CLOISTER

Monti&Taft comunica con piacere che il 28 Maggio 2016 verrà inaugurato Made in Cloister, progetto di riqualificazione urbana nel cuore di uno dei quartieri a più ampio margine di miglioramento della Città di Napoli.

Monti&Taft, che ha avuto in vari modi occasione di partecipare alle fasi costitutive di questo nuovo player culturale, è certa che gli impatti che questo progetto avrà sul territorio saranno positivi e consistenti.

 

Contatti: Tel. +39 06 5759501   info@monti-taft.org     www.monti&taft.org

 

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bto

Il BTO – Buy Tourism Online è l’evento dedicato al turismo innovativo che si terrà a Firenze il prossimo 3 e 4 dicembre alla Fortezza da Basso. Vero appuntamento da non perdere per i professionisti del settore, propone quest’anno tante interessanti novità. Non mancherà Alberto Peruzzini, dirigente del settore turismo di Toscana Promozione, cui abbiamo avuto modo di rivolgere qualche domanda.

 

 

Dottor Peruzzini, sta per aprirsi una nuova edizione del BTO a Firenze in cui si parlerà nuovamente di turismo e delle sue prospettive per il futuro. Cosa è cambiato, ad esempio in Toscana rispetto all’anno scorso in termini turistici?
Continua l’incremento degli stranieri sia dai mercati storici della Toscana che da nuovi mercati. Aumentano i russi che scoprono nuove zone della Toscana, tornano i giapponesi e aumentano i cinesi con un turismo legato alle città d’arte. Il nord Europa conferma l’attenzione per la campagna toscana e cerca nuove idee e motivi di viaggio in Toscana. Muovono i primi passi nuovi paesi emergenti del turismo come India e Corea del sud.

 

I paesi BRIC si sono avvicinati alla nostra penisola, e soprattutto in Toscana. Come spiega questo fenomeno?
La notorietà delle città d’arte come Firenze, Roma, Venezia è un fenomeno planetario che pone l’Italia tra le mete imperdibili per chi vuole viaggiare in Europa. L’Italian style offre quella marcia in più al nostro Paese per essere méta e motivazione ulteriore di viaggio, soprattutto per chi oltre o in alternativa all’arte sceglie in base ad altri desiderata quali l’enogastronomia, lo shopping, il paesaggio o il fatto di visitare luoghi resi cool grazie a ambientazioni di film, la frequentazione di vip, la presenza di brand famosi.
La Toscana vive un posizionamento particolarmente fortunato grazie a molti di questi fattori tra cui ovviamente la moda e i molti marchi di prodotto top level che esprimono nel loro nome un richiamo al territorio, produzioni cinematografiche e letterarie di grande successo (da Under the Tuscan sun alla saga di Twilight fino a Inferno di Dan Brown), vip che si rifugiano in Toscana.
E una attività promozionale nei Paesi BRIC attenta, in passato, a valorizzare e diffondere questi contenuti, prima ancora che vendere i pacchetti, ha permesso oggi di avere un posizionamento di appeal e diversificato che facilita notevolmente la richiesta da parte della domanda.

 

Come giudica le attività di promozione turistica delle regioni italiane? Quali sono le principali criticità in questo ambito a suo avviso e come possiamo migliorare?
La strada è quella di targettizzare; sia la domanda che l’offerta. Oggi le motivazioni di viaggio sono molto differenti, soprattutto se si pensa ai Paesi emergenti e alle nuove generazioni. Non solo contenuti però ma anche modalità di informare e di presentare l’offerta. Capire gli interessi del target e saper interpretare le motivazioni di viaggio permetterebbe di dare la giusta chiave di lettura del proprio territorio e reinterpretare la propria offerta. Ciò darà la possibilità di promuovere il giusto pacchetto ad un target mirato.

 

Pensiamo positivo: quali sono invece le potenzialità esclusive del nostro territorio?
Prima di tutto abbiamo un vantaggio di posizione, ovvero un brand molto forte. Secondo punto un territorio indissolubilmente legato ad alcuni valori di eccellenza (style, cultura, moda, paesaggio e natura, enogastronomia, mare..) tanto ricco da poter soddisfare gran parte delle motivazioni di viaggio. Terzo una offerta così differenziata su un territorio piuttosto raccolto e raggiungibile. Come detto prima il lavoro più importante e declinare tutto questo, uscendo da macro prodotti per proporre un’offerta dalla forte personalità.

 

Al BTO si parlerà di promozione turistica. Quali sono le nuove frontiere che si aprono grazie al turismo online (sharing economy, community online ecc…)
Si rafforza l’uso del web sul mercato italiano mentre è uno strumento ormai imprescindibile per gli stranieri sia per la raccolta di informazioni turistiche che per la ricerca di eventi, ricettività, etc…
Per sviluppare al meglio il turismo online anche in Italia è necessario chiedere al mondo delle imprese uno sforzo ulteriore nel creare innovazione nelle formule, nelle idee, nelle modalità e nelle proposte di viaggio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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“Hometown – Mutonia” è il documentario realizzato dal collettivo ZimmerFrei, che indaga la realtà della comunità-villaggio costituita negli anni ’90 da gruppi di creativi cyber-punk, nei pressi di Santarcangelo di Romagna. L’opera viene presentata al Festival Internazionale del Film di Roma e proiettata al MAXXI.
La produzione fa parte di un progetto più ampio denominato “Temporary Cities” e si è avvalso del sostegno del Santarcangelo Festival.
Abbiamo voluto saperne di più interpellando direttamente Anna de Manincor e Massimo Carozzi, tra i componenti di ZimmerFrei, per comprendere meglio quanto da loro documentato.

 

Il documentario Mutonia rientra nel progetto più ampio “Temporary Cities” del vostro collettivo ZimmerFrei. Di cosa si tratta? Quali sono le sue peculiarità?
“Temporary Cities” è una serie di documentari in cui ci dedichiamo a un’area molto piccola di una grande città: una strada di Bruxelles (LKN Confidential), una collinetta che ricopre un centro sportivo in mezzo ai condomini a Copenhagen (The Hill), il quartiere ex-rom di Budapest (Temporay 8th), un bar del quartiere del mercato e del porto a Marsiglia (La beauté c’est ta tête). Sono ritratti molto parziali di territori complessi, in cui le trasformazioni urbanistiche, gli investimenti immobiliari e l’ingegneria sociale che accompagna i progetti di “city branding” stanno cambiando la vita quotidiana e stanno progressivamente rendendo le capitali europee molto simili tra di loro. Non giravamo in Italia dal 2008 (Memoria Esterna, dedicato a Milano) e, dopo il Kunstenfestivaldesarts e il circuito di festival di arte pubblica InSitu, è stato di nuovo un festival di teatro a produrre un nostro film.

 

Mutonia, a differenza delle altre realtà documentate nel progetto, si trova in un piccolo borgo di provincia, Santarcangelo di Romagna per l’appunto. Quali le differenze riscontrate rispetto alle altre comunità presenti invece in grandi agglomerati urbani? Come hanno accolto il vostro progetto i mutoid?
Hometown ha avuto una gestazione lunga, proprio per questa differenza con le altre città. Abbiamo considerato Mutonia un distretto, un quartiere di campagna del paese di Santarcangelo. Non siamo certo i primi a girare un video al Campo, i suoi abitanti sono abituati a veder spuntare operatori e reporter nei momenti più impensati, ma dopo i primi giorni, dato che non accennavamo ad andarcene, il nostro rapporto è cambiato progressivamente. Siamo passati dalla circospezione alla discussione sull’intero progetto, dalle interviste solo audio alle riprese “senza costrutto” in cui ognuno è intento a fare quello che fa senza occuparsi più di dove si trova la camera. Tutto “è campo”. E’ un processo lungo, accidentato e sempre diverso in ogni situazione. Non vogliamo ottenere la “trasparenza”, sarebbe una menzogna, e anche la “realtà” è irriproducibile, si tratta di vivere insieme mentre il film si va facendo e cambia il suo corso con quello che succede al momento.

 

Mutonia nasce in seguito ad un invito lanciato dal Festival di Santarcangelo alla Mutoid Waste Company, che per eseguire le sue performance ha allestito il campo, poi divenuto permanente, richiamando seguaci di questo stile di vita da tante parti del mondo. Che impatto ha avuto la loro presenza sugli abitanti di Santarcangelo? Come si è sviluppato il rapporto tra queste due comunità?
Quando i Mutoid sono arrivati nel 1990 erano dei marziani, traveller cyber-punk provenienti da Londra, Berlino, Barcellona, mescolati alle più diverse compagnie di artisti e teatranti che invadono Santarcangelo ogni estate. Ma in Romagna non si rimane marziani a lungo, è una terra che ama pensarsi popolata da personaggi singolari, i romagnoli non si stupiscono di nulla e la zona tra Gambettola e Santarcangelo è la mecca dei rottamai e customizzatori di motori e carrozzerie fin dal dopoguerra. Al bar del circolo in cui si gioca a bocce e a briscola ci hanno detto: “I Mutoid? Ma son dei patacca!”

 

Al momento l’amministrazione locale di Santarcangelo sta valutando lo smantellamento di Mutonia, decretando in qualche modo il destino di questo particolare villaggio. Quali conseguenze prevedete ne deriveranno per i mutoid? E quali per i santarcangiolesi?
L’ingiunzione di sgombero è arrivata questa primavera, appena dopo la caduta della giunta, come conseguenza della causa intentata da un vicino di campo per “abuso edilizio” e vinta dopo 10 anni di iter legale. Il fatto è che i Mutoid non hanno edificato nulla, ma le loro case mobili, truck, container, pullmann trasformati in laboratori di scultura e meccanica, sono tutti mobili e smontabili, ma non tutti possono essere regolarmente immatricolati. Come ad esempio una casa sull’albero, una doccia all’aperto, un capanno per gli attrezzi, la casetta del cane, delle galline, dei giochi dei bambini… Se il Campo fosse smantellato i suoi abitanti dovrebbero migrare nuovamente sulle rotte dei traveller con le loro case-guscio come seconda pelle, perdendo amici e lavoro (oltre che artisti o musicisti gli abitanti di Mutonia sono anche tecnici specializzati, editor, macchinisti teatrali e scenografi e scultrici come Lupan, KK e SU_e_side realizzano laboratori sul riciclo nelle scuole, installazioni e performance) e scomparirebbe una delle originalità per cui questo piccolo paese è conosciuta anche all’estero: le piadine, il festival di teatro, Tonino Guerra e i Mutoid!
Ma Santarcangelo perderebbe soprattutto dei propri cittadini a tutti gli effetti, il campo è un insediamento temporaneo ma anche un luogo di origine, homeland, una piccola hometown da cui partire e tornare. I figli e i nipoti dei primi arrivati adesso frequentano le scuole locali dalle materne alle superiori. Gli abitanti del campo hanno avuto molte conferme del sostegno degli abitanti del paese e della rete internazionale a cui sono collegati e gli amministratori locali prevedono di poter indire una conferenza di servizi che riunisca Comune, Provincia, Regione e Sovrintendenza ai beni architettonici e paesaggistici e scrivere una norma che dia spazio all’eccezionalità di un’esperienza che fa parte del patrimonio culturale e della storia contemporanea di quel territorio.

 

Con quale spirito presentate il vostro lavoro in un parterre importante e ampio come quello del Festival Internazionale del Film di Roma?
Siamo curiosi di vedere gli altri film presentati insieme al nostro e contiamo sul fatto che il pubblico del cinema contemporaneo, appassionato ed esigente, abbia già da tempo superato le categorie e le “sperimentazioni” che i grandi festival scoprono e premiano in questo periodo.

 

benitez pompeiRafael Benitez, allenatore di calcio, spagnolo ma con lunghe frequentazioni britanniche (avendo allenato in Inghilterra per molti anni), tanto da produrre contaminazione culturale, sembra che in questo momento sia il miglior “testimonial” della cultura e dei beni culturali di Napoli e della Campania.

Rafael, detto Rafa, divenuto dopo poche ore dal suo arrivo a Napoli Rafè (trasformato ormai in Don Rafè), ha infatti già fatto visita ad alcune delle più grandi miniere d’oro e cultura campane, come il Teatro San Carlo, gli Scavi di Pompei, il Palazzo Reale di Napoli, la Reggia di Caserta e la Cappella Sansevero, sottolineando al termine di ogni visita lo stupore per la bellezza riscontrata in luoghi, d’arte e storia, unici al mondo.

