Franco Grillini, presidente di Gaynet, e il deputato Alessandro Zan del Sel.

Non perdetevi la sigla del Queer Lion Award, molto fashion, glam e accattivante.

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=KSlBX8lRw3s]

poveraitaliaPerché si scappa dall’Italia?
Perché il nostro è un Paese che continua a non dare aspettative, perché la meritocrazia non riesce a farsi strada fra i favoritismi, perché non si riesce ad individuare gli assi strategici sui quali investire e mancano interlocutori credibili.

Il nostro Paese non realizza che è giunto il momento di mutare prospettiva e cambiare modo di pensare. Solo modificando l’angolazione da cui si guarda all’economia, la visione che si ha del mondo produttivo, saremo in grado di concentrarci sull’elaborazione di nuovi e vincenti modelli di business, con i quali rilanciare la produttività, l’occupazione e il benessere. Si continua invece a lottare per le solite gare, i soliti bandi, i soliti privilegi legati al regime dell’economia assistita, che ancora s’invoca per uscire da una crisi e un immobilismo che la stessa ha contribuito a creare.

Non si riesce ad invertire la tendenza, manca la capacità di decidere dove e quanto tagliare, dove e quanto investire. Si assiste ad un progressivo abbassamento di caratura delle personalità chiamate ad occupare i ruoli chiave del sistema Paese e lo stesso tessuto imprenditoriale rischia di cadere in errore e adottare prospettive fuorvianti, mentre è iniziata la svalutazione del nostro patrimonio culturale, economico e produttivo.

Se rimanderemo ancora il cambiamento finiremo infatti col lasciare il Paese e le sue eccellenze nelle mani dei migliori offerenti. Non è un segreto, infatti, che gli investimenti e le acquisizioni estere nel mercato italiano abbiano registrato una rapida crescita, sono ormai due anni che la colonizzazione del Made in Italy è iniziata e in pochi riescono a prevedere cosa realmente seguirà alle recenti iniezioni di capitale estero. Da Valentino a Bulgari, da Fendi a Bottega Veneta, le operazioni si sono concentrate inizialmente sul settore fashion, per estendersi poi a tutto il comparto del lusso, con gli yatch di Ferretti, acquistati dal gruppo industriale cinese Weichai, e il passaggio di Ducati ad Audi, fino a raggiungere la finanza e l’agroalimentare.

Si pensi ad Unicredit, uno dei principali gruppi bancari attivi in Italia, i cui primi tre investitori sono stranieri e la maggioranza, con il 6,5%, è detenuta dal Fondo Aabar di Abu Dhabi; si pensi a tutte quelle imprese del comparto food, da sempre fiore all’occhiello e cuore pulsante dell’italianità, che da tempo hanno iniziato la migrazione: Buitoni, Carapelli, Invernizzi, Parmalat, Perugina, Galbani, Locatelli, Cademartori sono solo alcune.

Le azioni incisive dei grandi gruppi industriali provenienti da Francia, Cina, Medio Oriente e States non stanno passando inosservate ed è forte il timore che molte di queste strategie acquisitive di patrimoni industriali, tecnologici e scientifici nazionali si risolvano unicamente in operazioni di sottrazione di know-how e svuotamento tecnologico. A pagarne le conseguenze, sul lungo periodo, sarà la competitività della nostra economia, che perderà il controllo di imprese strategiche per lo sviluppo di interi comparti. Se una volta sotto tiro vi erano i marchi storici del Made in Italy, oggi la crisi espone al rischio anche il tessuto delle PMI.

Ma a chi giova un’Italia debole?
Il patrimonio culturale ed industriale italiano, il saper fare artigianale che da sempre contraddistingue la nostra storia produttiva, le eccellenze del Made in Italy e le capacità di molti dei nostri cervelli in fuga possono costituire dei bersagli interessanti agli occhi dei grandi attori internazionali che, guardando all’incapacità della nostra classe politica e allo stallo della nostra situazione produttiva, penetrano nel mercato nazionale con rapidità e senza troppi ostacoli, a volte con intenzioni costruttive, altre meno. Le PMI italiane possono dirsi pronte ad affrontare i colossi dell’economia globalizzata?

Nel mondo contemporaneo politica ed economia sono sempre più strette in una matassa inestricabile e la globalizzazione ha scombinato ruoli, pesi ed equilibri. Il tema della sovranità è oggi per noi un tema caldo, cosa vuol dire per uno Stato essere sovrano? Può la politica contare ancora qualcosa in un mondo in cui le grandi corporation hanno utili che superano i PIL di intere nazioni? C’è chi la chiama crisi della democrazia, ma forse stiamo solo assistendo ad un’altra delle grandi epopee della storia, che vede nel capitalismo e nella finanza globale i suoi nuovi protagonisti.

In ogni economia è fisiologico che vi siano momenti di difficoltà e che le curve di crescita e decrescita si alternino. La crisi economica degli ultimi anni è un fenomeno globale, ma a distinguere il caso italiano è lo stato di perenne immobilismo che avvolge le istituzioni e gli attori, una fase di stallo che si protrae da un tempo che sembra interminabile e in relazione alla quale pare non vi siano strumenti efficaci d’intervento. Chi muove realmente le fila in questo spettacolo? Interrogarsi sulla situazione che regna oggi nel nostro Paese e sulle motivazioni che l’hanno causata presuppone di volgere lo sguardo tanto alla politica quanto all’economia, ma siamo sicuri di avere chiaro quale politica ed economia sono realmente in ballo?

 

 

crepaLunedì 1 luglio è stato presentato a Roma il Rapporto Annuale di Federculture 2013: “Una strategia per la cultura. Una strategia per il Paese”, da molti atteso come il documento capace di fare il punto sullo stato del sistema culturale italiano. Presenti il sindaco della capitale Ignazio Marino, Lidia Ravera assessore alla cultura della Regione e i ministri Bray e Giovannini.

Come di consueto i dati che descrivono il comparto, fra i quali possiamo citare quelli riguardanti la fruizione culturale, il contributo pubblico al settore, l’apporto dei privati e la spesa per la cultura sostenuta dalle famiglie, non hanno dipinto una situazione positiva. Molte delle cifre e dei rapporti illustrati costituiscono, di fatto, utili strumenti per fare delle riflessioni sulla situazione culturale italiana, delle basi da cui partire per costruire ragionamenti razionali sul settore ed elaborare una strategia di ripresa per il Paese.

Per costruire una progettazione mirata è fondamentale, innanzitutto, prendere atto della realtà complessiva del sistema Paese e non dimenticare che la scarsità di risorse è oramai un dato di fatto, la condizione di base dalla quale dobbiamo partire per pianificare il futuro. Guardare ai dati è importante, ma lo è ancor di più riuscire ad assumere una visione quanto più comprensiva delle dinamiche del settore e dell’economia italiana nel suo complesso.
Oggi più che mai è importante prendere in considerazione anche tutti quei dati che, in genere, tendono a passare inosservati nei contesti in cui si dibattono i tagli alla cultura. Si pensi, per citare un esempio fra tutti, agli oltre 20.000 dipendenti Mibac, una squadra imponente, che ha indubbiamente dei costi ma della quale si denuncia a gran voce la perenne insufficienza.

Il capitale umano è sicuramente una delle armi fondamentali quando si vuole intervenire in un settore come la cultura, che richiede una preparazione approfondita ed eterogenea per progettare interventi forti in termini di rilancio della produttività e di potenziamento degli incentivi diretti e indiretti. E’ un settore che pone la maggioranza dei suoi operatori privati innanzi a situazioni contrattuali critiche, retribuzioni minime e scarsissime possibilità di carriera. E’ un settore che più di altri dovrebbe costruire le sue basi sulla meritocrazia – concetto non astratto, ma costituito da regole in Italia purtroppo sconosciute  – la produttività e l’ottimizzazione delle risorse. Forse solo sposando con onestà e decisione questi tre principini la cultura avrà la possibilità di risollevarsi dalla crisi.

