Grosseto CECIntervista a Maurizio Cont e Gianmarco Serra, responsabili del progetto di candidatura di Grosseto e La Maremma a Capitale europea della Cultura 2019.

 

 

Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono le strategie e il progetto del 2019?
L’Europa entra nelle case. Si vuole creare qui un presidio, un distretto, una diffusa e capillare sensibilità culturale dove il Paesaggio capitale è la prospettiva del mondo contemporaneo. Riscattarsi dalla prospettiva della narrazione retorica e delle maschere e assumersi la responsabilità di affrontare seriamente l’amletico problema. Il progetto di Candidatura della Maremma a Capitale Fluttuante Europea 2019 della Cultura, della Natura e dell’Amore nasce da ideali anti-identitari (cioè antitetici a qualunque referenza identitaria: identità nazionale, locale, etnica, religiosa, linguistica, culturale, politica, sessuale, territoriale, ecc., e da qualunque punto di vista: psicologico, antropologico, storico, sociologico, filosofico, sessuologico, ecc.) e fonda ogni sua prospettiva sul cosmopolitismo. Non si ragiona di identità ma di responsabilità. Le radici sono quelle planetarie, l’appartenenza è al cosmo.

Nell’ottobre 2012 c’è stata l’Annunciazione e l’apertura di un dibattito sui Paesaggi anticipati (laddove il Paesaggio è la dimensione della dignità dell’essere e l’anticipazione l’opposto del ritardo, della passività) e sull’agire senza referente (al sindaco, alla mamma, allo sponsor, al pubblico questa cosa non piace…) per restituire il senso dell’azione alla sola meccanica della necessità e dell’assoluto.

La strategia prevede l’abbandono della malattia burocratica e autoritaria (laddove lo stesso bando europeo parla di autorità), sforzandosi di essere quanto più possibile indipendenti in ogni scelta. Con la candidatura si segna nuovamente e finalmente una linea netta di separazione tra cultura ed economia (e dunque turismo): cultura ed economia hanno finalità e funzioni diverse nella vita personale e sociale, sono cose separate che vanno tenute separate. Così come lo spettacolo della cultura e la cultura dello spettacolo: nella candidatura ci si sottrae al taglio del nastro e all’enfasi dei lustrini. Il pubblico non esiste.

Ciascuno spazio – cioè qualunque casa o luogo – può decidere di essere colpita da un meteorite (simbolo delle azioni del 2014) e divenire con ciò dimora della cultura, luogo che ospita una rivoluzione (40mila posti letto vuoti d’inverno in tutta la Maremma). La candidatura prevede solo ruoli attivi per chi partecipa. Non si riconosce il linguaggio delle minoranze o delle maggioranze: ogni azione è per tutti e per nessuno. Tutte le discipline e ogni tema sono ammessi purché chi agisce, intenda superarsi, rivoluzionare per primo se stesso.

Hanno aderito alla candidatura 216 imprese locali.

 

 

Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?
Il Tenente Colombo ha ben presente che l’assassino farà di tutto per sfuggirgli e sa che ha circa un’ora per incastrarlo e dunque in un tempo limitato e con le risorse a disposizione sfrutta tutto il proprio talento e ogni più piccola energia. L’intelligenza va coltivata: ciascuno è responsabile della propria.

 

 

Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?
Non ci sono precedenti. Tutto è nelle mani di chi aderisce. Le possibilità di successo sono una su centomila.

 

 

I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?
Grosseto non è una città d’arte e questa non è una candidatura sulla storia passata: in gioco c’è il presente, quello che si vuole fare di se stessi; riconoscere un merito culturale alle pietre o alle opere d’arte realizzate nel passato è assurdo: la Capitale Europea della Cultura deve esserlo per la cultura, le visioni che produce sul presente e la sua capacità di illuminare l’intera Europa con la sua forza rivoluzionaria: i paesaggi anticipati sono questo. Tutti sono coinvolti perché tutti possono diventare attivi dal punto di vista culturale, finanziando e ospitando in casa loro lo studioso, l’artista, lo scienziato che più pensano possa aiutarli a crescere e superarsi.

 

 

Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?
Gli effetti sulle persone che vivono in Maremma sarebbero gli stessi di quelli di un miracolato.

 

 

Leggi le interviste alle altre candidate a Capitale europea della Cultura 2019.

ReggioCalabria CECIntervista al Prof. Francesco Adornato, Presidente del Comitato Scientifico responsabile del progetto di candidatura di Reggio Calabria a Capitale europea della Cultura 2019.
Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono le strategie e il progetto del 2019?
È un’identità le cui radici hanno lontane e significative origini e dalle quali si è diffusa una più ampia civiltà euro-mediterranea. Ulisse e Enea hanno attraversato il mare che bagna Reggio Calabria e sulle sue coste è approdato San Paolo. Non solo. La città ed il suo territorio, anche per via della posizione centrale rispetto alle rotte mediterranee, sono stati da sempre luogo di incontro e contatto di diverse culture. Di qui, percorsi e stratificazioni culturali di origine greco romana, bizantina, araba, medioevale, confermati tanto dal patrimonio archeologico e artistico, quanto dalla presenza ancora attuale di minoranze linguistiche ed etniche e, più recentemente, da numerose comunità di immigrati di area mediterranea, che costituiscono un’autentica emergenza umanitaria per l’Europa intera. Non a caso, il titolo del progetto che la Città presenta a sostegno della sua candidatura  è “ Reggio Calabria porta del Mediterraneo”.
Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?
L’obiettivo della candidatura di Reggio Calabria è quello di mettere al centro il tema della integrazione e della promozione di un’autentica dimensione interculturale, che servirà a rafforzare l’unità nella diversità delle culture comunitarie e la loro integrazione, pur nella differenza, nei rapporti con le comunità degli immigrati e, più in generale, con le culture mediterranee. In questo senso, gli asset storici e multiculturali di cui la città ed il suo territorio dispongono, vanno oltre lo spazio del mito e della classicità per diventare elementi fondamentali nel dialogo interculturale dei popoli.
Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?
Probabilmente, in modo particolare, possono riguardare qualche carenza infrastrutturale, specialmente per quanto riguarda il collegamento con le zone interne. Ma il programma delle iniziative previste è articolato in modo opportunamente diffuso e ciò consentirà gli opportuni interventi per sopperire a tale ritardo.
I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?
Il programma può contare, innanzitutto, sul coinvolgimento e il sostegno delle istituzioni locali territoriali: oltre che il Comune proponente, la Provincia e, a livello più generale la Regione (Giunta e Consiglio) e, nel rispetto dei ruoli, la Prefettura di Reggio Calabria, che ha avviato l’iniziativa. È significativo, tuttavia, che gli imprenditori e gli operatori economici abbiano aderito e partecipato alla discussione attraverso le loro rappresentanze, ovvero Confindustria e Camera di Commercio, stimolando in tal modo il coinvolgimento delle imprese nelle iniziative previste nelle diverse realtà territoriali reggine. Il risultato che ci attendiamo dal progetto è che il tessuto economico reggino e della provincia possa avere margini di crescita e di rafforzamento, all’interno di una logica di sviluppo che intende fare della cultura un volano per nuove iniziative economiche.
Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?
Da punto di vista ideale rimarrà una grande prova di cittadinanza attiva, ovvero di una comunità che vuole manifestare attraverso il progetto la sua determinata volontà di riscatto. Resteranno inoltre le esperienze e gli scambi che, sul piano culturale, andranno ad arricchire i cittadini e la collettività nel suo insieme, rafforzandone un’identità inclusiva e dialogante. Dal punto di vista materiale resteranno, in particolare, gli interventi pubblici e privati che, nell’ambito dei Progetti integrati di sviluppo urbano, vogliono realizzare una visone strategica di città sostenibile.

 

 

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Logo_BG2019_ColoriIntervista a Claudia Sartirani, Assessore alla Cultura della città di Bergamo.

 

Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono le strategie e il progetto del 2019?
Bergamo è un territorio dalle mille dualità: due città, la Alta e la Bassa, montagne e pianure, tradizioni e innovazione, misticismo (il luogo natale di Papa Giovanni XXIII) e laicità; creatività e razionalità. Città di impresa e di marcata solidarietà, di antiche tradizioni artistiche (si pensi ad Arlecchino) e di arte contemporanea. Queste le caratteristiche, il carattere di una comunità. Dualità che sono la nostra ricchezza, che fanno di Bergamo un posto un po’ speciale per molti aspetti. Un posto nel quale scoprire tutte queste sfaccettature, a volte sorprendenti.

 

Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?
C’è un po’ l’imbarazzo della scelta: dalle stratificazioni storiche ed architettoniche a partire dalla antica Bergomum, alla città longobarda, veneta, fino alla città piacentiniana nel ‘900; i teatri, tra i più belli e frequentati di Lombardia; l’Accademia Carrara, depositaria di una collezione di capolavori pittorici del rinascimento, e non solo; e la galleria d’arte moderna e contemporanea, Gamec, oltre ad un numero elevato di affollati musei e biblioteche; il numero eccezionale di festival di ogni disciplina, ma soprattutto musicali, a partire da quello dedicato al genius loci Gaetano Donizetti. Il panorama mozzafiato dalle (e delle) Mura Venete; e ancora la nascita sul nostro territorio di circa 180 garibaldini, che ci permette di fregiarci del titolo Città dei Mille. Ma anche tanto futuro, tanta ricerca, una passione per le discipline scientifiche comprovato dal successo eccezionale tributato annualmente a Bergamo Scienza, una manifestazione che ogni anno porta in città più di un premio Nobel e una folla di visitatori, da un polo scientifico di eccellenza mondiale, e dall’attività dell’Istituto Mario Negri. Per non parlare di sport di ogni epoca, e stilisti… Un elenco che potrebbe continuare.

 

Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?
Le mancanze sono la storica eredità di una città di frontiera, cauta e qualche volta un po’ diffidente. Questo le ha regalato una immagine esagerata che non risponde più alla realtà. Ma che forse noi non abbiamo fatto molto per scrollarci di dosso, sempre più dediti da bergamaschi a costruire che ad apparire. Questa candidatura è anche un utile esercizio di riposizionamento di mentalità per molti di noi; tra l’altro un’occasione per molti bergamaschi di accettare senza esagerata umiltà, attaverso il crescente gradimento del turismo internazionale, che la nostra è davvero una bella città. Insomma come dice il nostro slogan di candidatura, un’occasione per andare “Oltre le mura”.

