L’Assemblea Generale delle Nazioni Uniti, riunitasi il 19 dicembre 2011, ha riconosciuto che “lo sviluppo e l’investimento nelle ragazze che si trovano in condizioni critiche costituisce uno dei Millennium Development Goals”, uno degli obiettivi fondamentali a cui si deve giungere per poter proseguire nella strada fondamentale verso il progresso, l’emancipazione, la democrazia e l’assicurazione globale dei diritti umani.

Partendo da questo fondamentale principio è stata istituita la Giornata Internazionale delle Bambine e delle Ragazze, celebrata per la prima volta l’11 ottobre 2012 attraverso migliaia di iniziative in tutto il mondo: convegni, conferenze, tavole rotonde, eventi culturali e manifestazioni di impatto, come la colorazione di rosa dei principali monumenti, da Londra a Milano, da New York a Nuova Delhi.

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Lo scopo dell’11 ottobre dell’anno scorso era di sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale sul tema delle mogli bambine, piccole donne sottratte alla possibilità di godere dell’innocenza e della spensieratezza dell’infanzia, perché costrette a sposarsi in età infantile, spesso con uomini molto più grandi di loro.

Il tema scelto per il 2013 è stato “l’innovazione nell’istruzione femminile”. Moltissime bambine e ragazze, specialmente nei Paesi sottosviluppati, non hanno accesso all’istruzione, non solo per impossibilità materiali o economiche, ma perché andare a scuola è proibito, è un reato, una colpa. La tecnologia, intelligente e sostenibile, può allora venire in aiuto, sia che si tratti di utilizzare un nuovo tipo di mattoni resistenti agli agenti atmosferici, come accade in Madagascar; sia che si tratti di coinvolgere le ragazze in iniziative di tutoraggio aziendale a tema tecnologia e ingegneria, come accade in Sudafrica. Continue reading “Una Giornata dedicata alle Bambine e alle Ragazze” »

labculturaSulla scena italiana il management culturale ha mosso i primi passi fra gli anni Settanta e Ottanta. Quasi un ossimoro, considerato al pari di un’eresia, si è piano piano affermato catalizzando l’interesse della comunità scientifica e diventando lo snodo focale di ricerche, pubblicazioni, convegni e disquisizioni. Volgendo lo sguardo agli ultimi venti o trent’anni si vede molta astrazione accademica di fatto basata sul principio del copia-incolla: prendiamo il management generalista, attacchiamogli l’aggettivo culturale e salveremo le sorti finanziarie della cultura.

Il sillogisma, fragile e velleitario, è nipote di Baumol e figlio di qualche economista bravo con i numeri ma estraneo alle Muse; visto che così non funziona, importiamo i protocolli gestionali delle aziende senza se e senza ma. Tuttora molti punti nevralgici del sistema culturale sono in attesa di un’analisi che si basi sulle specificità uniche della cultura e non, come di norma avviene, sulla sua acritica omologazione al paradigma manifatturiero.

In un Paese ossessionato da pezzi di carta e certificazioni non può sorprendere che il bisogno di management culturale sia stato accompagnato da un proliferare di corsi di studio, seminari, workshop e convegni connessi al patrimonio culturale e alla sua capacità di generare valore. Qui, da molti anni, si assorbe un gran numero di giovani (studenti o professionisti) che il mercato del lavoro culturale non è in grado di assorbire, vuoi per le forti barriere all’ingresso vuoi per l’insufficienza di percorsi formativi che spesso distribuiscono risposte a buon mercato senza mai circostanziare domande pertinenti.

Si deve peraltro osservare che la parziale efficacia della formazione è dovuta anche – o soprattutto? – alla mummificazione del sistema culturale, cristallizzato sotto il reticolo piuttosto blindato di una nomenklatura di vecchia generazione nella quale spesso l’esperienza cede all’automatismo compiacente e teme la sperimentazione come un grimaldello che farebbe vacillare il consenso esterno (ossia della classe politica che stabilisce le regole del gioco) e interno (ossia dei sindacati che lavorano con impegno per il mantenimento dello status quo).

Un insieme ristretto di nomi occupa gli spazi disponibili, spesso ricoprendo molteplici cariche contemporaneamente. Non sorprende dunque che il sistema cuturale italiano sia un magnifico fossile: alle nuove generazioni l’ingresso è sostanzialmente precluso e molte delle poche possibilità che si aprono non offrono la reale occasione di progredire e fare carriera. Uno stagista che conclude un master si affanna per fare il cassiere nel bookshop di un museo, con ogni probabilità lo ritroveremo a rilasciare scontrini anche a quarant’anni.

Le norme che regolano il lavoro culturale sono fortemente costrittive, e le risorse umane non possono essere valutate secondo il loro merito, né gestite secondo le necessità strategiche del datore di lavoro. Organismi anomali come le Fondazioni di Partecipazione possono considerarsi private solo sulla carta. Spesso le figure prescelte per occuparne i vertici sono nomi ripescati dalla politica locale o dalla pubblica amministrazione, insigniti del ruolo sulla base di interessi più o meno evidenti, provenienti da percorsi formativi e professionali anche molto distanti dalla gestione del patrimonio culturale.

Allo stesso tempo, rinnovare la forza lavoro esistente può risultare un’impresa ardua, se non impossibile. I posti disponibili sono pochi, le assunzioni possono considerarsi bloccate anche nel privato o “para-privato” e spesso non è possibile operare una messa in discussione dei ruoli sulla base dei risultati registrati. I bizantinismi del mercato del lavoro culturale impediscono qualsiasi possibile misurazione e valutazione di performance, tanto per i vertici quanto per i dipendenti, compresi quelli con mansioni fungibili.

Per il settore culturale il capitale umano è una risorsa fondamentale per tutte le fasi che ne declinano la vita, produzione, gestione, valorizzazione, comunicazione. Senza strategia non si può attivare alcun percorso evolutivo, il che esclude il bisogno di innovazione. Le risorse umane così finiscono per essere scelte in quanto passive, le esperienze esterne e le best practices vengono dimenticate, le relazioni con il resto del sistema culturale e con l’economia territoriale vengono snobbate. La cultura italiana è descritta da una mappa di poli verticali che si ignorano reciprocamente e si considerano nemici.

Quando si parla del problema delle competenze degli operatori culturali, tematica tutt’altro che nuova sull’orizzonte del dibattito, si fa riferimento a molti dei ragionamenti appena esposti. E’ dalla fine degli anni Novanta che s’invoca la necessità di creare una nuova e più moderna “cultura dell’impresa culturale” (Lucio Argano, 1998), procedendo con una valutazione degli effettivi bisogni formativi e d’impiego in ambito gestionale rispetto al settore. Il processo di rinnovamento organizzativo delle istituzioni e delle organizzazioni artistico-culturali e l’inquadramento delle figure professionali dal punto di vista giuridico, della spendibilità dei titoli, dei meccanismi di valutazione, selezione e reclutamento sono svolte essenziali, la cui necessità è stata denunciata a gran voce da diversi anni.

In questi tempi di profonda crisi, in cui si assiste alla progressiva riduzione del sostegno pubblico alla cultura, è fondamentale ragionare sulle fonti alternative di finanziamento. Questo non vuol dire pensare in maniera esclusiva al fundraising e ai contratti di sponsorizzazione, ma piuttosto impegnarsi nella definizione pratica di modelli di business che, pur considerando queste voci d’entrata, vedano nella generazione autonoma di reddito il motore fondamentale della sostenibilità economica. In altre parole, è giunto il momento di passare dalla teoria alla pratica.

I manager culturali dovrebbero saper interpretare il ruolo che la cultura (già) occupa in un paradigma economico inedito, in una società tendenzialmente cosmopolita e relazionale. E’ tempo di sperimentare nuovi indirizzi strategici che si fondino sui profili specifici della cultura come prodotto multidimensionale, capace di penetrare nuovi mercati, di ibridare produzioni eterogenee, di dar forma a modelli sociali che accrescano la qualità della vita urbana. Convegni e tavole rotonde non bastano più. Il thread dei prossimi anni deve mescolare visioni ed esperienze, e immaginare scenari liberi da dogmi e luoghi comuni.

Intervista a Alessia Bottone, autrice del blog e libro “Amore ai tempi dello Stage- Manuale di sopravvivenza per coppie di precari”

alessiabottoneIn un mondo dove tutto è precario, l’amore e il lavoro raggiungono la stessa condizione di incertezza e di squilibrio. Da questa riflessione si compone il blog prima e il libro poi, di Alessia Bottone, diventata ormai la “paladina dei precari italiani”. Noi di Tafter la abbiamo conosciuta…

Dove nasce l’idea di “Amore ai tempi dello Stage”?
L’idea di scrivere “Amore ai tempi dello stage- Manuale di sopravvivenza per coppie di precari” nasce a seguito dell’ultimo colloquio come centralinista.
Si trattava di un apprendistato e per l’ennesima volta mi sono sentita dire” Signorina, con un curriculum come il suo, una laurea, 4 lingue parlate, stage alle Nazioni Unite, cosa vuole mai? Lei è troppo per la nostra azienda. Andava a finire sempre così, o ero troppo, o ero troppo poco e mi sono vista disoccupata per sempre. Un pomeriggio in Rai ho conosciuto il Direttore di Vero Salute, abbiamo parlato di amore e psicologia e le ho mostrato il mio blog “Amoreaitempidellostage”.
Da lì a poco ho iniziato a scrivere per il suo giornale occupandomi di temi di attualità, amore, salute etc. Ed è li che è scattato qualcosa e mi sono detta “se il lavoro non esiste, allora io voglio crearmelo da sola”. Ho raccolto il materiale e l’ho inviato alla mia casa editrice, due giorni dopo avevo il contratto in mano. Due mesi dopo il libro veniva pubblicato. Un mese dopo mi ritrovavo a Mattino 5 su Canale 5 per presentarlo al pubblico.

Perché legare i temi del lavoro e della vita sentimentale?
Perché siamo precari nel lavoro quanto nell’amore. Hai mai notato che ci si lascia con un sms senza neanche fare lo sforzo di confrontarsi e mandarsi a quel Paese? Benedette siano le discussioni e le notti passate a chiarirsi. Tutto quello che richiede un impegno maggiore oggi è out, ci si frequenta, non si sta assieme. “E’ una ragazza con la quale mi vedo, per ora, poi non so” . Appuntamenti durante i quali lui ti racconta di tutte le sue ex e tu preferiresti stare a casa a fare all’uncinetto con la nonna piuttosto che rimanere seduta a quel tavolo con lui. Donne convinte che Uomo Tiamomanonposso un giorno si accorgerà di loro, perché la sua crisi mistico esistenziale è solo momentanea.
L’amore 2.0 ha stravolto il mondo dei sentimenti. Gli appuntamenti si chiedono su Facebook, così lo sforzo è minore e non ci si mette la faccia. Su Twitter scopri che la tua lei sta insieme un altro e che forse è ora di “mettersela via”. Mi fa sorridere una notizia che ho letto l’altro giorno. Lo sai che la Regina Elisabetta era terrorizzata al pensiero che Twitter avrebbe saputo prima di lei se era nato il Royal Baby? Dura essere nonne al tempo dei social.
Scherzi a parte, Amore ai tempi dello stage racconta con uno stile ironico il mondo degli stagisti precari in giro per il mondo, in cerca di un’occupazione vittime di una fluttuazione dello spread o del crollo della Borsa di Wall Street. Descrive le peripezie della coppia moderna durante le vacanze natalizie e di come riescono a dribblare le domande della famiglia desiderosa di vederli sposati, Ironizza sulle tipiche discussioni dei conviventi e fa una top ten degli uomini e delle donne da prendere a piccole dosi prima di darsela a gambe!