Chiedere al pubblico un aumento delle risorse umane comporta una presa di responsabilità. Non sarebbe forse più auspicabile la crescita delle organizzazioni private? Sono del resto destinate ad assumere un ruolo sempre più centrale nel settore e, per questo, dovrebbero essere le principali destinatarie di attenzioni e di agevolazioni fiscali. A loro i finanziamenti interessano anche meno, poiché credono nel mercato.

 

Stefano Monti è direttore editoriale di Tafter

pipalPer molti spostarsi in bicicletta è diventato irrinunciabile.
Sarà una moda, sarà una decisione in sintonia con il proprio spirito, sarà una necessità, fatto sta che è un’ottima abitudine, per se stessi e per l’ambiente.
Con l’obiettivo di incentivare questa tendenza, di migliorare la viabilità urbana e i rapporti umani gran parte del pianeta ha optato per un servizio di bike sharing rivolto a cittadini e visitatori, ossia la semplice possibilità di noleggiare una bicicletta.

Il servizio più efficiente di noleggio bike lo troviamo a Parigi. Si chiama Velib, acronimo di velo (bicicletta) e liberté (libertà). Attivo con successo dal 2007, mette a disposizione di cittadini e turisti ben 20.000 mezzi dislocati in stazioni distanti 300 metri le une dalle altre, che dal 2009 coprono anche l’area periferica della città.

In ritardo rispetto alle capitali europee, questo servizio arriva anche a New York. Il progetto, inaugurato lo scorso 27 maggio, è stato fortemente sostenuto dal sindaco della città, il Signor Bloomberg, che vede nella pedalata quotidiana il primo passo per contrastare il forte tasso di obesità americano, oltre che la possibilità di migliorare gli spostamenti all’interno della città, contribuendo all’economia.
Si tratta del più grande progetto di noleggio di due ruote degli USA attraverso il quale sono state messe a disposizione degli utenti ben 6.000 biciclette dislocate in 330 stazioni alimentate ad energia solare tra il quartiere di Manhattan e quello di Brooklyn. Se l’operazione avrà successo il numero delle biciclette verrà incrementato di 4.000 unità e di 270 postazioni.

Ci sono località in cui l’uso delle due ruote senza motore fa ormai parte della cultura cittadina: come ad Amsterdam anche a Copenaghen la bicicletta ha quasi completamente demolito l’uso dell’automobile. Questo mezzo è ormai parte integrante nel tessuto urbano. Proprio per questo motivo il designer svizzero Rafael Schmidtz ha pensato ad un progetto che vede la bicicletta come qualcosa che fa parte della trama architettonica della città: si tratta di rastrelliere che nascono direttamente dal suolo, in modo da eliminarne l’impatto urbano, o addirittura poste in verticale, sulle pareti degli edifici, perché tutti gli spazi possono e devono essere utilizzati. Questo progetto particolarmente visionario e affascinante prevede anche l’aumento del numero di mezzi a disposizione, e la sua realizzazione dovrebbe avvenire entro il 2015.

Ci sono poi città che ci stupiscono come nel caso di Bordeaux. Philippe Stark disegna per la città la nuova bici-monopattino, Pibal, che permette di pedalare, pattinare e passeggiare. La canna del telaio è posta a pochi centimetri da terra acquisendo la funzione di monopattino, utile ad esempio quando si è costretti a passare sui marciapiedi oppure quando si deve rallentare, magari perché ci si trova in mezzo alla folla, o per accompagnare qualcuno a piedi; può anche diventare un trasportino per carichi ingombranti e pesanti.

E sorprende ancora di più il lavoro del team newyorkese capeggiato da Ryan Rzepecki che ha cercato di eliminare ogni problema legato al servizio di noleggio, proponendo un nuovo modello di bicicletta intelligente: si chiama Sobi e può essere parcheggiata nelle rastrelliere già esistenti diminuendo cosi i costi di realizzazione e l’impatto urbano. Il meccanismo di blocco, un computer GPS, viene posizionato direttamente sulla bicicletta, nel portapacchi posteriore e attraverso un codice personale permette di sbloccarla. È inoltre dotata di piccoli pannelli solari che ne garantiscono il funzionamento anche dopo lunghi periodi di sosta.
Sobi, acronimo di Social Biking è l’evoluzione del bike sharing, purtroppo ancora alla ricerca di finanziamenti per concretizzarsi.

La strada giusta sembra comunque essere stata intrapresa, perciò tutti in sella!

tedx13Ieri, Oggi, Domani. Questo il tema della serie di speech organizzati il 1° giugno dalla TEDX Milano al Piccolo Teatro Grassi. Si tratta di un evento organizzato dalla no-profit TED e volto a riunire in un unico parterre persone con idee che meritano di essere diffuse.

L’impressione che si percepiva era, tuttavia, alquanto diversa: nella sfilata di professionisti dai curricula infiniti che si succedevano sul palco, la sensazione era che queste persone guardassero ad oggi con quella nostalgia che si riserva al passato, perché il loro di tempo viaggia su altri calendari. In questo presente ibrido si sono succeduti come grani di un rosario le innovazioni possibili ed i sogni impossibili: dalle favole di adulti-bambini di Goran Lelas (designer, artista, creatore di giocattoli prodotti in collaborazione con il Moma di New York) ai mattoni a terra cruda di Jacopo Amistani (tra i fondatori di Open Source Ecology Italia).

Quell’oggi immaginato da questa selezione di eccellenze italiane è una cosa ben diversa dall’oggi cronologico, fotografia sbiadita e resa ancor meno comprensibile dalla polvere sottile e perenne degli ingranaggi della burocrazia. Ma le idee proposte non possono che far sperare in bene, perché sono la dimostrazione che, malgrado i tagli, le iniquità, le zigzaganti traiettorie politiche in merito ai temi di educazione e di R&D, malgrado la crisi economica (“io non la capisco questa crisi: come fa ad esserci quando in Italia c’è tutta questa creatività?” sostiene il bambino di professione Goran Lelas), e malgrado l’austerity, l’innovazione in Italia, non solo si fa, ma si fa anche bene. E la si fa, guardando soprattutto al passato, (quello vero, glorioso), perché proprio come un tempo, si guarda alla natura come una fonte di ispirazione inesauribile.

Su questo Nicola Pugno, docente all’università di Trento e vincitore nel 2011 dello European Research Council, non ha dubbi: “I ragni producono 7 tipi diversi di seta, e ad ognuno di questi associano delle modalità di costruzione diverse. […] Il risultato è che una ragnatela grande come questa stanza riuscirebbe ad arrestare un Boeing senza distruggersi”.
E alla natura guarda iCub, il robot umanoide capace di autoapprendimento, realizzato in 28 esemplari, “alcuni dei quali venduti anche in Giappone”, confessa, con una punta di meritato orgoglio, Giorgio Metta, direttore di iCub Facility all’Istituto Italiano di Tecnologia.
E, verrebbe da aggiungere, se la patria dell’industria robotica acquista prototipi italiani, vuol dire che siamo sulla strada giusta. Certo non è una strada semplice, ma questi esempi, che certo non esauriscono (in tutto 11 i relatori italiani) la fitta trama di piccoli e grandi innovazioni presentate quest’oggi, mostrano che il disegno che da essa viene fuori non è per niente casuale, ma risponde ad un ricamo preciso, che è il disegno di un Italia che, nonostante tutto, è ancora capace di sorprendere.

 

 

heralabHera, una delle principali multiutility italiane, ha lanciato lo scorso 21 maggio l’iniziativa Hera Lab: si tratta di un consiglio locale che riunisce i principali stakeholder di riferimento della società con la finalità di istituire un luogo di ascolto, confronto e proposta sulle risposte che il gruppo può dare al territorio. Obiettivo: offrire una maggiore sostenibilità dei servizi.