 

I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?
Bergamo ha la fortuna di essere una città d’arte e contemporaneamente una città di impresa e commercio. Quindi rispetto ad altre città candidate ha opportunità di attrattiva per una platea più ampia. Una sintesi tra arte e scienza, impresa e turismo, cultura e tecnologia. Confidiamo quindi che la candidatura ci porti ad esaltare questa “unicità duale” rappresentata simbolicamente da Città Alta e Città Bassa che parlano al visitatore e alle sue potenziali diverse sensibilità e ai suoi diversi interessi. Insomma quella della Cappella Colleoni  e del castello di San Vigilio, e della Tenaris Dalmine e del Kilometro Rosso sono la stessa città! Questo fa di Bergamo la vera outsider di questa competizione. Una outsider discreta e consapevole anche dei suoi limiti, ma con molte frecce al suo arco.

 

Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?
Una diversa immagine più conforme all’identità complementare di città d ‘arte e cultura e città di innovazione e ricerca nell’ impresa. Una sintesi nella quale passato e futuro saranno collegati, in una Bergamo al centro di una rete di connessioni europee; da antica città fortificata a moderno crocevia di idee, iniziative, e turismo nel segno dell’arte. Una città nella quale il fermento che già da anni anima la città sia compiuto in una consapevolezza di cittadinanza europea. Bergamo come  motrice di un nuovo benessere proveniente da un sistema produttivo integrato innovativo e sostenibile.

 

Leggi le interviste alle altre candidate a Capitale europea della Cultura 2019.

CagliariIntervista a Enrica Puggioni, Assessore alla Cultura del Comune di Cagliari.

 

 

Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono le strategie e il progetto del 2019?

Il nostro territorio presenta caratteri di unicità – paesaggistici e geografici, linguistici, storico-culturali – e nello stesso tempo partecipa da sempre a un respiro chiaramente europeo.
Situata in una posizione strategica, luogo millenario di incontri, centro fin dalla preistoria di irradiazione e diffusione di saperi e competenze, Cagliari e la Sardegna sono state sempre un crocevia strategico di tutte le culture del Mediterraneo: di età fenicio-punica e romana, bizantina, pisana, aragonese e spagnola, sabauda, del ‘900, fino ad arrivare ad esempi di architettura contemporanea.  Per questo parlare di identità nel nostro territorio vuol dire parlare di un continuo innesto di culture e di un incrocio di civiltà. Questa identità parla attraverso una costellazione di ecologie plurime e di paesaggi fatti di ampiezza di orizzonti e di molteplicità di punti di vista, paesaggi che sono il risultato di stratificazioni di segni lasciati nei millenni dalle diverse comunità. Questa identità – o, meglio, queste identità – sono il risultato di storie intrecciate e del “fare” di millenni. La sfida è rendere questa storia, in fondo europea, anche il suo futuro, saldando i fili di questo fare millenario con i nuovi fili da progettare.

 

 

Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?

Attraverso il progetto si intende tessere un nuovo paesaggio culturale di Cagliari e del Sud Sardegna attraverso la trasformazione dei saperi e delle conoscenze in azioni e prodotti concreti. Fare, non solo mostrare. Costruire, non solo ospitare: la cultura (materiale e immateriale), la creatività e l’innovazione sono strumenti imprescindibili nel percorso di cambiamento e di rigenerazione urbana. Questi sono gli asset principali: produzione, creatività, innovazione come motori di sviluppo di un territorio che, puntando sull’economia della conoscenza, vuole promuovere il passaggio dalla cultura immateriale al fare, dall’arte antica a quella contemporanea, dall’Europa Mediterranea a quella continentale, dall’identità alle identità, dall’isolamento alla contaminazione e all’integrazione. Accompagna tutto il percorso tematico e temporale il potenziale di trasformazione derivato da un approccio dinamico e dialogico con il territorio, nei termini di  studio, ripensamento, rivitalizzazione del paesaggio urbano, entità complessa, costituita da luoghi, oggetti, “segni” dell’uomo e della natura.

 

 

Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?

Le mancanze e i punti deboli sono anche gli snodi nevralgici sui quali si è costruito il progetto:  questo nasce e si sviluppa proprio all’interno di una strategia complessiva di sviluppo che individua  nella creatività un motore di sviluppo urbano sociale ed economico e che riguarda i diversi ambiti di intervento. Sicuramente, uno dei punti di debolezza ai quali il progetto dà una risposta concreta è l’evidenza di un isolamento geografico che da un lato ha lasciato incontaminati ampie porzioni di territorio ma dall’altro ha costretto l’isola a una posizione marginale, quasi di sospensione culturale, rispetto al dibattito e alla produzione artistica contemporanea. Ripartire da paesaggi non sovraccarichi di segni, lontani dalla spettacolarizzazione e anche da una certa moda dell’effimero, vuol dire avere la possibilità di offrire alle nuove generazioni europee spazi dove sperimentare, produrre e sedimentare le nuove forme e i nuovi linguaggi del domani. In questa centralità del ”fare”, del “produrre” più che del mostrare, l’Uomo può ritrovare la sua centralità, dispiegare i suoi saperi passati, presenti e futuri, progettando nuove relazioni e nuove forme attraverso un confronto interculturale. Questa forte connotazione del progetto verso la produzione e l’innovazione è nata anche per dare risposta a un’altra delle mancanze della Sardegna: la forte disoccupazione giovanile che determina forme di emigrazione intellettuale e priva i territori delle migliori energie creative  tenendoli separati da contesti e scenari più ampi. Ecco, uno dei punti di forza del progetto nasce proprio dalle mancanze e dalla convinzione che queste, grazie anche alle politiche culturali, si possano colmare.

 

 

I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?

Noi abbiamo già coinvolto uno spettro ampio di operatori economici perché la stessa candidatura nasce come evoluzione naturale di un processo partecipato che, partito due anni fa, ha portato alla redazione di documenti programmatici nei diversi campi di azione nell’ambito di una strategia complessiva di sviluppo economico. Per poter arrivare a una visione della città, alla città di domani, è stata usata la cultura nei suoi molteplici aspetti come elemento trasversale di coesione e come significante ultimo delle azioni di sistema messe in campo. Parallelamente al processo di integrazione delle politiche di valorizzazione culturale attraverso accordi tra i diversi enti presenti sul territorio, si è avviato il processo di costruzione sinergica della Cagliari futura con tutti gli attori locali: associazioni culturali, operatori economici e turistici, associazioni di categoria, datoriali e sindacali. Inoltre, la visione della “città del domani” ha restituito un’immagine di territorio urbano difficilmente riconducibile ai soli limiti comunali e la programmazione dei più importanti asset strategici ha coinvolto tutto il territorio dell’area vasta e dell’intero golfo ampliando la portata delle politiche in atto. Obiettivo di tutte queste politiche è sempre la cittadinanza che è stata coinvolta in processi di costruzione e condivisione delle scelte. Questo patrimonio di conoscenza dei territori e di programmazione integrata ha costituito il punto di partenza della candidatura che è nata come sintesi e approfondimento sia di una visione strategica di sviluppo che di un metodo di partecipazione delle scelte pubbliche. In tal senso, la candidatura non si è calata come un corpo alieno ma è stata occasione per un approfondimento maggiore di politiche che, lungi dall’essere pensate nel solo ambito di riferimento, si sviluppano in modo integrato. Pochi esempi per dare atto di un coinvolgimento operativo del settore economico e imprenditoriale: il protocollo di intesa con la Fondazione Banco di Sardegna che sostiene il progetto culturale per e su Cagliari, la presenza nel partenariato dei principali attori economici, il protocollo Visit South Sardinia che mette insieme gli operatori turistici del Sud Sardegna. Il mondo economico ha mostrato entusiasmo per un progetto di candidatura che, per come è stato pensato, rappresenta un grande laboratorio di partecipazione attiva, finalizzato anche alla creazione di occasioni formative e professionalizzanti che contribuiranno a offrire sbocchi occupazionali e opportunità di nuove imprese creative e innovative e a stimolare il ripopolamento dei quartieri, l’insediamento di nuove attività commerciali. Il progetto, che pone al centro dell’attenzione l’uomo, come detentore delle tradizioni e dei saperi, punto cardine all’interno dell’economia della conoscenza, prevede un sistema complesso di attività che vanno a coinvolgere un target molto ampio.

 

 

Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?

Noi intravediamo nella candidatura e nell’eventuale riconoscimento finale lo snodo di un processo articolato finalizzato all’affermazione della creatività come uno degli assi principali del tessuto urbano. Per tale motivo, il 2019 rappresenta una tappa in un percorso che, per come è stato ideato e strutturato, non intende concentrare le risorse e gli sforzi di programmazione solo a un anno ma che al contrario mira al radicamento nel territorio delle esperienze e delle attività artistiche, ponendosi come obiettivo duraturo e trasversale quello di rendere la città un centro permanente e inesausto di produzione creativa e un punto di riferimento certo nell’ambito del dialogo interculturale e della riflessione artistica.

Leggi le interviste alle altre candidate a Capitale europea della Cultura 2019.

marchio_siracusasudest2019Intervista ad Alessio Lo Giudice, Assessore alle Politiche culturali del comune di Siracusa.

 

 

Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono le strategie e il progetto del 2019?

L’identità sulla quale abbiamo puntato per Siracusa e il Sud Est è quella di essere una terra di frontiera, tema che abbiamo deciso di attribuire a tutto il progetto di candidatura. Siracusa e il Sud Est sono istituzionalmente frontiera dell’Europa e i confini delle loro coste coincidono con i confini dell’Europa. È proprio attraverso questi confini che l’Europa, soprattutto in questo periodo, sta incontrando culture diverse, anche vivendo vicende drammatiche come quella degli sbarchi.
L’identità di terra di frontiera si riferisce anche al suo passato e alla sua storia. Da sempre questa terra è linea di demarcazione tra occidente e oriente. Basti pensare ai rapporti con l’oriente greco che ha fondato la cultura siciliana e con l’oriente in senso più ampio. Quindi “Frontiera d’oriente”, non solo perché ci troviamo nella parte orientale della Sicilia, ma anche perché deriviamo dall’oriente greco e abbiamo un rapporto privilegiato con l’oriente contemporaneo, in qualità d’avanguardia d’Europa. È un territorio che può e deve sfruttare al massimo questo suo essere terra di margine, terra periferica, lanciando anche una provocazione all’Europa: far in modo che la frontiera si faccia capitale.

 

Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?