Il Gran Tour di Benitez, come è stato definito, è scaturito dalle segnalazioni arrivate dai tifosi del Napoli (e non) attraverso il suo sito ufficiale, sollecitati dallo stesso allenatore, poco dopo la firma sul contratto che lo avrebbe legato alla squadra ed alla città, a proporre un elenco dei posti più belli da visitare di Napoli e della Campania.

L’appello che è stato accolto immediatamente con gran piacere, ha trasformato i tifosi in “esperti culturali” che hanno sollecitato il loro beniamino a visitare i più bei luoghi d’arte campani. Sono piovute le raccomandazioni per mister Rafa: dalla Cappella di Sansevero agli Scavi di Pompei ed Ercolano, da Spaccanapoli al Teatro San Carlo, dalla Reggia di Caserta a Marechiaro.

E così Don Rafè non ha potuto sottrarsi alla voglia di conosce a fondo il territorio straordinario che lo ospita e, sorprendentemente, non si è limitato a visitarli “quei luoghi” e ad apprezzarne la magnificenza, ma si è trasformato in “portavoce” e “promotore” della bellezza di Napoli e della Campania e lungimirante “manager della cultura” con puntualizzazioni sulle strategie di valorizzazione.

Dopo le prime visite ecco, infatti, che una sua affermazione arriva subito in testa ai giornali ed alle discussioni sui social: “La Campania è bellissima, ma il marketing non è all’altezza. […] Luoghi come Palazzo Reale, il Cristo Velato in un altro paese, con un altro tipo di marketing sarebbero sicuramente venduti di più. Penso a Pompei, che è un luogo bellissimo ma si può vendere meglio e questo porterebbe anche lavoro e soldi al territorio”. Il risalto è stato tale da coinvolgere anche l’assessore alla cultura ed al turismo della Regione Campania, Pasquale Sommese, che cita Benitez come un ottimo “ambasciatore” e lo ringrazia per il suggerimento.

Ogni nuovo apporto di pensiero, ogni nuovo stimolo e ogni nuova opportunità per contribuire al rilancio e alla promozione del grande patrimonio culturale italiano – e campano – ben vengano!

Rafa Benitez, che ad ogni occasione utile cita la cultura e la passione per Napoli, intesa oltre la squadra di calcio, ha conquistato tante simpatie ed ha prodotto una ampia e positiva attenzione per i problemi legati alla valorizzazione dei luoghi d’arte, coinvolgendo, attirandone l’attenzione, Istituzioni, addetti ai lavori e cittadini (e tifosi!) che vivono tutti i giorni la città di Napoli ed i luoghi che la circondano, non accorgendosi – molto spesso – di tutta la bellezza che c’è intorno.

Un signore distinto e sorridente che arriva dalla Spagna (terra a cui la Campania è da sempre e storicamente particolarmente legata), che di mestiere fa l’allenatore di calcio, ha “aperto gli occhi” a molte persone provocando un grande richiamo con le sue visite, le foto e le affermazioni sui più straordinari siti d’arte della Campania. Aspettando le prossime visite, grazie a Don Rafè!

 

basilicatagirareIntervista al Direttore di Lucana Film Commission, Paride Leporace

 

Insieme alla Regione Basilicata avete promosso il bando per il finanziamento di produzioni sul vostro territorio, in scadenza l’11 novembre. Quali i principali punti di forza di tale opportunità?
Fino a duecentomila euro di finanziamento per ogni film da spendere sul nostro territorio. E una quota destinata a sperimentare la nascita di piccole imprese locali vocate all’audiovisivo. Si tratta della prima pietra per edificare un sistema di piccole e medie imprese che possano formare un distretto della creatività a supporto dell’industria cinematografica

 

Cosa consiglia alle PMI che si candideranno per ricevere i finanziamenti messi a disposizione? C’è magari qualche location particolare che vuole suggerire?
Consiglio innanzitutto di non pensare alla Basilicata come un bancomat da utilizzare nella forma usa e getta. Spero si ragioni tutti in modo virtuoso e mi auguro che qualche squalo che circola in questi ambienti venga demotivato dalla rigidità dei controlli che un bando europeo propone. Per chiarimenti abbiamo attivato un servizio FAQ consultabile dal nostro sito lucanafilmcommission.it. In merito ai set da proporre io preferisco chiamarli luoghi. La Basilicata è molto vasta, contrariamente a quello che restituisce il luogo comune. Si tratta di luoghi che a volte hanno visto l’alba dell’uomo. Sono poco abitati quindi molto cinematografici. Matera è un patrimonio dell’umanità e città del cinema. Ma abbiamo anche due mari, molti laghi, cime innevate e deserti brulli, paesini che sembrano presepi e nidi di vespe arrampicati sulle colline, cattedrali medioevali, palazzi barocchi, foreste, centri storici intatti, piccole savane, campi di grano, attrazioni con filo d’acciaio che imbracati vi conducono come un angelo da un paese all’altro a grande altezza. Un campionario di scenari naturali pronto a soddisfare ogni sceneggiatura da illuminare con una luce che ha già entusiasmato molti direttori della fotografia.

 

Che tipo di interazioni si attivano tra le produzioni che giungono da voi e le realtà locali, come imprese, associazioni, istituti culturali e amministrazioni?
C’è grande accoglienza e molta partecipazione. Le amministrazioni locali, a differenza dei luoghi metropolitani, non creano ostacoli burocratici, ma favoriscono permessi e mettono a disposizioni mezzi e risorse. Le relazioni corte lucane sono molto utili per risolvere i problemi di una produzione, dove ridurre i costi e i tempi è il primo risultato da raggiungere. Il mondo delle imprese deve attrezzarsi meglio, quello della cultura essere più propositivo.

 

Tra le produzioni che avete sostenuto in passato, quale a suo avviso ha meglio rappresentato e veicolato le bellezze della Basilicata?
“Basilicata coast to coast”, grazie ad un regista lucano come Rocco Papaleo e al racconto “on the road”, ha permesso di rendere riconoscibile la Basilicata e di renderla anche molto affascinante al visitatore che non cerca luoghi banali o scontati. Abbiamo favorito la distribuzione del film anche in Francia e  grazie a questo prodotto cinematografico abbiamo notato come  la nostra regione sia attraente anche all’estero. Tra l’altro molti studi indicano questa favorevole circostanza. Il film è nato grazie all’intuito del produttore che ha ricevuto attenzione e finanziamento dalla Regione Basilicata e dal ministero, godendo anche di un’ottima campagna pubblicitaria pagata da parte di alcune compagnie petrolifere operanti nella nostra regione. E’ stata un’ottima operazione di promozione territoriale, abbinata ad un prodotto di successo economico e artistico.

 

Che tipo di attività svolgete invece sul territorio per promuovere il cinema e la sua conoscenza? Che feedback riscontrate?
Siamo in stretto contatto con una rete di Centri della creatività, nati in Basilicata grazie alla Regione, che ha riqualificato delle vecchie cattedrali nel deserto inutilizzate affidandole a gruppi e cooperative che hanno partecipato ad un bando pubblico. In questi Centri abbiamo tenuto molti incontri con i territori e oltre ai lavoratori della creatività e del cinema abbiamo anche interagito con imprenditori, amministratori, banche e categorie produttive. La nostra narrazione dimostrativa convince sempre più persone. Siamo inoltre molto impegnati a difendere le sale cinematografiche esistenti e con un Apq tra governo e Regione speriamo di poter effettuare una sperimentazione sul nuovo cinema digitale nelle nuove sale del presente. Infine, e non da ultimo, dobbiamo formare dei cittadini spettatori che abbiano una buona cultura delle immagini, che le sappiano leggere e capire. Per questo è indispensabile partire dalle scuole e dall’Università.

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La Basilicata ha un lungo trascorso cinematografico: come spiega questa particolare vocazione?
Le inchieste sociali e i documentari aprirono la strada. Girare in Lucania era come andare in un posto esotico. Poi la spedizione di De Martino apri’ la vocazione antropologica che continua ancora oggi ad un cinema che indaga e prende a pretesto riti e costumi ancestrali. Poi la decisione di Pasolini di ritrovare la Palestina di Cristo a Matera e Barile per alcune scene monumentali del Vangelo segnerà per sempre la storia del Cinema. Da allora Matera in particolar modo, ma non solo, diventa set privilegiato per film legati alla vicenda di Gesù. Quasi un genere compresa qualche parodia, metacinema e qualche flop americano. Poi si gira “The Passion” di Mel Gibson che, grazie ai suoi incassi stratosferici e alle polemiche globali suscitate, ha fatto diventare Matera una delle mete di cineturismo più conosciute al mondo. A Pasqua il turista trova le croci sulla Murgia ormai diventato Golgota nell’immaginario collettivo. Poi c’è tutto il resto. L’esordio della Wertmuller, la trilogia di Francesco Rosi che riesce a impossessarsi dell’epopea contadina di Carlo Levi negli anni Settanta, la finta Sicilia di Tornatore. La Basilicata è un set naturale che ispira il cinema d’autore per contaminazione culturale di alcuni testi e per forza dei luoghi. Grandi documentari pure. Oggi il nuovo snodo. Mettere a sistema questo grande patrimonio.

Guarda l‘infografica che in 2 minuti ti spiega come partecipare al bando, che trovi in versione integrale qui

SONY DSCLa Calabria è una terra di contrasti, e l’ho capito durante il mio soggiorno sul versante ionico. Il mio punto fermo era Capo Rizzuto, una splendida area marina protetta con bellissime spiagge, incantevoli fondali, alle spalle delle quali sorge il comune di Isola Capo Rizzuto, un luogo privo di tessuto urbano dove sembrano essere sorte prima le case e poi le strade, dove le vestigia del paese sono abbandonate al peggiore degrado. Da Capo Rizzuto è facile raggiungere capo Colonna, Crotone ma viaggiando di più anche Cirò Marina e Scolacium.

In ognuno di questi siti c’è qualche attrazione archeologica e da buona archeologa non potevo saltarne nemmeno una. A Capo Colonna c’è la bellissima e solitaria colonna del tempio di Hera che svetta sul promontorio affacciato al mare ionico, dove l’unico rumore percepibile è quello del mare che si infrange contro le barche. L’area è a ingresso gratuito, come il vicino museo dall’allestimento impeccabile; un percorso ben ideato e scientificamente curato che guida alla scoperta della storia del territorio attraverso tre temi cardine: terra, sacro e mare. Inaugurato nel 2002 avrà certamente richiesto un notevole sforzo economico, eppure non si paga il biglietto, l’area per il bookshop non è allestita, non c’è un’area ristoro, nessun merchandising, nessun indotto.

Per mangiare si può andare nella vicinissima Crotone, la strada che collega i due siti è una bellissima passerella sul mare, ma se sono passate le due del pomeriggio ed è la prima domenica di settembre c’è il concreto rischio di dover ripiegare sull’unico esercente ancora aperto per pranzare sul lungomare crotoniate: un kebabaro turco. In compenso si può trovare aperto l’infopoint turistico dove si possono avere utili indicazioni su visite guidate della città e sull’importante museo archeologico. L’aneddoto divertente è che anche il lunedì a pranzo può capitare di dover ripiegare sul kebabaro turco, perché è settembre e i ristoranti del lungomare crotoniate applicano l’orario invernale, con annesso riposo settimanale, di lunedì.

Se non siete appassionati potete anche risparmiarvi di andare a visitare i resti del tempio di Apollo Alaios a Cirò Marina, perché ne rimangono solo i blocchi di fondazione. Se però, caparbiamente, decidete di andare preparatevi a sentirvi umiliati e offesi. Umiliati come italiani e offesi come cittadini quando vedrete che i resti del tempio sono “protetti” da una recinzione in filo spinato all’interno di un’area destinata al pascolo di cavalli, con un enorme complesso industriale a un centinaio di metri di distanza. Se cocciutamente volete visitare le vestigia di un tempio che ovunque, oltre ad essere rispettato, sarebbe anche valorizzato diversamente, prestate attenzione a dove mettete i piedi: i cavalli non possono avere riguardo di qualcosa di cui non abbiamo riguardo noi per primi.

Se poi avete la possibilità di muovervi verso sud, oltre Catanzaro, non potete mancare il sito di Scolacium. Non importa se non ne avete letto niente da nessuna parte, se non ci sono indicazioni stradali per raggiungerlo, nemmeno al bivio che vi conduce al sito, con quel po’ di fortuna necessaria a trovarlo vedrete un posto splendido.

