panarelliIl 28 e 29 agosto si ripeterà a L’Aquila, come ogni anno, il rito della Perdonanza, indetto da Papa Clestino V per la remissione dei peccati: l’indulgenza verrà concessa a tutti coloro che attraverseranno la Porta Santa della Basilica di Santa Maria di Collemaggio.
Solo qualche giorno fa, tuttavia, il sindaco Massimo Cialente aveva annunciato ai cittadini che la splendida chiesa sarebbe rimasta chiusa fino al 2016 per motivi di sicurezza. In questi giorni di festa sarà straordinariamente possibile attraversare solamente la porta consacrata.

La città è costretta dunque a festeggiare la Perdonanza a metà, come del resto sta facendo ormai da quattro anni, dopo il drammatico sisma del 2009.

Il Ministero dei Beni e delle Attività culturali, lo scorso 6 agosto, ha diramato in un comunicato lo stato di avanzamento dei restauri che stanno interessando il centro storico della provincia.
Nella nota si legge: “A poco più di un anno dall’inizio dei primi lavori sono oggi più di sessanta gli aggregati che includono edifici vincolati, nei quali sono stati avviati i cantieri di restauro, su progetti autorizzati dalla Soprintendenza. Ai 37 cantieri già partiti, che procedono a ritmo spedito, si aggiungono quelli appena consegnati o avviati da poco – in particolare tra giugno e luglio, anche a seguito delle ultime approvazioni di contributi disposte dal Comune – per un totale di oltre sessanta cantieri già aperti, corrispondenti alla metà di tutti i progetti finora presentati. Lavori in corso da diversi mesi si incontrano lungo il Corso Vittorio Emanuele e Corso Federico II, dal Castello ai Quattro Cantoni e a S. Bernardino, nelle aree di via Garibaldi, S. Maria Paganica e S. Pietro Coppito, nella zona di piazza Prefettura e del Duomo, fino alla Villa Comunale e a Porta Napoli”.

Passeggiando tra le poche vie percorribili del centro storico si ha infatti l’impressione di trovarsi ancora in un grande cantiere, con gli splendidi palazzi puntellati da un fitto reticolo di impalcature.

Dei 129 progetti presentati, sono 101 quelli autorizzati dalla Soprintendenza, per un contributo pari a 500 milioni di euro. I cantieri avviati sono però 63, di cui 56 nel centro storico. In considerazione di tali dati si comprende come sia per ora in atto solo la metà di quanto promesso e atteso. Resta la speranza che l’attività di restauro non incontri intoppi e che proceda secondo quanto predisposto.

In questi giorni così particolari per L’Aquila, la città sembra vivere sentimenti contrastanti: da un lato c’è la ferita ancora aperta e indelebile di quanto accaduto il 6 aprile del 2009, dall’altro canto si sente forte un desiderio di rinascita e di ritorno alla spensieratezza di un tempo.

Va in questo senso la presentazione della candidatura a patrimonio immateriale UNESCO proprio della  Perdonanza Celestiniana, i cui dossier sono stati inoltrati alla Conferenza internazionale lo scorso anno. Per la sua unicità, la consapevolezza del suo valore e l’identificazione della comunità in questa tradizione, ha spiegato Giovanni Puglisi, presidente della Commissione italiana dell’UNESCO, la Perdonanza entrerà a pieno titolo nell’ambita lista nel 2015.

Questo importante traguardo è di certo un segnale importante per gli aquilani, che dimostrano grande voglia di riscatto anche con la candidatura della città a Capitale europea della cultura 2019. Non sappiamo se riusciranno a centrare anche questo secondo ambizioso obiettivo, ma senza dubbio hanno colto l’importanza della cultura per riemergere.

L’Aquila sta tentando del resto di metabolizzare il dramma che ha vissuto, come dimostra anche il progetto “Il Mercato degli Spiriti”, parte del più ampio programma “I Cantieri dell’Immaginario” del MiBac. Le vetrine abbandonate del centro storico, dove purtroppo ancora dominano le crepe e le macerie, sono state utilizzate per mostrare opere d’arte contemporanea realizzate da creativi di provenienze diverse, tutte volte ad indurre gli spettatori a riflettere sul concetto di città, sulla sua importanza ed evoluzione, tanto architettonica, quanto sociale.
L’Associazione Fuoriscala, organizzatrice della rassegna, e il curatore Carlo Mangiolini, invitano perciò ad interrogarsi, a guardare il contesto circostante come un luogo di nuove possibilità, partendo dall’esorcizzare il dolore.

La devastazione di tanti luoghi cari e preziosi ha indotto a riscoprire l’importanza di un patrimonio identitario, attorno a cui ora ci si stringe con dignità per risorgere e tornare a sperare nel futuro.

 

ZATERLa storia di ogni famiglia si compone dei ricordi e racconti che ciascun componente ha nel proprio cuore: immagini, profumi e sapori impressi nella memoria che sentiamo come preziosi tasselli della nostra esistenza. C’è chi, come Franca Tramontin-Polla, ha preferito condividere questo patrimonio piuttosto che tenerlo per sé.

La sua famiglia, stabilitasi a Soverzene, in provincia di Belluno, ha qui aperto l’”Antica Osteria all’Amicizia”, dove piatti semplici scandivano le giornate dei zattieri del Piave, impegnati a trasportare il legname sulle zattere lungo il fiume.

Le ricette sono state tramandate, come i ricordi, di generazione in generazione, finché Franca non ha deciso di raccoglierle e salvaguardarle dal tempo.

E’ nato così “Al magnar dei Zater”, una collezione non solo di piatti tipici del territorio, ma anche di testimonianze capaci di rievocare la vita delle generazioni passate, che hanno vissuto in simbiosi con il fiume.

I zattieri lasciavano infatti che il Piave scandisse il loro tempo mentre la loro dieta si componeva di ciò che la terra aveva da offrire di stagione in stagione: legumi, erbe officinali, polenta e riso, erano gli ingredienti principali sapientemente lavorati per ottenere cibi semplici ma genuini, che venivano consumati sul posto di lavoro (i campi e le sponde del corso d’acqua) o attorno al “larìn”, il focolare domestico.

Tutto ciò è racchiuso nel ricettario completato da Franca Tramontin-Polla nel 1993 e consegnato al Museo degli Zattieri del Piave di Codissago: in occasione dei 30 anni dello spazio espositivo, il volume è stato ora pubblicato e distribuito affinché contribuisca a far conoscere la storia di questo angolo d’Italia, dal punto di vista culinario, ma anche culturale.

“Al magnar dei Zater”, arricchito da foto e note è infatti molto più che un libro di ricette: sembra più una zattera che lungo il Piave ci riporta agli anni in cui la sveglia era alle 4 di notte e le rape erano il principale rimedio per tosse e bronchite, ma anche in cui ogni ospite veniva accolto con un semplice: “Ciao, sèntete; atu fan?” (“Benvenuto, siediti, hai fame?”) “Quello che c’è in pentola basta per tutti, senza alcuna differenza”.

 

 

POLENTA E BACALA’ (polenta e baccalà)

 

Ingredienti:

1 kg. di baccalà secco

½ kg. di cipolle

2 spicchi d’aglio

2 cucchiai di conserva

Sale e pepe

Strutto o olio

10 acciughe

10 patatine pelate intere

1 buon battuto di prezzemolo

 

Mettere in ammollo per 24 ore in acqua il baccalà, cambiare l’acqua parecchie volte, levare le lische, lasciare il baccalà a pezzi più grandi possibile.
In una padella soffriggere le cipolle con strutto o olio e l’aglio; le cipolle si possono lasciare intere o a piacere tagliarle a fettine, aggiungere i pezzettini di baccalà infarinato, soffriggere a fuoco lento.
Quando il baccalà è soffritto, aggiungere l’acqua necessaria, sale, pepe e la conserva o a piacere pomodoro, le acciughe, le patatine e cucinare a fuoco lento per due ore.
Aggiungere il prezzemolo battuto. Far bollire ancora per 10 minuti e servire con la polenta calda.

 

Per la ricetta della polenta consultate “Al magnar dei Zater” a pagina 10.

 

“Al magnar dei Zater”
La cucina degli zattieri
Franca Tramontin-Polla (a cura di)
pp. 59
Edizioni DBS, euro 8,00

 

 

eatwithViaggiare, conoscere nuovi territori, ampliare i propri orizzonti, assaporare nuove culture. Molte persone si mettono in viaggio per esplorare, scoprire e sperimentare il diverso, guardare con i propri occhi gli scenari conosciuti attraverso i media, riconoscere le icone di fama internazionale, assaggiare sapori autentici.

Una startup nata nel 2012 offre al turista interessato una possibilità in più per testare l’autenticità, far conoscenza con le persone del luogo e provare la vera cucina, quella domestica, preparata e offerta nell’intimità di casa. Stiamo parlando di EatWith, la versione culinaria di Airbnb, un portale che consente ad aspiranti host e guest di entrare in contatto fra loro, conoscersi e condividere un’esperienza unica nel suo genere.