È una candidatura che interessa tutto il territorio. Sono coinvolti, oltre ai comuni della provincia di Siracusa, quelli di Catania e di Ragusa, oltre al comune di Piazza Armerina. Quello che mettiamo in campo è da un lato il consolidamento di alcune iniziative importanti già presenti sul territorio. Mi riferisco al Festival del Cinema di  Frontiera di Marzamemi, alle rappresentazioni classiche dell’Istituto Nazionale Dramma Antico, alla Biennale della Ceramica di Caltagirone, etc. La novità è che ci mettiamo in rete e li rappresentiamo all’interno di un’offerta culturale unica,
declinata su un singolo tema. Dall’altro lato, poi, vogliamo attrarre e proporre ulteriori eventi e manifestazioni, come il Premio Europa per il Teatro, premio internazionale che si tiene a San Pietroburgo o a Salonicco e che si svolgerà a Siracusa nel 2019. Si parte, quindi, da alcune realtà esistenti che, messe in rete, fungono da attrattori per altri eventi di livello internazionale che possono caratterizzare ancora di più il territorio.
Inoltre, la candidatura coincide anche con un periodo di forte evoluzione progettuale: anche la parte infrastrutturale, che viene esplicitamente richiesta nel bando per presentare il dossier di candidatura, è molto significativa. È un territorio che, attraverso l’elaborazione di piani strategici, attraverso la riqualificazione progettuale delle sue città, è coinvolto in una fase di progressiva evoluzione. In molti casi presenteremo progetti di riqualificazione, come quello riguardante, ad esempio, il porto di Siracusa, i cui finanziamenti sono già stanziati e che è in corso. O progetti che interessano altre infrastrutture ugualmente significative, come l’autostrada: è di questi giorni l’approvazione del finanziamento per il tratto che arriverà fino a Modica. Comiso aderisce all’iniziativa e quindi gli aeroporti che intervengono nella candidatura sono due, Catania e Comiso e non sono tante le candidate che possono mettere a disposizione due aeroporti.  Gli asset messi in campo sono, quindi, da una parte quelli dettati dal coinvolgimento delle istituzioni culturali più importanti del territorio: istituzioni regionali, l’INDA, i festival  e dall’altra un panorama infrastrutturale che, considerati i ritardi e le mancanze storiche di questo territorio, rappresenta di sicuro un’importante novità.

 

 

Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?

Le mancanze del territorio sono legate alla sfida stessa presentata col progetto di candidatura. La mancanza storica di questo territorio risiede nell’incapacità di creare una rete di programmazione culturale, con un’offerta culturale concentrata: ci si è limitati troppo spesso ad esperienze o iniziative localistiche, sporadiche o non presentate come espressione dell’intero territorio, ma solo di una città o di un comune. Stiamo cercando di superare la resistenza di questa terra a fare un lavoro coordinato. Proprio per questo il valore della candidatura va al di là dell’esito perché si tratta, in ogni caso, di una grande esperienza che coinvolge un’area cosiddetta “vasta”, tramite il progetto di un’evoluzione infrastrutturale e di un’offerta culturale variegata al suo interno, ma con una linea di fondo condivisa.

 

 

I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?

Senza dubbio. Una delle cose che mi ha stupito lavorando sul territorio è che siamo riusciti a coinvolgere nella candidatura non soltanto le istituzioni culturali, ma anche quei soggetti legati storicamente al mondo delle imprese e del commercio, come Confindustria, Camera di Commercio, CONFCOMMERCIO e altre istituzioni di questo tipo che vedono nella programmazione culturale la vocazione vera e propria di questa terra. Questa candidatura ha un valore che non  è solo culturale, ma anche sociale ed economico. Grazie al coinvolgimento di operatori come la Fondazione Garrone, la Fondazione IBM Italia e altri soggetti più legati al mondo dell’economia e delle categorie produttive che della cultura, contiamo di richiamare un flusso di operatori che sono attratti anche per ragioni economiche, da opportunità di investimento  finanziario. Non a caso, ad esempio, la compagnia aerea AirOne ci ha proposto di avviare tariffe ridotte per i collegamenti con la Sicilia nel 2019. Stiamo cercando, poi, di proporre un programma culturale che non sia solo di nicchia, dedicato agli addetti ai lavori. Vorremmo proporre un programma “popolare”, usando la formula del festival – il festival internazionale del jazz per fare un esempio.

 

 

Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?

Rimarrà qualcosa che prescinde dal risultato, si tratterà, cioè, di un’esperienza importante: l’avvio di un percorso di programmazione e di coordinamento nell’ambito delle politiche culturali. Un percorso, mi azzardo a dire, in qualche modo “storico” perché finalmente, non solo a parole ma soprattutto con i fatti, con una collaborazione concertata, l’intero territorio mostra di aver deciso su cosa puntare per il futuro. La vera e grande responsabilità è mantenere questo cantiere aperto, realizzare il grande patrimonio progettuale che abbiamo raccolto a prescindere dalla candidatura e, a lungo termine, cambiare il volto del territorio stesso. Il sud est della Sicilia ha la caratteristica principale di essere dotato di un patrimonio naturalistico e  culturale di altissimo livello e quello che deve rimanere dopo il titolo è la capacità imprenditoriale da parte delle istituzioni di sfruttare al massimo questo territorio.

 

Leggi le interviste alle altre candidate a Capitale europea della Cultura 2019.

Aosta Capitale EU  LOGOIntervista a Andrea Edoardo Paron, Assessore alla Pubblica Istruzione, alla Cultura, alle Politiche giovanili, ai Rapporti con l’Università e all’Innovazione tecnologica del Comune di Aosta.

 

Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono le strategia e il progetto del 2019?

Rispetto alla altre città candidate Aosta si presenta maggiormente legata al proprio contesto territoriale favorita in questo dalle ridotte dimensioni proprie e della stessa regione.
In tale senso, fin dal primo momento abbiamo voluto chiarire come la nostra proposta sia da intendere come espressione dell’intero sistema “Valle d’Aosta”, comprendente il capoluogo regionale, “epicentro” della candidatura, posto al centro della Regione Autonoma Valle d’Aosta e sede di importanti poli regionali legati all’attività produttiva e politico-amministrativa, al terziario, alla sanità, alla scuola e alla cultura, il territorio circostante, la cosiddetta “Plaine d’Aoste” comprendente i Comuni viciniori, e il resto della regione alpina con le sue diverse vallate, le rinomate località turistiche e i borghi ricchi di storia e tradizione.
Questo sistema si fonda sul connubio tra storia, cultura e paesaggio che sono anche gli assi lungo i quali si articolerà il programma della manifestazione che abbiamo progettato, all’interno dei quali saranno sviluppati ulteriori sottotemi.
Per quanto riguarda Aosta, si tratta di una città a prevalente vocazione turistica che ho definito un “Bignami di storia” per la presenza di testimonianze e monumenti che spaziano dal periodo romano di Augusta Praetoria fino all’epoca moderna che sta conoscendo una fase importante di sviluppo legato, per rimanere in campo culturale, alla realizzazione del nuovo polo universitario, al completamento del parco archeologico nell’area megalitica di Saint-Marin de Corléans, al restauro e alla valorizzazione dei più importanti monumenti di epoca romana e medievale e al progetto di riqualificazione delle piazze del centro storico.

 
Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?

Come dicevo, la città di Aosta è interessata da alcuni anni da un importante programma di investimenti che hanno nella cultura il comune denominatore, e che vedranno il loro completamento tra il 2015 e il 2019. Questo programma asseconda la vocazione naturale del capoluogo valdostano e dell’intero territorio regionale, ad essere “Carrefour d’Europe” in virtù di una straordinaria posizione geografica nel cuore dell’Europa – tra Svizzera, Italia e Francia, ai piedi delle vette più alte delle Alpi, e non lontano dal Mediterraneo – e del ruolo che storicamente ha assunto nel fare interagire culture e lingue diverse, in differenti epoche storiche.
Peraltro, proprio a partire dal ruolo di crocevia di Aosta si svilupperà il progetto legato alla candidatura che avrà come concetti chiave quelli di “interazione”, “integrazione” e “condivisione” declinati e intrecciati, come accennato, nella storia, nelle culture e nel paesaggio della città e della regione.
Nel dettaglio, i nostri atout sono rappresentati dal patrimonio monumentale e archeologico, dalla storia millenaria della città, dai numerosi musei e sedi espositive, dal ricco programma di eventi e manifestazioni di carattere culturale che tengono compagnia a cittadini e turisti per tutto l’anno, dalle peculiarità delle nostre tradizioni frutto di una specificità culturale riconosciuta da un regime di autonomia politica; il tutto inserito in uno scenario naturale senza eguali.
Anche le dimensioni ridotte della città, teoricamente penalizzanti nel confronto con altre realtà metropolitane, possono rappresentare un valore aggiunto, in quanto in ben pochi altri contesti, come avviene in Valle d’Aosta, è possibile apprezzare in soli 3.263 chilometri quadrati così tanti motivi di interesse e un’offerta turistico-culturale così variegata, passando in pochi minuti dalle piste di sci a una seduta alle terme, da un’escursione in mountain bike alla vista a un museo, da una passeggiata al Teatro Romano a un concerto nel cortile di un castello medievale.

 

Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?

Al di là di valutazioni meramente economiche legate al finanziamento dell’operazione, il principale elemento di criticità è legato alle ridotte dimensioni della città e della regione che se, da un lato, come detto in precedenza, ne costituisce un punto di forza, dall’altro potrebbe risultare potenzialmente penalizzante per quanto concerne la ricettività e i trasporti. Se per quanto riguarda il primo aspetto, Aosta può contare anche su numerose strutture destinate all’accoglienza presenti nel resto delle località valdostane poste a pochi chilometri dal capoluogo, per quanto riguarda i sistemi di comunicazione, sono in corso lavori di potenziamento e miglioramento del sistema ferroviario, autostradale e aeroportuale, con la riapertura al traffico aereo dello scalo di Saint-Christophe, alle porte di Aosta.

 

I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?

A giovarsi della designazione di Aosta a Capitale europea della Cultura sarebbe l’intero sistema economico valdostano in quanto buona parte del Pil regionale si basa sul turismo e sulle attività connesse. Il previsto afflusso di visitatori in occasione delle manifestazioni organizzate farebbe da traino all’intero settore. A ciò si deve aggiungere che, oltre agli investimenti che verrebbero impiegati per l’occasione nella realizzazione di eventi, manifestazioni e infrastrutture temporanee, le opere che stiamo realizzando alle quali accennavo in precedenza e che sono indipendenti dalla designazione di Aosta nel senso che verranno portate a compimento comunque, genereranno ricadute positive in termini economici ed occupazionali che non si esauriranno certo con il 2019.

 

Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?