Con un fatturato che si attesta a poco meno di 4,5 milioni di euro e investimenti per 287,9 milioni di euro, il gruppo Hera fornisce servizi ambientali, idrici ed energetici a 249 comuni per un bacino di utenza di 3,3 milioni di cittadini e impiega in modo diretto 6.663 dipendenti di cui il 97% assunti a tempo indeterminato. Questi i numeri di una crescita costante realizzata nel corso di dieci anni di attività e solo in parte rallentata dalla crisi economica in corso. Quali sono, dunque, i punti di forza del gruppo HERA? Il suo forte legame con il territorio, la sostenibilità e la trasparenza.

Nata nel 2002 dall’unione di undici aziende di servizi pubblici dell’Emilia Romagna, alle quali si è recentemente aggiunta anche Acegas, questa giovane azienda ha mostrato fin dalla sua fondazione una grande sensibilità rispetto ai temi della responsabilità sociale d’impresa. Risale al 2003, in effetti, la pubblicazione del primo bilancio di sostenibilità ed è in occasione della presentazione del BS 2012 che sono stati presentati i risultati raggiunti nel corso di dieci anni di attività e di impegno per il territorio e con il territorio. Un percorso di sostenibilità in cui il rispetto per l’ambiente si è concretizzato, tra l’altro, nell’attivazione e nel potenziamento dei servizi di raccolta differenziata, nella scelta a favore delle energie rinnovabili e nella messa a norma degli impianti di distribuzione e smaltimento; l’attenzione alla comunità di riferimento si è tradotta in iniziative di ascolto e coinvolgimento, educazione ambientale e sensibilizzazione attraverso idee e strumenti innovativi. Si veda il progetto “Elimina la Bolletta, Regala un Albero alla tua Città”, in cui i cittadini, i comuni e l’azienda si impegnano ad attivare un circolo virtuoso per cui ogni cliente che decide di passare alla bolletta on-line, non solo contribuisce al risparmio di carta e anidride carbonica, ma genera per l’azienda un risparmio che sarà poi reinvestito nella forestazione del territorio.

 

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PresentazioniPRESENTAZIONI: QUELLO CHE I LIBRI NON DICONO

di Neal Ford, Matthew McCullough, Nathaniel Schutta
pp. 256
Apogeo, € 29,00
ISBN: 978-8850332458

Un testo pensato per chi ha l’esigenza di fare presentazioni chiare ed efficaci nei più svariati contesti, lavorativi e non: dalle riunioni commerciali alle dimostrazioni tecniche, passando per le esposizioni accademiche. Gli autori guidano il lettore attraverso le tre fasi della creazione di una presentazione vincente: pianificazione, realizzazione, esposizione. Il libro, con un approccio che lo differenzia da tutti gli altri sul tema, identifica una serie di modelli: i “mattoni” che è possibile utilizzare per costruire qualsiasi tipo di presentazione utilizzando strumenti come PowerPoint e Keynote e passa in rassegna gli errori più frequenti e le criticità che è bene evitare per non deludere il proprio pubblico.

 

 

BigSocietyBIG SOCIETY. CONTENUTI E CRITICHE
di Francesco Vespasiano, Monica Simeoni
pp. 160
Armando, € 15,00
ISBN: 978-8866772071

I neoliberisti europei accusano i governi socialdemocratici di avere generato costosissimi apparati statali di servizi sociali. È stato così proposto un programma di costruzione della Big Society, finalizzato alla riduzione della povertà, alla lotta contro le disuguaglianze sociali e all’incremento del benessere, trovando misure di welfare sociale, per evitare di ridurre quelle di welfare statale. Purtroppo, come gli autori di questo libro chiariscono, la speranza nella creazione della Big Society sta vacillando: si sta dimostrando politicamente, economicamente e socialmente debole.

 

 

 

SignificatoIdentitàSIGNIFICATO E DIGNITÀ DELL’UOMO NEL CONFRONTO INTERCULTURALE
di C. Cunegato, Y. D’Autilia, M. Di Cintio (a cura)
pp. 208
Armando, € 18,00
ISBN: 978-8866772712

L’epoca storica attuale presenta uno scenario che oscilla tra la possibilità di uno scontro delle civiltà e quella di un autentico dialogo interculturale: perché quest’ultimo si possa realizzare occorre superare la concezione normativa della civiltà, per cui una, di solito quella occidentale, viene elevata a modello universale, condannando le altre o all’assimilazione o alla distruzione. Lo scopo di questo volume è quello di avviare una riflessione su tale tematica nella convinzione che ciò sia necessario per affrontare in maniera consapevole le incognite del nostro futuro globale.

 

 

 

LinguaColoraLA LINGUA COLORA IL MONDO. COME LE PAROLE DEFORMANO LA REALTÀ
di Guy Deutscher
pp. 241
Bollati Boringhieri, € 23,50
ISBN: 978-8833923390

“L’idioma di una nazione – così ci viene spesso detto – riflette la sua cultura, la sua psiche e le sue modalità di pensiero. Le popolazioni che vivono nei climi tropicali, così corrive, lasciano per strada le consonanti, mentre il tedesco, così metodico, è un veicolo ideale per formulare con precisione i concetti filosofici. Nelle impervie intonazioni del norvegese si coglie l’eco dei fiordi scoscesi, il francese è la lingua romantica par excellence, l’inglese è un idioma adattabile, e… l’italiano, ah, l’italiano!”. Il dibattito sulla lingua è antico. Dopo decine di anni di confronti e dispute i linguisti sono oggi quasi unanimi nel dire che tutte le lingue sono fondamentalmente simili e pertanto incapaci di filtrare in modo differente la percezione del mondo.

 

 

 

OltreCristianesimoOLTRE IL CRISTIANESIMO
di Marco Vannini
pp. 314
Bompiani, € 14,00
ISBN: 978-8845273780

In questo saggio, Marco Vannini – tra i più eminenti studiosi della tradizione spirituale cristiana – sonda i vasti territori della mistica non solo occidentale ma anche orientale. Da Meister Eckhart al brahmanesimo e al buddismo, per giungere alla meditazione del monaco cristiano-hindu Henri Le Saux, si compone il quadro concettuale di un ardito viaggio nel segreto dello “Spirito”. L'”uomo distaccato” del misticismo radicale di Eckhart, per il quale l’uomo ama veramente in quanto diviene l’amore stesso, si incontra con l’assenza di fine del Buddha inverandosi nel messaggio cristiano, messaggio dello Spirito, al di là di ogni apparente fideismo, di ogni apparente religiosità o dottrina del Libro.

 

 

 

StoriaSiriaSTORIA DELLA SIRIA CONTEMPORANEA
di Mirella Galletti
pp. 274
Bompiani, € 10,00
ISBN: 978-8845256424

Nuova edizione aggiornata alle rivolte della primavera araba. Questa storia della Siria, la prima apparsa in Italia, ricostruisce in una narrazione avvincente i tormentati sviluppi storico-politici della nazione, dedicando ampio spazio agli aspetti culturali della società siriana e al complesso mosaico etnico e religioso della regione. Ripercorrendo le tappe fondamentali del cammino verso l’indipendenza, i contrasti e i conflitti con gli stati limitrofi, la genesi delle attualissime questioni curda, libanese e palestinese, il libro consente di comprendere il ruolo centrale della Siria nello scacchiere mediorientale, immergendosi al tempo stesso nell’atmosfera incantata di una nazione ancora misteriosa e ricca di tradizioni.

 

 

NaturaSpaNATURA SPA. LA TERRA AL POSTO DEL PIL
di Gianfranco Bologna
pp. 164
Bruno Mondadori, € 14,00
ISBN: 978-8861598386

L’economia ha sempre ragionato sulla natura del valore, ma non sul valore della natura. Non abbiamo attribuito un valore ai sistemi idrici, alla rigenerazione del suolo, alla composizione chimica dell’atmosfera, alla ricchezza della biodiversità, alla fotosintesi (e questi sono soltanto esempi). Così le nostre società raggiungono livelli di deficit nei confronti dei sistemi naturali ben superiori al deficit economico legato alla crisi. Questo libro spiega che possiamo, che dobbiamo, cambiare rotta. Rimettendo al centro il valore del patrimonio ecologico, per costruire un mondo sostenibile, equilibrato e vicino alla natura.