Uno storico e immenso oliveto con piante secolari all’interno del quale hanno rintracciato l’antica città romana di Scolacium. Potete vedere il foro, il teatro, l’anfiteatro, ma anche il museo dell’olio, oltre a quello archeologico, dove ci sono macchinari di inizio ‘900. Camminare tra gli ulivi non ha prezzo, è un posto capace di distendere gli animi e i pensieri. Anche qui niente biglietto, niente bookshop, ma qualche macchinetta per l’erogazione di caffè e merendine.

Insomma non sempre in Italia non si spendono soldi per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali, qualche volta si spendono, anche bene, ma l’investimento non finisce con la realizzazione del parco archeologico o del museo. Si deve proseguire con delle scelte di marketing appropriate, si deve promuovere il bene, si deve offrire ristoro e merchandising ai turisti, ma soprattutto si deve fare rete con strutture alberghiere e ristoratori perché l’indotto è la grande potenzialità del turismo culturale, come ha ben capito il kebabaro di Crotone.

 

certaldoboccaccioGrazie al web, moltissime sono le iniziative che permettono a lettori, scrittori, appassionati di arte cultura e letteratura di tutto il mondo di incontrarsi e conoscersi; ora anche i Comuni fanno Reti per dare vita a idee e percorsi creativi volti a valorizzare il loro territorio e i loro illustri antenati.

A Certaldo, piccolo ameno paesino della provincia di Firenze in Toscana, lunedì 21 ottobre è stata presentata in maniera solenne l’iniziativa del “Progetto Europeo Città dei Grandi Letterati”.
Alle ore 9.30, nel Palazzo Pretori a Certaldo Alto, si è illustrato il progetto che coinvolge diverse città gemellate, accomunate dalla prestigiosa peculiarità di aver dato i natali a grandi insigni letterati: Certaldo stesso patria di Giovanni Boccaccio; Canterbury (UK) di Geoffrey Chaucer, autore dello storico ‘Canterbury Tales’; Chinon, piccola cittadella sulla Loira, culla dell’umanista Francois Rabelais, celebre per Pantagruel e Gargantua; Neuruppin, in Germania, casa natale di Theodore Fontane, di cui tutti conosciamo la raccolta di favole.
Situato al centro della Valdelsa, Certaldo con i suoi 15.791 abitanti si è sbizzarrito per valorizzare il proprio territorio stringendo ormai da 50 anni forti legami di amicizia e di scambio con diversi comuni gemellati, dall’Europa al Giappone. Quest’anno, per festeggiare in modo speciale i 700 anni dalla nascita di Giovanni Boccaccio, il calendario di iniziative si è presentato assai ricco e ben organizzato.

Tantissimi eventi si sono susseguiti fin dall’inizio di quest’estate, come istallazioni, mostre itineranti, letture spettacolo, convegni e concerti che hanno coinvolto molte personalità ed artisti di rilievo; oltre a festival, seminari, iniziative, premi e concorsi che hanno contribuito ad avvicinare il giovane pubblico.
Numerosi turisti locali e stranieri hanno avuto occasione di partecipare agli ‘Itinerari culturali’ ideati per valorizzare il paesaggio storico, letterario e artistico di circa trenta Comuni toscani di tutte le province, attraverso i luoghi del Decameron: quattro percorsi nella Toscana del Trecento, passando per piccoli paesi, città importanti, colline, fiumi, boschi e montagne, guidati dalle novelle di Boccaccio.
Proprio in questi ultimi giorni, da venerdì 18 ottobre a martedì 22, nel centro storico si sono festeggiati i tradizionali gemellaggi con degustazioni di prodotti tipici tedeschi e menù cucinati dall’Accademia dei Cuochi di Neuruppin (Germania), l’apertura della mostra omaggio degli artisti stranieri a Giovanni Boccaccio con opere di pittura, grafica, scultura e si è concluso martedì con l’inaugurazione degli alberi dedicati a Kanramachi, paese gemellato del Giappone.
Con il “Progetto europeo Città dei grandi letterati”, questa rete di entusiasti Comuni propositivi si vuole impegnare ad unire forze ed idee creative per studiare possibili itinerari turistici al fine di valorizzare le opere dei loro illustri letterati attraverso percorsi, mostre, spettacoli e altre iniziative da pensare insieme.

Ed è il Web lo strumento fondamentale per la gestione e realizzazione di queste reti, grazie al quale è possibile stringere contatti e creare iniziative che coinvolgono diversi angoli del globo; rimane il problema della modalità di utilizzo dei network, in modo che siano capaci di garantire sempre qualità ed efficienza anche e soprattutto dal punto di vista culturale.

Nel grande mare magnum del web infatti sono centinaia le riviste culturali on-line, community e blog ma è di certo ben più raro incontrare piattaforme qualificate, dove celebri scrittori si aprono al grande pubblico per consigliare, invitare alla lettura e a un confronto critico, come è il caso di ClubDante, primo social network italiano dedicato alla cultura narrativa, strutturato in diverse sezioni tra cui l’Agorà, ossia l’area del forum, e l’angolo delle recensioni che ospitano nomi di scrittori importanti dall’Italia, la Spagna e paesi dell’America Latina quali Marcello Fois, Domenico Starnone, Roberto Saviano, Carlo Lucarelli, Paolo Giordano, Luis Sepùlveda, Paco Ignacio Taibo II e molti altri. O anche HALMA, rete letteraria pan-europea fondata nel 2006 dall’associazione Literary Colloquium Berlin che coinvolge una fitta rete di scrittori, traduttori ed editori perlopiù provenienti dall’est Europa, ma da poco conosciuta anche in Italia.

Nonostante la cosiddetta crisi, a livello locale sono per fortuna ancora tante le iniziative organizzate per conoscere e scambiarsi idee e progetti per valorizzare il proprio patrimonio storico-artistico-culturale, oltre che incentivare la scoperta e la creatività delle nuove generazioni.
È importante però che non solo dal mondo di privati e associazioni ma anche da parte dei Comuni si stiano investendo molte risorse per organizzare tanti piccoli eventi culturali, di cui le “Notti della letteratura europea” e il “Festival dei blog letterari” sono esempi importanti di scelte che appaiono controcorrente rispetto al patetico adagio che si ostina a sostiene che con la cultura non si mangia.
Mettendosi insieme si può mangiare, e bene, come sembrano dimostrarci le numerose iniziative promosse dall’Associazioni e Reti di Comuni in Italia, dove Comuni uniti da identità culturali, sapori tipici, bellezze naturali, arte, storia, tradizioni o ideali, anche attraverso il web, fanno Rete per valorizzare e incentivare le proprie bellezze e potenzialità.

terrafuochiLa terra dei fuochi: sull’argomento si è già detto tanto. Il tema è stato ampiamente trattato, in tutti i suoi aspetti più inquietanti ed angoscianti, dalle più eminenti fonti di informazione e di approfondimento di fenomeni sociali e di degrado sociale.
Ci troviamo, senza dubbio, di fronte ad uno dei casi di disprezzo per il territorio più grave che si possa ricordare da sempre.
Cosa può scrivere, su tale argomento un giovane, campano, che si è formato credendo che la cultura e la valorizzazione della cultura, legata al territorio e all’amore per quest’ultimo, possano essere la chiave di lettura del nostro futuro? Cosa può pubblicare una testata che segue i tempi della cultura e dell’economia della cultura, che vada oltre l’accusa o la retorica?

Parlare della Terra dei Fuochi è difficile, soprattutto se si vuole andare “oltre”, se si vuole guardare al futuro e, necessariamente, trovare una via di uscita.
La consapevolezza di trovarsi di fronte ad una situazione disastrosa, non da ieri, ma da anni, rende l’approccio difficile, soprattutto nel superare la rabbia istintiva e la sensazione di impotenza per i danni provocati alla propria terra, o… alla terra degli altri!

Ora, però, è tempo di trovare soluzioni. Vanno cercate, attuate e perpetuate.
Difficile intravedere spiragli, note positive o anche barlumi di luce in fondo a questo tunnel grigio scuro e nero, come i fumi che si alzano da anni tra le terre fertili della Campania.
Ma, da qualcosa bisogna iniziare. Parlavamo di “cultura”, proviamo a declinare il termine e a farne la nostra chiave di lettura.


Cultura è consapevolezza e conoscenza.
Finalmente se ne parla, finalmente ci si rende conto che la terra non ingoia tutto senza “protestare”, ma che prima o poi presenta il conto. Ed il conto è salato.

 

Cultura è partecipazione.
Le Istituzioni devono a tutti delle risposte e tutti le aspettano; i segnali arrivano ed è necessario seguirli – senza mollare – perché è un diritto sacrosanto aspettarsi soluzioni e fatti concreti: leggi speciali, iniziative, ascolto dei cittadini e dei primi cittadini delle città coinvolte, individuazione di case history d’eccellenza in tema rifiuti del mondo, e tanto altro, la politica può!

 

Cultura è informazione e sensibilizzazione.
La stampa, gli intellettuali, gli scrittori, i registi, possono fare qualcosa? La risposta è certamente affermativa. Continuare a parlarne, più possibile, raccontare le storie, la realtà, quello che si vede camminando lungo quelle strade distrutte, stuprate, martoriate da rifiuti di ogni genere provenienti da ogni parte d’Italia e d’Europa. Sensibilizzare non solo chi vive questa realtà, ma soprattutto chi non la vive e ha bisogno di capire.

 

Cultura è amore, appartenenza e rispetto.
Ed infine, i cittadini, possono fare qualcosa? Sì, possono fare la cosa più importante, che forse oggi non sarà “visibile” ad occhio nudo, ma nel tempo sarà la cosa più importante. Possono riappropriarsi delle loro terre, possono amare di più tutto ciò che li circonda, sentirsi appartenenti al territorio ed essere consapevoli e coscienti della ricchezza della terra ed i suoi frutti e farne “bene” e “valore” comune.

Prendendo in prestito le parole di una grande persona del nostro tempo:
“La Terra non appartiene a nessuno o non dovrebbe appartenere a nessuno; i suoi frutti appartengono a tutti o dovrebbero appartenere a tutti. Eppure l’avidità di pochi prende possesso di immensi spazi, estromette intere comunità, distrugge la bellezza del paesaggio e la fertilità dei suoli, gli arroganti prevalgono sugli umili. Umile, da humus, colui che è vicino alla terra. Da sempre amo quella parte di umanità che si prende cura della Terra.”
Carlo Petrini

Ecco, cultura è consapevolezza, conoscenza, partecipazione, informazione, sensibilizzazione, amore, appartenenza, rispetto

E’ una questione di cultura: ripartiamo da qui, tutti, insieme.

 

 

 

metapontosommersoNon sono solo naturali le cause che l’8 ottobre scorso, per la terza volta in cinque anni, hanno provocato l’inondazione del Parco archeologico dell’Area Urbana di Metaponto, sommersa da circa 80 mila metri cubi di acqua, fango e detriti. Coperti totalmente i templi di Apollo Lykaios, di Artemis e di Atena e i quartieri abitativi e produttivi; dalle acque melmose emergono solo parzialmente le sommità del Tempio di Hera e dell’Ekklesiasterion/Teatro.

Che il territorio tra le foci dei fiumi Bradano e Basento, fosse “fragile” lo avevano capito ante litteram gli stessi coloni greci che, provenienti dall’Acaia nel nord del Peloponneso, nella seconda metà del VII secolo a.C. fondarono la città di Metaponto. Per primi “modificarono” il paesaggio della piana metapontina e per rendere disponibile il territorio agricolo ai coloni, nel corso del V secolo a.C., intrapresero un’ importante opera di bonifica dell’area. Una fitta rete di canali, documentata archeologicamente tra il Bradano e il Cavone, permise di drenare le acque piovane dai terrazzi verso l’ampia vallata costiera e da quest’ultima verso i due fiumi e la linea di costa, ridimensionando l’endemico fenomeno degli impaludamenti e delle alluvioni.

Oggi, invece, l’uso del territorio metapontino è diventato una pratica incontrollata di disboscamenti, di espansioni di aree agricole e di occupazioni edilizie, dovuta non solo a mancate pianificazioni, ma anche a speculazioni che ne hanno determinato il dissesto idrogeologico rendendo, di conseguenza, ingestibile la tutela del Parco archeologico dell’Area Urbana, testimone dell’antica colonia greca.