L’idea è nata ad un giovane di Tel Aviv, Guy Michlin, quando un giorno, nel corso di una vacanza in Grecia, si è ritrovato a cena presso una famiglia che non conosceva, con la quale era entrato in contatto attraverso conoscenze più o meno dirette. L’esperienza ha preso una piega così positiva che, una volta ritornato a casa, ha subito iniziato ad pensare a come rendere disponibile a molti quella che per lui era stata un’occasione per conoscere persone interessanti e assaporare l’autentica cultura greca.

Poche cose come i prodotti tipici locali e le ricette di chi di giorno in giorno vive il territorio sanno comunicare l’identità del luogo con tanta immediatezza. La possibilità di trovarsi faccia a faccia con le persone che vivono i diversi Paesi può aprire a conoscenze interessanti, confronti stimolanti e inediti punti di vista su quello che s’immagina essere una certa cultura o un certo contesto. All’altro capo del filo, l’host può coltivare il suo amore per la cucina, ricevere persone provenienti da ogni angolo del mondo direttamente nel proprio salotto e condividere con loro i suoi piatti preferiti, facendosi testimone della sua cultura e delle sue passioni.

EatWith offre una proposta sociale e culinaria che per le sue caratteristiche si pone in estrema antitesi rispetto ai ristoranti turistici, i cosiddetti tourist-trap, omologati come la raffigurazione globalizzata delle icone cittadine, dal Colosseo al Ponte di Rialto. E il web, ancora una volta, offre l’infrastruttura che permette di unire punti lontani, aprire a possibilità inedite e testare nuovi modelli di business.

La community ad oggi è attiva in due Paesi e una città: Israele, Spagna e New York. Accedendo al portale, fra le altre cose, è possibile filtrare le varie proposte a seconda dell’area, del tipo di esperienza che si è interessati a provare – tourist, local o age 40plus – e, chiaramente, al tipo di cucina e il range di prezzo. Dalla cucina italiana, a quella vegetariana, a quella Kosher le proposte sono numerose e per ogni host è possibile visionare il profilo, leggere le recensioni degli utenti, vedere le fotografie di casa e dei piatti proposti. Ogni host ha una sua storia, che viene raccontata anche grazie ai suoi piatti, e il cibo diviene la base su cui costruire un dialogo culturale e personale, che nasce dai prodotti del territorio, prosegue attraverso le ricette di casa e arriva al turista, offrendogli uno spaccato della realtà autentica del Paese in cui si trova.

 

Ci sono voluti 10 anni di trattative, dal 21 febbraio 2003 al 1° luglio 2013, perché la Croazia entrasse a far parte dell’Unione Europea. La Croazia ha dovuto fare i conti con il suo passato e con la sua storia prima di divenire ufficialmente parte dell’Europa: la macchia sanguinosa della guerra balcanica e i problemi economici tuttora esistenti hanno costituito un ostacolo non trascurabile nel processo di europeizzazione. Dal punto di vista artistico e culturale, però, questa Repubblica a Est dell’Italia collezionava già da tempo – da molti secoli – punti di contatto, influenze, similarità con gli altri Stati dell’Unione Europea. Continue reading “La Croazia: europea già da tempo” »

L’amore per la musica non passerà mai di moda. Tra i corsi e i ricorsi di note e generi musicali, quelli che stiamo attraversando sono senza dubbio gli anni della riscoperta dei vinili. Che siano trentatré o quarantacinque giri, gli ingombranti ma affascinanti enormi dischi neri sono tornati in auge e vengono molto ricercati, soprattutto quando al loro interno racchiudono brani di musica indipendente.

Proprio per celebrare la musica indipendente e i negozi che la distribuiscono al grande pubblico, 700 solo negli Stati Uniti, un commesso di uno di questi store, Chris Brown, ha istituito il Record Store Day, una giornata dedicata a tali spazi, alle loro note in sottofondo e ai tanti appassionati che li frequentano quotidianamente. Quest’anno i festeggiamenti cadono il 20 aprile (la data coincide infatti ogni anno con il terzo sabato del mese di aprile) e il programma previsto in giro per il globo è denso di appuntamenti e mostre d’arte dedicate.

I negozi che parteciperanno all’iniziativa saranno riconoscibili grazie ad un timbro esposto in vetrina: l’elenco degli shop indipendenti che aderiranno in Italia è disponibile nel sito dedicato alla manifestazione; la maggior parte di questi sono concentrati nella città di Perugia.

A Napoli sarà proiettato, presso il Palazzo delle Arti, il film “Last Shop Standing – The Rise, Fall and Rebirth of the Independent Record Shop” di Pip Piper che racconta l’ascesa dei negozi dei dischi dagli anni sessanta ad oggi: musicisti d’eccellenza tra cui Paul Weller, Billy Bragg, Johnny Marr, Norman Cook, Nerina Pallot, Richard Hawley e Clint Boon; racconteranno la storia musicale dal rock’n’roll al punk.

http://vimeo.com/moogaloop.swf?clip_id=49181598&force_embed=1&server=vimeo.com&show_title=0&show_byline=0&show_portrait=0&color=ff9933&fullscreen=1&autoplay=0&loop=0

L’appuntamento a Milano invece è presso il Teatro del Verme che si trasformerà in un’autentica piazza della musica: sarà allestito un Music Crossing Corner in cui sarà possibile dialogare con personalità del settore discografico ed esperti di vinili. Anche in questa occasione sarà proiettato “Last Stop Standing”.

Nella home page troverete invece la lista, decisamente più corposa, dei negozi partecipanti negli Stati Uniti, dove gli eventi organizzati sono variegati e prevedono premiere, concerti, proiezione di documentari. Tutte iniziative ad ingresso gratuito e che non si concentreranno solo nella giornata del 20 aprile, ma che si svolgeranno nell’arco di tutta questa settimana.

L’ambasciatore ufficiale di questa edizione 2013 sarà Jack White, dei White Stripes. Il gruppo ha deciso di ristampare per l’occasione, a dieci anni dall’uscita, il suo album Elephant, in versione LP in vinile nero e rosso da un lato e bianco dall’altro. Un’edizione speciale è prevista anche per il cd dei Pink Floyd, del disco “See Emily Play Pink Vinyl” che sarà venduto in edizione limitata, con una copertina realizzata da Syd Barrett.

 

La settimana che stiamo attraversando è dedicata ad uno dei settori peculiari del made in Italy: si è aperto infatti ieri, martedì 9 aprile, per proseguire sino a domenica 14 il Salone del Mobile di Milano, evento dedicato all’arredamento e al design, giunto alla sua 52° edizione.

Ad invadere gli edifici fieristici di Rho non è una singola manifestazione bensì quattro eventi congiunti: accanto al Salone Internazionale del Mobile sono stati allestiti il Salone Internazionale del Complemento d’Arredo, le biennali Euroluce, il Salone Ufficio e il Salone Satellite.

Una settimana dedicata ad espositori, esperti del settore e pubblico, durante la quale la speranza è quella di veder ripartire i numeri del settore, oggi gravemente indeboliti dalla crisi economica. Un comparto, quello del mobile e del design italiano, che copre il 5% della produzione europea secondo i dati della Camera di Commercio di Milano Monza e Brianza: data questa eccellenza sono previsti oltre trecento mila persone che verranno da 160 paesi a visitare le 2.500 aziende in esposizione.

Un evento di importanza strategica per l’industria italiana che ha visto stamane sopraggiungere la visita del Presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, il quale ha dichiarato ai microfoni dei giornalisti che la ripresa del settore passa dalla una crescita della nostra economia. Dopo essere calate del 5,6% le imprese attive nel settore tra il 2011 e il 2012, Squinzi ha parlato di una situazione drammatica che non può essere superata solo basandosi sulle esportazioni estere, le quali coprono anche il 90% del rapporti economici. Secondo il Presidente di Confindustria è necessario far ripartire al più presto anche il mercato e i consumi interni.

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=XZyWEVzrHrU?rel=0]

All’interno delle aree destinate al Salone Internazionale del Mobile e al Salone del Complemento d’Arredo sono 1.440 gli espositori, divisi tra le tipologie classico, moderno e design. Protagonista della biennale Euroluce invece è l’illuminazione, elemento sempre più essenziale per l’arredamento. Non è casuale neanche la posizione in cui è stato allestito il Salone dedicato all’Illuminazione, proprio davanti agli ambienti dedicati al Salone Ufficio, per sottolineare così la sinergia tra i due settori. La luce è stata protagonista anche ieri sera all’interno del quadrilatero della moda milanese: il sindaco Giuliano Pisapia ha infatti inaugurato il primo sistema di smart city in via della Spiga che prevede un sistema di illuminazione intelligente dell’illuminazione urbana con la tecnologia led per ottenere un risparmio sino al 70% dell’energia consumata. In questi giorni, inoltre, il Comune di Milano ha deciso di rendere gratuita l’entrata nei principali musei civici cittadini e di liberalizzare il servizio taxi.

Tornando infine agli spazi espositivi di Rho, il Salone Satellite invece ospita 700 giovani designer che espongono i propri lavori ispirandosi alla tematica “Design e artigianato: insieme per l’industria”.