Il tuo nome è noto al pubblico anche per la lettera che hai scritto alla Fornero. Come è andata la storia? Ci sono state evoluzioni?
Mi sembra ieri, era fine giugno del 2012 e mentre leggevo il testo della neonata Riforma ho buttato già qualche riga, sai quelle che scrivi di getto, senza pensare. Del resto, non è stato poi così difficile raccontare al Ministro storie di ordinaria precarietà contestando non solo la legge ma tutto ciò che è venuto prima. La situazione drammatica nella quale ci ritroviamo oggi non è stata di certo determinata dall’ultima Riforma, che sicuramente l’ha aggravata, ma è la conseguenza diretta di anni di sfruttamento in cui si sono tenuti gli occhi chiusi mentre giorno dopo giorno si andava sgretolando lo stato sociale, il sistema previdenziale e di tutela del lavoratore.  Evoluzioni? Nessuna! Io vedo ancora stagisti non retribuiti e commesse che lavorano per 400 Euro al mese.

Che idea ti sei fatta della realtà giovanile italiana? Come li/ti vedi tra dieci anni?
Che idea mi sono fatta? Bella domanda! Io credo molto nei miei coetanei, anche se devo dirti la verità a parer mio si sono adagiati in questa situazione. Mi piacerebbe vederli lottare per i loro ideali, per il loro lavoro, per ciò che gli è di diritto. E’ chiaro che dovrebbe essere la politica a dare risposte concrete, ma se non crediamo noi per primi nel cambiamento?  Io tifo soprattutto per quei giovani figli di nessuno che scalpitano perché hanno voglia di darsi da fare, ma non hanno santi in paradiso. Vorrei che avessero voce in capitolo perché sono loro, quelli che tanto patiscono questa crisi che potrebbero davvero dare il via ad una nuova era basata sulla meritocrazia e non sulle conoscenze e sulle mazzette.
Come mi vedo tra 10 anni? E chi lo sa, è tutto così mutevole oggi. Forse non serve andare troppo in là. Ti dirò come mi vedo fra un anno. Sognatrice, determinata e felice del mio lavoro. Non chiedo altro, non voglio altro.

Hai qualche buon consiglio per chi è innamorato ai tempi dello stage?
Certo, ne ho una valanga! Il primo consiglio è rifiutatevi di fare l’ennesimo stage, il secondo è impegnatevi, fissatevi un obiettivo, in amore come nel lavoro. Non arrendetevi alle statistiche mondiali sui divorzi e sulla disoccupazione. Ciò che succede ad altri non è detto che possa succedere a voi. Un giorno, dopo tutti gli sforzi vi girerete indietro e con fierezza potrete ripetervi, Confesso che ci ho provato, Confieso que he vivido.

luissenlabsNon capitava da tempo che un luogo e un evento trasmettessero tanto entusiasmo e ottimismo, soprattutto non a Roma, una città che sembrava fosse morta.
Il 25 giugno scorso, durante l’Investor Day della LUISS EnLabs – la fabbrica delle start up, la capitale si è mostrata capace di guardare al futuro scommettendo sui giovani, il talento e il cambiamento.
Nel salone, di 1500 metri quadri al secondo piano della Stazione Termini, gremito di gente curiosa, 7 aspiranti imprenditori, dopo 5 mesi di incubazione nella “fabbrica delle start up”, hanno presentato il risultato del loro lavoro. Solo 7 minuti a disposizione per attrarre circa un centinaio di investitori presenti in sala e almeno 3 mesi per chiudere le trattative con chi deciderà di credere e scommettere nei loro progetti.

 

 

 

 

Le start up in gioco.
Sette le start up in gioco.
Atooma – A Touch of Magic consente di combinare in modo creativo sia le futures del telefono sia le applicazioni esterne per ottenere nuove e “magiche” funzionalità.
CoContest
: una piattaforma dedicata al mercato dell’interior design.
GamePix: una start up del settore gaming.
Le Cicogne: start up in grado di far incontrare domanda e offerta di baby-sitting, baby-tutoring e baby-taxi.
Maison Academia
: piattaforma che permette a stilisti emergenti di realizzare le proprie collezioni coniugando la creatività e l’eccellenza Made in Italy.
Pubster
: l’applicazione che ti offre da bere quando esci la sera.
Risparmio Super: la web che aiuta i consumatori a risparmiare confrontando i prezzi dei supermercati della zona.

 

Da sognatori a imprenditori
Come emerso dalle interviste con Luigi Capello (fondatore LUISS EnLabs), Alexandra Maroiano (LUISS EnLabs), Monica Achibugi, Giulia Gazzelloni (Le Cicogne) e Mary Palomba (Maison Academia), prima di approdare al programma di accelerazione della LUISS Enlabs e imparare come trasformare un sogno in un progetto imprenditoriale, i giovani sturtupper hanno superato molti ostacoli e barriere, partecipato a molti eventi e frequentato altri corsi di “preparazione all’imprenditorialità”.
Tra i programmi più seguiti: I-Lab (laboratorio delle idee), InnovationLab e InnovAction Camp, un programma che tiene “reclusi” in una ex base Nato 20 perfetti sconosciuti che, alla fine della maratona di 5 giorni e 4 notti, devono essere in grado di costruire un team e presentare un progetto.

 

Come nasce la LUISS EnLabs
Il progetto nasce da un’idea di Luigi Capello, imprenditore e business angel, che nel 2007, dopo aver intrapreso un viaggio nella Silicon Valley promosso dall’ambasciatore Ronald Spogli, è tornato in Italia con l’idea di colmare un vuoto. Inizialmente fonda “Italian Angels for Growth”, un gruppo di business angels che ha lo scopo di “promuovere l’imprenditorialità come motore di crescita economica” e nel 2010 dà vita al progetto EnLabs che, nel 2013, in seguito ad una joint venture con la LUISS, si trasforma nella LUISS EnLabs.
Tra i suoi startuppers, Luigi Capello sembra non “solo” un imprenditore, ma anche il padre di tanti sognatori che attraverso dure prove e sacrifici hanno imparato come superare gli ostacoli e intraprendere la strada della felicità.

 

Come essere selezionati dalla LUISS EnLabs
Per essere ammessi al programma di accelerazione della LUISS Enlabs non basta solo una buona idea; bisogna aver un buon progetto, un buon team e una buona capacità di vedersi nei 7 minuti a disposizione per la video presentazione.
Consigliano di frequentare gli eventi dedicati alle start-up, mettere a confronto le proprie idee e andare avanti con determinazione senza aver paura di crollare.
Le cadute fanno parte del cammino.

 

clanartNapoli “giovane” e “artistica”. E’ questo l’obiettivo ambizioso del Comune della città partenopea che ha dedicato, tradizionalmente, il mese di Maggio ai monumenti, all’arte ed alla cultura sotto varie forme e, per la prima volta, il mese di giugno ai giovani. Il cartellone proposto è stato fitto di eventi, workshop, laboratori; sono state scelte location “d’eccezione”, come ad esempio la Facoltà di Economia Federico II, Piazza Garibaldi, Piazza Bagnoli, la Mediateca Comunale di Santa Sofia.

La realizzazione della kermesse di inizio estate, è nata dall’iniziativa promossa dall’Assessorato ai Giovani del Comune di Napoli, con il bando “I Giovani, il Presente” destinato al finanziamento delle ventidue migliori idee progettuali dedicate all’arte ed al sociale.

I risultati sono stati sorprendenti e innovativi. Difatti si sono alternate “opere ed iniziative fuori dal comune” – come ad esempio – una serie di laboratori di poesia nei vagoni della Circumvesuviana o nei bus in movimento (a cura dell’Associazione ‘O pata pate e ll’arte), a graffiti sul muro di Coroglio, zona ferita, ma fortunatamente ancora vivacemente attiva, dal disastroso incendio della Città della Scienza.

Questa serie di eventi si concluderà venerdì 28 giugno, alla Villa Comunale di Scampia, un luogo simbolico e di forte “resistenza”, con l’evento chiamato “Clan degli Artisti…a gonfie vele”.

Giusta chiusura del “Giugno dei Giovani”, quindi, con il Clan degli Artisti, gruppo di giovani talenti partenopei di età compresa tra i 18 ed i 35 anni, vincitori del concorso “I Giovani, il Presente” che esporranno le loro opere, sul tema della legalità e del territorio, proprio nella Villa Comunale del quartiere simbolo del “recupero” della legalità e della dignità.

In questo modo Scampia, per troppo tempo, purtroppo, teatro solo di notizie negative, si illumina d’arte. La speranza (di chi ci crede e non si arrende) e la consapevolezza (delle Istituzioni) che la “luce” non sia solo (uno) spot, ma si traduca in un simbolo di costante impegno di “bonifica sociale” che il territorio e tutti gli abitanti meritano.

Non è un luogo comune dire che Napoli è una terra fuori dagli schemi, con mille facce e tanta voglia di mostrare a tutti che, per una notizia di cronaca che dipinge la città come un teatro di violenza quotidiana, ci sono almeno altre cento storie positive di Associazioni che lavorano sul territorio per valorizzarlo.

Quando le iniziative culturali toccano così profondamente la coscienza dei cittadini, diventiamo tutti ambasciatori della città, con tanta voglia di promuovere le sue enormi bellezze.

Seguiamo con grande interesse quindi il “Clan degli Artisti”, sperando facciano una “strage d’arte”.

 

TITOLOOltre la crisi – Cultura, occupazione, giovani nelle regioni del Mezzogiornooltrelacrisi

 

 

COSEGiovani, Mezzogiorno, cultura: sono questi i tre poli fondamentali su cui è strutturato questo interessante volume. Punto di partenza è la crisi economica degli ultimi anni, fenomeno che, pur nella sua drammaticità, permette di dare vita a nuove forme di investimento e di sviluppo. Nel nostro caso la cultura, uno dei pochi settori la cui domanda è in crescita, è individuata come volano principale per il decollo del Mezzogiorno. Sull’esempio dei Paesi del Nord Europa, la cultura deve diventare esperienza, personalizzazione, conoscenza per innescare un progresso che sia innanzitutto sociale e poi, di conseguenza, anche economico. L’obiettivo è, infatti, quello di produrre nel Mezzogiorno uno sviluppo duraturo e continuativo, basato su un legame sempre più stretto tra cultura e territorio, che produca formazione, conoscenza e divertimento, e coinvolga le realtà culturali locali. L’alleanza tra cultura e Mezzogiorno dà l’opportunità di creare benefici monetari, benefici immateriali legati all’identità, alla qualità della vita e al benessere, e un ulteriore indotto connesso al turismo e alle attività economiche collaterali.