 

 

 

LetteraturaPostLA LETTERATURA POST-COLONIALE. DALL’IMPERO ALLA WORLD LITERATURE
di Silvia Albertazzi
pp. 226
Carocci, € 17,00
ISBN: 978-8843068876

Nel ripercorrere le tappe delle scritture non metropolitane, dalla colonizzazione dell’immaginario d’oltremare ad opera delle grandi potenze occidentali alla decolonizzazione e postcolonizzazione letteraria del secondo Novecento, fino alle storie recenti e recentissime che raccontano l’11 settembre 2001 da un “altro” punto di vista, il volume invita a leggere, studiare e far dialogare le letterature del mondo. L’obiettivo è definire (o lasciarsi definire da) una letteratura senza frontiere, che contamina stili, generi e tematiche, e in cui si attua uno scambio fecondo tra periferia e centro, in un contagio positivo senza soluzione di continuità.

 

 

 

EconomiaReligioneECONOMIA, RELIGIONE E MORALE NELL’ISLAM
di Ersilia Francesca
pp. 247
Carocci, € 18,00
ISBN: 978-8843068067

I principi etici presenti nel Corano e nella tradizione profetica non hanno una specificità “islamica” ma rispondono a una scala di valori comune a molte religioni; tuttavia è partendo da tali principi che l’economia islamica, dal secondo dopoguerra in poi, si è proposta come modello alternativo al socialismo e al capitalismo. Si è quindi affermato un sistema bancario che non fa ricorso all’interesse ma si basa su contratti partecipativi, e contemporaneamente si è fatto strada un modello islamico di welfare. Come le altre grandi religioni, l’islam si fa portatore oggi di istanze di giustizia e di ricerca del bene comune, partendo dal presupposto che l’uomo vada collocato al centro dell’agire sociale ed economico.

 

 

 

DizionarioMicrofinanzaDIZIONARO DI MICROFINANZA. LE VOCI DEL MICROCREDITO
di G. Pizzo, G. Tagliavini (a cura)
pp. 809
Carocci, € 79,00
ISBN: 978-8843065967

La microfinanza figura tra le grandi innovazioni sociali della nostra epoca. A livello internazionale, in contesti sociali e culturali molto diversi, essa si è rivelata una risposta efficace e sostenibile nell’azione di contrasto alla povertà e all’esclusione. La microfinanza e il microcredito – che ne è la parte più evidente e riconosciuta – affondano le proprie radici nel mutualismo europeo e nella finanza popolare di tutti i continenti. Negli ultimi anni, di fronte alle crescenti insufficienze della finanza mainstream, i progetti e le organizzazioni più avanzate vanno aprendo nuove frontiere che guardano alla finanza sociale e alla finanza etica come parti integranti di una strategia di finanza inclusiva.

 

 

ArchitetturaStoriaARCHITETTURA E STORIA. PARADIGMI DELLA DISCONTINUITÀ
di Carlo Olmo
pp. 188
Donzelli, € 29,00
ISBN: 978-8860368782

L’architettura rappresenta una delle più importanti testimonianze della presenza dell’uomo sulla terra. In questo senso non solo è legata alla storia: è essa stessa storia per eccellenza. Basterebbe ricordare il tormentone che ogni anno si scatena quando si tratta di individuare qualche architettura o qualche luogo da aggiungere al “patrimonio dell’umanità”. Eppure la sua interpretazione viene spesso lasciata alle forme come alle ideologie che essa veicola. La stessa lingua con cui questa storia così fondamentale si racconta appare presa in prestito: dalla storia dell’arte come dalla sociologia, dal romanzo come dalla giurisprudenza. Quella che si dichiara essere la testimonianza per eccellenza non fa spesso i conti neanche con il significato della stessa parola “testimonianza”.

 

 

ViteSegreteVITE SEGRETE DEI GRANDI ARTISTI. TUTTO CIÒ CHE NON VI HANNO MAI VOLUTO RACCONTARE SUI PIÙ GRANDI MAESTRI
di Elizabeth Lunday
pp. 288
Electa, € 19,90
ISBN: 978-8837093549

“Vite segrete dei grandi artisti” narra le vicende meno note dietro le quinte dell’arte, con aneddoti curiosi e a volte scandalosi sui grandi maestri di tutti i tempi, da Leonardo (accusato di sodomia), a Caravaggio (colpevole di omicidio), a Edward Hopper (violento nei confronti della moglie). Scoprirete che Michelangelo emanava un odore così disgustoso che i suoi assistenti non sopportavano di lavorare accanto a lui, che Vincent van Gogh ogni tanto mangiava il colore direttamente dal tubetto e che Georgia O’Keeffe amava dipingere senza veli. Una lezione di storia dell’arte che non dimenticherete facilmente!

 

 

MetamorfosiRovineMETAMORFOSI DELLE ROVINE
di Marcello Barbanera
pp. 110
Electa, € 19,00
ISBN: 978-8837095512

Il saggio prende le mosse dalla constatazione che faceva Arnaldo Momigliano e cioè che le tracce della nostra storia nei monumenti, nel paesaggio sono così imponenti da incuriosirci e obbligarci a studiare il passato per capire una parte importante di noi stessi, soprattutto in un’epoca in cui il modello culturale occidentale, quello che affonda le sue radici nel mondo classico, pare sospinto verso una marginalità che si frantuma nell’impatto con altre culture ansiose di emergere. Comprendiamo così come le rovine conservino da un lato l’immagine di “memento mori”, allusione romantica alla transitorietà di ogni opera umana, al passaggio inesorabile del tempo, al declino delle civiltà, al disfacimento delle culture, profezia di un destino possibile perché non c’è requie alla distruzione; dall’altro esse costituiscono fortunatamente il simbolo della caparbia resistenza degli esseri umani di fronte alle sciagure peggiori e serbano il carattere distintivo e inalienabile della nostra identità culturale.

 

 

 

EtMorteL’ETÀ DELLA MORTE DELL’ARTE
di Francesco Valagussa
pp. 182
Il Mulino, € 18,00
ISBN: 978-8815245465

Maestra dei popoli, l’arte domina gli esordi di ogni civiltà ma finisce con il cedere sempre più spazio al pensiero concettuale. In passato ha prodotto le grandi visioni del mondo, ora è la scienza a fondare il sistema del sapere. In questo volume l’autore illustra come la morte dell’arte riguardi l’identità dell’Europa e metta a rischio il carattere stesso della nostra civiltà. Eppure l’Occidente, proprio nella consapevolezza di questo pericolo, ha sempre cercato nuove forme, nuove tendenze, nuovi stili per ricreare continuamente la forma artistica. L’Europa è soltanto un sinonimo di “morte dell’arte”, o piuttosto è ricerca continua di alternative per tenerla in vita?

 

 

 

VeneziaVENEZIA. NASCITA DI UN MITO ROMANTICO
di John J. Norwich
pp. 285
Il Saggiatore, € 12,00
ISBN: 978-8856503777

L’esistenza della Serenissima Repubblica è stata stroncata nel 1797 da un giovane Napoleone Bonaparte. Ma dopo che cosa è accaduto? Persa per sempre la propria indipendenza, Venezia diventò meta di giovani milord inglesi che vi facevano tappa per qualche settimana di blanda sregolatezza prima del ritorno a casa, con qualche Canaletto e un inizio di gonorrea. Come raccontare gli anni del XIX secolo senza annoiare e senza deprimersi? Lord Norwich ha scelto di guardare Venezia con gli occhi dei suoi visitatori o di coloro che scelsero di viverci. Ecco quindi il breve soggiorno di Napoleone e Byron ammaliatore di gentildonne della città; Rawdon e Horatio Brown, rappresentanti di spicco della colonia britannica; Henry James, Constance Fenimore Woolson…

 

 

 

EquivocoSudL’EQUIVOCO DEL SUD. SVILUPPO E COESIONE SOCIALE
di Carlo Borgomeo
pp. 199
Laterza, € 12,00
ISBN: 978-8858107416

Parlare di Mezzogiorno è diventato perfino noioso: l’impressione è che sia una questione irrisolvibile. Metà degli italiani pensa che al Sud siano stati dati soldi; l’altra metà denuncia l’insufficienza delle risorse e l’incoerenza delle politiche adottate. Al di là di interventi sbagliati, sprechi, incapacità, c’è stato un errore di fondo: condannare il Sud a inseguire il livello di reddito del Nord, a importare modelli estranei alla cultura e alle tradizioni e a sviluppare, di fatto, una dimensione politica di dipendenza. Per spezzare questa logica bisogna introdurre una profonda discontinuità, a partire dalla consapevolezza della natura vera del divario. Il Sud è meno ricco del Nord, ma la distanza più grave è nei diritti di cittadinanza, nella scuola, nei servizi sociali, nella cultura della legalità.