Attenzione dedicata perciò alla tradizione ma anche alle nuove idee che avanzano e spazio alle nuove generazioni. Implementati anche i canali social della manifestazione: quest’anno, infatti, oltre ai già collaudati profili Facebook e Twitter è stata aperta una pagina Pinterest in cui far confluire tutte le foto di questa settimana.

Diversi anche gli Hashtag ufficiali attraverso i quali seguire la manifestazione in rete: #iSaloni, #Euroluce, #SaloneUfficio, #SaloneSatellite.

L’apertura al pubblico è prevista per la giornata di sabato e domenica. Grandi sono le speranze riposte in questa edizione per rimettere in moto il settore ma anche il turismo: secondo il Cosmit, l’ente organizzatore del Salone, solo di indotto quest’anno Milano trarrà 200 milioni di euro. Un’occasione quindi per la creatività e il made in Italy, di cui beneficerà non solo l’industria del settore.

 

 

Si è chiusa domenica scorsa la decima edizione della manifestazione milanese “Fa’ la cosa giusta”, la fiera nazionale del consumo critico organizzata dall’editore Terre di Mezzo, che quest’anno si è tenuta alla FieraMilanoCity, storico spazio fieristico della città.
Nel tentativo di razionalizzare i 770 espositori nei due grossi padiglioni a disposizione per la fiera, gli stand sono stati divisi secondo criteri tematici, che riflettevano i diversi aspetti del pensare e agire sostenibile: le sezioni erano quindi turismo consapevole, critical fashion, abitare green, cosmesi ecobio, servizi per la sostenibilità, pace e partecipazione, editoria e prodotti culturali, mangia come parli e street food.

La sezione speciale di quest’anno è stata dedicata alla mobilità sostenibile, che ha avuto il merito di riunire molti dei progetti più lodevoli per la mobilità a basso impatto ambientale. All’interno di questa sezione era ospitata Elettrocity, la cittadella della mobilità elettrica, in cui i visitatori hanno avuto la possibilità di provare (ed eventualmente acquistare) sull’ampio circuito di prova disponibile, diversi veicoli elettrici, come automobili, biciclette, moto, scooter e veicoli commerciali. Il paese ospite della manifestazione è stato il Brasile, che partecipava alla fiera con due stand, entrambi organizzati da Sesi, il Serviço Social da Indústria brasiliana. Il primo stand raccoglieva le testimonianze dei giovani partecipanti al progetto ViraVida, (ovvero: “cambia vita”), un’iniziativa che si rivolge ai giovani brasiliani, vittime di abusi, con l’obiettivo di integrarli in percorsi di formazione educativa e inserirli nel mondo del lavoro. Il secondo era quello di Cozinha Brazil, che durante i giorni della fiera ha organizzato moltissimi laboratori gastronomici, dedicati soprattutto ai bambini, promuovendo l’alimentazione sana e senza sprechi, e preparando deliziosi piatti della tradizione brasiliana.

Oltre a ospitare moltissimi espositori, la fiera è diventata anche spazio privilegiato per moltissimi eventi culturali, che spaziavano dai laboratori per la creazione di cosmetici ecobio alle conferenze teatrali sulla storia della crisi economica globale, dai laboratori di cucito per il riutilizzo di tessuti alla presentazione del progetto Expo dei popoli per l’Expo 2015 di Milano. Tutti questi laboratori, incontri, convegni, degustazioni, mostre e spettacoli in programma sono stati la forza di questa manifestazione, rappresentando il vero momento di approfondimento e riflessione collettiva su tanti aspetti della sostenibilità e del consumo critico.
Infatti, nonostante qualche scivolone che si potrebbe definire radical chic, l’interesse della manifestazione è genuino e intende valorizzare un metodo di vita alternativo e rispettoso degli altri e dell’ambiente.

Un simbolo che racchiude in sé la famiglia di origine e l’appartenenza allo Stato Pontificio, di cui diviene il regnante: questa potrebbe essere in sintesi la definizione dello Stemma papale, un segno di riconoscimento adottato da ogni Papa. Dei 266 Papi che si sono succeduti nel corso di questi duemila anni, ne abbiamo selezionati alcuni appartenuti ai pontefici più conosciuti.

Mentre nei primi anni della storia della chiesa i simboli del pontefice erano dei semplici araldi con le insegne della famiglia nobiliare d’origine, a partire da Papa Innocenzo III (1198-1206) è stato introdotto uno stemma peculiare, la cui grafica è cambiata di poco nel corso dei secoli. Le chiavi decussate, simbolo del potere temporale, sono state aggiunte verso la metà del trecento, mentre il trigeno, il copricapo pontificio che rappresenta la chiesa militante, sofferente e trionfante, è comparso per la prima volta nelle insegne di Bonifacio VIII (1295-1303). Tali simboli posti sullo sfondo non furono, tuttavia, adottati da ogni pontefice: alcuni infatti, come Pio IX mantennero solo l’araldo originale senza insegne nel fondo.

Per la comunicazione del proprio programma lo stemma pontificale è ancora significativo, perciò vi diamo qualche indicazione sulle insegne del neo eletto Francesco: oltre al trigeno e alle chiavi incrociate, troviamo le caratteristiche dello stesso stemma che aveva quando era vescovo, tra cui il campo blu con tre figure in oro in primo piano. Una di queste immagini dorate indica l’ordine di provenienza, ovvero la Compagnia di Gesù, un sole con incise in rosso le lettere IHS, gli altri due sono una stella che simboleggia la vergine Maria e un fiore di nardo che rappresenta San Giuseppe.

 

 

 

 

 

Il Carnevale sta finendo, ma anche quest’anno ha lasciato la sua scia di allegria e buonumore. A Viareggio sono stati protagonisti gli immancabili carri allegorici carichi di ironia, satira e divertimento. Ecco qualche scatto della nostra Francesca Quadrelli, che ha selezionato per noi i più belli: c’è Burlamacco, maschera tipica della cittadina toscana, ma anche Totò, personaggi politici nazionali e internazionali e persino il Benedetto XVI.

 

Tra Scilla e Cariddi si cucina tanto e si parla in continuazione di pietanze, pranzi e cose conviviali. Buon segno? Chissà. Sicuramente sulla sponda siciliana, all’ombra di una pineta enorme e protetti dalla falce del porto, si trovano ricette semplici ma di grande effetto. Tra i piatti più amati dai messinesi brillano gli involtini di carne, che sotto la mera etichetta di “braciole” rivelano l’intelligenza della cucina povera. Pochi ingredienti, un po’ di maestria nella preparazione, e possibilmente un rudimentale barbecue (nell’idioma locale “u fucuni”) per mescolare il sapore della carbonella con il ventaglio dei blu che affrescano il mare dello Stretto. Gli involtini sono ben più che una pietanza. Molte infanzie, adolescenze ed età mature sono state segnate dalle “braciolate” settembrine in campagna, a suggellare un’estate in uscita e affrontare con la giusta energia il ritorno in città.

 

Ingredienti:

Gli ingredienti non si possono misurare, qui conta l’occhio e la mano dell’artefice. Servono poche cose: fettine di carne (manzo o vitella, ma ci si avventura anche con il maiale, che non sbaglia un colpo), pangrattato, pecorino grattugiato, olio in quantità, un tocco di caciocavallo ragusano. La cosa ha i suoi profili rituali. La carne va tagliata a fettine minime e battuta con decisione in modo da sfibrarla e renderla tenera. In una ciotola si mescolino pangrattato, pecorino e olio fino a ottenere un ripieno non più secco ma non ancora troppo umido. La cosa si può arricchire con degli atomi di aglio e qualche brandello di prezzemolo, e naturalmente è il caso di non lesinare il sale. Questo basta, anche se non manca chi aggiunge pezzetti di pomodoro, prosciutto cotto e quant’altro, violando di fatto la logica della pietanza.

 

La preparazione:

Stendere una fettina, passarci sopra le dita oliate, deporre un gruzzolo di ripieno, mettere un tocco di caciocavallo e arrotolare. Per la riuscita occorre piegare i bordi a tasca mentre si arrotola: il pollice e l’indice fanno girare la fettina, il medio piega il bordo verso l’interno, l’effetto è un involtino opportunamente capace di proteggere il proprio ripieno dalla forza di gravità. Infilare ogni involtino in uno spiedino di legno, alternandola con una foglia di alloro o con una fettina di cipolla bianca, che daranno un supplemento di sapore anche grazie alla brace.

 

Da abbinare con:

Mentre si preparano gli involtini si chiacchiera e si scherza. La musica da ascoltare è vintage ma infallibile: quel calderone di melodie e ritmi prodotto negli anni Ottanta dai “Kunsertu”, un gruppo che anticipava di almeno dieci anni forme e stili di un sincreti-smo radicato nella storia e capace di guardare lontano.