 
COME Il volume è costituito da una serie di saggi, dedicati, inizialmente, a un’analisi dello stato dell’occupazione, dell’impresa e della cultura nel Mezzogiorno. Si passa, poi, a indicare le potenzialità del settore culturale, motore fondamentale per lo sviluppo del capitale sociale ed economico del Sud. Una riflessione attenta è dedicata agli strumenti che il settore pubblico mette a disposizione per incentivare l’investimento nell’industria culturale, e alle esperienze positive già attuatesi in questo senso. La parte finale è dedicata alle possibili linee di intervento sul quadro delineato.

 
pro Si tratta non solo di una ricerca accurata che indaga in maniera approfondita lo scenario attuale, ma anche di un testo con valenza progettuale e attiva, che propone soluzioni concrete alle problematiche e alle criticità riscontrate.

 
CONTRO Pur essendo un volume scorrevole, comprensibile e interessante, potrebbe restringere il suo target di riferimento esclusivamente ad un pubblico di esperti del settore.

 

 

SEGNI PARTICOLARI L’ottimismo realistico: fondamentale è il punto di vista positivo e proattivo che viene fornito sulla crisi e sui suoi effetti. Come prova della tesi esposta, il volume presenta interessanti casi pratici, nazionali e internazionali, in cui il connubio cultura, territorio, innovazione ha prodotto risultati durevoli e produttivi sul capitale sociale ed economico coinvolto.

 

CONSIGLIATO A
Esperti di economia e cultura, lettori interessati a capire le dinamiche dell’attuale scenario economico e culturale dell’Italia e in particolare del Mezzogiorno.

 
INFO UTILIOltre la crisi – Cultura, occupazione, giovani nelle regioni del Mezzogiorno, Rubettino Editore 2012, a cura di S. Monti e M. Trimarchi, testi di V. Azzarita, M. Bernabè, F. Lanfranconi, 14 euro.

 

 

audiovisivoIl 5 giugno si è tenuto a Roma, presso la sede della Regione Lazio, un incontro tra Lidia Ravera, Assessore alla Cultura e Sport e Politiche Giovanili della Giunta Zingaretti (insediatasi a metà marzo), ed una folta rappresentanza delle tante associazioni, professionali ed imprenditoriali, che caratterizzano il “piccolo mondo” degli italici cinematografari. È stata una occasione ghiotta, per chi cerca di comprendere gli orientamenti della eterodossa neo-Assessore (che si è autodefinita una “aliena”, rispetto ai “palazzi della politica”, in un bell’articolo pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 1° giugno scorso). Ravera è stata chiamata alla guida delle politiche culturali della Regione Lazio da Nicola Zingaretti, che ha voluto mettere in atto un’operazione spiazzante, anche perché Ravera, pur ben collocata a sinistra, non è iscritta al Pd, ed è quindi sganciata da dinamiche partitocratiche.

Da osservatori critici – quali siamo, da decenni – della politica culturale, a livello nazionale e locale, abbiamo, fin dai primi giorni, apprezzato la estrema cura comunicazionale (linguistica e semantica) con cui Ravera si è manifestata, in alcune pubbliche occasioni: che fosse un intellettuale ed un’artista, era evidente, ma che riuscisse ad arricchire il “linguaggio della politica” con una forma elegante ed al tempo stesso significativa (significante) è una bella sorpresa. Anche perché si tratta di un bel parlare che sembra riuscire a non cadere in quella qual certa ridondanza retorica che caratterizza invece talvolta un altro eccellente “affabulatore” – politico di professione – qual è Vendola, ad esempio.

Ciò premesso, la Ravera, che ha ereditato un assessorato retto per alcuni anni da Fabiana Santini (il cui curriculum evidenziava al massimo il ruolo di capo della segreteria dell’ex Ministro Scajola) nella Giunta Polverini, ha subito precisato, non appena insediatasi, che avrebbe “studiato”, e che avrebbe anzitutto “ascoltato”… “prendendo appunti” (formula che ribadisce spesso, e che effettivamente corrisponde alla realtà). Ha anche premesso con chiarezza: “la Regione Lazio, e questo Assessorato, non saranno più un bancomat, anche perché il bancomat s’è rotto”.

In estrema sintesi, va ricordato – ai lettori che non vivono a Roma e nel Lazio – che la Giunta Polverini (aprile 2010-marzo 2013) aveva, a sua volta, ereditato dalla Giunta Marrazzo (aprile 2005-ottobre 2009) un notevole livello di interventismo nelle politiche culturali, con particolare attenzione all’audiovisivo: finanziamenti consistenti, sostegno ad iniziative incerte come il Fiction Fest, iniziative promozionali varie.

Il deficit della Giunta Marrazzo va cercato nell’assenza di programmazione, ovvero di un piano strategico organico e di medio periodo: ha prevalso una pluralità di interventi, che è presto degenerata in policentrismo dispersivo, a partire da una assenza di sintonia tra “anime” della stessa giunta: le politiche culturali erano curate da Giulia Rodano (poi divenuta responsabile cultura nazionale dell’Italia dei Valori, ed ormai allontanatasi dalla politica); le politiche comunicazionali erano gestite da Francesco Gesualdi (segretario generale della Regione, già direttore generale di Cinecittà, fiduciario di Marrazzo).

Con una gestazione complessa, la Giunta Polverini ha comunque approvato una legge regionale sul cinema e sull’audiovisivo, che un qualche segno di innovazione ha provocato, a partire dalla denominazione della norma stessa, che, per la prima volta in Italia, ha “accomunato” il cinema e l’audiovisivo (non cinematografico). Sono stati allocati fondi per 15 milioni di euro l’anno, assegnati sulla base di meccanismi “automatici” (in primis, la sensibilità verso il Lazio, in termini di riprese o utilizzazione di risorse professionali in Regione), senza che vi fossero commissioni di esperti che giudicassero la sceneggiatura o il progetto filmico.

Questa legge è controversa: per alcuni, ha consentito una preziosa boccata di ossigeno, a fronte della riduzione della “quota cinema” del nazionale Fondo Unico per lo Spettacolo (che non arriva ormai a nemmeno 100 milioni di euro l’anno); per altri, ha finito per finanziare anche qualche produzione indipendente e qualche giovane autore (e produttore), ma per lo più ha sostenuto i “soliti noti”, ovvero i più ricchi produttori italiani (esemplificativamente, la Cattleya di Riccardo Tozzi e la Palomar di Carlo Degli Esposti). Va rimarcato che non è stata realizzata alcuna analisi valutativa degli effettivi impatti di questa legge, nella “migliore” tradizione dell’assenza di verifiche sull’intervento della mano pubblica nel settore culturale, che riteniamo essere la più grave patologia del sistema italiano. In verità, né l’assessorato affidato a Rodano né l’assessorato affidato a Santini hanno prodotto un rendiconto analitico accurato: il concetto stesso di “bilancio sociale” è ancora fantapolitica, per il nostro Paese.

Come vengono allocate le risorse… perché a favore di “x” piuttosto che di “y” (e questo problema riguarda enormi macchine “mangiasoldi” come gli enti lirici a livello nazionale, ma anche l’ultima delle piccole associazioni culturali del comune più sperduto)… sono domande che restano senza risposte, come il quesito sull’efficacia, in termini di stimolazione del tessuto culturale (estensione del pluralismo, pluralità dei linguaggi, eccetera), degli interventi pubblici. Il concetto di valutazione di impatto così come quello di verifica dell’efficacia sono sconosciuti alla quasi totalità della italica politica culturale.

Sono intervenuti alla riunione (ad inviti), i rappresentati di Slc Cgil, Anica, Agis Lazio, Anem, Anac, Apt, Agpc, 100autori, Cinema e Territorio, Cinecittà Luce, Doc/it, Fidac, Consequenze Network, Sact… Tutti hanno manifestato le proprie lamentazioni, per una crisi grave e diffusa: è emerso uno scenario critico veramente sconfortante. Che la crisi del cinema italiano sia profonda è confermata dalla notizia (diffusa nella stessa giornata dell’iniziativa della Regione Lazio) della sostanziale sospensione delle attività di distribuzione ed acquisizione della mitica Sacher di Nanni Moretti, che ha diramato questo comunicato stampa: “Ormai la situazione del Paese è tale che una distribuzione come la nostra, da sempre orientata alla diffusione di film art house che la gente va sempre meno a vedere e che le tv non acquistano più, si ritrova a lavorare più per filantropia che altro”.

Dopo oltre due ore di interventi, ha tirato le conclusioni l’Assessore, visibilmente affaticata (ha diligentemente preso appunti, come annunciato), ma ben vivace e stimolante, tracciando alcune linee-guida: ha premesso che non ha mai creduto nella dicotomia tra “cultura” ed “industria”, ed ha definito le industrie dell’immaginario come “industrie particolari che producono oggetti delicati” (aggiungendo: “dobbiamo sempre ricordarci il motto: handle with care”); ha lamentato come il nostro Paese, da molti anni, sia sottoposto ad un bombardamento mediatico (televisivo) che ha impoverito le coscienze (“abbiamo consumato roba balorda per decenni”) ed ha determinato una diffusa “desertificazione culturale”; ha sostenuto la necessità di far affluire “aria fresca” in un sistema polveroso e stantio, attraverso la promozione della sperimentazione, della ricerca, dell’innovazione, dei giovani talenti, stimolando le diversità espressive e linguistiche; ha sostenuto a chiare lettere che gli “automatismi” possono anche essere funzionali, ma che debbono essere integrati (corretti) con l’intervento “umano” (per quanto esso possa essere a rischio di soggettività); ha dichiarato che le procedure di finanziamento dovranno prevedere anticipazioni, perché la produzione audiovisiva è processo complesso e costoso, ed è la fase iniziale a dover essere sostenuta con maggiore attenzione; ha enfatizzato la necessità di guardare al territorio regionale, ben oltre Roma, perché è soprattutto “in provincia” che si soffre dell’assenza di strutture di offerta (cinema, teatri, centri culturali…), ovvero si assiste alla morte degli “avanposti dell’alfabetizzazione”; ha annunciato la costituzione di un comitato di qualificati esperti indipendenti (liberi da conflitti di interessi), che procederà ad apportare correzioni “light” alla legge cinema ed audiovisivo, ed a effettuare valutazioni (soggettive!) su cosa debba essere sostenuto, e cosa no, dalla Regione Lazio (“no ai finanziamenti a pioggia… anche perché si corre il rischio di… far piovere sul bagnato”, ha ironizzato); per quanto riguarda la film commission, ha dichiarato a chiare lettere che considera l’esperienza pugliese (e la stima per Vendola si conferma) un caso di eccellenza, anche per quanto riguarda la Apulia Film Commission, diretta dal giovane Silvio Maselli.