Da un lato in maniera tangibile resteranno le opere che stiamo portando a compimento per trasformare la città in un polo di eccellenza in campo culturale tra le Alpi, puntando sull’Università della Valle d’Aosta, sul Parco archeologico, sulle strutture museali, sul programma di iniziative che arricchiranno e animeranno la vita culturale di Aosta a partire dal già vasto programma esistente.
Più in generale ottenere il titolo di Capitale europea della Cultura sancirebbe in modo definitivo la nuova vocazione della città, nella quale la vita universitaria, il multilinguismo, lo scambio interculturale, la creatività artistica diventerebbero motore della vita economica e sociale di tutti i cittadini. E anche gli effetti sull’intero territorio regionale saranno importanti, facendo della Valle d’Aosta una meta turistica di attrattività assoluta dove, accanto all’ambiente naturale, allo sport e alle tradizioni troverà posto un sistema artistico unico che nel raggio di poche decine di chilometri condurrà dal Forte di Bard attraverso il Museo del Castello Gamba di Châtillon e i castelli di Issogne, Verrès e Fénis sino alla Capitale europea della cultura Aosta.

 

Leggi le interviste alle altre candidate a Capitale europea della Cultura 2019.

aq19Intervista a Errico Centofanti, coordinatore del progetto di candidatura de L’Aquila a Capitale Europea della Cultura 2019.

 
Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono la strategia e il progetto del 2019?

È un’identità che è legata alla natura e alla storia della città. L’Aquila ha alle spalle molti secoli di storia e una stratificazione di eventi e di testimonianze architettoniche e artistiche di varie epoche, inserite in un ambiente naturale di grande pregio, dominato dalla vetta più alta della penisola, il Gran Sasso d’Italia. Tutto intorno, poi, si estendono una serie di parchi nazionali e regionali che fanno del nostro territorio la regione d’Europa che ha il più alto tasso di aree protette.

 

 
Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?

In primo luogo, abbiamo la questione della ricostruzione del centro storico, gravemente danneggiato dal terremoto del 2009. Quello de L’Aquila è uno dei più vasti centri storici del nostro Paese, il più importante centro storico d’Europa che sia stato violentemente danneggiato da un terremoto, dopo quello di Lisbona che ebbe a subire sorte analoga nel 1755. Questo aspetto è evidentemente connesso alla responsabilità del nostro Paese di poter dimostrare all’Europa del 2019 di aver saputo intervenire per riavviare all’antico splendore questo centro storico. Poi ci sono tutte le caratteristiche legate ad una lunga e consolidata tradizione di presenza della nostra città nel mondo della creatività artistica, dal campo musicale a quello teatrale, etc.

 

 
Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?

Fondamentalmente sono legate ad una serie di inadeguatezze che derivano dalla ristrettezza di mezzi che negli ultimi tempi colpisce l’intero Paese. Questo ovviamente, collegato alle problematiche del terremoto, rende necessario superare una serie di disfunzioni e disservizi sui quali abbiamo, però, la consapevolezza di potere comunque venire a capo. Gran parte di questi fronti sono già stati oggetto di progettazione e di finanziamento: per tutto quello che riguarda i servizi sociali, dagli asili nido ai centri per gli anziani, la mobilità e così via, è già in itinere un processo di ripristino, potenziamento e aggiornamento. Si tratta un settore che attualmente presenta molte criticità, ma per il 2019, a prescindere dalla candidatura, confidiamo di poter nuovamente dare a tutti i nostri cittadini ottimi servizi da questo punto di vista.

 

 
I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?

Il fatto che gli operatori economici si occupino poco di produzione artistica nel nostro Paese deriva da un’inadeguatezza legislativa, laddove in altri paesi gli interventi in favore della produzione artistica hanno un trattamento fiscale che ne incentiva la crescita. Speriamo, per quanto riguarda il nostro progetto, che la capacità attrattiva e la potenzialità di un ritorno di immagine per coloro che sosterranno come sponsor e come partner, tecnici o finanziari, la nostra iniziativa, sia tale da suscitare il sufficiente e giusto interesse da parte di strutture economiche e private. Riteniamo anche che questo sarà legato alla qualità e all’interesse dei programmi che potremo proporre, ma su questo fronte non abbiamo dubbi circa la capacità di poter essere all’altezza della situazione.

 

 
Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?

Prima ancora che si arrivi a ottenere il titolo, attraverso il lavoro già fatto e quello ancora da svolgere per acquisire il successo della nostra candidatura, dobbiamo portare a compimento una serie di progetti che resteranno in eredità alla città, e che sono di ordine materiale e di ordine morale.
Per quanto riguarda quelli di ordine materiale, si tratta di realizzare strutture di vario genere che non sono solo quelle a servizio delle attività ricreativo culturali, ma anche quelle che riguardano i servizi sociali. Queste, peraltro, rappresentano una componente ineliminabile del modello di città culturale, perché se le persone non vivono bene, avrebbe poca importanza saper produrre buoni concerti, o buone mostre. L’aspetto morale riguarda l’impiantare la coesione e l’identità della comunità.
Se dovessimo ottenere il titolo, come ci auguriamo, tutto questo produrrà ulteriori risultati, perché massimizzerà quelli già raggiunti e lascerà nell’ambito della comunità, all’indomani dell’anno da Capitale, non soltanto strutture e immagini, nuove e potenziate, ma anche nuove realtà e una rafforzata attitudine de L’Aquila a essere quel centro di propulsione artistico-culturale che è sempre stata e che costituisce la caratteristica principale della sua identità.

 

 

Leggi le interviste alle altre candidate a Capitale europea della Cultura 2019.

MANTOVACECIntervista al Prof. Vittorio Longheu, docente di progettazione architettonica al Politecnico di Milano – sede di Mantova e membro del Comitato Promotore di Mantova 2019.

 

 

Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono le strategia e il progetto del 2019?

È un’identità che ha le proprie ragioni in una storia molto lunga, che parte da Virgilio e arriva fino ai giorni nostri. Trova dei punti significativi soprattutto in periodi specifici della storia della città che coincidono con l’alto medioevo e il rinascimento, caratterizzato dall’ascesa di una grande corte europea, quella dei Gonzaga. Da qui, nel tempo, la città ha costruito la propria identità e il proprio valore, sia dal punto di vista economico, sia sulle modalità di governance del territorio e, sia dal punto di vista culturale con una straordinaria apertura all’Europa. La città ha immaginato il suo percorso di candidatura proprio per rivendicare questa identità. Il processo che si è sviluppato in questi anni ha messo a sistema il rapporto tra modernità, contemporaneità e passato: il passato non è solo un luogo dove trovare verità, ma è anche la chiave per capire il proprio presente e immaginare il futuro.

Il tema della candidatura, il suo slogan, è “La nuova corte d’Europa. Smart Human City”. Tenendo insieme le istanze contemporanee di una città veloce, che sa dialogare con la contemporaneità e sa leggere e capire il presente, ha posto al centro della propria riflessione non tanto l’accezione puramente tecnologica, futuribile della città, ma l’uomo, la storia, il territorio. “Smart” diventa anche “Human” e la città si trasforma in un luogo sociale nel quale lo spazio di relazione fra le persone struttura i suoi valori in relazione con il passato. È un progetto articolato che nasce da una lettura sui temi della città già qualche anno fa sviluppato da prof. Settis.

Ma l’aspetto fondante della candidatura è il suo partire dal basso, dalle persone, perché il valore culturale della città impone una valutazione corale sul senso di questa candidatura, che è anche un momento per immaginare il futuro. La relazione con più di sessanta associazioni culturali che operano in città, il  rapporto con i cittadini, sentire le loro impressioni su quello che si sta facendo e che si è fatto è diventato il bagaglio, il tessuto sul quale è stato redatto il dossier di candidatura.

 

 

Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?

È stato abbastanza semplice individuare gli elementi qualitativi attraverso i quali esprimere la candidatura, perché erano già presenti nei sistemi culturali operanti in città. È un percorso che si sviluppa in continuità, ma che innesta una diversa qualità relazionale tra questi operatori e l’Europa. Primo fra tutti emerge, in questo senso, il tema dell’inclusione sociale. Mantova e il suo territorio sono   il secondo territorio per inclusione, capace di accogliere e inserire. Emerge, poi, la stessa capacità e volontà che aveva la corte gonzaghesca di attrarre nuovi talenti. In questo senso il progetto sviluppa, dal punto di vista strutturale, un ampio sistema relazionale che parte dall’idea di macro-regione, tenendo conto che, facendo una circonferenza di 200 km, Mantova è al centro di un sistema amplissimo di grandi città culturali, come Bologna, Ferrara, Cremona, Brescia, Treviso, Trento, Bolzano. Questo insieme strutturato è volano per uno degli altri temi importanti, quello relativo all’ampliamento della rete turistica. Abbiamo 32 milioni di arrivi turistici con circa 139 milioni di presenze. Mantova oggi accoglie circa 500.000 turisti all’anno. Mettere a sistema  questo ampio bacino significherebbe ampliare l’attrattiva turistica che la città ha congenita in sé ma che non riesce a sviluppare per tutta una serie di ragioni, che il progetto di candidatura cerca di trasformare da debolezze in punti di forza.

 

 

Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?

Il tasto dolente sul quale si è lavorato è la capacità ricettiva che la città offre, non tanto considerando i numeri attuali, ma pensando ai numeri che si possono realizzare attorno a questi 200 km di raggio. La città si sta attivando partendo dal basso, attraverso l’idea di un sistema alberghiero diffuso, con il suo fulcro nel centro storico, che parte dalla possibilità, attraverso investimenti relativi, di attivare strutture ricettive di straordinaria qualità e di facile gestione.
In questo senso, diventa forte e importante anche la presenza del territorio, con città di grande qualità come Sabbioneta o Castiglione. Ad esempio, all’interno del progetto di candidatura, si sta sviluppando un ciclo di conferenze sull’architettura e uno dei maestri mondiali dell’architettura, l’architetto Tadao Ando, è stato ospitato in uno di questi piccoli alberghi nel centro della città. Dopo un mese ci ha mandato una lettera dicendo che quello è l’albergo che lui ritiene più bello al mondo. Ecco come si può trasformare, con investimenti relativi e sostenibili, un punto di debolezza in una qualità.
Gli elementi che stanno alla base di quest’idea sono:
Il chilometro zero, ovvero il programma culturale prevede la valorizzazione delle eccellenze mantovane a km 0 che sanno dialogare con l’Europa ed il mondo come il Festival Letteratura o l’Accademia Virgiliana, per esempio.
L’Impatto zero. Il riutilizzo di edifici e complessi monumentali presenti in città, sottoutilizzati o non utilizzati, con Mantova 2019 vengono rigenerati, senza costruire nulla di nuovo, ma recuperando.
Il costo zero. Perché tutti i progetti che vengono presentati nel palinsesto degli eventi di Mantova 2019 saranno finanziati tramite risorse provenienti da progetti europei. Sono programmi interni alle linee guida della Comunità Europea e quindi passibili di finanziamenti, o attraverso lo sfruttamento del brand Mantova, attraverso privati, sponsorizzazioni e crowdfunding. Quest’ultimo è un sistema di mecenariato diffuso che già Mantova sta sviluppando, attraverso le piccole offerte di cittadini che hanno permesso di restaurare alcuni monumenti e che adesso stanno consentendo di partecipare alla candidatura.