 

 

CronacheBirmaneCRONACHE BIRMANE
di Guy Delisle
pp. 272
Rizzoli, € 18,00
ISBN: 978-8817065283

In “Cronache birmane”, esattamente come in “Cronache di Gerusalemme”, Guy Delisle accompagna la moglie Nadège in missione per Medici senza Frontiere: i due – insieme al figlio di pochi mesi, vero protagonista di questo graphic novel -, trascorrono più di un anno in Birmania ai tempi della dittatura militare, vivendo le stesse difficoltà della popolazione vessata dal regime. Vicino di casa di “The Lady”, com’è chiamata Aung San Suu Kyi allora agli arresti domiciliari, Delisle scopre una società oppressa ma anche un popolo aperto e generoso. Buddismo e dittatura militare, paesaggi selvaggi e templi meravigliosi, monaci in processione e drogati di eroina, Aids e miniere, monsoni e Ong per un altro reportage del canadese dalla matita pungente e poetica.

 

 

 

MemoriaUffiziLA MEMORIA DEGLI UFFIZI
di Francesco M. Cataluccio
pp. 184
Sellerio, € 14,00
ISBN: 978-8838930188

“Agli Uffizi ci si andava da bambini, alle domeniche. Non frequentando la nostra famiglia, nel giorno di festa, alcuna funzione religiosa, il babbo ci conduceva di mattina al rito laico dell’osservazione dei quadri, che precedeva quello pagano del primo pomeriggio alle partite di calcio della Fiorentina, nello Stadio di Campo di Marte, affollato di figure concave e convesse, progettate da Pier Luigi Nervi. Verso le dieci, mentre la mamma (pessima cuoca) si industriava a preparare l’unico vero pranzo della settimana, nostro padre ci portava a visitare una sala, sempre diversa, a rotazione, della Galleria degli Uffizi”. Questo libro è l’occasione per raccontare molte storie dei dipinti e anche dello scrittore che, nato a Firenze, per una decina d’anni, quando era ragazzino, fu portato dai genitori a visitare gli Uffizi, in una sorta di educazione alla bellezza e alla vita, fatta di aneddoti curiosi, giochi con le immagini e familiarizzazione con un luogo dove è racchiuso il segreto della nostra vita immaginaria. Un racconto che è anche un’originale guida per “veder sapendo e scegliendo”.

 

 

 

PuntiVistaPUNTI DI VISTA. IDENTITÀ, CONFLITTI, MUTAMENTI
di O. Eberspacher (a cura)
pp. 63
Silvana, € 10,00
ISBN: 978-8836626113

Il progetto Punti di vista, curato da Fabio De Chirico e Ludovico Pratesi, mette a confronto, nelle sale di Palazzo Arnone, sede della Galleria Nazionale di Cosenza, i grandi maestri del passato con le opere di tredici artisti italiani delle ultime generazioni attraverso una trama di dialoghi e corrispondenze di carattere simbolico che lega la pittura dal Rinascimento al Novecento con altri linguaggi espressivi come la scultura, l’installazione, la fotografia o il video, più consoni a esprimere le esperienze complesse della contemporaneità. Un dialogo che contribuisce a evidenziare nuovi punti di vista sulla storia dell’arte del passato, attraverso itinerari simbolici e slittamenti di senso che propongono possibili approfondimenti sul rapporto fra tradizione e modernità, tecnica e pensiero, all’interno di una cornice solenne come Palazzo Arnone che, grazie alla sua recente ristrutturazione, si pone come ideale luogo di incontro tra le arti di ieri e di oggi.

 

 

TorinoTORINO. FORME E OMBRE DELLA CITTÀ
di Sergio Finesso, Gigliola Foschi
pp. 167
Silvana, € 30,00
ISBN: 978-8836626366

Attraverso gli scatti raccolti in questo volume, Sergio Finesso (Alessandria, 1950) ci conduce nei meandri di una Torino di volta in volta magica, positivista e rigorosa. Tra assonanze e improvvisi scarti, utilizzando rullini in bianco e nero e una macchina fotografica a bassa risoluzione, Finesso avanza a zigzag nello spazio e nel tempo: parte da giardini e piazze barocche, inserisce un ricordo delle mura romane, rivela squarci di architetture del Ventennio, fino a mostrarci il recentissimo Arco Olimpico e l’altrettanto recente Fontana Igloo di Mario Merz. Soprattutto riesce a mostrarci, grazie al suo sguardo ancora capace di stupirsi e a quello della sua macchina “con una lente di plastica” (una Diana F+), come una città possa divenire uno spettacolo avvincente ed enigmatico.

 

Più la sociologia della complessità ci riflette e più esce dallo schema che dà colpe e responsabilità sempre a altri, ai cinesi, alle banche, a Equitalia. È saggio evitare semplificazioni masochiste in stile “la crisi è una opportunità” e applicare schemi differenti da quelli del qualunquismo da Bar Sport o dal semplicismo delle inchieste di molti media. Dall’esame dell’aura di molti soggetti si rileva un’umidità corneale che segnale una crescente voglia di assumersi le proprie responsabilità, unita però a demotivazione profonda legata alla solitudine.

In tanti vorrebbero, ad esempio, fare la raccolta differenziata, usare la bicicletta, scambiare il proprio tempo, privilegiare i negozi di quartiere, partecipare alla vita sociale e culturale, interagire in modo differente, intelligente e costruttivo con i turisti e con gli immigrati o i fuorisede. Ma in pochi lo fanno. Con sguardi da emoticons spompati dicono di non saperlo fare, che si sentono soli, non si sentono sicuri. Lo farebbero, affermano, se ciascuno facesse la propria parte.

Si percepisce questo desiderio, intimo e represso, unito alla voglia di non sentirsi soli in un’opera di ricostruzione della socialità da moltissimi ritenuta necessaria e all’intuizione che per riuscirci sia necessario collaborare.

Già, perché esiste una intelligenza collettiva che contiene le risposte al disagio e a molti degli effetti della crisi. Risposte e soluzioni però che sono frammentate nelle esperienze e nei contributi dei singoli.

Nella modernità liquida in cui non c’è la certezza del tempo indeterminato nelle relazioni, come nei lavori, e neppure nei mobili o nelle idee, un ruolo nuovo richiesto alla politica diventa quello di facilitare i processi di collaborazione tra persone (e tra istituzioni, e tra imprese, …).

Fare politica, lavorare per la polis, diventa immaginare luoghi che siano per vocazione destinati a creare socialità, che crea soluzioni, cultura, economia. Si rileva un doppio bisogno: di luoghi fisici, spazi pubblici dove non si sia più “destinatari di servizi” o “utenti” ma co-progettisti e protagonisti di scambi di idee, talenti, tempo; di spazi virtuali, e dunque piattaforme web dove condividere e/o scambiare tempo, talento, libri, auto, spazi verdi, parcheggi, attrezzature, ricette, consigli medici, libri, camere sfitte, energia pulita, ….