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=kten-5l-c10?rel=0]

 

Se si dispone di un amico dalla voce soave gli si può chiedere di leggere dei versi di Pascoli, che a Messina trascorse i migliori anni della sua vita (lo scrisse con chiarezza una volta tornato in Garfagnana): “La luna s’è levata dal monte. Le acque ondeggiano sotto il chiarore. Una vela. Come una vela? Non è il Serchio, è lo Stretto. E quel monte è l’Aspromonte. Quel lido ebbe primo di tutti il nome d’Italia. E il campaniletto di San Nicolò? Quella è la lanterna del Faro … Nel cielo illuminato tintinnano tetracordi ed eptacordi” (prefazione ai Poemetti, 1900).

 

Il dipinto è inevitabilmente il ritratto di ignoto di Antonello da Messina, che ammicca enigmaticamente ai visitatori del Museo Mandralisca di Cefalù. Ci ha scritto Consolo nel “Sorriso dell’ignoto marinaio” che può far bene rileggere mentre si digeriscono gli involtini (di norma se ne mangia un numero biblico e spesso inconfessabile). Volendo accentuare le assonanze fisiognomiche si può andare al Museo Regionale di Messina e riconoscere le espressioni locali nel magnifico Polittico di San Gregorio, che “Antonellus messanensis pinxit” come recita il cartiglio dipinto ai piedi di Maria.

 

 

 

Volendo rimettersi la coscienza a posto si può vedere un film tutto messinese, quel “La gentilezza del tocco” di Francesco Calogero che ha vinto insieme a “Mignon deve partire” la prima edizione del Premio Sacher. Storia ambientata tra città e campagna, fatta di equivoci un po’ francesi (à la Eric Rohmer) e di ironie molto sicule.

Ah, il vino non può che essere il grandioso “Rosso del Soprano” prodotto sulle colline messinesi da Geraci. Fratello minore del più blasonato “Palari” ha il vantaggio di non essere stato rinchiuso in barrique, ne guadagna il sapore rotondo ma con qualche mini-ma asprezza verace. Il vitigno è ovviamente un Faro D.O.C.

 

In Italia vivono oggi oltre 200 mila cinesi, di cui stiamo imparando a conoscere sempre di più cultura e tradizioni, condividendo spesso feste e ricorrenze.
Il calendario lunisolare cinese prevede proprio per il prossimo 10 febbraio, in concomitanza con il secondo novilunio dal solstizio d’inverno, la data della Festa di Primavera o Capodanno. Seguiranno ben 15 giorni di grandi festeggiamenti che si chiuderanno con la spettacolare Festa delle Lanterne.

 

 

Il Capodanno Lunare ha origini millenarie e si lega ad un’antica leggenda secondo cui il Nian, mostro dall’aspetto leonino, era solito uscire dalla tana nei mesi più freddi per mangiare gli umani: solo forti strepitii, il fuoco e la vista del colore rosso potevano intimorire la creatura ed evitare l’eccidio. Proprio per tal motivo, in questa ricorrenza, i cinesi sono soliti accogliere il nuovo anno con fuochi pirotecnici, canti e sfilate allegoriche dove a dominare è il colore purpureo.

Nei primi giorni del nuovo anno è poi buon uso far visita a perenti ed amici, tanto che sono queste le giornate di maggior movimento e traffico nelle grandi città della Cina.
Altra curiosa usanza è quella di adornare i portoni e le stanze principali delle case con distici e dipinti del nuovo anno, detti “fu” (?), “fortuna”,  prevalentemente di colore rosso, così come vuole una tradizione cominciata sotto la dinastia Ming. Tali abbellimenti della casa sono però preceduti da una pulizia a fondo della dimora, volta a scacciare sfortuna e fardelli dell’anno trascorso.

Foto di News.Cn

 

Il 10 febbraio 2013 il popolo cinese lascerà dunque l’anno del drago ed accoglierà quello del Serpente, il 4.650 per l’esattezza.
Secondo l’oroscopo cinese, i protetti da questo animale guida, e quindi i nascituri di quest’anno, saranno dotati di grande fascino e sensibilità per l’arte e la cultura, comunicativi e diplomatici hanno uno spirito innovativo e deciso.
Questo nuovo anno, dominato dal Serpente, è interpretato dalla saggezza popolare come un periodo caratterizzato dall’aumento di forze anarchiche e porterà con sé grandi sconvolgimenti, come è accaduto nel 1917 con la rivoluzione russa, nel 1929 con la Grande depressione o nel 2001 con l’attentato alle Torri gemelle. I grandi cambiamenti non devono essere tuttavia necessariamente in negativo, e visto il periodo storico attuale, potrebbero invece portare una piacevole aria nuova.

A chiudere i festeggiamenti sarà la Festa delle Lanterne, che cade 15 giorni dopo quella di Primavera ed è caratterizzata dalla prima notte di luna piena del primo mese lunare. Proprio durante questa giornata si è soliti appendere fuori dalle case e per le strade delle lanterne colorate accese. Tale usanza risale alla salita al trono dell’imperatore Hen Wendi, della dinastia Han occidentale.
Le più caratteristiche sono le lanterne con i cavalli: l’aria calda, generata dalla fiamma, fa muovere un meccanismo interno che dà l’impressione di vedere cavalli al trotto, proiettati sulle pareti del lume. Durante tale ricorrenza non possono mancare gli yuanxiao, tipici pasticcini a forma di palline, cucinati con farina di riso addolcita da pasta di giuggiole, cioccolato, sesamo e tante altre varianti.

Tane sono le iniziative che si terranno anche nel nostro paese: è prevista una performance artistica al Museo MAO di Torino, festeggiamenti al quartiere Esquilino di Roma, con una parata tradizionale prevista per il pomeriggio di sabato, mentre la domenica a Milano, sfilata in Via Paolo Sarpi e lancio delle lanterne alla Fabbrica del Vapore per dare il benvenuto al nuovo anno.

Ora non ci resta che vestire di rosso, invocare la protezione del Serpente e unirci ai festeggiamenti dei nostri amici cinesi!

 

Se il Carnevale avesse un domicilio sarebbe senz’altro a Venezia: la città lagunare, splendida 365 giorni l’anno, in questo periodo è, se possibile, ancora più mozzafiato. Vestita a festa con le maschere tipiche che colorano i suoi angoli più pittoreschi, la città dei Dogi si anima di feste, mistero e magia.
Le origini di queste celebrazioni pagane sono molto antiche. Intorno all’anno 1000 il Carnevale aveva una valenza sociale, poiché la Serenissima concedeva ai suoi cittadini di abbandonare i propri ruoli abituali per vestire costumi e maschere che livellavano così i ceti.
Nel 1296 questa festa diventa a tutti gli effetti una ricorrenza pubblica, con un editto del Senato della Repubblica di Venezia che istituisce la celebrazione per il giorno precedente l’inizio della Quaresima, sebbene fosse uso ormai protrarre le manifestazioni di giubilo per ben sei settimane.

Per l’edizione 2013 il Carnevale è intitolato “Vivi i Colori”, un invito lanciato dal direttore artistico Davide Rampello, che riassume lo spirito vivace e sfaccettato dell’evento, che propone tradizione, spettacoli dal vivo, musica, arte, visite guidate e mostre.

 

 

 

Tradizione

 

Festa dell’Acqua
La Festa dell’Acqua segna per i veneziani l’inizio della festa di Carnevale: un corteo di gondole colorate con maschere variopinte apre le danze. Quest’anno l’evento è stato affidato alla compagnia francese Ilotopie, che il 26 gennaio ha presentato lo spettacolo “MetaMorPhosiS Aquaticae”, un simbolico scambio di ruoli tra giullari, regine e marinai, tutto illuminato da fuochi sull’acqua che emergevano a suon di musica.

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=fPqxG5Njzkw]

 

Festa delle Marie

Questa celebrazione si tiene solitamente il primo sabato del Carnevale e rievoca l’omaggio in gioielli che il Doge portava a dodici bellissime fanciulle, di umili origini, per costituire la dote del loro matrimonio.
Il 3 febbraio si è tenuto il corteo delle 12 belle veneziane, precedentemente selezionate con un concorso, che indossando costumi tipici hanno lasciato la Chiesa di San Piero di Castello accompagnate da sbandieratori, musicanti e figure rappresentative delle antiche istituzioni repubblicane.

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=VnStvfUn_K8]

 

Il Volo dell’Angelo
Il Volo dell’Angelo è forse l’evento clou delle festività carnevalesche, che vede protagonista una giovane ragazza, la quale si libra in volo dal campanile di San Marco per raggiungere il centro della piazza. Quest’anno a vestire i panni dell’Angelo è stata Marta Finotto, che ha volato sulla folla festante lo scorso 2 febbraio e che ripeterà la spettacolare acrobazia il 12 dello stesso mese.

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=8bpp6YVMLM0]

 

La Maschera più bella

Al Gran Teatro di Piazza San Marco si tengono invece i concorsi per eleggere la maschera più bella del Carnevale. Chiunque può partecipare e a votare sarà lo stesso pubblico presente, allietato da performance di giocolieri e artisti di strada. Quest’anno i contest si terranno dal 2 al 12 febbraio, due volte al giorno, tutti i giorni.