Manca di fatto nella comunità e nell’amministrazione dei territori un’alfabetizzazione di base per poter tutelare e conservare il paesaggio, che come recita la Convenzione Europea del Paesaggio del 2000 “è una determinata parte del territorio, cosi come percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni” e che soprattutto “svolge funzioni di interesse generale, sul piano culturale, ecologico, ambientale e sociale” come dovrebbe disciplinare la Legge n. 14 del 9 Gennaio 2006!

 

Ada Preite, archeologa, dottoranda EPHE – Paris, segretario sezione Basilicata Associazione Nazionale Archeologi – ANA

 

 

paesaggioeccellenzaintervistaIn un momento difficile come questo per le imprese italiane, ci sono notizie che aiutano a sperare. L’Associazione “Il Paesaggio dell’Eccellenza” ha infatti ricevuto il prestigioso Premio Internazionale sullo Sviluppo Locale. La consegna del riconoscimento è avvenuta lo scorso 4 ottobre a Cluses, il più famoso distretto industriale francese.
Questa realtà marchigiana e italiana è stata premiata per la capacità di coinvolgere aziende diverse su temi di interesse generale, riservando grande attenzione per la preservazione del paesaggio, la tutela di prodotti di qualità e la valorizzazione del lavoro. Il Paesaggio dell’Eccellenza è inoltre da sempre impegnato a conservare quella memoria storica delle imprese e delle competenze professionali che hanno fatto del Made in Italy un valore riconosciuto in tutto il mondo.

Abbiamo voluto saperne di più dell’attività di questa associazione culturale, rivolgendo qualche domanda al direttore Alessandro Carlorosi.

 

Quando e come nasce l’Associazione “Il Paesaggio dell’Eccellenza”?
L’Associazione “Il Paesaggio dell’Eccellenza” nasce da un’ipotesi progettuale partita nel 2003 su proposta del gruppo FIMAG iniziative Guzzini, che ha istituito un comitato promotore cui hanno aderito il Comune di Recanati, l’Università di Camerino e lo Studio Conti.
Dal comitato promotore è stato elaborato un documento progettuale per la costituzioni di un Centro Studi e documentazione della realtà produttiva del distretto recanatese. Successivamente sono state coinvolte altre importanti imprese del territorio, delle vallate del Potenza e del Musone, distretto a cavallo tra le province di Macerata e Ancona a forte vocazione multisettoriale, che hanno deciso di aderire a questo progetto culturale.
Nel 2005 si è deciso di istituire questa associazione no profit. Aderirono circa 20 imprese ed alcuni enti locali, come appunto l’Università di Camerino, il Comune di Recanati, la Camera di Commercio di Macerata, formando un fronte comune estremamente eterogeneo, ma motivato nel raggiungere le finalità del Paesaggio dell’Eccellenza.

 

Quali le finalità che l’Associazione si è posta? Con quali risultati fino ad ora?
Le finalità sono quelle di perseguire scopi culturali, di promozione e valorizzazione del patrimonio industriale ed artigianale, inteso come complesso di tradizioni ed esperienze innovative, in riferimento a tecniche, tecnologie, attività della produzione, professioni, uomini e imprese. Più in generale ci impegniamo nella conservazione, valorizzazione e promozione della cultura di impresa e del paesaggio marchigiano quale elemento coesivo.
E’ stato fondamentale fare una prima consultazione con tutti gli imprenditori associati, ascoltandoli uno ad uno, cercando una via comune sulla quale abbiamo cominciato a lavorare.
La necessità primaria è stata quella di avviare rapporti con le scuole e i giovani, coinvolgendo gli istituti locali e gli stessi docenti su questi temi. Il risultato è stato quello di avvicinare, con attività concrete, l’impresa alla scuola.
Iniziative, eventi e attività hanno invece portato alla costituzione del museo del patrimonio industriale, uno tra i primi obiettivi posti nel progetto, creando in questo modo un luogo fisico per far conoscere questo patrimonio e queste storie.
Sul fronte iniziative è interessante ricordare le partecipazioni annuali alla Settimana della Cultura d’Impresa promossa da Confindustria e organizzata da Museimpresa. In queste occasioni abbiamo portato, spesso nelle Università del territorio, delle iniziative mirate a trasferire esperienze locali e nazionali, sui temi legati al lavoro e alla cultura d’impresa, invitando ad esempio importanti professionisti del settore.
Alla costituzione del museo ha contribuito anche tutto il lavoro di raccolta della documentazione che è avvenuto a seguito della realizzazione di eventi o iniziative mirate, come l’organizzazione del concorso fotografico “Paesaggi del Lavoro”. Il contest ha permesso a molti fotografi di entrare nelle imprese e raccontare i luoghi del lavoro e analizzare il rapporto tra architettura industriale e paesaggio, costituendo così un fondo di circa 500 immagini di grande valore documentativo.
Il Museo, denominato Centro Studi Il Paesaggio dell’Eccellenza, ha trovato sede stabile nel giugno del 2010 presso la Galleria Civica Guzzini a Recanati e ospita un’area permanente che racconta l’Associazione e uno spazio dove si alternano esposizioni e iniziative organizzate dall’Associazione o in alcuni casi dalle imprese associate.

 

Cosa ha significato vincere il Premio Internazionale di Sviluppo Locale?
Sicuramente è stata una grande soddisfazione per il lavoro svolto in questi anni, cominciato da zero, attraverso cui si è potuto creare un qualcosa che non esisteva nel nostro territorio. Grande soddisfazione anche per le imprese e gli enti associati, che hanno investito tempo e denaro in un progetto culturale che sta dando frutti soddisfacenti, iniziando ad essere considerato a livello nazionale ed internazionale per la sua capacità di aver messo insieme aziende eterogenee, sia in dimensioni che in produzione, con istituzioni pubbliche.
Nel contesto del Premio Internazionale di Sviluppo Locale abbiamo avuto la possibilità di confrontarci con altre case history, a livello internazionale, provenienti ad esempio da Tunisia, Argentina, Marocco e altri progetti simili in altri Paesi.

 

In che modo l’Associazione si impegna nel sostenere le imprese del territorio, molte delle quali colpite dalla crisi?
Il ruolo dell’Associazione è quello di lavorare su un piano differente da quello del business e di profitto economico delle aziende. Vogliamo fornire un terreno comune, quello della cultura, in cui identificarsi e poter partire, creando una nuova occasione di dialogo tra le imprese, associate e non, e soprattutto tra le aziende e le istituzioni pubbliche per dare una solida base alla crescita futura delle comunità.

 

Quello dell’Associazione rappresenta un modo per far rete?
Attraverso il nostro progetto, negli incontri associativi, sono nate opportunità per le imprese, come commissioni di lavori sul territorio, che contribuiscono al miglioramento del paesaggio e dei centri storici, o addirittura il semplice incontro tra imprenditori durante un evento o una riunione, hanno avviato strategie comuni in campo economico. C’è un bilancio sociale, ma anche risultati in termini di possibilità di collaborazioni tra le imprese, che sono state poi proseguite sul piano commerciale autonomamente.
Ovviamente la rete è nata e prosegue con il principale intento di lavorare sul terreno della Cultura d’Impresa a favore del territorio con tante iniziative in cantiere o da avviare.

 

Quale collocazione ritiene avranno le imprese marchigiane e italiane nel prossimo futuro, anche in considerazione della concorrenza estera?
A mio avviso hanno tutti i numeri sul piano industriale e del lavoro per competere; hanno meno numeri sul piano burocratico, creditizio e in termini di politiche industriali del nostro Paese. Molto spesso, per tali motivazioni, ascoltiamo imprenditori con progetti interessanti che trovano però difficoltà a realizzarli nel contesto nazionale. Le nostre imprese possiedono però tutte le caratteristiche per vincere la crisi e la concorrenza estera.
Nello specifico, le aziende marchigiane puntano ad un ritorno sulla produzione, non dei grandi numeri, ma dall’elevata qualità. In questo caso l’associazionismo può essere utile per esportare l’idea di fronte unito.
In questo momento lo scenario economico vede venir meno l’esternalizzazione di alcune fasi produttive per gli elevati costi, soprattutto nel controllo, nella gestione e nel trasporto dei beni, che rischiano di far uscire i prodotti dal prezzo di mercato.
Le imprese del nostro distretto hanno la straordinaria capacità di ideare e realizzare i loro prodotti totalmente al loro interno, in una filiera estremamente corta che garantisce l’elevata qualità del prodotto e la capacità di creare ricchezza economica e sociale sul territorio.

 

Si tornerà dunque a produrre interamente in Italia?
Questo non so dirlo. Ma posso assicurare che esistono molte imprese nella Marche, è bene dirlo, che vantano 50, 100 anni di esperienza. Hanno dunque produzioni totalmente interne, poiché in questi anni si è creata una competenza molto alta e specializzata, e anche la tecnologia è all’avanguardia, grazie agli investimenti fatti nel tempo.
Ci sono dunque le possibilità per affermarci e farci ancora valere.

 

 

 

Associati de “Il Paesaggio dell’Eccellenza”

Acrilux – Banca di Credito Cooperativo di Recanati e Colmurano – Brandoni – Campetella Robotic Center – Castagnari Organetti – Clementoni – Fbt elettronica – Garofoli Vini – Pigini Fisarmoniche – Rainbow – Soema – Studio Conti – Valenti&Co.

Gruppo Guzzini: Fratelli Guzzini – Gitronica – iGuzzini illuminazione – Teuco

Gruppo Garofoli: Garofoli Porte – Gidea

Gruppo Pigini: Eko Music Group – Eli edizioni – Rotopress International – Tecnostampa

Gruppo Somi: Somidesign – Somipress

 

Soci onorari

Comune di Recanati – Fondazione ITS Recanati – ITIS “E. Mattei” Recanati – Università di Camerino

 

 

pescespadaziamariaZia Maria era un’aristocratica jonica dall’aria decisamente magnogreca. Cucinava con delicato ingegno: ho imparato questa ricetta, dopo averne sperimentato il gusto sublime in una di quelle case à la Camilleri, tutte trumeaux e boiseries all’ombra del Monte Tauro. Altri tempi, certo, ma la ricetta rimane potente anche nell’universo digitale, oggi diremmo soltanto che è smart. Il pescespada, va detto per cominciare, è considerato autoctono pur essendo migrante; attraversa lo Stretto di Messina in primavera, per deporre le uova lungo la costa nordafricana, e torna indietro ad agosto. Non è un caso che risulti molto più saporito a maggio.

Catturato con la fiocina in un rito quasi mistico e del tutto silenzioso (la canzone di Modugno rimane un pezzo di storia ma durante la pesca non fiata nessuno), il pescespada finisce male quando lo si cucina alla brace o, peggio, sulla piastra, il che lo rende piuttosto stopposo. Muore con molta più dignità in altre cotture, alla ghiotta per esempio, cioè con cipolla, pomodoro, sedano, olive e capperi (un chiodo di garofano non guasta), oppure in forma di involtini, in modo che il ripieno renda il sacrificio più dolce. L’abbia appresa da qualcuno con un patto di omertà culinaria o l’abbia inventata, zia Maria ci regala una ricetta facile, di sicuro effetto e di antica nobiltà.

 

 

 

Ingredienti:

– fettine di pescespada (meglio se conosciuto personalmente e non emerso dalla refrigerazione metropolitana)

– pangrattato

– menta

– capperi

– aceto di vino

– olio

– sale

 

Preparazione:

Le fettine non dovrebbero essere troppo sottili, né troppo spesse. In una teglia rettangolare vanno adagiate su un’ombra d’olio, salate e cosparse da un velo di pangrattato, decorate con capperi (dissalati, ovvio) e foglie di menta fresca, e percorse da un filo d’olio possibilmente timido. L’aceto va messo in una tazzina e spruzzato sul tutto con le dita, senza esagerare. Cottura a bagnomaria, quindi la teglia va coperta, messa dentro una teglia più grande con un suolo d’acqua e cotta a fuoco molto moderato.

 

Da abbinare con:

 

cantimusiche

 

La preparazione è breve ma una volta a tavola si può protrarre il godimento di gusto, vista, olfatto, e tatto (il pescespada di zia Maria si squaglia in bocca) con un adeguato sfondo che accarezzi l’udito: i “Canti della Terra e del Mare di Sicilia” pubblicati nel 1907 da Alberto Favara, al quale si deve anche il “Corpus” delle musiche popolari dell’isola (ne circolano clandestinamente alcuni adattamenti davvero potenti per mano del chitarrista e cantante Eugenio Favano).