 

 

I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?

Sicuramente sì. Uno degli aspetti importanti della candidatura è lo sviluppo delle attività economiche e culturali. Già il sistema culturale di Mantova è molto ampio e complesso, e si snoda attraverso una serie di eventi come il Festival della Letteratura, il Mantova Film Fest, le rassegne per l’infanzia, il teatro, i percorsi mozartiani. Il problema è fare rete, sistema, articolare una proposta ampia che stia insieme non solo a livello teorico, ma anche attraverso azioni strutturali, a partire dall’idea di macro-regioni, attraverso scambi e attività relazionali. Immaginiamo di coinvolgere un ampio territorio che si rivolge anche all’Europa con tutti i sistemi culturali che la città ha già sviluppato nel tempo.

 

 
Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?

Dal punto di vista materiale, il progetto prevede, in accordo anche col Ministero, l’ultimazione di una grande progetto su Palazzo Ducale, la riorganizzazione del Centro Internazionale d’Arte e di Cultura di Palazzo Te, lo sviluppo e la ristrutturazione del teatro sociale e la costruzione di un museo di arte contemporanea. Quest’ultimo sarà laboratorio di cultura sulla contemporaneità, costituendo assieme al Centro Internazionale d’Arte e di Cultura di Palazzo Te, alla Casa del Mantegna e al Tempio di San Sebastiano di Leon Battista Alberti, un polo culturale parallelo al grande sistema culturale costituito da Palazzo Ducale e dal Museo Archeologico. Si tratta, quindi, di un sistema di grandi spazi culturali con la possibilità di accogliere grandi flussi turistici.
Tutte le altre strutture dedicate all’organizzazione nel 2019 degli eventi e del palinsesto saranno completamente removibili e a impatto zero. L’eredità che tutto ciò, in definitiva, lascerà alla città sarà un grande apparato culturale, aggregativo, riconoscibile, aperto all’Europa, non solo dal punto di vista culturale ma anche da un punto di vista sociale, attraverso la trasformazione della città in un polo capace di  attrarre giovani talenti, costruendo con le università di Mantova un centro di ricerca e di sviluppo a livello internazionale.

 
Le altre candidature a Capitale europea della Cultura 2019.

CASERTACECIntervista all’Assessore alla cultura, pubblica istruzione ed edilizia scolastica della città di Caserta, Felicita De Negri, responsabile del Comitato Caserta 2019.

 

Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono le strategia e il progetto del 2019?

È un’identità che ha radici storiche piuttosto lontane: Caserta come capoluogo di terra di lavoro e sede di una Reggia che è conosciuta in tutto il mondo. È stata per un secolo il sito reale preferito dai Borboni. Attorno alla corte si è creata una città che è stata definita “città borghese”, con delle peculiarità sociologiche e urbanistiche abbastanza spiccate. Caratteristiche che, in qualche modo, nel tempo sono andate in parte perdute, ma che ci sono e costituiscono l’essenza della città.

 

Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?

Le sue radici da un lato e dall’altro la volontà di qualificarsi sia da un punto di vista urbanistico, che ambientale, che culturale. Si tratta di fare un salto di qualità e portare l’Europa a Caserta.
Il dossier che è stato curato da Confindustria Caserta ha come slogan “Sense of Europe”, e vuole porre l’attenzione sul sentimento europeo che va declinato in tante forme, tutte le forme che i nostri cinque sensi ci permettono di sperimentare.

 

Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?

Rispetto alla candidatura, è un punto di debolezza il fatto di essere partiti con un po’ di ritardo, ma tuttavia ben intenzionati a colmare questo gap iniziale. D’altra parte le città che sono partite prima di noi sono leggermente più avanti, ma il cammino da compiere è ancora lungo e c’è tutto il tempo per recuperare. L’importante è avere un forte convincimento e noi ce l’abbiamo.

 

I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?

La Capitale della Cultura è definita tale non soltanto in termini strettamente artistici. È una capitale anche della cultura dell’innovazione. Quindi il discorso travalica i confini di quello che noi tradizionalmente consideriamo il patrimonio culturale. Quello che viene a profilarsi è un panorama molto più ampio e complesso. Necessariamente lo sviluppo economico e l’innovazione sono degli elementi imprescindibili che vanno di pari passo, costituendo un discorso unitario. Tutta insieme la collettività cittadina si proietta verso il futuro, facendo leva sul passato che può con certezza vantare e che certamente va recuperato nelle sue parti migliori e più significative.

 

Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?

Rimarrà tantissimo. Innanzitutto il patrimonio acquisito attraverso l’apertura alla civiltà europea: tutto quello che l’Europa ci può dare di buono noi lo avremo portato a Caserta. Sarà un’acquisizione duratura. Non si tratterà di una serie di eventi effimeri, ma saranno degli ottenimenti stabili, proprio perché non si limitano al lato semplicemente spettacolare o museale, legato ad una politica dei grandi eventi. Si tratta di un discorso che parte dal patrimonio culturale, ma che poi coinvolge la città in quanto insieme di costruzioni, in quanto ambiente, coscienza cittadina, visione del futuro, memoria del passato. Tutte acquisizioni che resteranno un momento fondamentale per la crescita della città. Per sempre.

Le altre candidature a Capitale europea della Cultura 2019.

ecoc_logo_ENLa corsa verso il titolo di Capitale europea della Cultura 2019 continua per le candidate italiane, ricca di colpi di scena e di novità. Il quadro di progetti, dossier e proposte, che vanno presentate con scadenza ultima il 20 settembre, è in continua variazione.

Sono 19 per il momento le città che aspirano al prestigioso titolo, ma il numero e l’identità delle concorrenti può variare di ora in ora.

Risale a pochi giorni fa, ad esempio, il ritiro della candidatura da parte di Amalfi. La città, regina della costiera campana, ha ritirato il suo progetto per mancato sostegno delle istituzioni, tra le polemiche del comitato e dello stesso sindaco, Del Pizzo. L’atteso supporto della provincia di Salerno, infatti, è venuto meno e a rimanere in gara per la Regione Campania è rimasta solo Caserta.

C’è ancora incertezza, invece, per Pisa, che deve fare i conti con la rivalità della vicina Siena, la quale appare maggiormente lanciata verso la presentazione del progetto. Pisa, per il momento, non ha visto l’appoggio ufficiale della sua candidatura dalla Regione, tanto che Enrico Rossi, governatore della Regione Toscana, ha invitato Pisa a lasciare perdere la sfida, per lasciare campo libero alla città del Palio.

Anche Brindisi, che qualche tempo fa aveva annunciato la sua candidatura, si è ritirata per appoggiare ufficialmente Lecce. E, infatti, adesso le due città si definiscono “il tacco su cui regge il futuro d’Europa”. Bari, che inizialmente si era lanciata nella competizione europea, si è poi fatta da parte per dare il suo appoggio a Taranto. La Regione Puglia, da parte sua, non si esprime ancora a favore né dell’una, né dell’altra candidata e si riserva di dare il suo appoggio ufficiale solo dopo la scrematura del 20 settembre.

Ci sono perplessità anche per la candidatura di Catanzaro che a quanto pare si sarebbe ritirata di recente. Al suo posto è subentrata Reggio Calabria con il sostegno del Prefetto della Provincia di Reggio Calabria, Vittorio Piscitelli.

Altra new entry in corsa è Cagliari che ha ufficializzato la sua partecipazione solo a fine luglio, grazie alla spinta ricevuta dal Ministero dei Beni Culturali, che le ha proposto di candidarsi, e dal sindaco, Massimo Zedda.

Per conoscere tutte le novità sulle candidature a Capitale europea della Cultura 2019, non perdete di vista Tafter, che continua con le interviste alle città in gara per il titolo.

sieIntervista al Professore Pier Luigi Sacco, direttore della candidatura di Siena a Capitale europea della Cultura 2019.

Qual è l’identità del territorio dalla quale scaturiscono le strategia e il progetto del 2019?

Siena ha un’identità territoriale molto forte, legata ad un patrimonio tangibile e intangibile conosciuto in tutto il mondo. In realtà, non è tanto la presentazione di questa identità che ci interessa ai fini della candidatura, quanto le modalità con le quali questa identità permette di affrontare e risolvere le problematiche che il territorio si trova oggi a fronteggiare.

Quali sono gli asset che la città immette in questo programma?

Non è ancora possibile, in questa fase, parlare in maniera esaustiva dei temi del dossier di candidatura, perché al momento devono restare riservati. Il tema principale sul quale lavoriamo, però, è il rapporto tra patrimonio, soprattutto intangibile, e innovazione sociale. Vogliamo dimostrare che il patrimonio intangibile può divenire un grandissimo asset competitivo per ridefinire in senso positivo l’economia del territorio.

Quali sono le mancanze cui dovrete invece sopperire?

Il fatto che in questo momento il territorio sia in uno stato di profonda crisi economica e la situazione di forte instabilità politica, a causa della quale il comune è stato commissionato per una anno, sono sicuramente le principali difficoltà che dobbiamo affrontare. A nostro vantaggio, però, devo dire che il territorio, da questo punto di vista, ha reagito molto bene, si è stretto intorno alla candidatura, aiutandoci a superare queste difficoltà.

I flussi economici delle città d’arte riguardano solitamente pochi addetti ai lavori. Il programma relativo alla candidatura intende coinvolgere uno spettro più ampio di operatori economici?

Assolutamente sì. Il programma coinvolge tutte le categorie di operatori della città, da quelli culturali, a quelli economici, a quelli sociali, al volontariato, agli ospedali, alle prigioni. C’è posto per tutti.

Cosa rimarrà alla città dopo il titolo di Capitale europea della Cultura?

Rimarrà una parte economica assolutamente trasformata rispetto a quella di oggi, rimarranno un paio di istituzioni nuove che, credo, aiuteranno la città ad avere un grande peso nel quadro internazionale. Ma soprattutto rimarranno un’energia e una mentalità nuove per utilizzare la cultura come volano per lo sviluppo economico.

 

Le altre candidature a Capitale europea della Cultura 2019

notteforiIl neoeletto sindaco di Roma, Ignazio Marino, ha deciso di chiudere al traffico delle auto private via dei Fori Imperiali, dal Colosseo a Piazza Venezia. Con concretezza, l’operazione si sta realizzando in tempi brevi e sembra avere le caratteristiche per proporsi come biglietto da visita della nuova giunta. Intorno a questa scelta stanno crescendo aspettative che tendono a farla diventare un punto di riferimento di riflessioni, proposte e interrogativi di chi ha cuore il rapporto con la cultura nel nostro paese.
E’ realistico pensare che questa attenzione vada attribuita a una felice coincidenza che pone il provvedimento del sindaco Marino nel punto di snodo di diverse problematiche che riguardano la vita nelle nostre città.