Svolo del Leon
Questa ricorrenza celebra il simbolo di Venezia: il Leone alato di San Marco. Dal Campanile della Piazza verrà lanciato in volo un grande stendardo su cui è raffigurato il celebre felino. Ad accompagnare il rituale, un coro intonerà l’inno di San Marco. Quest’anno l’appuntamento è per il 12 febbraio alle 17,00.

La Vogata del Silenzio
Questa processione di gondole silenziose, che va dal Ponte di Rialto al Bacino San Marco, segna la fine dei festeggiamenti di Carnevale, Si tiene infatti la notte del martedì grasso e, percorrendo un Canal Grande illuminato dalla luce tremula delle candele, giunge a Punta della Dogana.

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=RbxUxWEeQlQ]

 

Cultura

All’Archivio di Stato di Venezia, da sabato 2 febbraio a martedì 12 febbraio, tutti i giorni dalle 9.30 alle 13.30, sarà visitabile con accesso libero la mostra “Arcobaleni lagunari. Itinerari storici tra i colori della Serenissima”. L’esposizione vuole ripercorrere l’uso dei colori nei diversi ambiti della Serenissima, dall’architettura, alla moda, fino all’arredamento. Sono inoltre previste visite guidate.

Anche la Biblioteca Nazionale Marciana celebra i “colori”, protagonisti del Carnevale veneziano 2013. Nelle Sale Monumentali c’è infatti la mostra “Galatei dei colori”, in cui vengono brevi trattati, testi e saggi noti e meno noti relativi al tema del Colore. L’11 febbraio si terrà inoltre un reading teatrale musicato dal titolo “Dialogo dei Colori”.

Anche i Musei Civici di Venezia partecipano alla festa più importante della città con tanti appuntamenti.

A Cà Pesaro si terrà infatti lo spettacolo “Tutti i colori del Mondo”, riduzione teatrale dell’omonimo romanzo di Giovanni Montanaro (7, 8, 9, 10, 12 febbraio).

Cà Rezzonico farà invece da sfondo al percorso musicale “La magia delle muse. Suoni e colori dal Barocco al Nuovo Barocco”: lo spettacolo rappresenta l’incontro tra musica e arte barocca (11 febbraio).

Al Museo di Storia Naturale sarà protagonista Ariosto con lo spettacolo “Erbolato, ovvero arzigogoli di un ciarlatano su naturale e scienza”, previsto per il 10 e il 12 febbraio.

Alla Casa di Carlo Goldoni, infine, non poteva che andare in scena “Goldoni e le sue donne” (11 e 12 febbraio).

Alla Casa del Cinema si terrà la rassegna di proiezioni “I colori del cinema. Caleidoscopi di mondi” con una selezione di pellicole e l’anteprima del film “Pinocchio” di Enzo d’Alo.

Anche la La Biennale di Venezia partecipa ai festeggiamenti con la quarta edizione del Carnevale Internazionale dei Ragazzi, dal titolo Il Leon Musico. Sperimentazione, tradizione e creatività. Si tiene da sabato 2 febbraio a martedì 12 febbraio ai Giardini (Padiglione Centrale, tutti i giorni, ore 10?18) e a Ca’ Giustinian (mostra 20 anni di Maschere e Costumi, dalla collezione di bozzetti dell’Asac, Portego, ore 9?20), con ingresso e attività gratuiti, locali riscaldati, Nursery, Vaporetto e Bus Biennale gratuiti.
Il 6 e 9 febbraio, la Biennale aprirà inoltre, sotto la sua vigilanza, l’ingresso dell’Arsenale da Calle della Tana, e garantirà di fronte al nuovo Padiglione argentino l’apertura del bar/ristorante “Alle Bombarde”.

La Collezione Peggy Guggenheim non poteva essere da meno e parteciperà al Carnevale di Venezia 2013 “Vivi i colori” con una serie di visite guidate gratuite e laboratori per bambini ispirati al tema prescelto. Apertura straordinaria lunedì 11 febbraio fino alle 22.

 

Musica e visite guidate

Dal 5 al 12 febbraio in Piazza San Marco riecheggeranno le note dei concerti “I colori della Musica”. Dal pop-rock internazionale, alla musica dei Beatles, fino a quella delle colonne sonore, ma anche le celebri canzoni francesi e quelle d’autore italiane. Ce n’è davvero per tutti i gusti.

Dal 2 al 12 febbraio la musica invaderà anche Campo Bella Vienna con diversi Dj set che faranno ballare il Carnevale.

Scoprite i luoghi più suggestivi di Venezia accompagnati dal Codega, figura storica risalente al XV secolo, che con una lanterna accompagnava i signori tra le calli, allietandoli con storie ed aneddoti. La Compagnia Teatrale Pantakin ripropone di visitare la città in compagnia del codega, tuffandovi in un affascinante passato, ricco di misteri: non sarà allora insolito incontrare Casanova, Cecilia Zen Tron, lo spettro del Levantino. I testi dello spettacolo itinerante “Segreti a Venezia” sono dello scrittore Alberto Toso Fei.

 

 

Città misteriosa e unica al mondo sia per la sua nascita che per la sua storia densa di battaglie, commerci, viaggi e scoperte. Venezia, grazie alla sua vocazione marinara, è sempre stata un spiraglio verso nuove culture e popolazioni, da cui ha assorbito tradizioni, usi e costumi, mutandoli ogni volta a seconda delle proprie esigenze. Ed è soprattutto nel suo fervore culturale e nella sua tradizione artigianale che si rispecchia questa capacità di riuscire ad apprendere quanto più possibile, per poi imporlo come consuetudine propria, una volta plasmato sulla mentalità lagunare.

Abituati da sempre alla navigazione, abili commercianti e sapienti artigiani, i veneziani si sono distinti per queste peculiarità, e la città che hanno costruito nei secoli intorno a tali tradizioni ne rappresenta appieno l’indole. Solo a Venezia troverete i gondolieri, i dogi, i manoscritti greci provenienti da Bisanzio, il suggestivo ponte di Rialto, ma soprattutto qui c’è il Carnevale più antico e conosciuto al mondo. La festa del carnevale veneziano ha origini antichissime e la prima testimonianza scritta al riguardo risale al 1094: in un documento redatto sotto il doge Vitale Falier si parla infatti di feste e divertimenti pubblici che si svolgevano nei giorni precedenti la Quaresima. Originariamente il periodo dedicato a queste baldorie copriva un lasso di tempo che andava dal giorno della Epifania sino al mercoledì delle Ceneri, con cui si inauguravano i quaranta giorni che precedono la Pasqua. Oggi i festeggiamenti sono stati ridotti a 10 giorni, tuttavia le tradizionali maschere usate in città sono state mantenute.

Non c’è Carnevale senza maschere, anche per restare fedeli allo spirito di questa festa, durante la quale era lecito lasciarsi andare al divertimento sfrenato, pur mantenendo il più totale anonimato. Era questa la funzione principale della maschera carnevalesca: la Bauta, quella più nota e comune, è una semplice maschera bianca che copriva l’intero viso, lasciando liberi solo gli occhi, accompagnata da un mantello nero o rosso che avvolgeva tutto il corpo. Nei secoli la sapienza degli artigiani ha personalizzato e abbellito sempre più queste semplici maschere di cartapesta e cartongesso, con ghirigori e colori sgargianti dall’oro al rosso. La moretta invece era la maschera riservata alle donne: si tratta di un semplice ovale, colorato interamente di nero, che copriva parte del viso. La gagna è  il costume caratterizzato dai lineamenti felini a cui rimandano anche il nome, che significa “gatto”. Il medico della peste non rappresenta al contrario una maschera tradizionale, dal momento che fu introdotta come travestimento soltanto a partire dal 1630 ed era usata principalmente per esorcizzare la diffusione della peste in città. Durante la sua storia secolare Venezia ha visto percorrere le sue strade e vicoli da diversi cortei, a seconda del periodo storico: nel 1571, dopo la vittoria della battaglia di Lepanto, i carri allegorici sfilarono guidati dalla rappresentazione della Fede, le quattro Virtù teologali, la Vittoria e la Morte con la falce e il martello. Nel 1679 il duca di Mantova sfilò, invece, seguito da un corteo di turchi e tartari, che durante il percorso combatterono contro sei mostri.

Con il tempo assieme le maschere tradizionali si diffusero anche quelle legate ai personaggi della Commedia dell’Arte come Arlecchino, Pulcinella, Pantalone e Colombina. Se volete indossare uno di questi vestiti tradizionali, cercate una bottega storica dei “mascareri”: sono numerose in città quelle che portano avanti tale tradizione secolare per la realizzazione di un costume a regola d’arte. Tra le botteghe più indicate c’è quella di Mondonovo, che dopo trent’anni di attività si è trasformato in autentico museo. Ci sono inoltre il laboratorio Carta Alta a Giudecca e la Bottega dei Mascareri a San Polo presso il Ponte di Rialto e il laboratorio di Alberto Sarria che opera dal 1980. Non dei semplici negozi, bensì degli autentici studi dove la creatività e la sapienza artigianale si trasmette da anni. Un viaggio nella città dei canali è sempre suggestivo, ma almeno una volta bisogna recarsi in questo periodo per assaporare l’autentica atmosfera carnevalesca e rivivere un pezzo di storia unico di questi luoghi.