 

 

 

 

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Leggere non si può, soprattutto perché la voce recitante oscurerebbe gemiti e mugolii dei commensali. Ma prima di cominciare, magari durante un primo discreto, si può raccontare la pesca dello xiphias (il nome greco del pescespada) così come argomenta Serge Collet, antropologo francese che ha speso un anno sullo Stretto e raccolto le narrazioni più antiche e le esperienze più disparate nel libro “Uomini e pisci. La caccia al pescespada tra Scilla e Cariddi”, pubblicato a Catania da Maimone nel 1989.

 

 

 

 

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Un dipinto? Certo “La Vuccirìa” di Renato Guttuso, custodita a Palazzo Steri a Palermo, ma anche l’affresco che decora il soffitto del Teatro Vittorio Emanuele di Messina, che per mano dello stesso Guttuso e della sua bottega racconta la storia di Colapesce, un eroe ittico che tuttora regge dal fondo del mare la punta a nord-est della Sicilia, Capo Peloro (così narra la tradizione). In questo affresco si coglie la mescolanza di verdi e blu dello Stretto, quella stessa magnifica ibridazione cromatica che faceva dire a Giovanni Pascoli, più o meno: “Se immergi la mano nello Stretto la tiri fuori dipinta di blu”.

 

 

 

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Sulle sponde dello Stretto si parla tanto, ma i maligni dicono si faccia molto di meno. Non si “quaglia”, come si dice nel gergo locale. Lo disse e lo scrisse, negli ultimi anni del sedicesimo secolo, William Shakespeare che ambienta proprio a Messina “Much ado about nothing”. Nel 1993 ne ha realizzato un film solare e ammiccante Kenneth Branagh: tra prati e case di pietra (forse poco peloritane) recitano Emma Thompson, Keanu Reeves, Kate Beckinsale, Denzel Washington, Michael Keaton e lo stesso regi-sta.

 

 

 

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Che cosa bere? Una ricetta così morbida ed elegante chiede lo champagne. Dai contrafforti dell’Etna il solido Benanti ci offre un metodo classico, “Noblesse”, dovuto al vitigno etneo Carricante in purezza e alla sapienza dell’enologo Salvo Foti. Ricco e lungo, sottolinea la sinuosità del pescespada con grande rotondità archetipica di aromi.

 

Grosseto CECIntervista a Maurizio Cont e Gianmarco Serra, responsabili del progetto di candidatura di Grosseto e La Maremma a Capitale europea della Cultura 2019.

 

 

Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono le strategie e il progetto del 2019?
L’Europa entra nelle case. Si vuole creare qui un presidio, un distretto, una diffusa e capillare sensibilità culturale dove il Paesaggio capitale è la prospettiva del mondo contemporaneo. Riscattarsi dalla prospettiva della narrazione retorica e delle maschere e assumersi la responsabilità di affrontare seriamente l’amletico problema. Il progetto di Candidatura della Maremma a Capitale Fluttuante Europea 2019 della Cultura, della Natura e dell’Amore nasce da ideali anti-identitari (cioè antitetici a qualunque referenza identitaria: identità nazionale, locale, etnica, religiosa, linguistica, culturale, politica, sessuale, territoriale, ecc., e da qualunque punto di vista: psicologico, antropologico, storico, sociologico, filosofico, sessuologico, ecc.) e fonda ogni sua prospettiva sul cosmopolitismo. Non si ragiona di identità ma di responsabilità. Le radici sono quelle planetarie, l’appartenenza è al cosmo.

Nell’ottobre 2012 c’è stata l’Annunciazione e l’apertura di un dibattito sui Paesaggi anticipati (laddove il Paesaggio è la dimensione della dignità dell’essere e l’anticipazione l’opposto del ritardo, della passività) e sull’agire senza referente (al sindaco, alla mamma, allo sponsor, al pubblico questa cosa non piace…) per restituire il senso dell’azione alla sola meccanica della necessità e dell’assoluto.

La strategia prevede l’abbandono della malattia burocratica e autoritaria (laddove lo stesso bando europeo parla di autorità), sforzandosi di essere quanto più possibile indipendenti in ogni scelta. Con la candidatura si segna nuovamente e finalmente una linea netta di separazione tra cultura ed economia (e dunque turismo): cultura ed economia hanno finalità e funzioni diverse nella vita personale e sociale, sono cose separate che vanno tenute separate. Così come lo spettacolo della cultura e la cultura dello spettacolo: nella candidatura ci si sottrae al taglio del nastro e all’enfasi dei lustrini. Il pubblico non esiste.

Ciascuno spazio – cioè qualunque casa o luogo – può decidere di essere colpita da un meteorite (simbolo delle azioni del 2014) e divenire con ciò dimora della cultura, luogo che ospita una rivoluzione (40mila posti letto vuoti d’inverno in tutta la Maremma). La candidatura prevede solo ruoli attivi per chi partecipa. Non si riconosce il linguaggio delle minoranze o delle maggioranze: ogni azione è per tutti e per nessuno. Tutte le discipline e ogni tema sono ammessi purché chi agisce, intenda superarsi, rivoluzionare per primo se stesso.

Hanno aderito alla candidatura 216 imprese locali.

 

 

Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?
Il Tenente Colombo ha ben presente che l’assassino farà di tutto per sfuggirgli e sa che ha circa un’ora per incastrarlo e dunque in un tempo limitato e con le risorse a disposizione sfrutta tutto il proprio talento e ogni più piccola energia. L’intelligenza va coltivata: ciascuno è responsabile della propria.

 

 

Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?
Non ci sono precedenti. Tutto è nelle mani di chi aderisce. Le possibilità di successo sono una su centomila.

 

 

I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?
Grosseto non è una città d’arte e questa non è una candidatura sulla storia passata: in gioco c’è il presente, quello che si vuole fare di se stessi; riconoscere un merito culturale alle pietre o alle opere d’arte realizzate nel passato è assurdo: la Capitale Europea della Cultura deve esserlo per la cultura, le visioni che produce sul presente e la sua capacità di illuminare l’intera Europa con la sua forza rivoluzionaria: i paesaggi anticipati sono questo. Tutti sono coinvolti perché tutti possono diventare attivi dal punto di vista culturale, finanziando e ospitando in casa loro lo studioso, l’artista, lo scienziato che più pensano possa aiutarli a crescere e superarsi.

 

 

Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?
Gli effetti sulle persone che vivono in Maremma sarebbero gli stessi di quelli di un miracolato.

 

 

Leggi le interviste alle altre candidate a Capitale europea della Cultura 2019.

ReggioCalabria CECIntervista al Prof. Francesco Adornato, Presidente del Comitato Scientifico responsabile del progetto di candidatura di Reggio Calabria a Capitale europea della Cultura 2019.
Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono le strategie e il progetto del 2019?
È un’identità le cui radici hanno lontane e significative origini e dalle quali si è diffusa una più ampia civiltà euro-mediterranea. Ulisse e Enea hanno attraversato il mare che bagna Reggio Calabria e sulle sue coste è approdato San Paolo. Non solo. La città ed il suo territorio, anche per via della posizione centrale rispetto alle rotte mediterranee, sono stati da sempre luogo di incontro e contatto di diverse culture. Di qui, percorsi e stratificazioni culturali di origine greco romana, bizantina, araba, medioevale, confermati tanto dal patrimonio archeologico e artistico, quanto dalla presenza ancora attuale di minoranze linguistiche ed etniche e, più recentemente, da numerose comunità di immigrati di area mediterranea, che costituiscono un’autentica emergenza umanitaria per l’Europa intera. Non a caso, il titolo del progetto che la Città presenta a sostegno della sua candidatura  è “ Reggio Calabria porta del Mediterraneo”.
Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?
L’obiettivo della candidatura di Reggio Calabria è quello di mettere al centro il tema della integrazione e della promozione di un’autentica dimensione interculturale, che servirà a rafforzare l’unità nella diversità delle culture comunitarie e la loro integrazione, pur nella differenza, nei rapporti con le comunità degli immigrati e, più in generale, con le culture mediterranee. In questo senso, gli asset storici e multiculturali di cui la città ed il suo territorio dispongono, vanno oltre lo spazio del mito e della classicità per diventare elementi fondamentali nel dialogo interculturale dei popoli.
Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?
Probabilmente, in modo particolare, possono riguardare qualche carenza infrastrutturale, specialmente per quanto riguarda il collegamento con le zone interne. Ma il programma delle iniziative previste è articolato in modo opportunamente diffuso e ciò consentirà gli opportuni interventi per sopperire a tale ritardo.
I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?
Il programma può contare, innanzitutto, sul coinvolgimento e il sostegno delle istituzioni locali territoriali: oltre che il Comune proponente, la Provincia e, a livello più generale la Regione (Giunta e Consiglio) e, nel rispetto dei ruoli, la Prefettura di Reggio Calabria, che ha avviato l’iniziativa. È significativo, tuttavia, che gli imprenditori e gli operatori economici abbiano aderito e partecipato alla discussione attraverso le loro rappresentanze, ovvero Confindustria e Camera di Commercio, stimolando in tal modo il coinvolgimento delle imprese nelle iniziative previste nelle diverse realtà territoriali reggine. Il risultato che ci attendiamo dal progetto è che il tessuto economico reggino e della provincia possa avere margini di crescita e di rafforzamento, all’interno di una logica di sviluppo che intende fare della cultura un volano per nuove iniziative economiche.
Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?
Da punto di vista ideale rimarrà una grande prova di cittadinanza attiva, ovvero di una comunità che vuole manifestare attraverso il progetto la sua determinata volontà di riscatto. Resteranno inoltre le esperienze e gli scambi che, sul piano culturale, andranno ad arricchire i cittadini e la collettività nel suo insieme, rafforzandone un’identità inclusiva e dialogante. Dal punto di vista materiale resteranno, in particolare, gli interventi pubblici e privati che, nell’ambito dei Progetti integrati di sviluppo urbano, vogliono realizzare una visone strategica di città sostenibile.

 

 

Leggi le interviste alle altre candidate a Capitale europea della Cultura 2019.

CagliariIntervista a Enrica Puggioni, Assessore alla Cultura del Comune di Cagliari.

 

 

Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono le strategie e il progetto del 2019?

Il nostro territorio presenta caratteri di unicità – paesaggistici e geografici, linguistici, storico-culturali – e nello stesso tempo partecipa da sempre a un respiro chiaramente europeo.
Situata in una posizione strategica, luogo millenario di incontri, centro fin dalla preistoria di irradiazione e diffusione di saperi e competenze, Cagliari e la Sardegna sono state sempre un crocevia strategico di tutte le culture del Mediterraneo: di età fenicio-punica e romana, bizantina, pisana, aragonese e spagnola, sabauda, del ‘900, fino ad arrivare ad esempi di architettura contemporanea.  Per questo parlare di identità nel nostro territorio vuol dire parlare di un continuo innesto di culture e di un incrocio di civiltà. Questa identità parla attraverso una costellazione di ecologie plurime e di paesaggi fatti di ampiezza di orizzonti e di molteplicità di punti di vista, paesaggi che sono il risultato di stratificazioni di segni lasciati nei millenni dalle diverse comunità. Questa identità – o, meglio, queste identità – sono il risultato di storie intrecciate e del “fare” di millenni. La sfida è rendere questa storia, in fondo europea, anche il suo futuro, saldando i fili di questo fare millenario con i nuovi fili da progettare.

 

 

Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?

Attraverso il progetto si intende tessere un nuovo paesaggio culturale di Cagliari e del Sud Sardegna attraverso la trasformazione dei saperi e delle conoscenze in azioni e prodotti concreti. Fare, non solo mostrare. Costruire, non solo ospitare: la cultura (materiale e immateriale), la creatività e l’innovazione sono strumenti imprescindibili nel percorso di cambiamento e di rigenerazione urbana. Questi sono gli asset principali: produzione, creatività, innovazione come motori di sviluppo di un territorio che, puntando sull’economia della conoscenza, vuole promuovere il passaggio dalla cultura immateriale al fare, dall’arte antica a quella contemporanea, dall’Europa Mediterranea a quella continentale, dall’identità alle identità, dall’isolamento alla contaminazione e all’integrazione. Accompagna tutto il percorso tematico e temporale il potenziale di trasformazione derivato da un approccio dinamico e dialogico con il territorio, nei termini di  studio, ripensamento, rivitalizzazione del paesaggio urbano, entità complessa, costituita da luoghi, oggetti, “segni” dell’uomo e della natura.

 

 

Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?