Tutto per mettere a contatto persone che si scoprono affini, magari anche grazie ai facilitatori che includano i più deboli, che spingano al dialogo tra generazioni e tra generi, che sorveglino il rispetto della legalità e dei valori democratici e della libertà di espressione. Un dialogo anche mirato a comprendere i problemi, raccogliere segnalazioni, sviluppare soluzioni, indicare percorsi a chi amministra.

Credo che siamo chiamati a un grosso salto di qualità nelle modalità del vivere collettivo con l’individuazione di nuovi modelli di relazione che funzionino in tessuti urbani complessi e aree extraurbane in cerca di identità.

Sono scelte che nel mondo, quello che va a velocità ben più rapide della nostra si rilevano da tempo. Molte soluzioni sono lì, e le vede chi viaggia, chi fa l’Erasmus, o anche solo passa un weekend a Parigi, Londra o Vienna, luoghi che cambiano perché cambiano i comportamenti dei cittadini. Turbatevi, vi prego, davanti alla scelta di Shangai, definitasi Sharing City individuando 20 ambiti nei quali la collaborazione tra cittadini ridefinisca l’economia. Un approccio che fa sembrare il concetto di Smart City già obsoleto e utile solo a riempire qualche convegno finanziato con soldi pubblici.

Siamo in Italia, nel 2013, e non possiamo illuderci che il senso civico, il rispetto delle regole, o l’amore per il prossimo muovano le masse verso il riconoscimento e la tutela del bene comune o – meglio ancora – nella messa in comune. Ma questo nuovo coinvolgimento si può generare educandoci. Magari non più con le trite campagne di informazione e sensibilizzazione ma con un approccio vicino all’experience design e gamification .

Se pare surreale far provare alle persone l’ebrezza di “quanto sia emozionante e fare qualcosa di utile” ma diventa un passaggio necessario a riscoprire valori a cui vent’anni di autoassoluzioni ci hanno reso alieni.

Immagino incentivi creativi alla partecipazione collettiva. Ad esempio ingressi Premium gratuiti musei o eventi, campagne di fidelizzazione, omaggi da sponsor, endorsement di Totti o Banfi, a beneficio di chi partecipa, suggerisce soluzioni, segnala inefficienze, presta il suo tempo, partecipa, si iscrive, ragiona, scambia, per il bene della Società. E così accumula i punti nel grande gioco della Società per Buone Azioni.

 

Samuel Saltafossi è sociologo della complessità

 

L’Italia è un paese che si vende da solo. Non è una vanteria ma un’amara constatazione.
Perfino nella crisi dilagante del 2011 il nostro Paese è riuscito a tenere duro e a compensare con arrivi internazionali (soprattutto dai Brics) la decrescita del turismo domestico, ma nel 2012 i segni della flessione si cominciano a fare più evidenti.
E’ una patologia di lungo corso quella italiana, dove la crisi diventa una cartina di tornasole utile a denunciare ciò che è palese: manca una strategia organica tesa a valorizzare e far rendere al meglio il nostro variegato patrimonio naturale e artistico come valida offerta turistica.
Si pensi alle difficoltà (infra)strutturali, ai problemi di regolamentazione, alle continue riforme dell’ENIT, fino alla scarsa modernità di gran parte del comparto.
Solo il 47.9 % delle strutture ricettive (con prevalenza positiva tra gli alberghi e negativa tra le strutture complementari) è dotato di uno strumento che consenta ai clienti di effettuare la prenotazione delle camere direttamente online, quindi di un canale di vendita diretto, relegando spesso il portale al ruolo di semplice vetrina.
Il governo Monti e l’attuale governo Letta sembrano intercettare sulla carta due delle istanze chiave: la strategia e il binomio cultura-turismo.
I super-tecnici avevano elaborato un Piano Strategico Nazionale del Turismo, realizzato sulla base dell’analisi redatta dal Boston Consulting Group, e anche un più operativo Conto Satellite sul Turismo. Il PSNT, al di là della bontà delle analisi compiute dalla consulting convocata, risulta comunque uno strumento da cui avviare una discussione di merito tra tutti gli interlocutori, anche se ex-post.
Il neonato governo di larghissime intese ha invece assegnato al Ministro Massimo Bray il MiBac insieme alla delega al turismo, quasi a sottolineare il doppio filo che lega conservazione e cura a valorizzazione e proposizione dell’immensa ricchezza italiana.
La speranza è che le ottime parole spese dal ministro, tese a unire valori di conoscenza costituzionale del pubblico bene a necessità economiche, non sfocino in una mera catalogazione enciclopedica del possibile, ma si tramutino in una esplicazione delle azioni necessarie.
A tal proposito è interessante quanto posto in evidenza dal 18° Rapporto sul Turismo Italiano, a cura di Mercury e Irat (Istituto di ricerche sulle attività terziarie del Consiglio Nazionale delle Ricerche) a cura di Emilio Becheri e Giulio Maggiore: anche il binomio Turismo e Affari regionali dato in dotazione a Piero Gnudi, sul finire del 2011, aveva una sua forte ragion d’essere ponendo fine ad un troppo protratto gioco delle parti Stato-Regioni che feriva anche il tema turistico.
La logica delle Regioni nel settore è fondamentale per molteplici ragioni, sia costruttive che di studio, a partire dalle differenze territoriali.
Sempre facendo riferimento al Rapporto citato: Veneto, Toscana, Lombardia, Lazio e Trentino raccolgono il 71% della clientela estera, mentre il meridione insieme alle isole intercettano solo l’11,5% degli arrivi e il 13,3% delle presenze, per altro quasi tutti in Sicilia e Campania.
I motivi prevalenti per andare nelle due regioni di punta del sud sono arte e cultura e non come verrebbe spontaneo pensare il sole e il mare. Infatti il turismo balneare nel 2012 ha fatto registrare in tutta la penisola un calo del 10% nelle presenze e del 15% nella spesa e preannuncia un trend negativo nel 2013 che verrà contenuto solo dal turismo balneare di prossimità internazionale nel nord Italia.
Eppure le best practice sono a portata di mano, basti guardare ad alcuni modelli di Spagna e Francia per carpire utili strumenti. Per la consapevolezza di avere materiale e risorse su cui lavorare superiori a entrambi basta guardarsi in casa.
La crisi può essere l’ennesima opportunità di ricostruirsi trovando la propria strada tra strategie, potenzialità e deleghe varie.

 

Il 22 aprile 1970 si è tenuto il primo Giorno della Madre Terra. In quella data infatti 20 milioni di cittadini statunitensi diedero vita alla più grande manifestazione a sostegno dell’ambiente, dopo il disastro dell’Union Oil al Largo di Santa Barbara, in California. Si cominciava infatti a parlare di “questione ambientale”, relativa al consumo limitato delle risorse naturali e all’inquinamento del pianeta e dell’atmosfera. Gli attivisti e i movimenti ecologisti si riunirono dunque nell’Earth Day Network, fondato da Danis Hayes e dagli altri organizzatori del raduno del 1970, che conta oggi oltre 20 mila organizzazioni provenienti da 192 Paesi.


Le Nazioni Unite, nella persona del segretario generale U Thant, il 26 febbraio del 1971 proclamarono inizialmente il 21 marzo come la Giornata mondiale della Terra, stabilendo solo successivamente la ricorrenza per il 22 aprile.
Da quel giorno ogni anno la Giornata della Terra è stata celebrata con eventi e iniziative ecologiste in tutto il mondo.

Quest’anno ricorre dunque la 43° Giornata della Terra.
Nel nostro Paese, a programmare gli appuntamenti volti a celebrare questo anniversario e porre all’attenzione dell’opinione pubblica le problematiche del pianeta, è l’Earth Day Italia, l’organizzazione attiva dal 2007 e facente parte dell’Earth Day Network.
L’Earth Day Italia ha lanciato per questa edizione la campagna di sensibilizzazione dal titolo “Io ci tengo”, che ha coinvolto personaggi famosi e gente comune rendendoli protagonisti di alcuni videoclip per lanciare messaggi di impegno ed educazione al rispetto dell’ambiente.
Appuntamento da non mancare è il concerto a Km 0 che si terrà a Milano: protagonisti Fiorella Mannoia e Khaled, con la presenza di Giobbe Covatta. I proventi dei biglietti saranno impiegati per la realizzazione di tre progetti ambientali. Lo spettacolo potrà essere seguito anche in diretta streaming o in differita tv.
Una maratona web animerà poi il 22 aprile, con video e testimonianze da ogni angolo del Mondo, per ricordare la drammatica situazione attuale del pianeta, ma fornire anche indicazioni per una condotta rispettosa dell’ambiente. La carrellata di messaggi partirà con un contributo video di Zygmunt Bauman, grande sociologo e filosofo della postmodernità.