Per noi, che pure siamo studiosi critici di politiche culturali da un quarto di secolo, assidui e pazienti frequentatori di ogni iniziativa convegnistica e di dibattito sulla cultura, si è trattato di un’iniziativa assolutamente lodevole: densa, succosa, stimolante.

Le intenzioni dell’Assessora, intellettuale umanista, sono evidenti, commendevoli, condivisibili: innovare, scardinare il modello pre-esistente, rischiare. Abbiamo anche registrato qualche interessante assonanza tra quanto sostenuto dall’Assessore Ravera e quanto annunciato il 23 maggio dal Ministro Bray nella sua relazione di fronte alle Commissioni Cultura di Camera e Senato per la prima volta riunite assieme. L’intervento del neo-Ministro, per lo specifico audiovisivo, è rivoluzionario (almeno sulla carta), sebbene nessun quotidiano abbia colto la novità: ha fatto riferimento al modello francese come “benchmark”, e ciò basti.

Non resta da augurarci che si passi presto dal libro delle belle intenzioni (comunque apprezzabile, anche soltanto dal punto di vista intellettuale e della elaborazione di “policy” auspicata) alla concreta progettualità ed alle conseguenti azioni: normazioni, regolazioni, allocazioni di budget adeguati, deliberazioni amministrative. La Giunta Zingaretti ha certamente una previsione di vita maggiore del Governo Letta, e ciò conforta.

Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’IsICult – Istituto italiano per l’Industria Culturale

Nel pomeriggio del 23 maggio di 21 anni fa il magistrato Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, rimasero uccisi in un attentato sull’autostrada A29, presso Capaci, a pochi chilometri da Palermo.

Autore della strage fu Cosa Nostra, che decise la rappresaglia mortale ai danni di Falcone dopo che una sentenza della Cassazione aveva confermato gli ergastoli del Maxiprocesso tenutosi nel 1986-87 nel tribunale bunker di Palermo, ai danni dei boss della malavita locale.

Un’edizione straordinaria del Tg1, condotta da Angela Buttiglione, annunciava così l’orrendo gesto che gettò nello sconforto il Paese, con un servizio di Salvatore Cusimano che mostrava le immagini del luogo dell’attentato girate da Marco Sacchi.

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A poche settimane di distanza, esattamente il 19 luglio 1992, si consumava un’altra strage in Via d’Amelio a Palermo: vittima designata il Procuratore della Repubblica a Marsala Paolo Borsellino, amico e collega di Falcone, con lui impegnato nella lotta alla malavita e fondatori insieme del pool antimafia del tribunale di Palermo.

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Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono così divenuti simboli di un impegno intenso e tenace contro le ingiustizie e le illegalità protratte dalla mafia ai danni dei cittadini, ma anche testimoni della necessità di azioni concrete da parte delle istituzioni politiche, affinché intervenissero con misure legislative appropriate per osteggiare i malaffari della criminalità organizzata.

Molto del loro lavoro è servito anche per stimolare nella popolazione un moto di orgoglio contro le trame soffocanti di questo “cancro sociale”.

Esempio lo sono le parole pronunciate da Paolo Borsellino:

“Nella lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”.

Mentre quelle di Giovanni Falcone sono piene di speranza:

“La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine”.

Affinché il loro sacrificio e quello di tante altre vittime di mafia non venga dimenticato, tante sono le iniziative organizzate in questa data così rappresentativa.

Proprio a Palermo, davanti al Palazzo di Giustizia, è stata organizzata la manifestazione “Le Notti della Memoria”, partita ieri alle 20,30 con l’Inno di Mameli, intonato dai bambini dell’orchestra de “La Città Invisibile”, seguito da una catena umana che ha toccato i luoghi simbolo delle stragi del ’92. Le commemorazioni e le riflessioni proseguiranno fino domani, venerdì 24 maggio.

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Da Civitavecchia e da Napoli sono invece salpate verso Palermo le “Navi della Legalità” con a bordo le giovani delegazioni di oltre 800 scuole, 20 mila studenti e 13 Paesi europei coinvolti. Il tema di questo anniversario è “Le nuove rotte dell’impegno. Geografia e legalità” e giunge a conclusione di un percorso di educazione alla legalità, organizzato e promosso dal Miur e dalla Fondazione Giovanni e Francesca Falcone.

Mentre pochi giorni fa sono emerse nuove indiscrezioni sulle indagini ancora in corso relative all’attentato a Borsellino, che interessano l’ormai famosa agenda rossa del procuratore, le nuove generazioni devono conoscere e prendere ad esempio questi uomini che si sono prodigati con responsabilità ed onore per il bene comune.

Un paese lontano, da sempre meta di flussi migratori alla ricerca di fortuna, offre ancora oggi occasioni uniche: è l’Australia. L’ufficio del turismo ha infatti indetto il concorso “Best Jobs in the World”, dal nome evocativo, che ne anticipa i premi in palio. Aperto ai giovani di tutto il mondo, di età compresa tra i 18 e 30 anni, questo originale contest consente di ottenere un impiego di sei mesi comprensivo di vitto, alloggio e stipendio (per un valore complessivo di 80.000 euro). Ma non si tratta di lavori comuni: i vincitori di “Best Jobs in the World” potranno trovare occupazione come guardia parchi, esploratori, specialisti del divertimento, maestri del gusto, fotografi e custodi della Kangaroo Island.

Noi abbiamo conosciuto Valerio Cozzi, giovane italiano che ha superato la prima selezione del concorso.

 

Che ci fa un giovane ragazzo italiano in Australia?
L’Australia è un paese bellissimo, selvaggio e allo stresso tempo incredibilmente moderno, un paese che può offrire tantissime opportunità. Ci sono andato per la prima volta quando avevo undici anni, assieme ai miei genitori, e da allora mi è sempre rimasta nel cuore. Finita la Laurea Magistrale in Archeologia e, non trovando opportunità di lavoro soddisfacenti, ho deciso di provare a fare il grande salto, per vedere come me la sarei cavata a 16.000 chilometri di distanza!

 

Come sei venuto a conoscenza del concorso Best Job in the World?
Per puro caso: il padre della mia ragazza, Amélie, ci ha mandato un email per farci sapere che le selezioni erano aperte. Una volta presa visione dell’incredibile offerta di lavoro, pur sapendo quante migliaia di persone avessero già partecipato, ho incominciato a progettare il mio video e sono riuscito a spedirlo appena qualche ora prima della chiusura della prima fase.

 

In cosa consiste il contest? Quali sono le prove da superare?La prima fase consisteva nell’attirare l’attenzione della commissione di gara con un video di soli trenta secondi. Hanno partecipato in 600.000 ma siamo stati presi solo in 150.
La seconda fase è tanto geniale quanto assurda: bisogna mostrare di essere incredibilmente mediatici, di saper comparire in blog, giornali, riviste e televisioni. Ma non essendoci regole vere e proprie ho pensato di portare avanti una maratona di “Mi piace” su Facebook – Valerio Cozzi per Wildlife Caretaker – da presentare alla commissione come glorioso “bottino di guerra”! Inoltre bisognerà trovare uno “sponsor eccellente”: Niente che abbia a che fare con la donazione di soldi, solo una persona di spicco che dica di fronte a una telecamera “È il ragazzo giusto, è lui che state cercando!” o qualcosa di simile! Al momento non ho ancora il mio testimoniale, per cui, fatevi avanti!

 

A quale degli impieghi proposti aspiri?
Concorro per la posizione di Custode dell’Isola dei Canguri, in South Australia. In pratica dovrei vivere giorno per giorno la natura e raccontarla al mondo per tutto il periodo di durata del lavoro!

 

Se, fossi tra i vincitori, e noi te lo auguriamo, come ritieni che questa esperienza influirà sulla tua crescita personale e professionale?
Già sta influendo, senza che nemmeno sia finita! Conoscere persone è la chiave del successo, perché puoi essere il migliore del mondo nella tua professione, ma se non ti nota nessuno non andrai da nessuna parte. Dal 24 aprile ad oggi sono stato costretto a contattare e conoscere centinaia di persone, e vedo questo network crescere di minuto in minuto. Sicuramente ne uscirà qualcosa di buono!

 

Dove vedi il tuo futuro: in Australia, in Italia o altrove?
Il mio futuro spero sia ovunque nel mondo: sono un viaggiatore nato e ho un’insaziabile voglia di vedere e conoscere quante più cose possibili. Amo l’Italia, e rimarrà sempre il mio paese, ma lo vedo più come base d’appoggio che come casa stabile! Il mondo è troppo bello per non vederlo tutto!

 

Musica antica, troppo costosa e perciò non adatta ad un pubblico giovanile se non a coloro che fanno parte di questa raffinata elite. Un cliché che si sta ormai consolidando da anni nella mentalità italiana, ma che un esperimento di successo è riuscito a scalfire.

Per tutti i ragazzi, curiosi di avvicinarsi al mondo della musica classica, ma anche per tutti coloro che conoscono a memoria le note dei grandi compositori del passato, è nato tre anni fa il progetto “Pappano in web”. Una ricetta semplice, che unisce musica di qualità, guidata da noti direttori d’orchestra, servendosi del canale online che permette di divulgare l’intero concerto, al di fuori delle porte chiuse della silenziosa sala e rendendolo fruibile gratuitamente in diretta streaming.

Protagonisti di questo progetto sono l’Orchestra sinfonica e il coro dell’Accademia di Santa Cecilia, di cui il maestro Antonio Pappano è il direttore, e Telecom Italia Group che ha reso possibile la realizzazione della diretta web. La musica classica diventa interattiva, ma anche social e si avvicina al mondo dei giovani, sfruttando gli strumenti a loro più familiari: non solo la piattaforma web, ma anche canali Facebook e hashtag Twitter (#pappanoinweb) per avere aggiornamenti costanti.

In questo modo non solo riuscirete a vivere le atmosfere e le emozioni che si respirano nella sala dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, ma avrete anche l’occasione di approfondire l’evento in corso, sia prima dell’inizio del concerto, grazie alle guide all’ascolto e alle lezioni-conversazioni, realizzate dal musicologo Giovanni Bietti e dallo stesso Antonio Pappano, ma anche durante le pause dello spettacolo: in sala si riaccendono le luci, ma contemporaneamente, nel back stage, i protagonisti del palcoscenico vengono intervistati per il pubblico online, che potrà soddisfare tutta la propria curiosità, ponendo delle domande in diretta, collegandovi con la chat monitorata dagli operatori.

L’ultimo appuntamento si è tenuto lo scorso 24 aprile e a dirigere l’orchestra nell’esecuzione di tre concerti di Amadeus Mozart è stato il maestro Uto Ughi, mentre il primo spettacolo, è stato condotto dallo stesso Antonio Pappano che ha inaugurato lo scorso 18 marzo questa terza edizione del progetto con le note della “Sinfonia Patetica” ?ajkovskij. Se non avete potuto partecipare né seguire la diretta streaming, o se volete rivivere l’emozione dell’esecuzione musicale, non preoccupatevi: sul sito infatti tutti i concerti rimangono disponibili sino al prossimo 24 maggio 2014, decisamente il tempo necessario per godersi tranquillamente lo spettacolo in qualsiasi momento, sempre in modalità gratuita.