Il carnevale più colorato d’Europa è ormai iniziato! Partito il 26 gennaio, i giorni clou andranno dal 2 febbraio a martedì grasso, 12 febbraio 2013.
Non tutti sanno che questa manifestazione ha origini antichissime: le prima testimonianza risale, infatti, al 1094 quando il Doge Vitalio Falier istituì il carnevale che permetteva alla popolazione della Serenissima di trovare sfogo alle tensioni e ai malumori che si celavano dietro la rigida Repubblica di Venezia. In questo modo infatti, attraverso maschere e costumi era possibile celare completamente la propria identità annullando cosi ogni forma di appartenenza a classi sociali, religiose, genere, e sentirsi così sullo stesso livello dell’aristocrazia dell’epoca; per queste ragioni durante il periodo del carnevale oligarchie e popolo erano di pari livello annullando tutte le differenze sociali. Ufficialmente il carnevale Veneziano venne istituito due secoli dopo dando inizio ad una ricorrenza collettiva caratterizzata dal divertimento e dalla spensieratezza ricco di colori e di maschere.
Un teatro a cielo aperto all’insegna della tradizione che si ripete anche quest’anno con le storiche maschere diventate famose in tutto il mondo per la loro bellezza e spettacolarità: la Bauta per esempio, nel Settecento era ma maschera più in voga dell’epoca , poteva essere indossata sia dagli uomini che dalle donne riservando il massimo anonimato. Poteva inoltre essere tenuta sempre poiché permetteva a chi la indossava di poter bere e mangiare senza toglierla. La sua immagine è presente anche nelle opere di Canaletto, Tiepolo e Longhi, a testimonianza della sua popolarità all’epoca.


Un altro travestimento tipico era la Gnaga, maschera dai lineamenti felini, e la Moretta, di forma ovale e in velluto nero, utilizzata soprattutto dalle donne e molto gradita dagli uomini perché muta.
Tra maschere e risate le ricorrenze più importanti del carnevale veneziano sono La festa delle Marie, di antichissima tradizione, che prevedeva la scelta da parte del Doge di 12 fanciulle, cui donare una dote, e il Volo dell’Angelo che vede un’artista librarsi sopra la folla da una capo all’altro di piazza san Marco. Ma i rituali e le celebrazioni sono molteplici e sempre coinvolgenti.
Questo tripudio di feste, maschere e tradizioni, rivive nella città lagunare ammaliando i visitatori e catturando l’immaginario di tutti: la spettacolarità di questo Carnevale, ricco di storia e cultura, lo rendo unico al mondo, da non perdere!

 

Già Charles de Bonstetten, letterato svizzero vissuto a cavallo del XIX secolo, pensava a un giardino inglese dove conservare esempi di abitazioni di ogni paese europeo. Amico di Madame de Staël, influenzato dunque dal primo romanticismo, mirava a uno studio e al tempo stesso a una conservazione etnografica della vita rurale.

Solo nel 1891 verrà però inaugurato Skansen, su idea di Artur Hazelius, sull’isola svedese di Djurgarden, prima forma di ricostruzione di ambienti popolari per preservarne non solo l’architettura ma anche la cultura. Questo sono i musei a cielo aperto: celebrano le comunità rurali attraverso folklore, musica, abitazioni, tessuti, mobili. Una forma di dovere sociale di preservazione e valorizzazione delle forme di cultura popolari.

All’inizio era la Scandinavia a creare (o ricreare) strutture con funzioni pedagogico-illustrative; solo nel 1918 si crea il primo museo open-air fuori dalla zona nordica, in Olanda. La moda si diffonde in tutta Europa, spontaneamente fino al 1956, quand l’ICOMOS detta delle prime direttive poi stigmatizzate nel 1958 in principi per organizzare i musei open-air.
Oggi la lista è lunga: dal Lychnostatis cretese allo Zaanse Schans olandese, dal torinese PAV allo Steam inglese al Kiroshima Open air, in Giappone. Skansen è ancora oggi un modello di business vincente. Conta 1.3 milioni di visitatori ogni anno e la sua è un’offerta culturale in sintesi molto semplice. Far rivivere, dare l’impressione, della Svezia del 1800. Ci sono i pecorai e le anziane che fanno caramellare le mele, ci sono le case in legno al cui interno le giovani ragazze dalle bionde trecce tessono coperte di lana spessa, ci sono attività dedicate ai bambini.

Sono ancora formule vincenti? Sebbene continuino a diffondersi, in forme e modalità differenti, sono davvero il modo più efficiente di fare cultura – e turismo – preservando un’eredità architettonica-sociale? Forse il loro business può essere rielaborato e promosso all’interno di un senso ancor più ampio di turismo culturale.
La cultura deve fare proprie le logiche di impresa: perché non guardare allora a una forma di lucro che rielabora il concetto di museo open-air? E’ il caso degli alberghi diffusi locati sull’Appennino del sud Italia, ove Daniele Kihlgren si è fatto portatore di una mission di recupero e redestinazione ricettiva di alcuni borghi storici.

Il paradosso del diritto dei beni culturali nella doppia formula di protezione e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici forse trova una chiave di lettura proprio nella formula di albergo diffuso. La compenetrazione in esso è enfatizzata in vista della fruizione del pubblico (turista). E’ una fruizione non prettamente museale, ma occorre forse disquisire sull’importanza dell’avverbio in questione.

Davide Kihlgren crede nell’integrità tra costruito storico e paesaggio circostante, nell’esistenza di un patrimonio storico minore da preservare e valorizzare, e il mezzo è la promozione turistica. L’approccio di tutela sposa il turismo come traino all’economia (dati non verificati trasmessi dall’associazione Sextantio indicano una proliferazione di 15 hotel nella zona limitrofa abruzzese, senza contare l’impiego delle persone all’interno della struttura e i vari outcome economici e sociali).
La conservazione delle tracce di vissuto, addirittura sugli intonaci, è totale; la tutela del borgo storico e del paesaggio agrario passa attraverso la memoria degli anziani, che tramandano le ricette con i prodotti del territorio e le abilità artigiane nel recupero dei mobili e nella tessitura. Tutto il borgo è interessato: l’hotel ha una struttura centrale ma è disseminato per le case disabitate, che grazie all’intervento di recupero rivivono conservando la cultura popolare originaria. Non è forse una sublimazione degli intenti etnografici dei vari De Bonstetten, Hazelius e filantropi tardo romantici? Stuzzichiamo la cultura perché essa sia vincente: un borgo rianimato da camere d’albergo può essere museo.

“A Carnevale ogni scherzo vale!”, sono detti che rendono bene l’atmosfera che si respira in questo periodo dell’anno: tra maschere, coriandoli e feste, ci si concede inoltre qualche piacere in più per il palato.
Il Carnevale è infatti fin dall’antichità il periodo in cui si accettava una sana e circoscritta inversione dell’ordine prestabilito, con scambio di ruoli nella compagine sociale.
Con l’avvento del Cristianesimo il Carnevale, precedendo il periodo di penitenza della Quaresima, è ancor più divenuto tempo per bagordi e allegria.
Oggi la ricorrenza è l’occasione per giocare con travestimenti, scherzi e feste in cui non possono mancare i dolci tipici.

Ogni regione ha la sua ricetta carnevalesca, ma a predominare sono ovunque i dolci fritti.

Hanno numerosi nomi, come chiacchiere, frappe, cioffe, bugie, dato dal diverso aspetto assunto, ma l’impasto di base è sempre lo stesso: uova, farina, burro, zucchero e liquore a piacere, il tutto fritto e poi spolverato di zucchero a velo. Esistono declinazioni diverse delle chiacchiere o frappe, cotte al forno, con gocce di cioccolato, miele, anice, ma di certo sono le regine del Carnevale. Si ritiene che abbiano origine già nell’antica Roma, quando nel periodo dei Saturnali, si preparavano le frictilia, dolci fritti nel grasso animale, che le donne più anziane, col capo cinto d’edera, distribuivano per le strade.

Altra leccornia, immancabile per il Carnevale, sono le castagnole: dolci tondi e fritti, hanno origine in Emilia Romagna, ma sono ormai diffusi dal nord al sud della penisola. La loro forma e il loro colore brunito ricorda appunto le castagne, da cui prendono il nome, e che in questo periodo hanno ormai  concluso la loro stagione.

Una variante delle castagnole semplici sono le fritole veneziane, arricchite con uvetta sultanina e pinoli. Appaiono sulle tavole già dal 7 gennaio e vi rimangono fino a metà quaresima. La loro presenza nella tradizione locale è testimoniata anche nella commedia “Il Campiello” di Carlo Goldoni, ambientata nel Carnevale del 1755, la cui protagonista Orsola è per l’appunto una frittolera.

La Toscana vede protagonista anche il Berlingozzo, dolce a forma di ciambellone dal sapore agrumato: farina, zucchero, burro, uova, lievito e scorze di agrumi sono gli ingredienti. Il nome deriva dal “berlingaccio”, termine dialettale con cui si indica il giovedì grasso e una maschera tipica del ‘400. Non a caso il verbo “berlingare” esprime il divertirsi a tavola.