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=LUmDN1zYIyo]

Sono molte le città italiane che parteciperanno alla Giornata della Terra.

A Roma, il 24 aprile, il maestro giapponese Tatsuo Uemon Ikeda realizzerà in Piazza del Campidoglio l’istallazione “Avere o non Avere”: un filo rosso di lana e seta coprirà lo spazio della piazza e i passanti potranno interagire con l’opera, diventandone parte per qualche momento.
La piazza del Campidoglio rappresenterà il pianeta Terra, mentre la scalinata sarà il simbolo del passaggio degli esseri umani sul pianeta, uguali nonostante le loro differenze.

A Cefalù, dal 20 al 22 aprile, si terrà un convegno sulle tematiche ecosostenibili, escursioni guidate sulla Rocca di Cefalù, concerti, degustazioni di prodotti biologici, esibizioni sportive, campagne di sensibilizzazione ambientale, e una mostra fotografica sul pianeta Terra presso l’Ottagono S. Caterina. Piazza Duomo verrà arredata a verde con di micro-giardini temporanei realizzato da florovivaisti.

Anche il mondo del calcio non rimarrà insensibile all’Earth Day: tutti i giocatori della Serie B indosseranno infatti per l’occasione una polsiera verde con lo slogan “Io ci tengo”; il Bologna, che scenderà in campo il 21 aprile, vestirà una divisa interamente verde.

 

In tutta Italia sono circa duemila i possedimenti di pregio, non strumentali, gestiti dal demanio storico artistico: castelli, antiche dimore gentilizie, strutture storiche dismesse, conventi inutilizzati, fari e residenze marine che, insieme, contribuiscono a creare lo straordinario patrimonio culturale del nostro Paese.
Sono strutture affascinanti e suggestive, inserite in tessuti storici e paesaggistici particolari, spesso costrette a versare in condizioni di abbandono. E’ a loro che si rivolge il progetto Valore Paese – dimore d’Italia, presentato lo scorso 10 aprile a Roma. L’agenzia del demanio e Invitalia – agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa – si uniscono per promuovere un approccio che guardi al patrimonio culturale come ad un volano per lo sviluppo economico e sociale del Paese.
L’idea è quella di coinvolgere le imprese nella riqualificazione e nella valorizzazione di immobili pubblici di pregio, con l’obbiettivo di costruire un network di strutture turistico-ricettive e culturali di prima qualità, un sistema alberghiero diffuso a scala nazionale, chiaramente identificabile grazie ad un brand unico e riconoscibile, che sia capace di intercettare e accogliere i flussi di domanda più sensibili alla fruizione del patrimonio culturale.
Inutile dirlo, il modello cui si guarda è quello dei Paradores spagnoli, che non dovrà, però, essere semplicemente replicato quanto piuttosto reinterpretato e plasmato sulla ricchezza culturale dei nostri territori e le capacità del nostro sistema d’offerta. L’obbiettivo è quello di costruire un sistema che possa rappresentare una vetrina del Made in Italy, uno strumento attraverso cui promuovere e valorizzare la cultura e la tradizione italiana, dall’arte alla storia, dal paesaggio all’artigianato, dalla moda all’enogastronomia. L’offerta turistica che si vuole sviluppare all’interno di questa rete di dimore, infatti, coniugherà i servizi alberghieri con una serie di servizi culturali, costruiti con la volontà di rilanciare e comunicare l’identità del territorio.
Secondo Domenico Arcuri, amministratore delegato di Invitalia, un progetto di questa portata dimostrerà la capacità dei beni pubblici di andare sul mercato e servire la valorizzazione di aree importanti del nostro Paese. Uno degli elementi caratterizzanti l’iniziativa, infatti, è la collaborazione pubblico–pubblico e pubblico-privato, in vista della quale è fondamentale mettere a sistema le competenze tecnico progettuali, economico finanziarie e giuridico amministrative, nonché l’expertise consolidata dei diversi soggetti, istituzionali e non.
In questa prima fase sono state avanzate 115 proposte di immobili, di cui 63 sono state selezionate, 28 in fase di start up e 7 già avviate. Entro la fine dell’anno verranno messi in moto i primi bandi per la concessione in uso per cinquant’anni ai privati. Gli enti pubblici locali hanno tempo fino al 31 di maggio per manifestare il proprio interesse all’iniziativa e richiedere l’inserimento dei propri immobili di pregio storico, artistico e paesaggistico nel portfolio.
Il progetto mira a promuovere tanto il recupero del patrimonio, quanto una sua conservazione attiva, e vuole avviare un percorso che integri la salvaguardia delle peculiarità storico architettoniche del bene, la valorizzazione del suo valore funzionale, la promozione dei territori e del made in Italy e lo sviluppo del sistema turistico nazionale, comparto che sarà destinato ad avere un ruolo sempre più importante nell’economia del futuro.

Per ulteriori informazioni consulta il sito

Il 18 e 19 aprile Torino ospita la rassegna DNA.italia, l’evento che quest’anno giunge alla sua terza edizione con tante novità. La principale risiede nella modalità di incontro: sei aree tematiche, ciascuna tassello del più ampio panorama della filiera culturale italiana, all’interno delle quali i player e professionisti avranno modo di incontrarsi, confrontarsi e intessere relazioni volte alla crescita. A spiegarci meglio il tutto è Maurizio Poma, presidente di DNA.italia.

 

Dott. Poma, la rassegna DNA.italia giunge quest’anno alla sua terza edizione. Quali sono le principali novità del 2013?
Nella costruzione progressiva del progetto, del tutto innovativo, ci siamo resi conto di una cosa, cioè che la filiera che valorizza, gestisce e promuove il nostro patrimonio è una filiera complessa e articolata, che per essere compresa e scandagliata, è bene segmentare e ricomporre. Abbiamo perciò scelto di indagare sei aree specifiche che vengono poi ricollegate l’una all’altra in un unicum completo. E’ qui che risiede la sostanziale novità: incontrare i player di ogni singola area al fine di inquadrare bene il contenuto del settore, consentendo a chi vi lavora di riconoscersi perfettamente e di non confondersi in una filiera troppo ampia e per molti incomprensibile, così da inserirsi poi coscientemente in essa.

Quali saranno le tematiche affrontate durante la rassegna e quale sarà l’approccio con cui le tratterete?
Le aree sono sei, riguardano il recupero e la conservazione, il turismo culturale e la creatività, il paesaggio in tutte le sue forme, le nuove tecnologie per la comunicazione; l’approccio di ognuna di queste tematiche è organizzato in tavole rotonde puntali e rigorose, che intendono affrontare tutte le novità del settore dal punto di vista pratico e di business, in termini di impresa: ovvero si analizza chi e come offre quel servizio, chi ne necessita e le modalità di incontro.
Abbiamo denotato infatti che non c’è allineamento di linguaggio tra domanda e offerta, non ci si capisce: riteniamo dunque opportuno avviare un percorso culturale per consentire di sfruttare l’opportunità di crescita e di sviluppo, quindi di business, da cui entrambi le parti possono trarre vantaggio. Questo è un’altro dei macro obiettivi che ci siamo posti.
Nell’organizzare l’edizione 2013 di DNA.italia abbiamo costituito dei focus group, all’interno dei quali ci siamo resi conto che il settore soffre di una serie di carenze e inadeguatezze, cui intendiamo porre rimedio attraverso appuntamenti be to be, elevator pitch e camp e con tutto ciò quel che attiene il market place di aree di business.