La chiusura infatti nasce dalla preoccupazione per la tutela del Colosseo e dell’area circostante messe a dura prova dal traffico, dallo smog e dai lavori della Metro C. A questo vanno aggiunte le proteste di cittadini e operatori per il rischio di degrado di un’area che sembra essere stata abbandonata al turismo di massa tra venditori di paccottiglia, giganteschi torpedoni e pochi servizi. Nei quartieri limitrofi a via dei Fori Imperiali non sono pochi gli abitanti che preferiscono usare le proprie case per i bed and breakfast piuttosto che abitarci. E il problema riguarda da tempo tutto il centro storico romano abitato solo da una esigua minoranza di cittadini.
Ecco allora che sulla questione della chiusura di via dei Fori Imperiali confluiscono le attenzioni di diverse sensibilità: la necessità di un ambiente non inquinato; la speranza di liberare Roma dal traffico delle auto in favore di un migliorato trasporto pubblico; la possibilità di avviare politiche di turismo sostenibile in contrasto con il turismo di massa, “mordi e fuggi” che molto toglie alla città senza restituirle nulla; e finalmente il recupero della centralità della cultura.

Il quadro generale per avviare questo lungo e virtuoso cammino è fornito dalla necessità di ricostruire quella “città pubblica” il cui tramonto è descritto con cura e attenzione nel recente libro di Francesco Erbani. Un campo semantico che vede al suo centro la cultura restituita ai cittadini perché elemento di costruzione del senso civico e della dimensione sociale, fattore di inclusione e cittadinanza, formidabile motore di democrazia e partecipazione.
Se questo venisse realizzato verrebbero sciolti i dubbi intorno al ruolo di Della Valle per il restauro del Colosseo. Capiremmo meglio quale indirizzo dare alle politiche culturali e come migliorare il problema del rapporto tra centro e periferia.

Infine, potremmo riflettere più serenamente sulla scelta di affidare alle sorelle Fendi e al magnate francese del lusso Bernard Arnault l’uso del Palazzo della Civiltà del Lavoro all’Eur. E liberarci della gabbia strettissima dell’ideologia dominante che vede nell’affido ai privati l’unica strada per risolvere il problema dei beni culturali nel nostro paese. Riusciremmo così a intravvedere soluzioni più civili e responsabili per la gestione del nostro patrimonio.

In questo quadro, due iniziative apparentemente di valore secondario, potrebbero far sperare in una diversa concezione delle politiche pubbliche: la somministrazione ai cittadini di un questionario e l’invito a partecipare alla festa di inaugurazione. Sono solo un’operazione di marketing? Prevedono autentica partecipazione? E in che modo?

La festa sarebbe interessante se rappresentasse il primo passo di una restituzione del patrimonio culturale ai cittadini. Il questionario è benvenuto se fosse l’inizio di una pratica di partecipazione.
Fruizione e produzione culturale hanno bisogno di modalità precise per essere attivate. E queste modalità riguardano la sostenibilità della vita nei nostri quartieri, al centro come in periferia, per i residenti come per i turisti.

Le isole pedonali non bastano: possono anzi diventare un boomerang. Una brutta ferita come quella che vede il centro di Roma, da Fontana di Trevi al Pantheon, attraversato da masse di turisti ignari della città che percorrono un solco che ha mutato profondamente la fisionomia di quelle strade oggi occupate solamente da negozi di souvenir, pizzerie a taglio, bar e ristoranti. Si deve fare meglio, molto meglio. E di più.

Gioacchino De Chirico è un giornalista culturale ed esperto di comunicazione

Un gallo gigante di 5 metri, in vetro resina, dipinto di blu elettrico, chiamato con evidente doppio senso (sia in lingua inglese che tedesca) Hahn/Cock, probabilmente susciterebbe interesse, sconcerto, ilarità, ammirazione, anche nello scantinato (immenso) di una casa di provincia. Pensatelo, quindi, troneggiante e tronfio in uno dei luoghi pubblici più noti e visitati al mondo, Trafalgar Square a Londra, e il gioco di clamore è fatto!

New Commission for the Fourth Plinth unveilled
La “mamma” del gallo blu, l’artista tedesca Katharina Fritsch, sostiene che l’idea di Hahn/Cock – come la maggior parte delle idee vincenti – le sia balenata in mente all’improvviso, già chiara e distinta nella sua totalità. Dall’ideazione alla realizzazione il passo, per un artista di talento, è breve, e il prototipo del galletto ha preso vita per essere candidato a costituire il Fourth Plinth di Trafalgar Square. La quarta colonna dell’immensa piazza per secoli è stata disadorna, fino a che, nel 1998, non si è dato vita ad un progetto per “decorarla” ogni 18 mesi con una diversa opera d’arte contemporanea.

Yinka+Shonibare+Fourth+Plinth
La scultura della Fritsch, in realtà, già al momento della sua presentazione aveva suscitato parecchie polemiche.
Numero uno: si tratta di un gallo, soggetto inusuale e inappropriato per adornare una piazza.
Numero due
: il gallo è il simbolo della Francia e, guarda caso, Trafalgar Square celebra la vittoria contro Napoleone dell’ammiraglio Nelson, dirimpettaio di piedistallo del gallo, che avrebbe guardato negli occhi per almeno 18 mesi.
Numero tre: il gallo è anche blu intenso, quasi a fugare ogni dubbio sulla sospetta associazione con la nazione francese. Le critiche mosse da Sir Nicholas Underhill, uno dei più alti – e conservatori – magistrati del Regno Unito, però, non sono servite a fermare il clamoroso galletto che il 25 luglio ha preso possesso di Trafalgar Square, alla faccia di Nelson e dei piccioni sbigottiti sotto e sopra di lui.

D’altra parte la Fritsch ci ha tenuto a precisare che le sue intenzioni non erano assolutamente quelle di richiamare alla Francia, il suo scopo era ben altro. Trafalgar Square, ha sostenuto la Fritsch, è una piazza prettamente mascolina, piena di simboli fallici, le colonne appunto, e zeppa di echi di battaglia, coraggio e valore testosteronico. L’ironico gallo, quindi, col suo nome a quadruplo senso, sarebbe una presa in giro bonaria del maschilismo: la scultura fa il verso ai “galletti” in giacca e cravatta che passano ogni giorno dalla piazza in veste di uomini d’affari, alle pose del potere, all’esibizione della superiorità maschile. Non a caso, inoltre, il piumaggio del gallo e la sua cresta ricordano la divisa militare e il capello dello stesso Nelson. Il fatto, poi, che i più maliziosi ci abbiano visto una connessione con la Francia, secondo la Fritsch, è ancora più divertente.

A ulteriore discolpa dell’artista di Dusseldorf, se ce ne fosse ancora bisogno, si può anche aggiungere che l’intera sua opera è, in effetti, una provocazione. Le sculture della Fritsch hanno sempre colpito, per le forme, i soggetti e i colori. Quello che l’artista vuole suscitare è un moto dell’animo, razionale e irrazionale, la stessa emozione quasi incontrollata che i bambini provano nel giocare con le forme e i colori. Ed, effettivamente, la scultrice raggiunge sempre il suo scopo. Alla 54ma Biennale di Venezia, ad esempio, aveva affascinato presentando cinque allegorie: una Madonna rosso fuoco, un teschio giallo squillante, un uovo viola Quaresima, un vescovo in verde acido e, ai piedi di tutti, un serpente bianchissimo.

Katharina-

Da un lato, quindi,  la Fritsch ha confermato la sua natura “ingenuamente provocatrice”; dall’altro gli inglesi hanno dimostrato di non aver perso il loro proverbiale humor, accettando di esporre Hahn/Cock nella loro piazza più famosa. E l’arte, specialmente quella pubblica, ha confermato, ancora una volta, di essere forza scatenante delle più disparate riflessioni, emozioni, curiosità.

foriimpL’annunciata pedonalizzazione di Via dei Fori Imperiali ha tutte le caratteristiche per essere un punto di svolta sia simbolico che concreto nell’arte di amministrare le città.

Alla notizia che questo sarà il primo provvedimento della nuova giunta comunale, qualche dissenso è stato manifestato da romani proprietari di motori a scoppio, e già si programma un baldanzoso “Mortacci Pride” sul sampietrino imperiale. I ciclisti hanno dichiarato che l’idea di uno zoo tutto per loro piace assai, ma gradirebbero anche percorsi utili, il CAI ha chiesto di adibire la Colonna Traiana a cilindro per il free climbing, i guardoni del Pincio reclamano la selezione di sacerdotesse per il Tempio di Minerva.

I turisti paiono apprezzare questo schiaffo alla modernità in favore del passeggio. Per i più nostalgici del traffico, i venditori abusivi stanno facendo produrre in Cina il nuovo gadget della biga 4×4 che fa brumm brumm. Una certa preoccupazione c’è in chi teme foto mosse per schivare bus, taxi e vari altri mezzi autorizzati, mentre si fotografa il Colosseo. Questi ultimi sono stati tranquillizzati dal Campidoglio che promette un presidio sanitario per gli investiti e una foto gratuita col centurione Alfio Marzio.

Una ‘pedonalizzazione parziale’ sembra poca cosa a prima vista, ma altre città hanno già annunciato che ogni volta che se ne presenteranno le condizioni copieranno l’esempio di Roma Capitale. Mi riferisco in primis a Seoul, Granada, Belo Orizonte, Graceland, tutte concordi nel dichiarare che appena troveranno una strada costruita sopra un parco archeologico, presa in ostaggio da un cantiere della metropolitana e animata da porchettari discendenti in linea vespasiana dai Cesari, la chiuderanno parzialmente al traffico privato.

Le altre metropoli interpellate hanno fatto sapere di non essere pronte a decisioni così drastiche, in quanto tale strada dovrebbero trovare prima il coraggio di costruirla e, una volta fatta, di aprirla al traffico, il ché è davvero troppo anche per le più volenterose.

 

Samuel Saltafossi è sociologo della complessità

 

newyorkArmelle Caron è un artista cui piace anagrammare la struttura delle città. Immaginate una cartina toponomastica di un centro abitato, composta di tante forme geometriche che indicano vie e architetture, ebbene Caron prende ciascuno di questi elementi per riordinarlo a modo suo. Scoprite il risultato!