Le mancanze e i punti deboli sono anche gli snodi nevralgici sui quali si è costruito il progetto:  questo nasce e si sviluppa proprio all’interno di una strategia complessiva di sviluppo che individua  nella creatività un motore di sviluppo urbano sociale ed economico e che riguarda i diversi ambiti di intervento. Sicuramente, uno dei punti di debolezza ai quali il progetto dà una risposta concreta è l’evidenza di un isolamento geografico che da un lato ha lasciato incontaminati ampie porzioni di territorio ma dall’altro ha costretto l’isola a una posizione marginale, quasi di sospensione culturale, rispetto al dibattito e alla produzione artistica contemporanea. Ripartire da paesaggi non sovraccarichi di segni, lontani dalla spettacolarizzazione e anche da una certa moda dell’effimero, vuol dire avere la possibilità di offrire alle nuove generazioni europee spazi dove sperimentare, produrre e sedimentare le nuove forme e i nuovi linguaggi del domani. In questa centralità del ”fare”, del “produrre” più che del mostrare, l’Uomo può ritrovare la sua centralità, dispiegare i suoi saperi passati, presenti e futuri, progettando nuove relazioni e nuove forme attraverso un confronto interculturale. Questa forte connotazione del progetto verso la produzione e l’innovazione è nata anche per dare risposta a un’altra delle mancanze della Sardegna: la forte disoccupazione giovanile che determina forme di emigrazione intellettuale e priva i territori delle migliori energie creative  tenendoli separati da contesti e scenari più ampi. Ecco, uno dei punti di forza del progetto nasce proprio dalle mancanze e dalla convinzione che queste, grazie anche alle politiche culturali, si possano colmare.

 

 

I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?

Noi abbiamo già coinvolto uno spettro ampio di operatori economici perché la stessa candidatura nasce come evoluzione naturale di un processo partecipato che, partito due anni fa, ha portato alla redazione di documenti programmatici nei diversi campi di azione nell’ambito di una strategia complessiva di sviluppo economico. Per poter arrivare a una visione della città, alla città di domani, è stata usata la cultura nei suoi molteplici aspetti come elemento trasversale di coesione e come significante ultimo delle azioni di sistema messe in campo. Parallelamente al processo di integrazione delle politiche di valorizzazione culturale attraverso accordi tra i diversi enti presenti sul territorio, si è avviato il processo di costruzione sinergica della Cagliari futura con tutti gli attori locali: associazioni culturali, operatori economici e turistici, associazioni di categoria, datoriali e sindacali. Inoltre, la visione della “città del domani” ha restituito un’immagine di territorio urbano difficilmente riconducibile ai soli limiti comunali e la programmazione dei più importanti asset strategici ha coinvolto tutto il territorio dell’area vasta e dell’intero golfo ampliando la portata delle politiche in atto. Obiettivo di tutte queste politiche è sempre la cittadinanza che è stata coinvolta in processi di costruzione e condivisione delle scelte. Questo patrimonio di conoscenza dei territori e di programmazione integrata ha costituito il punto di partenza della candidatura che è nata come sintesi e approfondimento sia di una visione strategica di sviluppo che di un metodo di partecipazione delle scelte pubbliche. In tal senso, la candidatura non si è calata come un corpo alieno ma è stata occasione per un approfondimento maggiore di politiche che, lungi dall’essere pensate nel solo ambito di riferimento, si sviluppano in modo integrato. Pochi esempi per dare atto di un coinvolgimento operativo del settore economico e imprenditoriale: il protocollo di intesa con la Fondazione Banco di Sardegna che sostiene il progetto culturale per e su Cagliari, la presenza nel partenariato dei principali attori economici, il protocollo Visit South Sardinia che mette insieme gli operatori turistici del Sud Sardegna. Il mondo economico ha mostrato entusiasmo per un progetto di candidatura che, per come è stato pensato, rappresenta un grande laboratorio di partecipazione attiva, finalizzato anche alla creazione di occasioni formative e professionalizzanti che contribuiranno a offrire sbocchi occupazionali e opportunità di nuove imprese creative e innovative e a stimolare il ripopolamento dei quartieri, l’insediamento di nuove attività commerciali. Il progetto, che pone al centro dell’attenzione l’uomo, come detentore delle tradizioni e dei saperi, punto cardine all’interno dell’economia della conoscenza, prevede un sistema complesso di attività che vanno a coinvolgere un target molto ampio.

 

 

Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?

Noi intravediamo nella candidatura e nell’eventuale riconoscimento finale lo snodo di un processo articolato finalizzato all’affermazione della creatività come uno degli assi principali del tessuto urbano. Per tale motivo, il 2019 rappresenta una tappa in un percorso che, per come è stato ideato e strutturato, non intende concentrare le risorse e gli sforzi di programmazione solo a un anno ma che al contrario mira al radicamento nel territorio delle esperienze e delle attività artistiche, ponendosi come obiettivo duraturo e trasversale quello di rendere la città un centro permanente e inesausto di produzione creativa e un punto di riferimento certo nell’ambito del dialogo interculturale e della riflessione artistica.

Leggi le interviste alle altre candidate a Capitale europea della Cultura 2019.

cocnChe peccato! Avevamo un monumento e lo abbiamo distrutto! So bene che può apparire paradossale, ma avrei preferito che la Concordia restasse nelle acque dei Giglio.
Quel colosso bianco adagiato nelle acque azzurre era il più straordinario “relitto” del Mediterraneo e sarebbe senz’altro divenuto uno dei più importanti siti turistici del nostro Paese.

Le decine di migliaia di turisti e curiosi che per mesi hanno scrutato il maestoso relitto, attratti dal fascino lugubre della tragedia e dell’evento mediatico, in cerca di quella fastidiosa ma ipnotica aurea magica di morte, avevano già dato la misura della forza turistica del sito. Allo stesso modo i graffiti lasciati sullo scafo dai visitatori subacquei, apparsi quando la nave è stata raddrizzata, così come le numerose incursioni subacquee di cacciatori di souvenir, mostrano che di fatto, nel bene e nel male, la Concordia era già diventata un sito di turismo subacqueo. Non sarebbe stato scandaloso: la storia del turismo e dei siti archeologici è da sempre una storia di morte e voyeurismo. Danni ambientali? Non dobbiamo sempre credere alla retorica di chi ha altri interessi. D’altra parte in Italia le stesse Aree Marine Protette (anche nell’area dell’Arcipelago Toscano) sono essenzialmente luoghi turistici, in cui la dimensione del consumo turistico è essenziale, costitutiva e ineludibile.

Ed ora? Il pellegrinaggio al luogo della catastrofe e dell’italica idiozia (l’inchino, la Moldava, l’abbronzatissimo comandante…) ed ora anche dell’italica esagerazione (“un’operazione mai tentata prima”) ne faranno comunque un sito dal fascino discreto, con la complicità delle migliaia e migliaia di immagini che navigano nella rete e nel nostro immaginario. Ma anche questo sarà un turismo post-moderno: un luogo del “nulla” alla ricerca di qualcosa che c’era e ora non c’è più.

 

Marxiano Melotti insegna Turismo culturale e archeologico all’Università Niccolò Cusano di Roma

 

 

 

marchio_siracusasudest2019Intervista ad Alessio Lo Giudice, Assessore alle Politiche culturali del comune di Siracusa.

 

 

Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono le strategie e il progetto del 2019?

L’identità sulla quale abbiamo puntato per Siracusa e il Sud Est è quella di essere una terra di frontiera, tema che abbiamo deciso di attribuire a tutto il progetto di candidatura. Siracusa e il Sud Est sono istituzionalmente frontiera dell’Europa e i confini delle loro coste coincidono con i confini dell’Europa. È proprio attraverso questi confini che l’Europa, soprattutto in questo periodo, sta incontrando culture diverse, anche vivendo vicende drammatiche come quella degli sbarchi.
L’identità di terra di frontiera si riferisce anche al suo passato e alla sua storia. Da sempre questa terra è linea di demarcazione tra occidente e oriente. Basti pensare ai rapporti con l’oriente greco che ha fondato la cultura siciliana e con l’oriente in senso più ampio. Quindi “Frontiera d’oriente”, non solo perché ci troviamo nella parte orientale della Sicilia, ma anche perché deriviamo dall’oriente greco e abbiamo un rapporto privilegiato con l’oriente contemporaneo, in qualità d’avanguardia d’Europa. È un territorio che può e deve sfruttare al massimo questo suo essere terra di margine, terra periferica, lanciando anche una provocazione all’Europa: far in modo che la frontiera si faccia capitale.

 

Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?

È una candidatura che interessa tutto il territorio. Sono coinvolti, oltre ai comuni della provincia di Siracusa, quelli di Catania e di Ragusa, oltre al comune di Piazza Armerina. Quello che mettiamo in campo è da un lato il consolidamento di alcune iniziative importanti già presenti sul territorio. Mi riferisco al Festival del Cinema di  Frontiera di Marzamemi, alle rappresentazioni classiche dell’Istituto Nazionale Dramma Antico, alla Biennale della Ceramica di Caltagirone, etc. La novità è che ci mettiamo in rete e li rappresentiamo all’interno di un’offerta culturale unica,
declinata su un singolo tema. Dall’altro lato, poi, vogliamo attrarre e proporre ulteriori eventi e manifestazioni, come il Premio Europa per il Teatro, premio internazionale che si tiene a San Pietroburgo o a Salonicco e che si svolgerà a Siracusa nel 2019. Si parte, quindi, da alcune realtà esistenti che, messe in rete, fungono da attrattori per altri eventi di livello internazionale che possono caratterizzare ancora di più il territorio.
Inoltre, la candidatura coincide anche con un periodo di forte evoluzione progettuale: anche la parte infrastrutturale, che viene esplicitamente richiesta nel bando per presentare il dossier di candidatura, è molto significativa. È un territorio che, attraverso l’elaborazione di piani strategici, attraverso la riqualificazione progettuale delle sue città, è coinvolto in una fase di progressiva evoluzione. In molti casi presenteremo progetti di riqualificazione, come quello riguardante, ad esempio, il porto di Siracusa, i cui finanziamenti sono già stanziati e che è in corso. O progetti che interessano altre infrastrutture ugualmente significative, come l’autostrada: è di questi giorni l’approvazione del finanziamento per il tratto che arriverà fino a Modica. Comiso aderisce all’iniziativa e quindi gli aeroporti che intervengono nella candidatura sono due, Catania e Comiso e non sono tante le candidate che possono mettere a disposizione due aeroporti.  Gli asset messi in campo sono, quindi, da una parte quelli dettati dal coinvolgimento delle istituzioni culturali più importanti del territorio: istituzioni regionali, l’INDA, i festival  e dall’altra un panorama infrastrutturale che, considerati i ritardi e le mancanze storiche di questo territorio, rappresenta di sicuro un’importante novità.

 

 

Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?

Le mancanze del territorio sono legate alla sfida stessa presentata col progetto di candidatura. La mancanza storica di questo territorio risiede nell’incapacità di creare una rete di programmazione culturale, con un’offerta culturale concentrata: ci si è limitati troppo spesso ad esperienze o iniziative localistiche, sporadiche o non presentate come espressione dell’intero territorio, ma solo di una città o di un comune. Stiamo cercando di superare la resistenza di questa terra a fare un lavoro coordinato. Proprio per questo il valore della candidatura va al di là dell’esito perché si tratta, in ogni caso, di una grande esperienza che coinvolge un’area cosiddetta “vasta”, tramite il progetto di un’evoluzione infrastrutturale e di un’offerta culturale variegata al suo interno, ma con una linea di fondo condivisa.

 

 

I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?

Senza dubbio. Una delle cose che mi ha stupito lavorando sul territorio è che siamo riusciti a coinvolgere nella candidatura non soltanto le istituzioni culturali, ma anche quei soggetti legati storicamente al mondo delle imprese e del commercio, come Confindustria, Camera di Commercio, CONFCOMMERCIO e altre istituzioni di questo tipo che vedono nella programmazione culturale la vocazione vera e propria di questa terra. Questa candidatura ha un valore che non  è solo culturale, ma anche sociale ed economico. Grazie al coinvolgimento di operatori come la Fondazione Garrone, la Fondazione IBM Italia e altri soggetti più legati al mondo dell’economia e delle categorie produttive che della cultura, contiamo di richiamare un flusso di operatori che sono attratti anche per ragioni economiche, da opportunità di investimento  finanziario. Non a caso, ad esempio, la compagnia aerea AirOne ci ha proposto di avviare tariffe ridotte per i collegamenti con la Sicilia nel 2019. Stiamo cercando, poi, di proporre un programma culturale che non sia solo di nicchia, dedicato agli addetti ai lavori. Vorremmo proporre un programma “popolare”, usando la formula del festival – il festival internazionale del jazz per fare un esempio.