Questa edizione punta tutto sul dialogo: sulla filiera che si incontra per proporre strategie e soluzioni per uscire dalla crisi facendo sistema. E’ questo secondo lei il problema principale della cultura oggi?
Non posso dare un giudizio rigoroso al riguardo, ma dalla mia esperienza nelle imprese del mondo della cultura, il loro approccio al mercato è molto diverso rispetto a quelle appartenenti ad altri settori, come ad esempio quello produttivo e dell’industria più tradizionale. Molto spesso nelle piccole imprese innovative c’è la mente geniale, progettuale, e manca magari l’aspetto di marketing, comunicazione o quello commerciale: questo fa si che prodotti straordinari restino chiusi nella scatole che li hanno prodotti e inventati, e non arrivino al mercato. Tale meccanismo evidentemente non facilita la crescita del mercato che, invece, avvalendosi di questi prodotti innovativi potrebbe svilupparsi molto.
Dopo di che c’è da risolvere il grandissimo equivoco alla base dell’economia della cultura, per cui si identifica la cultura come un costo e non come un’area che può produrre dell’economia e delle opportunità di reddito per le imprese; questo è invece un salto di qualità che il nostro Paese dovrebbe fare e che purtroppo non avviene perché gli attacchi trasversali sulla cultura, tenuta sempre di minor priorità, continuano ad interrompere i percorsi di crescita in tal senso.

La “cultura” a DNA.italia verrà affrontata in maniera molto trasversale. Ci sarà la finanza, l’urbanistica, il restauro, l’industria culturale, la creatività, la formazione e anche le sart-up che si affacciano al mondo imprenditoriale per la prima volta. Come può essere riassunto secondo lei il panorama culturale italiano oggi e quali le sfide che ha bisogno di affrontare?
Ci sono due elementi fondamentali da tener presenti: il primo è la necessità di svecchiare la catena di comando della gestione del patrimonio in Italia, ancora troppo ancorata a schemi tradizionali, non avendo fatto i passi di innovazione e modernizzazione registrati in altri ambiti imprenditoriali; il secondo punto è nel consentire sia a chi offre, sia al mercato culturale vero e proprio, la possibilità di internazionalizzarsi, avendo relazioni e contatti, creando aree di business con altri paesi. Questo per due ragioni: perché vuol dire ringiovanire l’approccio imprenditoriale degli operatori culturali italiani e ciò consentirebbe poi di portare reddito fresco e soldi veri nelle casse delle aziende. Questi sono i due pivot sostanziali su cui lavorare.
Il resto viene poi da sé perché abbiamo veramente un’ottima materia prima: da un lato la creatività, la fantasia, la capacità di produrre, e dall’altro il mondo su cui applicare, provare e sperimentare tutta questa innovazione.

Perché è importante partecipare a DNA.italia?
La ragione principale per cui partecipare a DNA.italia risiede nel fatto che in questa rassegna è davvero possibile scoprire e incontrare delle competenze diverse rispetto a quelle con cui si è abituati ad imbattersi. Ho sentito troppo spesso dire durante gli eventi fieristici, che si occupano di questo mondo in modo più tradizionale, “ci incontriamo come al solito tra di noi, siamo sempre gli stessi”. Ecco, il fatto di essere più trasversali e attenti al mondo delle start up, della finanza e dei servizi, e non solo a quello dell’artigianato e dell’industria, probabilmente allarga la sfera, il target delle figure che si incontreranno a DNA.italia, facendo scoprire che esistono anche altre professionalità con le quali può essere molto costruttivo parlare, perché consentono di scoprire altre chiavi di interpretazione di questo mondo.

 

La società Tribewanted Limited è stata fondata dall’inglese Ben Keene e dall’italiano Filippo Bozotti per sviluppare realtà eco-sostenibili in diverse parti del mondo e dal 2006 fino ad oggi ne sono state create ben tre: la prima nell’isola di Vorovoro (Fiji), la seconda nella John Obey Beach (Sierra Leone) e la più recente a Monestevole (Perugia).

La comunità dell’isola di Vorovoro è nata e si è sviluppata grazie all’unione di un migliaio di persone provenienti da ogni parte del mondo, che hanno donato in media 250 dollari ciascuno, per la realizzazione del progetto. Il risultato? Una nuova comunità eco-sostenibile ora gestita da proprietari terrieri locali, 1 milione di dollari investiti nell’economia locale, 25 posti di lavoro, 1200 visitatori (Tribe members) tra i 2 e i 75 anni. Inoltre si è notato che il contatto diretto con queste realtà sensibilizza notevolmente le persone, poiché dopo aver visitato l’isola il 66% dei membri della tribù acquista prodotti locali, stagionali e biologici, il 71% produce meno rifiuti ed il 76% fa la raccolta differenziata. La creazione e la fruizione di queste comunità può dunque avere ripercussioni davvero ampie, permettendo lo sviluppo di abitudini in una direzione sostenibile e a impatto zero.

La forza della community si è poi spostata in Sierra Leone lungo la spiaggia di John Obey, dove nel 2010 è nata una nuova comunità anche grazie alla collaborazione del villaggio dei pescatori locale. In questo angolo dell’Africa Occidentale sono stati costruiti edifici in legno e bambù, è stato realizzato un sistema per la produzione di energia solare e una struttura per il riciclo dell’acqua. Si è poi dato vita a giardini in grado di soddisfare i bisogni della collettività attraverso il metodo di permacultura che sfrutta in maniera sostenibile la terra.

Ora Tribewanted tocca l’Italia e arriva nelle colline umbre per trasformare Monestevole in una comunità sostenibile. Le risorse sono impiegate per modificare le infrastrutture presenti sul territorio in modo da garantire l’eco-sostenibilità e le parole d’ordine diventano energia verde, raccolta e riciclaggio delle acque, riscaldamento a biomassa, gestione dei rifiuti, permacultura, agricoltura biologica. Da marzo 2013 la struttura è ufficialmente operativa e visitabile con l’obiettivo di promuovere la cultura e le tradizioni locali, oltre alla sostenibilità del luogo. La comunità di Monestevole si offre infatti come modello alternativo di vita possibile, proponendo un turismo diverso che non distrugge ambiente e tradizioni, ma li valorizza e ne fa i suoi punti di forza.

Ogni comunità reale è sostenuta da una tribù online, la Tribewanted Sustainable Communities, che finanzia i progetti con un contributo mensile di circa €12 a membro per la durata di un anno. Con la raccolta di questi finanziamenti e con la collaborazione delle popolazioni locali, Tribewanted ha l’obiettivo di sviluppare fino ad un massimo di dieci comunità e i prossimi luoghi coinvolti verranno scelti proprio dalla community online con un’apposita votazione.
Ma per far parte della tribù il finanziamento non è l’unica via che si può percorrere: si può contribuire al progetto facendone parte dall’interno, soggiornando nella comunità per aiutare nella realizzazione delle strutture necessarie alla sostenibilità e nelle attività quotidiane di gestione.

Ma perché è così necessario cambiare stile di vita? Il Rapporto 2012 del WWF Living Planet è tremendamente chiaro: l’umanità utilizza il 50% delle risorse in più rispetto a quelle che la Terra può fornire e nel 2030 non basteranno nemmeno due interi pianeti per soddisfare le nostre “esigenze”. Il nostro capitale naturale è in continuo declino.
Una possibile soluzione per attenuare le conseguenze dei nostri comportamenti arriva dal web, da una community online che sfrutta la potenza della rete per smuovere le coscienze di ogni individuo, proponendo iniziative concrete per un eco-turismo possibile.
Tribewanted può essere uno strumento utile a sensibilizzare la popolazione, poiché la rende parte integrante di un processo di condivisione e di responsabilità. Con il crowdfunding si diventa membri di un progetto che coinvolge in prima persona, per un ritorno alle tradizioni locali e ad uno sviluppo sostenibile in grado di non intaccare il nostro pianeta, già profondamente segnato.