Intanto, se volete assistere di persona all’evento, l’ultimo appuntamento da non perdere è programmato per il prossimo lunedì 27 maggio, con l’esecuzione dalle 21.00 in poi del Quartetto di Verdi, La Serenata di Britten e la Sinfonia n.5 di Beethoven. Perciò preparate il vostro computer e le casse per trasformare il vostro salone nella sala dell’Auditorium, e godervi gratuitamente le emozioni delle note classiche.

 

In un momento di recessione economica come quello attuale, le possibilità per i giovani nel nostro paese sono piuttosto esigue, eppure non del tutto assenti. Una delle iniziative più interessanti l’ha proposta e portata avanti proprio il Governo, dallo scorso agosto, all’interno del Decreto Cresci Italia: si chiama Società a Responsabilità limitata semplificata, e consente a tutti i giovani al di sotto dei 35 anni di aprire la propria s.r.l., spendendo solo un euro e sfuggendo a lentezze burocratiche ed amministrative.

Una delle peculiarità di questa società è che per redigere l’atto costitutivo, al fine di iscriversi al registro delle imprese, si è esenti dal diritto di bollo e da onorari notarili; il capitale deve essere pari ad un euro ed inferiore ai 10.000. a costituire la società devono essere persone fisiche e non giuridiche, al di sotto dei 35 anni e non è consentito le quote a soggetti che non presentino questi requisiti.

A volte, tuttavia, l’iniziativa non basta se non c’è il mezzo che la comunica. Così, per fare in modo che tutti i ragazzi vangano a conoscenza di questa opportunità, sempre sfruttando il canale web a loro più confacente, il Governo ha anche lanciato una campagna pubblicitaria divulgativa.

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Si chiama “Che ci faccio con un euro” ed è stata realizzata da quattro giovani video- maker e distribuita per via virale sul canale Youtube (gli spot pubblicitari saranno anche proiettati all’interno dei canali Rai).

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Quattro spot divertenti ed ironici per trasmettere la semplicità della messa in opera di questo progetto, comunicandone al tempo stesso l’importanza che può rivestire per il futuro delle giovani generazioni. Perché se a volte un euro non basta neanche per comprare un chilo di pane, oggi è davvero sufficiente per avviare un’attività giovanile e contribuire così alla ripresa economica del paese, alla creazione di nuovi posti di lavoro e alla realizzazione dei propri sogni.

Sul canale Youtube del Ministero invece potrete gustarvi i divertenti video pubblicitari, se poi siete interessati ad aprire la vostra impresa sul sito del Governo troverete tutte le informazioni.

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Perciò mettete da parte un euro perché, come accadde a zio Paperone con un semplice scellino, questa moneta potrebbe rappresentare la vostra fortuna.

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Già Capitale Europea della Cultura nel 2012, quest’anno Maribor guarda al futuro. Dopo aver scalzato le altre concorrenti in gara -Derry (UK), Goes (NL) e Karlstad (SE)- la città slovena è stata proclamata Capitale Europea dei Giovani 2013 dal Forum Europeo dei Giovani nel 2010.

Tale titolo viene assegnato ogni anno a una città europea che si impegni concretamente a migliorare nel lungo termine la qualità di vita dei giovani che vi abitano. Il titolo mira a favorire lo sviluppo di idee e progetti innovativi che vedano una partecipazione attiva dei giovani allo sviluppo della società, a creare maggiori opportunità per il loro futuro e a promuovere la cooperazione sulle politiche giovanili a livello locale ed europeo. La città designata si impegna così a sviluppare il brand di youth-friendly city, incoraggiando i giovani a credere nelle proprie capacità e ad esprimere il proprio potenziale.

Proprio il coinvolgimento attivo dei giovani nell’elaborazione e implementazione del suo programma è valso a Maribor il titolo di Capitale 2013. La proposta slovena si è contraddistinta, infatti, per un innovativo approccio bottom-up, in cui i ragazzi non sono solo i destinatari del programma, ma vengono coinvolti in tutte le fasi di pianificazione e organizzazione delle politiche e delle attività, con particolare attenzione ai giovani con meno opportunità.

Tale approccio ha segnato uno stacco non solo tra Maribor e le concorrenti per il titolo 2013, ma anche rispetto alle Capitali elette negli anni precedenti. Rotterdam ha inaugurato il titolo nel 2009 con un programma teso a esaltare il talento giovanile. Anversa (2011) ha voluto valorizzare le nuove generazioni offrendo loro spazio, mentale e fisico. Braga 2012 ha sfruttato il titolo per rilanciare l’immagine della città e mobilitare risorse a loro favore. Nel nostro paese, Torino è stata premiata nel 2010 per le politiche e l’attivismo giovanili.

Il focus di quest’anno, invece, è CO-CREATE, creare insieme. La strategia è stata stabilita nel 2008 dall’Ufficio Comunale per la Gioventù e la Cultura, che ha previsto da subito la partecipazione attiva e informata dei giovani alla programmazione, offrendo il co-finanziamento di progetti, organizzazioni e infrastrutture.

Il programma maturato è intenso e diversificato. Prevede incontri, eventi, spettacoli e seminari sui temi sociali più sentiti dalle nuove generazioni: l’occupazione, la casa, il volontariato, l’intrattenimento, l’integrazione interculturale, l’ecologia, l’educazione, lo sport, la cooperazione intergenerazionale, la creatività culturale e, infine, l’intensificazione del dialogo strutturato. Si rivolge principalmente ai ragazzi tra i 15 e i 29 anni, ma è aperto al confronto con altri target.

Avviato a gennaio con una grande cerimonia di apertura, il programma mira a creare opportunità concrete sia per i giovani che ne usufruiscono come destinatari sia per quelli che, come volontari, contribuiscono attivamente a co-creare Maribor 2013 e farne un progetto di qualità. Prendendo parte ai processi propositivi, decisionali e organizzativi del programma, questi giovani possono rivestire un ruolo attivo nella crescita della loro comunità e indirizzarne le decisioni in modo da rendere la città più youth-friendly.

La forza dell’approccio promosso da Maribor 2013 risiede nell’offrire un nuovo modello di gestione delle politiche giovanili in cui i giovani non sono solo destinatari, ma diventano co-creatori. È significativo che sia stato lanciato proprio nel 2013, Anno Europeo dei Cittadini. Il modello bottom-up, applicato localmente da Maribor, è esportabile in molte altre realtà europee.

Si dice spesso che i giovani sono il nostro futuro, ma non sono molte le amministrazioni pronte a condividere parte del processo decisionale con loro. Restiamo in attesa degli effetti che l’approccio di Maribor 2013 avrà nel lungo termine sull’afflusso turistico e sull’immagine internazionale della città, ma soprattutto sulla qualità di vita dei suoi ragazzi. Il principio è chiaro e lungimirante: coinvolgere nelle azioni e nelle decisioni di oggi i leader di domani.

 

Parigi ha fatto del riconoscimento dell’artista professionista un impegno politico attraverso una serie di programmi di ristrutturazione del tessuto urbano. Gli atelier d’artista sono un obiettivo di social housing seguiti da una strategia di welfare strutturata in sostegno al reddito, ai progetti e spazi in gestione. Queste misure hanno rinvigorito il tessuto artistico della città che lega ancora oggi la sua immagine internazionale all’arte e alla cultura. In cifre, tutto ciò significa 28 milioni di turisti all’anno, di cui 17 milioni provenienti dall’estero.


Già alla fine del XIX secolo e all’inizio del XX, Montmartre e Montparnasse si caratterizzavano come centri improvvisati della vita artistica mondiale. Da allora Parigi non ha smesso di attirare artisti da tutto il mondo. Il fenomeno è diventato rapidamente prioritario per le istituzioni cittadine che, negli ultimi anni, hanno fatto del riconoscimento dell’artista professionista un impegno che si aggiunge a quello del Ministero della Cultura. Attraverso una serie di programmi di ristrutturazione del tessuto urbano, gli atelier d’artista sono stati definiti un obiettivo di social housing seguiti da una vera e propria strategia di welfare strutturata in:

• Sostegno al reddito

• Assistenza ai progetti

• Borse di studio e di formazione

• Acquisizione di opere per allestire il Fondo Comunale di arte contemporanea

• Supporto alle attività rivolte all’apertura di luoghi di residenza ed esposizione gestiti da gruppi di artisti e associazioni

• Concorsi internazionali sostenuti dal Comune

Queste misure hanno rinvigorito l’anima artistica della Ville Lumiere che continua a caratterizzarsi per una vivace attività culturale. L’economia sviluppatasi intorno al turismo ha motivato i governi a favorire un meccanismo virtuoso che vede musei, monumenti ed istituzioni culturali tra le attrazioni più stimate e tra le più visitate al mondo.
Il riconoscimento della professionalità passa attraverso l’esame della Direzione degli Affari Culturali che valuta l’artista secondo l’interesse della sua opera e il suo legame con la dimensione culturale della città. Nel tempo gli atelier sono diventati punto di ritrovo e palcoscenico di manifestazioni come Les Portes Ouvertes. È grazie a questa iniziativa che abbiamo conosciuto Rafael Houlguin, artista eclettico che grazie al progetto di fotografare ogni strada di Parigi, catalogando le immagini per tema in un archivio monumentale riconosciuto di interesse pubblico, ha ottenuto un atelier del Comune a Menilmontant, arrondissement con una spiccata connotazione artistica. Sulla rue des Panoyaux, Rafael affitta dal Comune un atelier a prezzo simbolico. Dietro una porta seminascosta dall’edera si apre uno spazio che emoziona per ampiezza e luminosità, esaltato dalle opere neo-figurative di Houlguin che da 30 anni è artista di professione.

Bertrand Delanoë, sindaco di Parigi ed esponente di spicco del Partito socialista Francese, ha fatto della presenza degli artisti in città un punto della sua politica culturale tanto che alcuni quartieri si sono caratterizzati per la marcata concentrazione di artisti, personalità del mondo della cultura ed intellettuali. Il disegno politico si completa con la recente apertura di diversi grandi centri culturali pubblici (come il Centquatre), seguiti da manifestazioni e festival. I risultati di questa “artisticizzazzione”, vede Parigi come la produttrice del 5% del Pil mondiale dell’arte e un numero di visitatori in costante crescita. Si tratta di un sistema che si autoalimenta grazie al welfare per gli artisti, portatori di una professionalità altrimenti difficile da regolamentare.