 

 

Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?

Rimarrà qualcosa che prescinde dal risultato, si tratterà, cioè, di un’esperienza importante: l’avvio di un percorso di programmazione e di coordinamento nell’ambito delle politiche culturali. Un percorso, mi azzardo a dire, in qualche modo “storico” perché finalmente, non solo a parole ma soprattutto con i fatti, con una collaborazione concertata, l’intero territorio mostra di aver deciso su cosa puntare per il futuro. La vera e grande responsabilità è mantenere questo cantiere aperto, realizzare il grande patrimonio progettuale che abbiamo raccolto a prescindere dalla candidatura e, a lungo termine, cambiare il volto del territorio stesso. Il sud est della Sicilia ha la caratteristica principale di essere dotato di un patrimonio naturalistico e  culturale di altissimo livello e quello che deve rimanere dopo il titolo è la capacità imprenditoriale da parte delle istituzioni di sfruttare al massimo questo territorio.

 

Leggi le interviste alle altre candidate a Capitale europea della Cultura 2019.

Come offrire un momento di relax al ciclista urbano, che ogni giorno cerca un suo spazio nella realtà cittadina, tra piste ciclabili malmesse e la fatica di legare la bici per bere un caffè sperando di ritrovarla? È questo l’interrogativo che si sono posti Niccolò Gioia e Damiano Leva, due trentenni torinesi con la passione per la bicicletta. La loro risposta è stata Bike Breakfast, un’idea amatoriale che è diventata un vero e proprio fenomeno in continua diffusione.

bikebreakfast

In un video postato su Youtube i ragazzi spiegano che l’evento è nato dalla volontà di riscoprire gli aspetti positivi della vita su due ruote nei centri urbani, come la dimensione sociale: a fermarsi per gustare la colazione offerta sono persone di tutte le età, l’una diversa dall’altra, ma tutte accomunate dall’uso di questo mezzo ecologico.

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=Qae3kCp8QiE]

Bike Breakfast offre loro un momento di riposo e di aggregazione, prima che ciascuno ritorni ai propri impegni e sulla propria strada. L’iniziativa è stata ispirata da quanto accaduto in un quartiere degradato di Napoli: i residenti provarono a riqualificarlo socialmente offrendo bevande fresche nelle strade.

Niccolò e Damiano hanno inizialmente provveduto a tutto autonomamente: hanno fabbricato il carretto in modo che fosse comodamente trasportabile in bicicletta, hanno sfornato torte e biscotti di propria produzione e si sono fatti conoscere dai ciclisti con la loro simpatia, i loro ideali e naturalmente le loro colazioni!
Ogni evento ha attirato quasi un centinaio di persone e per assicurare a tutti la colazione i ragazzi hanno accettato la collaborazione di alcune piccole aziende caratterizzate da un forte legame col territorio. In cambio dei loro prodotti, queste hanno ottenuto visibilità online, legando il proprio marchio all’iniziativa e allo stile di vita che essa propone e sostiene.

Per diffondere in modo capillare questi eventi gli ideatori hanno abilmente sfruttato i social network: Twitter segnala date e luoghi e Facebook (la pagina, nata da circa due mesi, “piace” già a più di 1500 persone) mostra anche le fotografie dei manicaretti che i ciclisti potranno assaggiare, persino in caso di pioggia! Niccolò e Damiano invitano gli interessati a consultare la pagina Facebook non solo per conoscere gli eventi in programma, ma anche per interagire con loro e partecipare attivamente, per esempio suggerendo ricette da sperimentare.

Dopo gli eventi organizzati in luglio a Torino presso Piazza Bernini, Lungo Dora Firenze e Piazza D’Armi, il mese di settembre si è aperto con la colazione offerta a Parco Ruffini. Gli ultimi incontri ieri, 18 settembre, e domani, 20 settembre: il primo si è tenuto in Corso Cairoli, sempre nella città natale dell’evento, il secondo invece sarà nella capitale, in Piazzale Numa Pompilio (più di 800 persone hanno in mente di prendervi parte). L’idea si è diffusa e altri, spinti dagli stessi ideali, hanno pensato di imitare i due giovani torinesi, riconoscendo l’efficacia del loro progetto. A Pavia, per esempio, il Bike Breakfast è stato “preso  in prestito” ieri, mercoledì 18 settembre, in Piazza della Vittoria. Anche a Cagliari, in occasione della settimana della mobilità sostenibile, è stata prevista per i ciclisti una buona colazione gratuita.

caffe

Il successo del progetto ha stupito i suoi stessi ideatori: era nato infatti come un esperimento per  mettere a disposizione dei ciclisti urbani uno spazio, un momento, un’occasione per incontrarsi e ricevere, in un ambito cittadino che raramente offre loro qualche vantaggio, una sorta di ricompensa, all’insegna dell’ecologia, della buona compagnia e del cibo genuino.
La speranza di Niccolò e Damiano è che il progetto Bike Breakfast possa continuare ad attirare attenzione e adepti anche durante l’inverno e, a giudicare dal successo ottenuto, ciò sembra piuttosto probabile. Chissà che anche coloro che non hanno ancora abbandonato l’auto per la bici non si facciano incuriosire dall’iniziativa e dell’idea di vita di cui essa si fa portavoce…

Aosta Capitale EU  LOGOIntervista a Andrea Edoardo Paron, Assessore alla Pubblica Istruzione, alla Cultura, alle Politiche giovanili, ai Rapporti con l’Università e all’Innovazione tecnologica del Comune di Aosta.

 

Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono le strategia e il progetto del 2019?

Rispetto alla altre città candidate Aosta si presenta maggiormente legata al proprio contesto territoriale favorita in questo dalle ridotte dimensioni proprie e della stessa regione.
In tale senso, fin dal primo momento abbiamo voluto chiarire come la nostra proposta sia da intendere come espressione dell’intero sistema “Valle d’Aosta”, comprendente il capoluogo regionale, “epicentro” della candidatura, posto al centro della Regione Autonoma Valle d’Aosta e sede di importanti poli regionali legati all’attività produttiva e politico-amministrativa, al terziario, alla sanità, alla scuola e alla cultura, il territorio circostante, la cosiddetta “Plaine d’Aoste” comprendente i Comuni viciniori, e il resto della regione alpina con le sue diverse vallate, le rinomate località turistiche e i borghi ricchi di storia e tradizione.
Questo sistema si fonda sul connubio tra storia, cultura e paesaggio che sono anche gli assi lungo i quali si articolerà il programma della manifestazione che abbiamo progettato, all’interno dei quali saranno sviluppati ulteriori sottotemi.
Per quanto riguarda Aosta, si tratta di una città a prevalente vocazione turistica che ho definito un “Bignami di storia” per la presenza di testimonianze e monumenti che spaziano dal periodo romano di Augusta Praetoria fino all’epoca moderna che sta conoscendo una fase importante di sviluppo legato, per rimanere in campo culturale, alla realizzazione del nuovo polo universitario, al completamento del parco archeologico nell’area megalitica di Saint-Marin de Corléans, al restauro e alla valorizzazione dei più importanti monumenti di epoca romana e medievale e al progetto di riqualificazione delle piazze del centro storico.

 
Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?

Come dicevo, la città di Aosta è interessata da alcuni anni da un importante programma di investimenti che hanno nella cultura il comune denominatore, e che vedranno il loro completamento tra il 2015 e il 2019. Questo programma asseconda la vocazione naturale del capoluogo valdostano e dell’intero territorio regionale, ad essere “Carrefour d’Europe” in virtù di una straordinaria posizione geografica nel cuore dell’Europa – tra Svizzera, Italia e Francia, ai piedi delle vette più alte delle Alpi, e non lontano dal Mediterraneo – e del ruolo che storicamente ha assunto nel fare interagire culture e lingue diverse, in differenti epoche storiche.
Peraltro, proprio a partire dal ruolo di crocevia di Aosta si svilupperà il progetto legato alla candidatura che avrà come concetti chiave quelli di “interazione”, “integrazione” e “condivisione” declinati e intrecciati, come accennato, nella storia, nelle culture e nel paesaggio della città e della regione.
Nel dettaglio, i nostri atout sono rappresentati dal patrimonio monumentale e archeologico, dalla storia millenaria della città, dai numerosi musei e sedi espositive, dal ricco programma di eventi e manifestazioni di carattere culturale che tengono compagnia a cittadini e turisti per tutto l’anno, dalle peculiarità delle nostre tradizioni frutto di una specificità culturale riconosciuta da un regime di autonomia politica; il tutto inserito in uno scenario naturale senza eguali.
Anche le dimensioni ridotte della città, teoricamente penalizzanti nel confronto con altre realtà metropolitane, possono rappresentare un valore aggiunto, in quanto in ben pochi altri contesti, come avviene in Valle d’Aosta, è possibile apprezzare in soli 3.263 chilometri quadrati così tanti motivi di interesse e un’offerta turistico-culturale così variegata, passando in pochi minuti dalle piste di sci a una seduta alle terme, da un’escursione in mountain bike alla vista a un museo, da una passeggiata al Teatro Romano a un concerto nel cortile di un castello medievale.

 

Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?

Al di là di valutazioni meramente economiche legate al finanziamento dell’operazione, il principale elemento di criticità è legato alle ridotte dimensioni della città e della regione che se, da un lato, come detto in precedenza, ne costituisce un punto di forza, dall’altro potrebbe risultare potenzialmente penalizzante per quanto concerne la ricettività e i trasporti. Se per quanto riguarda il primo aspetto, Aosta può contare anche su numerose strutture destinate all’accoglienza presenti nel resto delle località valdostane poste a pochi chilometri dal capoluogo, per quanto riguarda i sistemi di comunicazione, sono in corso lavori di potenziamento e miglioramento del sistema ferroviario, autostradale e aeroportuale, con la riapertura al traffico aereo dello scalo di Saint-Christophe, alle porte di Aosta.

 

I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?

A giovarsi della designazione di Aosta a Capitale europea della Cultura sarebbe l’intero sistema economico valdostano in quanto buona parte del Pil regionale si basa sul turismo e sulle attività connesse. Il previsto afflusso di visitatori in occasione delle manifestazioni organizzate farebbe da traino all’intero settore. A ciò si deve aggiungere che, oltre agli investimenti che verrebbero impiegati per l’occasione nella realizzazione di eventi, manifestazioni e infrastrutture temporanee, le opere che stiamo realizzando alle quali accennavo in precedenza e che sono indipendenti dalla designazione di Aosta nel senso che verranno portate a compimento comunque, genereranno ricadute positive in termini economici ed occupazionali che non si esauriranno certo con il 2019.

 

Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?

Da un lato in maniera tangibile resteranno le opere che stiamo portando a compimento per trasformare la città in un polo di eccellenza in campo culturale tra le Alpi, puntando sull’Università della Valle d’Aosta, sul Parco archeologico, sulle strutture museali, sul programma di iniziative che arricchiranno e animeranno la vita culturale di Aosta a partire dal già vasto programma esistente.
Più in generale ottenere il titolo di Capitale europea della Cultura sancirebbe in modo definitivo la nuova vocazione della città, nella quale la vita universitaria, il multilinguismo, lo scambio interculturale, la creatività artistica diventerebbero motore della vita economica e sociale di tutti i cittadini. E anche gli effetti sull’intero territorio regionale saranno importanti, facendo della Valle d’Aosta una meta turistica di attrattività assoluta dove, accanto all’ambiente naturale, allo sport e alle tradizioni troverà posto un sistema artistico unico che nel raggio di poche decine di chilometri condurrà dal Forte di Bard attraverso il Museo del Castello Gamba di Châtillon e i castelli di Issogne, Verrès e Fénis sino alla Capitale europea della cultura Aosta.

 

Leggi le interviste alle altre candidate a Capitale europea della Cultura 2019.

aq19Intervista a Errico Centofanti, coordinatore del progetto di candidatura de L’Aquila a Capitale Europea della Cultura 2019.

 
Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono la strategia e il progetto del 2019?

È un’identità che è legata alla natura e alla storia della città. L’Aquila ha alle spalle molti secoli di storia e una stratificazione di eventi e di testimonianze architettoniche e artistiche di varie epoche, inserite in un ambiente naturale di grande pregio, dominato dalla vetta più alta della penisola, il Gran Sasso d’Italia. Tutto intorno, poi, si estendono una serie di parchi nazionali e regionali che fanno del nostro territorio la regione d’Europa che ha il più alto tasso di aree protette.