 

Per conoscere meglio l’arte di Armelle Caron visitate il suo sito

Leggendo dell’inaugurazione, il 18 marzo scorso, del “nuovo” Parkmuseerne a Copenhagen ci si potrebbe chiedere quale sia la novità, cosa ci sia di tanto straordinario, visto che non esiste nessuna nuova architettura iconica e nessun nuovo museo à la page a dare corpo a questo distretto museale.

C’è, invece, un progetto di politica culturale con un target preciso, i cittadini, e un obiettivo: incentivare e agevolare la partecipazione culturale della popolazione. Viene messo in opera un accordo di collaborazione scientifica tra istituzioni culturali con diverse vocazioni (e diversi assetti proprietari), dall’arte islamica della Collezione David, all’arte danese del XX secolo del museo Hirschsprung, dal cinema della Filmhouse, ai reperti zoologici del Museo di Storia Naturale.

C’è un intento comune di trasformare questa collaborazione scientifica in un’offerta culturale “green” fatta per i residenti. Serve a portarli a riscoprire un patrimonio di prossimità e a viverlo in modo diverso: a piedi o in bici, con programmazioni tematiche comuni, con connessioni tra architetture, musei, parchi e industrie creative, con un collegamento tra opere d’arte dentro i musei e contesto culturale e naturale fuori da essi. Incentivando l’utilizzo degli spazi verdi inclusi nel distretto (tre), resi parte della proposta culturale, e migliorando la visibilità e l’accessibilità fisica dei luoghi.

Questo, nella Capitale che si è posta, tra gli altri, l’obiettivo di diventare entro il 2025 la prima al mondo a emissioni zero.

Ovviamente, a sostegno di tutto ciò, un’articolata e chiara comunicazione – a partire da quella del sito parkmuseerne.dk e dei portali delle sei istituzioni aderenti al Parkmuseerne – segnala non soltanto i parchi gioco o i punti d’accesso più facili per i disabili, ma promuove anche, in modo congiunto, i diversi servizi aggiuntivi presenti nei musei.

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Il turista non sembra ancora un target delle varie iniziative promosse dal distretto ma, con l’interesse e la cura riservata da sempre in Danimarca a questo segmento di utenza, c’è da scommetterci che presto lo sarà, tant’è che sul sito compare già un simpatico invito rivolto a chi conosca un po’ di danese a unirsi alle visite guidate organizzate da botanici e storici dell’arte.

Primo tema di lavoro comune scelto dal distretto è quello dei fiori che, con la sua universalità, ben traduce l’idea di un innervo tra ricerca scientifica, divulgazione e comunicazione.

 

Martha Friel è docente di marketing delle organizzazioni culturali, IULM, Milano

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tesoro, mi si stanno restringendo i monumenti … chissà se un giorno qualcuno ci farà un film; le teste critiche non mancano, da Moore a Emmott. Ma nel frattempo forse potrebbe essere utile abbandonare i consueti (e consunti) costumi da guelfi e ghibellini. Quel viandante che si trovasse a passeggiare accanto ai templi della Concordia e di Giunone nella Valle dei Templi si stupirebbe certo di quel patchwork urbanistico che l’involontaria creatività di molti amministratori ha costruito tra sassi antichi e cementi armati. Se ne è parlato tanto, ma nel frattempo chi firmava le carte bollate era distratto, o non capiva, o semplicemente aveva incassato il pretium sanguinis (banconote, mica sesterzi).

Ora, che succede dopo decenni di letargo? Si propone di restringere la demanialità dell’area escludendone le zone perdute, e si accende la miccia della polemica. I ghibel-lini dimenticano che la competenza in materia di beni culturali in Sicilia è regionale, per uno Statuto varato ancor prima della Costituzione; i guelfi sopiscono e accomodano in pieno stile curiale; i non allineati – non mancano mai, sono quelli che aspettano di conoscere il vincitore prima di schierarsi – danno un colpo al cerchio e uno alla botte: il partito del “ma anche” gode sempre di molti proseliti. Nel frattempo è il caso di dipanare una convivenza scomposta tra monumenti e case d’abitazione che non si possono certo demolire. Agrigento ha contratto un morbo, chiamiamolo disinvoltura edilizia in spregio della cultura. La questione è facile, tutto sommato: mettiamoci nei panni del degente indecente.

Il medico ha sbagliato, anche con una nostra complicità? Sostituiamolo e cambiamo comportamento; domandarci troppo a lungo di chi possa essere la colpa ci fa solo perdere tempo. Però qualche regola di condotta per i giorni futuri magari ci aiuta a guarire. Le cicatrici sono brutte da vedere ma non si possono eliminare. Però si possono inventare nuove terapie: assistere i vincoli urbanistici con la sanzione credibile del blocco dei lavori e della demolizione con forti sanzioni pecuniarie; destinare una quota rilevante dell’imposta immobiliare a manutenzione, restauro e promozione dell’area archeologica; incoraggiare la comunità residente a fruire dell’area usando le ricevute di trasporti, acquisti culturali (libri, ad esempio) e servizi municipali come buono sconto sui biglietti d’ingresso; emanare un bando internazionale per il manager dell’area da selezionare sulla base di un progetto strategico e da retribuire in base ai risultati conseguiti.

Così volgeremmo lo sguardo al futuro invece di avvitarci nella vana disputa su chi ha peccato. Come pare sia stato detto nella Camera Lacrimatoria, il carnevale è finito. Ma, per favore, non allunghiamo la quaresima. E’ tempo di agire.

 

Michele Trimarchi è Professore di Analisi Economica del Diritto all’Università di Catanzaro

Ogni città racchiude in sé tante anime: luoghi legati alla storia, alla cultura, alla religione o alla politica, luoghi del passato e luoghi del futuro. L’East Side Gallery è l’anima creativa di Berlino. La parte più estesa del Muro, ancora collocata nella sua originaria posizione lungo le rive della Sprea, è una galleria a cielo aperto. Pagina bianca di una storia da riscrivere, l’East Side Gallery è divenuta nel corso degli anni ed è tuttora luogo di espressione della creatività degli artisti di strada. Con i loro graffiti densi di significati, essi hanno reinterpretato le vicende di una città divisa dalla guerra fredda, i temi della pace e della solidarietà tra nazioni o, semplicemente, hanno dato colore alla Mühlenstrasse. Sono famosi i murales che ritraggono la Trabant, auto simbolo della Germania dell’Est, e il bacio tra Leonid Breznev ed Erich Honecker, ironicamente accompagnato dalla didascalia ”Signore! Aiutami a sopravvivere a questo amore letale”.

Un muro di oppressione divenuto, con il mutare storico, un simbolo di libertà e creatività, che oggi rischia di essere in parte abbattuto per lasciare spazio a un progetto di edilizia residenziale. Il progetto “Living Levels” prevede, infatti, lo spostamento di circa 30 m del tracciato murario per consentire la costruzione di un palazzo di 15 piani di appartamenti di lusso, i cui prezzi andranno dai 2.750 ai 7.800 euro al metro quadro. Nella zona antistante l’edificio è in programma la ricostruzione del Brommybrücke, il ponte a tripla arcata che collegava le due sponde della Sprea distrutto dai nazisti durante la seconda guerra mondiale nell’intento di contrastare l’avanzata dell’Armata Rossa.

Un progetto di riqualificazione urbana di una zona poco centrale di Berlino che non ha però tenuto conto di ciò che gli abitanti del quartiere e i berlinesi effettivamente vogliono. Non è un caso, dunque, che all’avvio dei lavori di smantellamento, il primo marzo scorso, qualche centinaio di cittadini siano intervenuti a difesa dell’East Side Gallery. Qualche centinaio che sono divenuti 6 mila nella successiva azione di protesta del 3 marzo, grazie alla quale ruspe e gru sono state fermate, sebbene solo temporaneamente. Ogni decisione è stata, infatti, rimandata al 18 marzo, data in cui avrà luogo l’incontro con il governo regionale di Berlino per decidere le future sorti del monumento. L’investitore, Maik Hinkel, mostratosi disponibile a trattare, ha fatto notare che le autorità competenti avevano regolarmente avallato il progetto e che almeno 20 dei 36 appartamenti sono già stati venduti sulla carta, individuando come unica strada percorribile l’esproprio e l’indennizzo.

Una Berlino in continuo cambiamento e in rapido rinnovamento, che molto sta investendo sulla cultura e che tuttavia sembra dimenticare la cultura storica in vista di interessi ben più materiali. È questa una delle principali critiche mosse dai manifestanti all’amministrazione: l’aver prediletto gli interessi di ricchi affaristi, piuttosto che non il valore simbolico della East Side Gallery. Nel frattempo, mentre le autorità vorrebbero fare retromarcia e dibattono sul come, rimbalzandosi responsabilità – tra i vantaggi di una amministrazione federale –, la protesta continua. Una nuova manifestazione è in programma per il 17 marzo, mentre è stata avviata una petizione online grazie alla quale sono state raccolte già 70mila firme. Che ne sarà, dunque, della Est Side Gallery? Presto lo sapremo, speriamo in ogni caso in una soluzione in cui passato e presente possano trovare un giusto equilibrio.

 

Nel giorno in cui il Rio de Janeiro ha festeggiato il suo 448° anniversario, la città ha anche inaugurato il nuovo Museo d’Arte di Rio de Janeiro (MAR), in una cerimonia tenutasi alla presenza del Presidente della Repubblica Dilma Rousseff. L’iniziativa congiunta del Consiglio Comunale – responsabile per l’allocazione delle risorse – e la Fondazione Roberto Marinho – che ha creato il progetto – ha avuto un investimento totale di R$ 79,5 milioni (€ 31 milioni circa). Il museo fa parte del progetto di riqualificazione della zona portuale della città e l’aspettativa è che, con le migliorie, ci siano maggiori investimenti e posti di lavoro nell’area.
In un progetto dello studio architettonico Bernardes + Jacobsen, il MAR è stato concepito dall’unione di due edifici costruiti in epoche diverse: il Palazzo Dom João VI, inaugurato nel 1916 per ospitare l’Ufficio dell’Ispezione dei Porti, e un edificio modernista del 1940, dove si terrà anche la Scuola dello Sguardo, con un programma accademico sviluppato in collaborazione con le università per discutere d’arte, di cultura e pratiche curatoriali. Il MAR funzionerà come uno spazio di supporto all’educazione, in collaborazione con il Dipartimento di Educazione del Comune di Rio de Janeiro e altri servizi di istruzione. La missione del MAR, il suo calendario, la formazione delle sue collezioni e la biblioteca, la strutturazione dei programmi, tra le altre attività, saranno definite da un comitato culturale guidato dal critico d’arte e curatore del museo Paolo Herkenhoff, mentre la gestione del museo è stata affidata all’Istituto Odeon, un’associazione culturale privata senza scopo di lucro.
L’apertura al pubblico si è tenuta il 5 marzo,con l’inaugurazione di quattro mostre: “Rio in immagini: la costruzione del paesaggio”, tra dipinti, stampe, disegni, fotografie, sculture e video, per un totale di 400 opere; “Il Collezionista – L’Arte Brasiliana e Internazionale della Collezione Jean Boghici”, con dipinti di Tarsila do Amaral e sculture Maria Martins; “La Voglia Costruttiva della Collezione Fadel”, con opere di Mira Schendel, Abraham Palatnik, Lygia Clark, Aluísio Carvão, Volpi e Tunga; e “Il Rifugio e il Territorio; l’Arte e la Società Brasiliana”.
Il biglietto costerà R$8 (€ 3). Il museo funzionerà dal martedì a domenica, dalle 10 alle 17. Si stima che 200,000 persone ogni anno visiteranno il MAR.