Le Zeppole di San Giuseppe, festeggiato il 19 marzo, sono una ricetta tipica del periodo di Carnevale in Campania. Nell’800, per il giorno del santo, i friggitori napoletani si esibivano davanti le loro botteghe nella preparazione di questi dolci costituiti da una pasta fritta e zuccherata, accompagnata con una farcitura di crema.
Queste delizie sono molto diffuse anche in Sardegna, con il nome di Is tzìppulas, e in tutta l’Italia meridionale, in Puglia, Calabria, fino in Sicilia, dove sono preparate con farina di riso e ricoperte con miele d’arancio.

In Basilicata e Campania il martedì grasso si porta in tavola il Sanguinaccio, ricetta diffusasi anche in altre regioni italiane. Si tratta di un dolce al cucchiaio, dalla consistenza del budino, preparato con cioccolato e aromatizzato con sangue di maiale appena sgozzato. L’origine del dolce deriva proprio dal fatto che, in questo periodo più freddo dell’anno, gli allevatori erano soliti macellare il suino. Oggi il sanguinaccio è ormai per lo più preparato senza ricorrere al sangue dell’animale.

In Umbria, a Marsciano, il Carnevale è l’occasione per gustare le cialde all’aroma di liquore e anice, farcite con panna, così come vuole una tradizione risalente al ‘600. Allora infatti, durante il periodo carnevalesco, si raccoglievano offerte per intercedere a favore delle anime del Purgatorio e parte del ricavato veniva impiegato per la preparazione di queste cialde, distribuite alla popolazione durante la festa. I ferri in cui veniva pressato l’impasto per la cottura raffiguravano spesso stemmi nobiliari, simboli o motti.

Nel meridione si servono poi i Taralli al naspro, ciambelline aromatizzate all’anice e ricoperte di una glassa al limone. Un tempo si servivano su vassoi ornati con pizzi e accompagnati da liquore di rosolio.

La Sicilia offre tante ricette carnevalesche: tra queste ricordiamo la mpagnuccata, di origine araba, menzionata nel testo del 1877 “L’antico carnevale della contea di Modica”, scritto dal barone Serafino Amabile Guastella. Si tratta di palline di pasta fritte e ricoperte con miele, servite su foglie di limone, tipiche dell’isola.

 

Sembra di fare un salto indietro nel tempo, o di attraversare uno dei tanti Presepi che i bambini di tutta Italia amano realizzare in casa, quando si varca la soglia del suggestivo “Presepe a quadri viventi” della città di Orte. Ambienti semplici, ma ricercati nei dettagli, atmosfere magiche e suggestive guidano il visitatore alla scoperta della magia del Natale.

La caratteristica iniziativa è allestita nella città di Orte, in provincia di Viterbo ma facilmente raggiungibile anche da Roma grazie al collegamento dell’autostrada A1.
“Anche quest’anno l’associazione ‘Presepe Vivente Città di Orte’ organizza, nei giorni 26-30 dicembre 2012 e 6 gennaio 2013 (a partire dalle 17) il ‘Presepe a Quadri Viventi‘ – fanno sapere i rappresentanti dell’associazione – Visto il successo dello scorso anno, l’associazione ha pensato di riproporre questo suggestivo Presepe all’interno di caratteristiche cantine lungo le vie del centro storico di Orte”.

Non si tratta però di un semplice Presepe vivente: punto forte dell’evento di Orte è la cura dei dettagli, capaci di coinvolgere ed emozionare il visitatore. “I figuranti faranno rivivere quell’atmosfera magica propria del Natale attraverso gli antichi mestieri quali il cestaio, il fabbro, il falegname, il bottaro, il tintore e molti altri – aggiungono gli organizzatori – oltre alla rappresentazione della Natività, dall’Annunciazione sino all’arrivo dei Re Magi”.

Tante le sorprese che attendono i turisti del Presepe a quadri viventi.  “Agli occhi dei visitatori si presenterà uno spettacolo mozzafiato impreziosito da fiaccole e luci, fino ad avere la sensazione di vivere realmente in un borgo medievale. Proprio per il fatto di essere ambientato nel Medioevo – rivelano dall’associazione ‘Presepe Vivente Città di Orte’ – il ‘Presepe a quadri viventi’ è così particolare nella sua semplicità”.

Ad animare i quadri del Presepe vivente ci penseranno un centinaio di figuranti, pronti ad accompagnare i visitatori alla scoperta della Natività e della storia.
“Anche per questa edizione 2012 – raccontano gli organizzatori – l’associazione ha trovato numerosi ostacoli davanti, ma la tenacia e la costanza dei suoi componenti ha fatto sì che tutto venisse allestito nel migliore dei modi. Questa straordinaria esperienza, magnifica sia per chi la guarda che per chi la vive, è annualmente resa possibile grazie all’impegno, alla disponibilità e alla solidarietà di persone che hanno creduto e credono nell’associazione. L’iniziativa natalizia del ‘Presepe a quadri viventi’ – concludono gli organizzatori – attraverso un segno culturale tra tradizione e rinnovato spirito punta  anche a valorizzare il territorio con spiccata semplicità”.

Da non dimenticare, infine, che anche quest’anno il ricavato della manifestazione sarà devoluto in beneficenza, nella speranza che questo piccolo progetto possa essere di aiuto a chi ne ha bisogno.

Il Presepe è allestito in piazza Colonna. Per tutte le informazioni, questo il sito ufficiale.

Se nominando la cucina svedese vi viene in mente solo il ristorante self-service dell’Ikea vuol dire che avete proprio bisogno di un viaggio a Gotenborg all’insegna dell’enogastronomia e dell’alta cucina.
La cittadina svedese vanta infatti ben 4 ristoranti stellati premiati dalla Guida Michelin e numerosi riconoscimenti culinari che ne fanno una tappa obbligata per gli amanti della buona cucina.
Il pluristellato (e pluripremiato) Thornstroms Kok è considerato la mecca dei buongustai che qui possono degustare la cucina tradizionale svedese in cui il salmone la fa da padrone.
Nonostante il conto molto salato, il locale si posiziona al primo posto tra gli oltre 400 ristoranti della città e vanta recensioni eccellenti su tutti i principali forum del settore.

Nel caso siate degli appassionati di vino, uno dei locali più celebri è invece il Kock &Vin, famoso per abbinare ad ogni piatto un calice di alta qualità.

Essendo tra i luoghi più rinomati della città, entrambi i ristoranti hanno bisogno di una prenotazione fatta con larga anticipo.

Nel caso in cui non siate riusciti a riservarvi un posto oppure non vogliate spendere gran parte del vostro stipendio per soddisfare sì il vostro palato ma non il vostro conto in banca, vi consigliamo un paio di indirizzi, molto più abbordabili.

Gotenborg è infatti piena di chioschi ai cigli delle strade che offrono glogg (vin brulè) e pepparkakor (biscotti allo zenzero) ad ogni ora del giorno e della sera mentre, per gli amanti del pesce, la particolare Feskekorka (chiesa del pesce) è il luogo dove poter degustare pesce fresco tutti i giorni a pranzo, grazie al mercato che vi si svolge al suo interno.

I dolci svedesi sono inoltre un’altra prelibatezza da non perdere: l’antica pasticceria Ahlstroms Konditori, ad esempio, è l’unica in città a servire la torta tipica locale preparata con una base di marzapane e pistacchio, ripiena di crema e ricoperta di pasta di mandorle.
Non può mancare inoltre una visita al Cafè Kanold, dove gli amanti del cioccolato vorrebbero trascorrere il resto della loro vita: migliaia e migliaia di cioccolatini (dolci, salati, speziati, profumati) vi aspettano assieme a tazze di cioccolato caldo e gelati glassati al cioccolato.

In occasione del Natale, inoltre, il classico buffet svedese smörgåsbord si trasforma nel Julbord: aringhe e salmone marinati, patè di cervo e renna affumicata regnano nei principali banchetti svedesi a cui potrete accedere senza problemi.

In cerca di altri consigli? Ecco un video che suggerisce 5 pietanze da non perdere

[vimeo 35734361 w=600 h=425]

Vi siete abbuffati? Dopo una bella passeggiata in centro, un vin brulè e magari una pattinata sul ghiaccio, è l’ora di andare a dormire!
Ecco una selezione dei migliori hotel in città e nei dintorni di Gotenborg selezionate per Tafter Shop da hotel.info che coroneranno il vostro soggiorno e vi faranno sentire veramente in pace con voi stessi.
Hotell Liseberg Heden ****
Valutazione: 7,5
Camera doppia a partire da 115€
Distanza dal centro: 0,6 km

Posizionato tra alberi secolari ma a soli 600 metri dal centro, l’Hotel Liseberg Heden è un 4 stelle ideale per respirare la vera aria scandinava. Dispone di un rinomato ristorante e di diversi spazi congressuali anche per chi è in viaggio d’affari.