Link utili per gli artisti in cerca di un atelier a Parigi:

Candidatura per un atelier d’artista
Servizi a Parigi per gli artisti

 

 

 

Gioventù.org

 

 

il portale dedicato ai giovani under 30, realizzato dal Ministero della Gioventù per avvicinare la Pubblica Amministrazione ai ragazzi. La piattaforma è volta a fornire loro tutte le informazioni utili su studio e/o lavoro, per renderli consapevoli delle possibilità e opportunità per organizzare al meglio il proprio futuro. Uno strumento rivolto quindi a quella generazione troppo spesso tralasciata nel nostro Paese.

il sito è denso di informazioni e perciò sono molte anche le sezioni accessibili in Home page: “Lavoro”, “Formazione”, “Esperienze all’estero”, “Protagonismo generazionale”, “Cultura e tendenze”, “Sport e tempo libero”, “Stili di vita”, “Regioni”. Cliccando su una di queste icone si accede ad articoli sintetici e descrittivi che riportano le novità relative all’ambito selezionato. L’home page, è suddivisa in tre categorie: “Primo Piano”, in cui vengono evidenziate le novità da non perdere; al centro il “Focus On” che approfondisce argomenti e tematiche legate al mondo del lavoro; in ultimo le “Ultime News” dove vengono elencate tutte le notizie in ordine cronologico. Nel menu rosso posto in alto si accede invece all’“Infomap”, ovvero la mappa del sito, alle “Segnalazioni” dove tutti gli utenti possono inviare le loro osservazioni, alla parte interattiva, denominata “Gioventù Live”, in cui sono caricati i video, le foto ed è possibile ascoltare la radio del sito; infine sono disponibile le sezioni “Calendario” dove sono segnalati tutti gli avvenimenti della giornata in corso, “Sondaggi”, “Link utili”, “Newsletter” e “Contatti”.

il sito è indubbiamente utile ed interessante per i ragazzi italiani, spesso disorientati di fronte alle scelte importanti della loro vita, ma soprattutto davanti alla mole di informazioni presenti nel web, a volte sparse nei siti istituzionali e di difficile accesso e reperimento.

 

il portale è stato da poco presentato al pubblico e pertanto al momento non è molto conosciuto. Sarebbe auspicabile da parte delle istituzioni una diffusione capillare di questo strumento: molte sono le potenzialità che andrebbero sviluppate.

i video presenti nella sezione “Gioventù live”, tutti realizzati dai gestori della piattaforma, spiegano in modo simpatico e semplice alcuni argomenti molto di tendenza tra le giovani generazioni come il Carpooling e il Couchsurfing

 

troveranno utile Gioventù.org tutti i ragazzi italiani dai quattordici ai trent’anni, senza limiti geografici, dal momento che il portale si rivolge a tutti i giovani sul territorio nazionale.

 http://www.gioventu.org/angWeb/home.xhtml

 

 

Musica classica e pubblico italiano: un rapporto di amore e odio molto difficile, che vive di alti e bassi e che, senza dubbio, discrimina in misura maggiore i più giovani. Una constatazione che fa male per un Paese che ha dato i natali ad alcuni dei più grandi personaggi della storia della musica classica. Un problema che, a quanto pare, sembra difficile da risolvere.
Persino le politiche di prezzo lanciate da alcuni teatri storici, come il San Carlo di Napoli che propone forti sconti per gli “under 30”, sembrano non riuscire ad arginare il fenomeno continuo di disaffezione da parte delle nuove generazioni verso un tipo di musica che, per quanto possa non piacere, rappresenta la base fondamentale per tantissimi artisti e gruppi musicali di oggi.
Le ragioni di questa distanza sempre più grande e, sembra, incolmabile, sono tante, forse anche troppe per essere elencate nel breve spazio di un articolo. Senza dubbio, si tratta di un linguaggio artistico diverso da quello che i giovani di oggi sono abituati a sentire, tra pop, rock, dance e così via. E sicuramente gioca un ruolo pesante anche l’odore di “vecchiume” che emana la classica, ancora ovattata e rigida nei suoi costumi, quasi incapace di innovarsi e proporre qualcosa di nuovo e fresco.
Ma proprio in merito a quest’ultimo punto, va detto che qualche segnale, in realtà, si è intravisto: basti pensare alla scelta della Rai di aprire e chiudere il Festival di Sanremo (davanti a milioni di spettatori) con Verdi e Wagner, dei quali si festeggia il bicentenario della nascita, oppure ancora si può ricordare il grande successo di pubblico dello spettacolo “Red Bull Flying Bach”, dove ballerini di breakdance si sono esibiti sulle musiche di Bach.

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[youtube http://www.youtube.com/watch?v=J1kHakyzLxE]

E qui bisogna fare una riflessione: il sold out delle due date italiane a Firenze e Torino dimostra che non è vero che gli italiani odiano la musica classica, anzi, la rispettano e sono ben felici di poterla conoscere da vicino qualora ne abbiano la possibilità. È una questione, ancora una volta, di linguaggi differenti: inutile far ascoltare ad un adolescente un’opera di Verdi, perché non riuscirà a capirla senza gli strumenti giusti e soprattutto non riuscirà ad apprezzarla perché troppo lontana dal suo modo di intendere la musica.
La soluzione al problema potrebbe allora essere questa mostrata dai Flying Steps (i ballerini impegnati nello spettacolo promosso dalla Red Bull): avvicinare i giovani alla classica con le tendenze musicali più moderne. Sembra una follia, ma in realtà è un processo in atto da quasi mezzo secolo…
Nel 1968, ad esempio, il compositore Walter Carlos (che cambiò sesso pochi anni dopo, diventando la più famosa Wendy Carlos) pubblicò il suo primo album, “Switched-On Bach”, destinato a entrare nella leggenda per diversi motivi. Si tratta, infatti, del primo album della storia composto interamente con un sintetizzatore. Erano gli anni in cui il leggendario Robert Moog aveva realizzato e messo sul mercato un nuovo strumento musicale, il synth appunto, capace di offrire al musicista possibilità di espressione infinite, grazie all’intervento diretto sul suono e sulle sue molteplici caratteristiche.

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Quell’album, che ha venduto mezzo milione di copie e si è aggiudicato tre premi Grammy, era non solo una prova del virtuosismo artistico di Carlos, ma anche una chiara dimostrazione della rivoluzione che quello strumento (in quel periodo molto ingombrante, oggi di meno) avrebbe portato nel mondo della musica.
Il titolo suggerisce tutto: Carlos non ha fatto altro che suonare musiche di Bach con un sintetizzatore, portando su un nuovo piano sonoro l’esperienza della musica classica.
Anche nella nostra epoca c’è chi ha scelto, con un coraggio che alla fine è stato premiato da critica e pubblico, di far parlare la classica con il linguaggio dell’elettronica. Un caso su tutti: il produttore inglese William Orbit.

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Un personaggio straordinario, con una carriera gloriosa alle spalle, costellata di premi, riconoscimenti e numerose collaborazioni (Madonna, giusto per fare un nome).
Nel corso dell’ultima decade, Orbit ha pubblicato due album intitolati “Pieces In A Modern Style”: anche in questo caso, il titolo tradisce l’ambizione del progetto discografico.

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I due lavori, infatti, raccolgono alcuni dei principali brani classici, tra cui “Adagio For Strings” di Barber, “Inverno” di Vivaldi, “Cavalleria Rusticana” di Mascagni, “Peer Gynt” di Grieg e “Nimrod” di Elgar (brano che è stato riadattato in chiave dance anche dall’artista inglese Chicane), reinterpretati in ottica moderna, con i linguaggi della musica elettronica più pura. Largo quindi ad arpeggi, batterie elettroniche, effetti sonori a volontà…

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I puristi della classica griderebbero allo scandalo, ma ascoltare queste tracce con una veste moderna è tutt’altro che deplorevole. Anzi, il risultato d’insieme è molto piacevole e, cosa più importante, ha il grande merito di avvicinare un pubblico giovane a un tipo di musica che, altrimenti, non ascolterebbe mai. Anche perché i ragazzi più intelligenti e curiosi, dopo aver ascoltato il pezzo in versione moderna, tentano di risalire alle origini e ascoltare il brano originale. Ed ecco, quindi, che si innesca un meccanismo automatico e a volte anche casuale di conoscenza della stessa musica classica. Perché non seguire con più tenacia questa strada?

 

Il 24 e 25 febbraio 2013 si terranno le elezioni politiche per rinnovare il governo dopo la transizione della dirigenza tecnica. I partiti sono in pieno fermento propagandistico e si prodigano in campagne sempre più variegate, social e creative.
Direte voi: qual è la novità? Questo periodo pre-elettorale sembra in realtà caratterizzarsi per la presenza di molte proposte avanzate dal mondo dell’associazionismo, dal terzo settore e da diversi soggetti che hanno deciso di esporre le loro richieste ai potenziali governanti di domani.

 

In ambito culturale hanno riscontrato larga partecipazione le Primarie del FAI, una consultazione pubblica, che si è svolta on line, al fine di individuare cinque punti da presentare ai candidati. Dal 7 gennaio, per 21 giorni, i cittadini hanno segnalato le loro priorità che si sono rivelate i fondi da destinare alla cultura, la protezione del suolo, la sicurezza del territorio, la promozione dell’agricoltura e il diritto allo studio.

 

Anche Federculture ha avanzato l’appello “Ripartire dalla Cultura”: 5 proposte per dieci obiettivi. La cinquina di temi tocca competenze, lavoro giovanile, investimenti, modernizzazione nella gestione dei beni culturali e una fiscalità agevolata per il settore culturale.

 

L’imprenditoria non è certo rimasta a guardare, ma ha fatto sentire la sua voce con “Il Progetto Confindustria per l’Italia: crescere si può, si deve”. Già dal titolo del documento si evince il tono delle proposte, che si pongono come principali obiettivi crescita e occupazione. Gli strumenti tramite cui perseguire tali risultati sono vere e proprie terapie d’urto basate sul taglio dei costi, su liquidità dell’economia, rilancio degli investimenti, aumento dell’export e mantenimento della coesione sociale. Il tutto analizzando con attenzione la copertura finanziaria e indicando le riforme necessarie in diversi ambiti.

 

Ognuno lancia idee per il proprio settore, dunque, e Slow Food propone i suoi “appunti per le politiche alimentari in Italia”. L’appello invita a volgere l’attenzione a suolo, paesaggio e territorio, affinché si preservino i terreni fertili e si recuperino quelli abbandonati. Importante anche la tutela della legalità nei sistemi di produzione enogastronomica, la lotta contro il cambiamento climatico, la preservazione della biodiversità e il rifiuto degli ogm, ma anche incentivi per le nuove generazioni che operano nel settore, la promozione di vecchi saperi, agevolazioni fiscali e molto altro ancora.

 

Per quel che attiene il panorama dei diritti, da segnalare la campagna “Tempo Scaduto”, promossa da Arcigay, che sintetizza le richieste in quattro punti illustrati in un apposito sito web. Qui vengono segnalate le posizioni di ciascun partito e le risposte dei candidati per Camera e Senato di ogni regione riguardo ciascuno dei quattro punti. Infine c’è un’apposita sezione dedicata a chi intende sostenere il matrimonio tra persone dello stesso sesso, l’estensione della legge Mancino per reati motivati da omofobia e transfobia, l’accesso alla fecondazione assistita e la possibilità di cambiamento del genere anagrafico.