Progetto Porto Meraviglia: la rinascita della zona portuale

Un altro protagonista della riqualificazione della zona portuale carioca sarà il Museo del Domani, un progetto architettonico di 30,000 m2, con giardini, piste ciclabili e un’area ricreativa dello spagnolo Santiago Calatrava. Il Museo del Domani sarà uno spazio dedicato alla scienza, con un ambiente di esperienza che permetterà al visitatore di intravedere il futuro del pianeta nei prossimi 50 anni.
E non solo. Le opere nella zona prevedono la costruzione di quattro chilometri di gallerie, la riqualificazione di 70 chilometri di strade, la ricostruzione di 700 chilometri di reti di infrastrutture urbane e la costruzione di 17 chilometri di piste ciclabili. Si prevede che i lavori proseguiranno fino al primo trimestre del 2016.

 


Questa è la lettera che i firmatari dell’appello lanciato da Italia Nostra e Fai hanno indirizzato al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. La missiva è volta ad evitare che a Venezia venga costruito il Palais Lumiere voluto da Pierre Cardin. Anche TAFTER si è occupato dell’argomento e dunque vi sottopone il testo consegnato lo scorso 4 dicembre.

 

 

Signor Presidente,

è a Lei che ci rivolgiamo, perché Lei è interprete e difensore di parole e principi contenuti nella nostra Costituzione. Ed è proprio una grave offesa alla Costituzione quella che minaccia Venezia: la sua integrità ambientale, il suo paesaggio, la natura e la storia di un patrimonio che va tutelato e tramandato alle generazioni future.

Simone Weil, in un suo scritto intitolato “Venezia salva”, spiega il senso delle radici autentiche di questa città: “È un ambiente umano del quale non si ha maggior coscienza che dell’aria che si respira. Un contatto con la natura, il passato, la tradizione”. Realtà e valori che vanno condivisi, se si vuole essere città. Ma il “contatto” di cui parla Simone Weil svanisce sempre più spesso in fenomeni che feriscono e umiliano, come non mai prima, il diritto dei cittadini al bene comune che è Venezia con la sua laguna.

Se si ritiene possibile da parte dei responsabili delle istituzioni pubbliche contribuire alla mastodontica costruzione di una cosiddetta Torre, e questo addirittura sul margine delle acque lagunari prospicenti il centro storico veneziano, vuol dire che lo smarrimento culturale di quelle istituzioni pubbliche non è solo cinica indifferenza al paesaggio e alla storia – e quindi all’obbligo di tutela e salvaguardia dettato dalla Costituzione e dalla legge – ma è addirittura una malaugurata partecipazione di soggetti pubblici ad un’opera che, ove realizzata, potrebbe danneggiare e sfigurare irreparabilmente Venezia.

Signor Presidente, stiamo parlando di uno sproposito edilizio alto più di 250 metri (nulla di simile nel resto d’Italia), che si vorrebbe costruire da parte di privati lì dove un tempo c’era la grande area industriale di Porto Marghera: che per uscire dal suo pluridecennale declino di molto avrebbe bisogno, ma non certo di un “asso piglia tutto”, che agirebbe solamente in funzione della sua natura di “predatore” economico e finanziario.

Tutto questo accade al di fuori di ogni regola e consuetudine di pianificazione territoriale, e ciò a riprova di intenti speculativi che nulla garantiscono in relazione alla sempre contrastata rinascita economica, sociale e culturale di Porto Marghera.

Coloro che sostengono il progetto della colossale Torre esibiscono motivazioni che ricordano gli alibi politici all’origine delle impressionanti devastazioni di contesti storici, sia urbani che paesaggistici, di molte parti d’Italia negli anni del cosiddetto “abusivismo di necessità”. E la costruzione della Torre vanificherebbe una recente sentenza della Corte di Cassazione (riguardante le valli da pesca della laguna di Venezia) che afferma come i valori paesaggistici e le attività antropiche siano da ritenersi beni comuni secondo quanto previsto dagli articoli 2, 9 e 42 della Costituzione.

È per tutte queste ragioni, signor Presidente, che Le esprimiamo la nostra grave preoccupazione, e che Le chiediamo di vegliare perché a Venezia gli interessi privati e un malinteso culto del profitto non calpestino mortalmente la legalità costituzionale.

 

Pochi giorni fa si è costituito invece il Comitato Sì Palais Lumiere, volto a sostenere il progetto della nuova costruzione, anche attraverso una raccolta firme che sarà presto presentata al Presidente della Repubblica. Per “par condicio” e per una visione completa del fatto, vi proponiamo di seguito la posizione del Comitato Sì Palais Lumiere.

 

 

LETTERA APERTA del Comitato Sì Palais Lumiere a Marghera al “Consulente” Franco Miracco, al Ministro Lorenzo Ornaghi e al Direttore regionale Ugo Soragni

 

Alla nostra Lettera Aperta del Comitato “Sì Palais Lumiere a Marghera” sui ritardi della Soprintendenza, non ha risposto il Direttore regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Veneto Ugo Soragni, bensì Franco Miracco, consulente del Ministero ai Beni Culturali. A nostro avviso Miracco, risulta essere in “conflitto d’interessi” poiché è tra i primi firmatari dell’Appello inviato al Presidente della Repubblica per impedire la costruzione del Palais Lumiere.

Noi vogliamo la risposta dal Direttore Regionale e non da un consulente che, a quanto ci è dato di sapere, sembra non avere alcuna autorità dirigenziale o politica. Inoltre cogliamo l’occasione per chiedere conto circa l’effettivo ruolo di questo consulente. Miracco è pagato con soldi dei contribuenti italiani e si attribuisce il ruolo di “Consigliere” del Ministro Lorenzo Ornaghi. Però, dal sito “Operazione Trasparenza” del Ministero Beni Culturali, risulta una cosa diversa. Miracco ha in essere un incarico di “consulente” che scade il prossimo 14 dicembre per un compenso di 40.000 €. Pertanto, chiediamo se si tratta di millantato credito considerato che l’incarico ufficiale di “consulente” non è quello di “Consigliere” con il quale si qualifica nella replica alla nostra Lettera Aperta.

Ma c’è dell’altro che noi cittadini vorremmo sapere in tempi di crisi e revisione della spesa pubblica. Franco Miracco è stato portavoce dell’ex Ministro Galan. Dal sito “Operazione Trasparenza” del Ministero delle Politiche Agricole risulta che, nell’anno 2011, ha percepito 110.000€. Questo non ci riguarda, ben per lui, ma vorremmo sapere a cosa sono riferiti altri 21.500€ percepiti per meno di tre mesi di lavoro, dal 5 aprile al 30 giugno 2011, per “attività di mediazione immobiliare”. Questa somma è stata pagata con soldi pubblici dal Ministero dei Beni Culturali come pubblicato nel sito della CGIL Funzione Pubblica a pagina 185 del file “Incarichi affidati a consulenti e collaboratori esterni”.

Siccome Franco Miracco è risultato parte attiva nel tentativo di ostacolare un progetto immobiliare come quello del Palais Lumiere chiediamo: 1) che tipo di attività immobiliare pubblica ha svolto Franco Miracco nel 2011 riferita alla voce “intermediazioni immobiliari” per conto dell Ministero dei Beni Culturali?; 2) che ruolo effettivo ricopre Franco Miracco fino al prossimo 14 dicembre all’interno del Ministero dei Beni Culturali?; 3) la risposta del Direttore regionale Ugo Soragni alla nostra Lettera Aperta dello scorso 4 dicembre.

Comitato Sì Palais Lumiere a Marghera

 

DECALOGO del Comitato Sì Palais Lumiere a Marghera, 10 validi motivi per sostenere l’attuazione della Torre Cardin a Marghera

1. NUOVO LAVORO E INNOVAZIONE: in un periodo di crisi sosteniamo chi investe a Marghera per creare 2.000 nuovi posti di lavoro e innovazione tecnologica;

2. RICONVERSIONE PORTO MARGHERA: vogliamo un segnale concreto di cambiamento della 1^ Zona Industriale da sommare a quello del VEGA Parco Scientifico Tecnologico;

3. PISCINA AD USO PUBBLICO: Marghera chiedeva a gran voce una piscina, al Palais Lumiere ne avremo una di coperta, olimpionica da 50 metri, ad uso pubblico con tribuna di 2.500 posti;

4. BONIFICA E PARCO PUBBLICO: vogliamo la bonifica di suoli e falde acque inquinati dalle precedenti attività industriali e la creazione di un grande parco ad uso pubblico;

5. ENERGIE RINNOVABILI: ci piace l’esempio “green building” del Palais Lumiere che produrrà ed utilizzerà solo energia rinnovabile geotermica, eolica e solare fotovoltaica;

6. PRONTO SOCCORSO OSPEDALIERO: lo vogliamo, è una delle richieste che i cittadini di Marghera sollecitano da anni per un’area urbana da 30.000 abitanti e la zona industriale;

7. CENTRO FORMAZIONE E CENTRO CONGRESSI: per dare futuro alle nuove generazioni e ai disoccupati con opportunità di formazione superiore e un centro congressi da 7.000 posti;

8. SVILUPPO TRAM MARGHERA: diciamo sì alla nuova linea del tram di Marghera, da Piazzale Giovannacci, passando per Via Durando, Palais Lumiere, VEGA e poi dritti a Venezia;

9. MODA MADE IN ITALY: vogliamo stare insieme a Milano e Firenze, perché Venezia può diventare davvero il terzo polo internazionale della moda e tessuti Made in Italy;

10. NUOVA IMMAGINE INTERNAZIONALE: Marghera con Porto Marghera non più “brutto anatroccolo” o Cenerentola, ma stella del riscatto sociale e del rinnovamento sostenibile.