 

 

Gothia Towers Hotel****
Valutazione: 7,7
Camera doppia a partire da 173€
Distanza dal centro: 0,9 km

Il Gothia Towers Hotel è un hotel 4 stelle situato vicino al parco divertimenti di Liseberg che dispone di accesso internet sia nelle camere che nelle aree pubbliche. Per rilassarsi dalle lunghe passeggiate, l’albergo offre anche un servizio di sauna e solarium nonchè un bistrot e un bar rinomato per i suoi originalissimi cocktail.

 

Scandic Opalen Gothenburg****
Valutazione: 7,2
Distanza dal centro: 0,7 km

L’Hotel Scandic Opalen si trova nel centro di Goteborg e offre camere con accesso Wi-fi, tv e aria condizionata.
Inoltre, l’albergo dispone di sauna e di un roof garden dove poter degustare drink e cocktail. E’ a disposizione degli ospiti una palestra e un kinder garden per bambini.

 

 

 

Elite Park Avenue Hotel****
Valutazione: 8,0
Camera doppia a partire da 98€
Distanza dal centro: 0,3 km

L’Elite Park Avenue Hotel mette a disposizione dei suoi ospiti oltre 317 stanze dotate di accesso Wi-fi, macchina del caffè, mini bar e tv. Lo chef dell’albergo è famoso per la preparazione di piatti tipici svedesi serviti a la carte o a buffet. Una fantastica piscina completa il tutto, per potersi rilassare e concedere una pausa benessere.

 

Hotel Royal***
Valutazione: 8,4
Camera doppia a partire da 92€
Distanza dal centro: 0,8 km

L’Hotel Royal fu costruito nel 1852 ed è il più vecchio hotel a Göteborg. Rinnovato con grandissima cura, l’hotel è riuscito a conservare la sua classica atmosfera. Il soffitto della hall è adornato con pitture del tardo XIX secolo. Le 82 camere di cui dispone sono arredate finemente e rifinite da parquet.

 

 

 

Se siete amanti della buona cucina e del divertimento, ma pensate che questo connubio sia un appannaggio solo meridionale, vi sbagliate. Goteborg, grazie alla sua posizione strategica sul mare e alla sua storia ricca di tradizione artigiana e mercantile rappresenta una delle mete più ambite per il turismo enogastronomico e per il relax. Il nome stesso della città, che letteralmente vuol dire “il forte del fiume Göta älv”- il fiume che attraversa la città è tagliato dall’isola di Hisingen, che è collegata alle riva da 2 ponti e da un sottopassaggio.), racchiude la peculiarità della sua gente e della sua storia. Affacciandosi sulla costa occidentale del mare del Nord, la seconda città più popolosa della Svezia, dopo Stoccolma, è una tappa fondamentale per imbarcarsi nei tour degli isolotti che la circondano, assieme ai pescatori di professione che battono i suoi litorali da secoli. Un viaggio alla scoperta delle sue coste frastagliate, accompagnati dal pesce freschissimo e dai crostacei pescati ogni giorno: astici, cozze, ostriche e gamberi non mancano mai nelle tavole in quest’angolo di Svezia. Divenuta famosa per i suoi piatti innovativi e creativi a base di pesce, la città ospita anche un grande mercato tematico, il Feskekörka, che tradotto significa “la chiesa del pesce”, che ospita dal 1874, anno in cui venne edificato, i pescivendoli e le loro prelibatezze. Per comprare il salmone il mercato consigliato è quello di Salushallen.

La tranquilla cittadina e il suo centro raccolto, visitabile a piedi, sono invase da un’atmosfera giovanile, grazie ai numerosi studenti che qui soggiornano per frequentare la più grande università della Scandinavia. Nei dintorni inoltre sono numerosi i caratteristici villaggi di pescatori, con le case di legno colorate.

Smögen: per percorrere i 130 km di distanza è consigliabile prendere la macchina e vi ritroverete in uno dei più grandi villaggi di pescatori di tutta la Svezia, situato su un isolotto oggi ambita e deliziosa località turistica;

Fjällbacka: se avrete la pazienza di spingervi 40 km più a nord, visitate il pittoresco paesino con casette in legno costruite ai piedi di un monte;

Tanum, lasciando la costa e recandovi nell’entroterra, fate un tuffo nella storia e recatevi nella località divenuta nota per le incisioni rupestri dell’età del Bronzo, patrimonio dell’Unesco.

Lilleby: se non avete intenzione o tempo di intraprendere grandi spostamenti a soli 20 km dalla cittadina, non perdetevi questo piccolo e suggestivo agglomerato di case a ridosso del mare circondato da prati verdi e isolotti rocciosi.

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=DBjvjU9f-1A&w=400&h=300]

Tuttavia, il protagonista assoluto a poca distanza dalla cittadina, che attrae turisti da tutto il mondo è il parco divertimenti di Liseberg, che sorge a poca distanza dalla tranquilla ma mondana cittadina. Raggiungibile dal centro città grazie alle linee bus n4 e 5, immerso in un suggestivo scenario naturale, il parco divertimenti più esteso del nord Europa, nato nel 1923 per volere dei primi proprietari del terreno ove è situato, Johan Lamberg e Lisa Soderber, ospita ogni anno ospita tre milioni di visitatori.

Le attrazioni del parco, infatti, soddisfano le esigenze sia di un avventuroso pubblico giovanile che gli interessi dei più piccoli accompagnati dalle loro famiglie: sono quattro le montagne russe, denominate Balder, tra le più veloci al mondo che riescono a coprire in due minuti il percorso alla velocità di 90km/h. Niente a che spartire con la più tranquilla Rabalder, la montagna russa dedicata ai più piccoli, non lontana dalla dimora che ospita i conigli del parco la House Rabbit. In uno scenario da favole e leggende, non manca neanche il Castello incantato, dove i bambini sono invitati ad ascoltare e conoscere il libro delle fiabe dei Vichinghi. Peculiarità del parco è la sua natura incontaminata che lo circonda: nel giardino Lisebergs Lustgård alberi e fiori sono intervallati da cascate.

L’apertura delle strutture e dei suoi giardini non è limitata alla stagione estiva. Vale la pena infatti visitarlo d’inverno, sotto il periodo natalizio, per non perdere i mercatini di Natale che vengono inaugurati il 16 novembre: coccarde, vin brulé e oggetti d’artigianato artistico circondano gli alberi decorati a festa e la pista da pattinaggio. Per vivere un’atmosfera natalizia tradizionale, in uno scenario da fiaba.

 

Nato nell’antica Grecia come festa della corte di Dioniso, il Carnevale, rito ludico in cui ogni atteggiamento di euforia e creatività è consentito, ha prosperato nella rigida cultura nel nord Europa, dove sono fioriti diversi cortei tradizionali.

Tra queste famose ricorrenze c’è il famoso Carnevale di Maastricht, che grazie alla sua storia e la sua particolare organizzazione si è aggiudicato la fama di corteo più folle e famoso al confine con le Fiandre. L’iniziativa è talmente famosa e sentita dagli abitanti della città che lo stesso quotidiano locale riserva una sezione dedicata in cui vengono riportate le news e le foto relative alle diverse edizioni. Tutti partecipano con la propria fantasia e l’appuntamento è una tappa irrinunciabile per il calendario annuale della cittadina.

I preparativi dei carri del corteo, infatti, fervono già da qualche mese prima del suo inizio. L’11/11 alle ore 11 viene eletto ogni anno, dal consiglio degli undici ( il Raad van Elf di cui fanno parte i rappresentanti dei comitati coinvolti nell’allestimento di cortei e sfilate) il Principe del Carnevale ( Prins Carnaval), colui che sarà il custode delle chiavi della città durante i giorni del corteo. Il numero non è scelto a caso, dal momento che l’11 è proprio il numero associato alla follia.

La festa vera e propria comincia la prima domenica del Carnevale, quando carri e maschere sfilano attraverso i vicoli cittadini ed ognuno si lascia andare ad atteggiamenti ludici e baldoria. Le celebrazioni ufficiali iniziano nella piazza principale di Maastricht Het Vrijthof: 11 spari segnano l’avvio alle danze, alle sfilate dei carri e alle parate musicali.

Durante questo periodo di festa le casalinghe olandesi non sono tenute a cucinare nulla, perché i preparativi e l’organizzazione dei festeggiamenti cominciano a partire da due settimane prima che precedono la domenica d’inizio.

http://vimeo.com/moogaloop.swf?clip_id=41443325&force_embed=1&server=vimeo.com&show_title=0&show_byline=0&show_portrait=0&color=ff9933&fullscreen=1&autoplay=0&loop=0

Colori, maschere fantasiose e risate invadono le strade della più antica città dell’Olanda sino al martedì successivo. Alla mezzanotte di martedì grasso il principe e i suoi seguaci colorati vengono salutati dalla città celebrando un rituale particolare: simboli e mascotte vengono bruciati, annegati o sotterrati, proprio per esorcizzare in questo modo gli effetti da loro procurati. Dopo giorni di bagordi si ritorna così al regime austero con il mercoledì delle ceneri, giorno in cui viene consumato un piatto di aringhe salate, alimento tipico che viene consumato proprio in quell’occasione.