 

Pare che anche l’ACI, Automobile Club d’Italia, abbia raccolto 10 proposte rivolte al futuro parlamento e governo. Questa ricetta, promette la federazione, consentirebbe di far risparmiare agli automobilisti italiani 26,8 miliardi di euro, riducendo la loro spesa annuale del 20%. Tra le misure c’è l’abolizione del Codice della Strada per l’adozione di un Codice del Conducente, la previsione di una patente a livelli per le auto più potenti, abolizone del superbollo e riduzione della tassa di possesso, la rimodulazione dell’accise sui carburanti, più mezzi pubblici e ancora altro.

 

Quelle presentate sono solo alcune delle tante voci di un ampio coro: da più parti si suggeriscono infatti soluzioni, idee e riforme che, se da un lato denotano una forte esasperazione e una grande esigenza di cambiamento, dal’altro fanno guardare al futuro con ottimismo. Sembra infatti che in Italia ci sia ancora voglia di fare e di migliorarsi.
Anche TAFTER, del resto, aveva già a suo tempo illustrato le sue sette priorità per le politiche culturali in Italia.

 

“La cosa più dura è tornare sempre a scoprire ciò che già si sa”. Questa è la citazione con cui si apre il 25esimo Rapporto Eurispes, quasi mille pagine che fotografano, come ogni anno, quali sono i pensieri e la percezione che gli italiani hanno di sé, ma soprattutto come si comportano. Un’indagine che va dall’economia, alla politica, ma che ritrae in particolar modo l’andamento della società italiana, i suoi timori, vizi e virtù.

E la fotografia scattata da questo rapporto, che sancisce il quarto di secolo dell’istituto che lo ha redatto, non è tra le più incoraggianti. Se la ricchezza di un paese consiste nel puntare sulle proprie risorse umane, dotate delle capacità per far crescere l’economia (non a caso i paesi in crescita oggigiorno sono quelli che hanno ridotto al loro interno le diseguaglianze sociali), l’Italia non sembra seguire questa tendenza.

Un paese vecchio, sfiduciato, maschilista, con una forte emarginazione sociale e con un sistema di informazione troppo strumentalizzato dalla politica. Questa potrebbe essere la sintesi delle mille pagine di tabelle, percentuali e relazioni. Ma andiamo con ordine:

 

Donne

A riprova che spesso la donna lavoratrice deve fare una scelta tra la sua carriera e gli affetti domestici, la percentuale della classe dirigente al femminile nel nostro paese è del 35,5% contro il 64,5% degli uomini (un calo rispetto al 2010 quando la percentuale aveva raggiunto il 37%). Questo non significa che le donne non abbiano intenzione di lavorare: a causa della crisi economica (nel 2012 7 italiani su 10 hanno visto nettamente peggiorare la propria situazione economica personale), infatti, la tipologia dei contratti al femminile full time è arrivata al 92,3% e le donne nella pubblica amministrazione sono il 55% del totale. Lavorano quindi, ma raramente riescono a raggiungere le posizioni di comando ancora riservate all’universo maschile: non a caso su 5.560 individui che contano in Italia, le donne sono il 15%, mentre gli uomini l’85%. Il 50,9% delle lavoratrici non è soddisfatta della propria retribuzione, solo il 49,5% considera i propri orari giornalieri soddisfacenti, mentre il 63,2% non si sente realizzata per la propria carriera. Il 40%, infine, non sente valorizzate le proprie capacità.

Lavoro

Il tasso di disoccupazione è aumentato dal 6,1% del 2007 all’11,2% (dato Istat aggiornato al 1 febbraio che segnala 3 milioni dei senza occupazione in Italia). Il lavoro viene considerato tra gli Italiani una priorità, e non a caso questi dati rappresentano la preoccupazione principale tra l’opinione pubblica. Il clima di incertezza lavorativa rende gli italiani sfiduciati per la realizzazione dei progetti futuri (il 64,1% risponde negativamente, il 24,5% per niente, il 39,6% poco). Non solo: sembra che la pratica della raccomandazione non stia perdendo la sua efficacia. Il mercato del lavoro infatti pur essendo in piena crisi si conferma assoggettato al sistema delle conoscenze secondo il 44,5% degli intervistati (solo 17,4% non è d’accordo con questa affermazione). Non a caso il 21% ammette di aver trovato il posto di lavoro tramite raccomandazione, mentre il 27% ha inviato una semplice candidatura spontanea (solo il 5,1% si è rivolto invece ad una agenzia per il lavoro).

Giovani

Se la penuria di lavoro è il cruccio degli italiani, ancora più preoccupazione desta la disoccupazione giovanile, arrivata al 37,1% . Sempre più giovani decidono, inoltre, di non proseguire gli studi universitari proprio perché sfiduciati da uno scenario in cui i laureati disoccupati (18%) superano il tasso di diplomati disoccupati (12,6%). L’università italiana ha visto perciò notevolmente ridurre il numero delle iscrizioni, calate di 60mila unità negli ultimi 10 anni. Anche nel settore della ricerca la situazione per le nuove generazioni non sembra migliorare: tra coloro che hanno ottenuto il titolo di dottori di ricerca nel 2010 il 10% si è recato all’estero per continuare la propria carriera universitaria (nel 2006 era il 7%). Tuttavia, per ammissione dello stesso Istituto Eurispes non è possibile effettuare una stima specifica, dal momento che nel nostro paese non esiste un registro che riporti e censisca il flusso di ricercatori che lasciano l’Italia. “Quello che emerge è che coloro che hanno sviluppato un alto livello di specializzazione e formazione dimostrano maggiore propensione ad emigrare per migliorare le proprie opportunità professionali – come recita il rapporto- e il bilancio dei ricercatori in entrate rispetto a quelli in uscita nel nostro paese risulta essere decisamente in deficit: se il 16,2% lascia l’Italia, solo il 3% sceglie il nostro paese per attività di ricerca”. Inoltre, una volta emigrati, difficilmente i nostri ricercatori decidono di rientrare in patria. Non solo ricercatori, ma anche lavoratori qualificati e laureati eccellenti: dal 2002 al 2011 è infatti triplicato il numero dei laureati che ha lasciato l’Italia per cercare un’occupazione professionale soddisfacente all’estero. Secondo l’Istituto per la competitività (Icom) questa fuga dei cervelli costa all’Italia 1,2 miliardi di euro, spesa destinata a crescere nei prossimi anni. Se tali flussi resteranno immutati, entro il 2020 lasceranno l’Italia 30.000 ricercatori, a fronte dei 3.000 che arriveranno. Che l’Italia non sia un paese per giovani lo confermano i dati sull’età della classe dirigente italiana: il 79,5% di loro ha infatti più di cinquant’anni (dal 1992 ad oggi l’aumento degli ultrasessantacinquenni è passato dal 25,2% al 39,3% )

 

Immigrazione

Il tasso di immigrazione è cresciuto in maniera costante tra il 2009/2011 e oltre ad aumentare il numero di minori in arrivo nel nostro paese sono cresciti anche gli stranieri istruiti che migrano in Italia. Pur essendo il lavoro la motivazione principale che spinge gli immigrati a scegliere la penisola italiana (concentrandosi in particolar modo in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Lazio), una volta giunti gli immigrati rinunciano alla propria professionalità, collocandosi principalmente nel settore dei servizi che ha assorbito il 57% dei lavoratori stranieri nel 2010. Gli immigrati, inoltre, risultano ottimi contribuenti e sempre più spesso sposano il sogno di acquistare una casa

 

Mezzi di comunicazione di massa

Il calo dell’interesse da parte dell’opinione pubblica di quanto scritto sulla carta stampata è palesemente testimoniato dal calo delle vendite dei giornali: la diffusione media giornaliera è scesa infatti a 4,5 milioni di copie. Il 37,9% afferma di non comprare mai un quotidiano, mentre il 22,3% si documenta principalmente online. Questo è dovuto soprattutto al fenomeno dell’informazione auto-organizzata: sempre più spesso infatti le notizie vengono diffuse attraverso il web da cittadini ed utenti (il citizen journalism) e trasmessi in maniera virale grazia all’ausilio dei social network. Forte l’impatto dell’utilizzo del cellulare, in quanto strumento principale per creare comunicazione immediatamente fruibile. L’informazione è quindi non più basata sull’utente che passivamente riceve le notizie, ma che partecipa attivamente, sfruttando le potenzialità di internet. Questo fenomeno da una parte risulta essere rischioso per la veridicità delle notizie diffuse, dall’altra però denota però una crescente sfiducia da parte del cittadino nei confronti dell’informazione istituzionale, orientata ad influenzare l’opinione pubblica e avvertita da quest’ultima eccessivamente influenzata dalla politica: in particolar modo questa manipolazione è percepita per la televisione.

 

 

 

 

Quale è la distanza tra le nuove generazioni e la lirica? In Italia sempre meno grazie a internet, alle nuove app, ai cinema e alle associazioni che stanno nascendo.
Nuovi linguaggi e nuovi supporti che creano un ponte tra i giovani e la tradizione. In Italia è nato da poco un movimento che riunisce i grandi teatri, l’Opera e i più giovani. Lo scorso 13 novembre al Palazzetto Bru Zane – Centre de musique romantique française di Venezia si è tenuta una importante conferenza stampa per presentare Elektra, un network tutto italiano formato da giovani sotto i 30 anni amanti della lirica. Quattro associazioni giovanili, quali Juvenice Giovani Amici della Fenice, Milano per La Scala e Amici del Filarmonico di Verona con le rispettive sezioni giovani e La Barcaccia i giovani del Carlo Felice, si sono messi all’opera dando vita al progetto, appunto, di “Giovani all’Opera” promosso da giganti quali Fondazione Teatro La Fenice, Arena di Verona, Teatro alla Scala, Teatro Carlo Felice e Palazzetto Bru Zane.

 

L’iniziativa – che non a caso parte nell’anno in cui cade il bicentenario della nascita di due grandi compositori quali Wagner e Verdi – permette ai giovani che aderiscono a questo gruppo di assistere a concerti e Opere con soli 10 euro e, soprattutto, di far parte di un’associazione che si sta espandendo a livello europeo. Tale progetto rientra in un impegno più ampio da parte delle istituzioni di svecchiare il proprio pubblico e di avvicinarlo alle opere di Bizet, Verdi e Puccini. Da qui, si intuisce come da tempo sia iniziato un silenzioso ma caparbio ingresso dei giovani nel mondo della lirica e dell’Opera. Attualmente stiamo assistendo alla nascita, in quasi tutti i teatri, di formule di membership per fidelizzare non solo coloro forniti di un portafogli più consistente, ma anche i giovani e i giovanissimi.
L’Associazione degli Amici del Teatro Comunale di Bologna ha previsto che si possano tesserare anche i ragazzi sotto i 14 anni, con una quota di 20 euro e grazie alla quale hanno accesso alle prove, ai laboratori didattici e ad eventi specifici. Sono uno dei pochi casi italiani di Amici così giovani di un teatro ma, soprattutto, rappresentano più della metà dell’associazione bolognese. La Scala ha messo a punto da un paio di anni PassUNDER 30, una tessera che dà sconti notevoli sui biglietti e che mette in campo una community di under trentenni interessati a questo tipo di repertorio.