 

 
Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?

In primo luogo, abbiamo la questione della ricostruzione del centro storico, gravemente danneggiato dal terremoto del 2009. Quello de L’Aquila è uno dei più vasti centri storici del nostro Paese, il più importante centro storico d’Europa che sia stato violentemente danneggiato da un terremoto, dopo quello di Lisbona che ebbe a subire sorte analoga nel 1755. Questo aspetto è evidentemente connesso alla responsabilità del nostro Paese di poter dimostrare all’Europa del 2019 di aver saputo intervenire per riavviare all’antico splendore questo centro storico. Poi ci sono tutte le caratteristiche legate ad una lunga e consolidata tradizione di presenza della nostra città nel mondo della creatività artistica, dal campo musicale a quello teatrale, etc.

 

 
Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?

Fondamentalmente sono legate ad una serie di inadeguatezze che derivano dalla ristrettezza di mezzi che negli ultimi tempi colpisce l’intero Paese. Questo ovviamente, collegato alle problematiche del terremoto, rende necessario superare una serie di disfunzioni e disservizi sui quali abbiamo, però, la consapevolezza di potere comunque venire a capo. Gran parte di questi fronti sono già stati oggetto di progettazione e di finanziamento: per tutto quello che riguarda i servizi sociali, dagli asili nido ai centri per gli anziani, la mobilità e così via, è già in itinere un processo di ripristino, potenziamento e aggiornamento. Si tratta un settore che attualmente presenta molte criticità, ma per il 2019, a prescindere dalla candidatura, confidiamo di poter nuovamente dare a tutti i nostri cittadini ottimi servizi da questo punto di vista.

 

 
I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?

Il fatto che gli operatori economici si occupino poco di produzione artistica nel nostro Paese deriva da un’inadeguatezza legislativa, laddove in altri paesi gli interventi in favore della produzione artistica hanno un trattamento fiscale che ne incentiva la crescita. Speriamo, per quanto riguarda il nostro progetto, che la capacità attrattiva e la potenzialità di un ritorno di immagine per coloro che sosterranno come sponsor e come partner, tecnici o finanziari, la nostra iniziativa, sia tale da suscitare il sufficiente e giusto interesse da parte di strutture economiche e private. Riteniamo anche che questo sarà legato alla qualità e all’interesse dei programmi che potremo proporre, ma su questo fronte non abbiamo dubbi circa la capacità di poter essere all’altezza della situazione.

 

 
Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?

Prima ancora che si arrivi a ottenere il titolo, attraverso il lavoro già fatto e quello ancora da svolgere per acquisire il successo della nostra candidatura, dobbiamo portare a compimento una serie di progetti che resteranno in eredità alla città, e che sono di ordine materiale e di ordine morale.
Per quanto riguarda quelli di ordine materiale, si tratta di realizzare strutture di vario genere che non sono solo quelle a servizio delle attività ricreativo culturali, ma anche quelle che riguardano i servizi sociali. Queste, peraltro, rappresentano una componente ineliminabile del modello di città culturale, perché se le persone non vivono bene, avrebbe poca importanza saper produrre buoni concerti, o buone mostre. L’aspetto morale riguarda l’impiantare la coesione e l’identità della comunità.
Se dovessimo ottenere il titolo, come ci auguriamo, tutto questo produrrà ulteriori risultati, perché massimizzerà quelli già raggiunti e lascerà nell’ambito della comunità, all’indomani dell’anno da Capitale, non soltanto strutture e immagini, nuove e potenziate, ma anche nuove realtà e una rafforzata attitudine de L’Aquila a essere quel centro di propulsione artistico-culturale che è sempre stata e che costituisce la caratteristica principale della sua identità.

 

 

Leggi le interviste alle altre candidate a Capitale europea della Cultura 2019.

gpmonzaSport ed economia: due mondi solo all’apparenza lontanissimi e che nascondono, in realtà, legami molto forti, soprattutto in termini turistici. Non a caso, più che di economia, bisognerebbe parlare di sviluppo del territorio, perché ogni grande evento sportivo di rilevanza internazionale è in grado di generare una ricaduta economica sul territorio. L’esempio recente delle Olimpiadi di Londra del 2012 lo ha dimostrato in pieno: a fronte di costi organizzativi spesso ingenti, la comunità che ospita l’evento sportivo può contare su un indotto molto elevato grazie al turismo, a patto che i servizi erogati siano all’altezza della situazione e siano in grado di rendere piacevole l’esperienza vissuta dagli appassionati.

A proposito di grandi eventi internazionali, l’Italia ha ospitato, poco più di una settimana fa, il Gran Premio di Formula 1, che si svolge da tempo a Monza. Il tracciato brianzolo è uno dei circuiti storici più importanti e apprezzati da chi vive il mondo dei motori, sia per il suo esclusivo layout a basso carico aerodinamico, sia per i leggendari piloti del passato che hanno corso su questa pista. In poche parole, impossibile non rimanere affascinati dall’atmosfera elettrizzante che si respira durante il week-end di gara.

Come ogni grande evento sportivo internazionale, anche il Gran Premio d’Italia a Monza è un attrattore turistico in grado di generare un elevato indotto economico sull’intero territorio milanese e brianzolo. Secondo gli ultimi dati rilasciati dalla Camera di Commercio di Monza e Brianza, l’edizione 2013 del Gran Premio d’Italia è riuscita a generare, nell’arco di una sola settimana, un indotto diretto di 31,5 milioni di euro, il 2,5% in più rispetto all’edizione dell’anno precedente. Merito delle attività legate alla ricettività alberghiera (compresi campeggi, ostelli e appartamenti), stimate in 10,4 milioni di euro, e le attività direttamente connesse allo shopping, con 10,2 milioni di euro. Senza dimenticare il settore della ristorazione, in grado di generare sul territorio lombardo l’equivalente di 8,4 milioni di euro, e quello della mobilità (autobus, taxi e treni), con una stima di 2,4 milioni di euro.

E se albergatori, ristoratori e commercianti brianzoli possono contare su un indotto turistico stimato in poco più di 16 milioni di euro, anche l’area milanese deve ringraziare il Gran Premio d’Italia e i suoi ospiti, con una stima di poco più di 9 milioni e mezzo di euro. C’è anche chi sceglie di combinare la passione per lo sport a una breve vacanza all’insegna del verde e del relax, come è avvenuto nei territori di Como e Lecco, che pure riescono a generare un indotto rispettivamente di 3,4 milioni e circa 1 milione di euro.

Tutti questi dati, uniti alla stima della Camera di Commercio secondo cui il brand “Gran Premio d’Italia” varrebbe la bellezza di 3,8 miliardi di euro, dimostrano che l’evento brianzolo è un catalizzatore turistico di tutto rispetto, in grado di far respirare abbastanza l’economia lombarda. Fin qui i numeri, ma nella realtà come viene vissuto il Gran Premio d’Italia? E soprattutto, come viene organizzato? Su quest’ultima domanda, la risposta non può essere pienamente positiva. E chi lo ha vissuto in prima persona, come il sottoscritto, lo sa bene…

Partiamo dai trasporti, che sono il cuore nevralgico dell’organizzazione, considerando che la stragrande maggioranza degli appassionati si muove con i treni e gli autobus. Come ogni anno, anche stavolta gli organizzatori hanno previsto delle navette che dalla stazione di Monza portano all’interno dell’autodromo. Ma con una brutta sorpresa per gli appassionati: mentre in passato le navette erano gratuite, quest’anno è stato introdotto un ticket di 4 euro andata e ritorno per ogni giorno di utilizzo.

È buona norma che, a fronte del pagamento di un servizio che è sempre stato gratuito, questo venga erogato nel migliore dei modi. Ma in Italia, spesso e volentieri, le cose non vanno così e Monza non è da meno: navette strapiene, con lunghe file da parte dei tifosi ai capolinea, e spesso imbottigliate nel traffico (il venerdì delle prove libere non era prevista neanche una corsia preferenziale). Arrivate nel parco dell’autodromo, le navette fermano in un parcheggio distante circa 20-30 minuti a piedi dall’area del villaggio, dalla quale è possibile raggiungere buona parte delle tribune. Una passeggiata piacevole, immersa nel verde, ma per chi ha fretta di seguire le competizioni in pista diventa davvero un inferno. Paradossalmente, basta prendere un comune autobus di linea per arrivare all’ingresso Vedano, dal quale è possibile raggiungere in appena una decina di minuti l’area centrale del villaggio, spendendo, per giunta, 3 euro andata e ritorno.

Anche sui treni bisogna fare qualche appunto: possibile non prevedere treni speciali dalla stazione di Biassono – Lesmo, limitrofa a uno degli ingressi principali dell’autodromo, il venerdì e il sabato, costringendo così i tifosi ad aspettare un treno ogni ora? Una leggerezza che inevitabilmente ha portato lamentele e discussioni, soprattutto da parte dei turisti provenienti dall’estero. Situazione migliorata la domenica, giorno in cui sono stati previsti treni speciali dalla stazione di Milano Centrale a quelle di Monza e Biassono – Lesmo. Ma anche in questo caso con una sorpresa: se fino all’anno scorso questi treni speciali erano gratuiti, quest’anno è stato previsto un biglietto di 4 euro per l’andata e il ritorno. Secondo alcuni, questa soluzione si è resa necessaria per evitare che qualcuno se ne approfittasse del treno gratuito per farsi una gita a Monza. Ma se davvero fosse stato questo il problema, bastava semplicemente controllare sul binario chi avesse i biglietti per vedere il Gran Premio, evitando così un’ulteriore spesa ai tifosi.

I controlli, altro grande problema… Approssimativi il giovedì, quando gli appassionati in possesso dell’abbonamento per tutto il week-end (fino all’anno scorso bastava il solo biglietto del venerdì) hanno potuto prendere parte all’esclusivo walk-about, ovvero la passeggiata nella corsia dei box, per ammirare da vicino le proprie vetture preferite e i meccanici all’opera, a patto di riuscire a superare la tagliola degli spintoni da parte dei tifosi più incivili (dobbiamo sempre farci riconoscere!). Un walk-about travagliato, dove è regnato il caos anche per una semplice sessione di autografi, gestita in modo scandaloso e senza un’organizzazione specifica a monte. Persino i commissari di pista si sono trovati in difficoltà nel dare indicazioni precise in merito.

Parlavamo di controlli e viene da chiedersi dove sono stati durante tutto il week-end se in tantissimi hanno montato le tende a due passi dalla pista pur essendo vietato il campeggio all’interno dell’autodromo. E che dire dei tanti bagarini che hanno affollato gli ingressi principali dell’autodromo e i tantissimi truffatori che hanno cercato di spillare soldi ai più sprovveduti con il classico gioco della pallina da trovare sotto uno dei tre bussolotti?

Impossibile non rimanere infastiditi da tutte queste evidenze. E, del resto, basta dare uno sguardo alla pagina Facebook dell’autodromo per scoprire le diverse lamentele e i messaggi stizziti lasciati da tanti appassionati (anche stranieri) che, giustamente, dopo aver speso cifre ragguardevoli per vedere il Gran Premio, si aspettavano un quadro generale decisamente migliore. L’insoddisfazione genera un pericoloso passaparola negativo che, a lungo termine, può danneggiare non solo l’immagine di Monza, ma anche l’attrattività turistica del nostro Paese, che già ha subito duri colpi nel corso degli ultimi anni.

Riprendendo uno di questi commenti, i monzesi hanno tra le mani un patrimonio straordinario, ma ce la stanno mettendo tutta per perderlo. Si, perché se i progetti per fare un Gran Premio a Roma (su un tracciato cittadino) sono ormai tramontati da tempo, esiste sempre il “rischio” di spostare tutto a Imola, altro storico tracciato legato purtroppo a un evento nefasto (la morte di Senna), ma amato fortemente da piloti ed appassionati. La provocazione, a questo punto, è d’obbligo: perché non dare una chance a Imola e spingere Monza a una doverosa pausa di riflessione? Sarebbe un modo per valorizzare fortemente il territorio romagnolo, non solo dal punto di vista turistico e culturale, ma anche economico. E, cosa più importante, ne guadagnerebbe l’Italia intera di fronte a turisti ed appassionati: almeno non saremo costretti a vedere sventolare vergognose bandiere con il “Sole delle Alpi” in mondovisione sotto al podio.