 

La Fondazione Fenice di Venezia ha ormai consolidato il suo rapporto con i giovani, anche grazie alla collaborazione con gli studenti delle università e dell’Accademia di Belle Arti. In tal senso, ricordiamo Luca Ronconi che lo scorso anno ha portato in scena Intolleranza 1960 di Luigi Nono, lavorando a stretto contatto con i ragazzi della Facoltà di Design e Arte dell’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, i quali si sono dedicati alla realizzazione dello spettacolo, seguendo le fasi di sviluppo anche creativo, dalla scenografia alla regia. Anche nel nostro Paese, seppure lentamente, la lirica si sta facendo strada nei cinema e su internet. Con un biglietto, quasi sempre a poco prezzo – a uno zero contro le poltrone dei teatri che conteggiano due zeri – si può assistere a registrazioni di alta qualità, che trascinano lo spettatore nel corpo vivo dell’opera, gli mostrano le espressioni facciali dei cantanti e lo invitano a vedere cosa accade negli intermezzi, quando la tenda rossa cala. La Cineteca di Bologna, ad esempio, porta nelle proprie sale gli allestimenti del Metropolitan Opera di New York, della Royal Opera House di Londra e quelli del Bolshoi di Mosca. Il Teatro Carlo Felice di Genova ha stipulato un accordo con la piattaforma streaming MyMovies.it, che dà la possibilità di rivedere tutto il cartellone operistico e di danza attraverso un canale online. E proprio citando il binomio internet e lirica – a prima vista anomalo – non si può non menzionare Opera: un’applicazione per Iphone e Ipad, una piccola enciclopedia mobile sul mondo della lirica che offre le sinossi delle opere, le locandine e i libretti, senza tralasciare una descrizione del primo debutto.

Per avere maggiori informazioni, è possibile consultare i seguenti siti:

Elektra Opera

App per gli amanti della musica lirica

 

Nella foto il mezzosoprano Cecilia Bartoli

Spesso si pensa che i giovani non siano particolarmente esigenti rispetto la scelta del posto dove trascorrere gli anni dell’università. Esistono, invece, dei canoni fondamentali nel rendere una città più o meno a misura di studente. Tra questi: la sicurezza, un rapporto ragionevole tra costo e qualità della vita, un’offerta di servizi accessibili -come cinema, teatri, luoghi di ritrovo, attività sportive-, la presenza di altri giovani (ancora meglio se internazionali), efficienti infrastrutture urbane, il clima e, ultimo ma sicuramente non meno importante, la qualità delle istituzioni scolastiche. La presenza di atenei prestigiosi, la varietà di corsi di laurea e le possibilità occupazionali per i neo-laureati giocano, ovviamente, un ruolo importante.
Proprio di questi parametri ha tenuto conto il QS (Quacquarelli Symonds), un centro di ricerca internazionale specializzato nell’analisi di informazioni sul mondo universitario e dell’istruzione superiore, per stilare -per la prima volta quest’anno- una classifica delle cinquanta “Best Student Cities”, le città migliori al mondo per studiare.
Tutte le “capitali universitarie” presenti nella classifica -solo per citarne alcune nella top 10 Boston, Melbourne, Vienna, Sidney e Zurigo– offrono agli studenti infrastrutture accademiche eccellenti e generalmente accessibili, trasporti efficienti, molti spazi verdi e una ricca offerta culturale, basti pensare ai musei gratuiti di Londra. Sono inoltre città cosmopolite con importanti centri nella finanza, nelle arti e nei media, fattore che contribuisce a creare quel legame indispensabile tra studio e mondo del lavoro.
Ed ecco allora i risultati della classifica: al primo e secondo posto due città europee, Parigi e Londra. Vediamo alcune loro caratteristiche, nella capitale francese sono presenti ben 16 diverse università, per un numero di studenti che arriva a 1,79 milioni con una percentuale di studenti stranieri del 17%. La seconda classificata vanta invece di 12 poli universitari e di 135,200 studenti con una percentuale di studenti stranieri del 33%.
La prima, e purtroppo unica, città italiana a comparire nella classifica è Milano al 21esimo posto, dove la percentuale di studenti internazionali scende al 5%.
Va comunque precisato che per identificare le città presenti in questo elenco, sono stati imposti dagli studiosi del QS due pre-requisiti. Il primo teneva conto della densità di popolazione, che doveva essere superiore ai 250.000 abitanti, il secondo imponeva che la città fosse patria di almeno due istituti universitari già classificati da QS World University Rankings, la classifica delle migliori università al mondo.
Per questo sembra giusto guardare anche alle città universitarie italiane non presenti, fatta eccezione per Milano, tra le “Best Student Cities”. Secondo Erasmus students network, l’associazione europea il cui scopo è la promozione e il supporto degli scambi internazionali fra studenti, le migliori città in cui studiare in Italia sono Siena, Parma, Bologna e Padova. Centri urbani non troppo grandi ma bene organizzati, con un buon sistema di accoglienza per gli studenti stranieri, ricchi di spazi e strutture per lo studio, di reti wi-fi gratuite, di alloggi universitari e di camere ancora affittabili a prezzi accessibili (si parla di cifre che oscillano tra i 300/400€ al mese).
Sono luoghi che vantano anche di un ricco sistema di interventi rivolti alla valorizzazione della cultura e alla creazione e messa a disposizione di spazi dedicati alla creatività e al tempo libero.
Ovviamente, una città capace di attrarre studenti è una città in grado di attrarre turisti e ricchezza. Quindi, invece che sottolineare i tagli e le limitazioni causate dalla crisi, dall’indebitamento pubblico e dalla disoccupazione, perché non cercare di coniugare l’eccellenza delle istituzioni universitarie italiane con la qualità dei servizi offerti ai cittadini e agli studenti per dare nuovo slancio all’economia del nostro paese?

 

Le idee vanno tutelate, protette, ma anche diffuse, condivise, raccontate. La creatività è un esercizio quotidiano, per qualcuno è una dote innata, una sorta di benedizione. La sostanza è che idee e creatività vanno di pari passo, a braccetto, unite verso un unico obiettivo, quello di rendere il mondo migliore.

L’essere proattivo, ricettivo e con qualcosa da dire al “nuovo” mondo aiuta e non poco lo sguardo lucido del “creativo”. Le grandi crisi provocano grandi reazioni. La voglia di non soffocare le proprie energie e di non racchiudere le proprie idee in un vecchio cassetto di una soffitta polverosa, per l’impossibilità “economica” di realizzarle, porta all’elaborazioni di soluzioni alternative e rivoluzionarie. Quindi, eccoci alla grande esplosione di nuove idee che, per essere concretizzate, cercano fondi tramite crowdsourcing e fundraising (si veda ad esempio la piattaforma Eppela, nata proprio a questo scopo)

Ed è in questo ambito, con queste premesse, che è nata l’idea di Mirko Pallera @mirkopallera (creatore, insieme ad Alex Giordano @mantralex, di Ninja Marketing, sito di riferimento per il Marketing non convenzionale in Italia – e non solo) di fare una vera e propria “Battaglia delle idee, stile scontro tra rapper, con tanto di musica, giudice e gong. Torneo ad eliminazione diretta, un’idea contro l’altra fino ad arrivare a due vincitori, il migliore per la giuria e per il pubblico.

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Per due giorni, nella splendida cornice (lo so che è una frase molto anni ’80 ma rende bene l’idea) del Castel dell’Ovo a Napoli, in quel #lungomareliberato fiore all’occhiello della nuova gestione della città, si sono alternati pensatori, esperti di marketing, un medico omeopata (sì, avete letto bene!), sviluppatori di app, informatici e moltissimi – a loro farà piacere essere chiamati così – creativi. Nella due giorni della Battaglia delle idee, tre i temi cruciali che si sono alternati e mescolati, business (modelli di impresi, startup, business plan), marketing (social media e comunicazione) e code & design (programmazione, tecnologia e design).

Con l’aiuto sotto forma di partnership e sostegno del colosso Microsoft che concederà al vincitore della Battaglia delle idee un premio in risorse economiche per realizzare l’idea. Moderatore della #battle12 (questo l’hashtag ufficiale), Funky Professor, Marco Zamperini @funkysurfer, che dopo esser stato contattato da Pallera non ha potuto non sposare l’iniziativa.

Tantissimi gli spech nei due giorni di barcamp che hanno preceduto la battaglia vera e propria, da Davide Basile @kuwakumi sul Social Media ROI, a Diego Orzalesi @diego_orzalesi di Hoot Suite Italia (partner anche dell’evento), passando per Omar Rashid @omarrashid e la sua esperienza “Gold”, per (come anticipato prima) il dr. Antonio Vitiello, omeopata che ha introdotto l’ompeopatia unicista all’interno del discorso “creativo”, per “Le regole d’oro dell’Adv” a cura di Giovanna Napolano @No_made_ e Massimo Sommella @sommomassi ed i consigli di Simon Pietro Romano @spromano su “Cosa fare, ma soprattutto cosa non fare, per creare una sturtup di successo”.

Tra i protagonisti degli interventi anche i The Jackal @_the_jackal oramai vere e proprie star del web con cui si è parlato di viralità. Ci hanno mostrato alcuni loro video divenuti virali attraverso l’enorme passaparola online (ed anche offline). Uno di questi si rifà ad un altro video virale della rete, “Where the Hell is Matt?“, diventato nel pieno della crisi rifiuti, “Where the Hell is Munnezza“.

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Interessanti anche le nuovi visioni di marketing con il “Sensible Branding” di Adele Savarese @adelesavarese che ha anche “condotto” le giornate di barcamp insieme a Mirko Pallera, protagonista tra l’altro anche del primo speech di questa due giorni (se volete approfondire, ecco il link dove trovare le slide di tutti gli interventi, il video con le interviste ai protagonisti degli speech a cura di @JepisIT).

Il cuore della battaglia, come potrete immaginare, è stata la presentazione della nuove idee:  idea vincitrice secondo il giudizio tecnico è stata Buzzoole (piattaforma di social advertising basata sul monitoraggio e il sul coinvolgimento degli influencer della rete), mentre una menzione speciale della giuria per la qualità dell’idea social è andata a ReHub (modello di nuova comunità interdisciplinare per le ricerche, atto a creare nuove conoscenze attraverso l’innovazione collaborativa).

Citando il dr. Vitiello, per lavorare bene bisogna stare bene, l’essere umano ha la sua identità in trascendente relazione con il prossimo, convertendosi solo in questo modo in un essere creativo.
Le idee vanno liberate, provando a lasciarci conquistare e cercando di conquistare gli altri parlandone attraverso “pitch” intensi, rapidi e convincenti. Per alcuni la ricerca di fondi sarà fondamentale per la realizzazione, per altri non sarà così. Ma il mondo sarà comunque grato (anche se non sembra!) dell’inondazione di creatività che non può far altro che migliorarlo.